giovedì 5 gennaio 2012

Remix cerebrali tra le braccia di Morfeo.


Il mio cervello fa remix che manco Pitbull. Prendete, nell'ordine: la lettura serale di un libro in cui si parla di fiumi e chitarre; la necessità di aggiornare il fanclub italiano di Dani Martín e David Otero; l'avvenuto check in online per un prossimo volo a Barcellona; gli scambi di corrispondenza con un'amica francese, la consultazione del sito web trenitalia, e la visione di vecchi filmini famigliari datati fine anni 80. Beveteci sopra una tisana alle erbe. Quindi, shackerate bene. Probabilmente, ne otterrete anche voi qualcosa di estremamente simile al sogno delirante che mi ha intrattenuta la notte scorsa. D'altronde, quando ne ricordi ancora ogni minimo particolare, non divulgarlo sarebbe un peccato. No?

Dunque.



Mi trovo in un paesello a me sconosciuto. Case bianche. Gerani rossi sui davanzali. Cielo terso. In giro, pochissime persone. Passeggio accanto a mio padre. L'intento è quello di tornare verso l'aeroporto, dove mia mamma già ci aspetta per partire: a quanto pare, dobbiamo imbarcarci tutti su di un volo per Modena. Durante il tragitto a piedi, mi viene in mente che non ho controllato gli orari dei treni da Modena a Parma. Ed evidentemente è proprio quella, la mia destinazione finale, perchè mi assale di botto una discreta ansia. Ormai è tardi per cercare un internet point. Sempre ammesso che qui ci sia, un internet point. Mi guardo attorno, l'aria disperata. La strada, ormai, è deserta del tutto. Forse è l'ora della siesta. Ad ogni modo, non c'è segno di negozi, o attività commerciali di nessun genere. Case, case, solamente case. Mi viene in mente che, tutto sommato, di treni da Modena a Parma ce ne sono sempre e comunque tanti. Potrò occuparmene una volta lì. Il fatto, poi, che tra le due fermate ci sia solo Reggio Emilia, riesce a rallegrarmi particolarmente. Ci metteró poco piú di mezz'ora! Praticamente, niente! Persino nel mio subconscio, viaggare sui regionali mi nausea.

Mentre mi pianifico l'immediato futuro, mi accorgo, peró, che mio padre ha imboccato la via sbagliata.

Guarda che non é questa strada, é la parallela!”
No, no. Fidati, é giusta. Ti confondi perché sono tutte uguali”.

Per un istante, devo ammetterlo, il dubbio mi viene. Ben presto, peró, ci accorgiamo che la strada finisce con un fiume dalle acque turchine. E capisco che avevo ragione. Per qualche strano motivo, tuttavia, mio padre il fiume sembra non vederlo. Ci cammina dentro, deciso a proseguire. A me torna l'angoscia.

Papá, dove vai? Dobbiamo tornare indietro! Non la vedi, l'acqua?”
Solo a quel punto, lui guarda a terra.
Oh, cavolo, é vero! Non me ne ero mica accorto! Allora avevi ragione tu, sulla strada”.



Faccio per tornare indietro. Lui, peró, mi afferra per un braccio, indicando una traversa piú vicina.

Se dobbiamo immetterci nella via parallela, possiamo svoltare anche di qui, che facciam prima!”.

Non del tutto convinta, lo seguo. In fondo, la frase é perfettamente logica. Ben presto, peró, noto che il fiume inonda tutta la strada che abbiamo imboccato. L'acqua é piú alta. Piú blu. Per qualche motivo, piú minacciosa. Ma, nemmeno questa volta, mio padre la vede.

Attento! Il fiume!” , urlo in tono troppo acuto mentre ormai ne é immerso fino alla vita. Per tutta risposta, si gira verso di me con aria insolitamente calma. “E' vero, per di qua non si passa. Torniamo da dove siamo venuti”.

Siamo ormai a pochi passi dall'aeroporto, quando incontro una serie di ragazzi e ragazze che non riesco, adesso, a definire. Li conosco bene, comunque. Mi fermo a chiacchierare un po' con loro. Mi invitano a mangiare un gelato nel bar che, mi accorgo, si erge alle loro spalle. Un'occhiata all'orologio: c'é tempo. Saluto mio papá con un cenno della mano, e li seguo, felice, all'interno. Ci sediamo ad un tavolo in veranda, le finestre che lasciano penetrare la luce accesa del sole. Le poltroncine di paglia. Attorno a me, tutti parlano in francese. Tutti tranne la compagnia con cui mi trovo, ovvio. Un cameriere si avvicina posando al centro del tavolo una grande coppa di cristallo contenente una porzione di gelato e tanti cucchiaini, uno per ciascuno. Chiedo a qualcuno dei commensali come mai avessero ordinato un solo gelato per tutti, e scopro che in quel posto é cosí che si fa. Allora inizio a prenderne delle piccole cucchiaiate, senza fare altre domande. E' delizioso.



Alzo gli occhi, e mi accorgo che c'é un piccolo televisore fissato in un angolo. Stanno emettendo un programma musicale, o forse un varietá. Un presentatore blatera qualcosa in francese ma, ovviamente, io non ci capisco nulla. Continuo a mangiare il gelato. Quando rialzo lo sguardo, il volto famigliare di David Otero, El Pescao, sta cantando le sue stesse canzoni tradotte in italiano. Ma un italiano stereotipato, in realtá inesistente, assolutamente incomprensibile. Indossa la maglia della nazionale azzurra e si sta dimenando, affiancato dalla sua band, all'interno di una scenografia pacchiana. Anch'essa, tutta sui toni del blu. E' solo quando un tizio barbuto compare sulla scena che la scritta in sovrimpressione chiarisce tutti i miei dubbi: “Omaggio all'Italia – decifro – nel musical su Leonardo Da Vinci, ultima fatica de El Pescao”. In realtá, la performance non mi convince affatto. Peró, sono improvvisamente eccitata: adesso so cosa scrivere sul fanclub!

Sto ancora cercando di rielaborare quanto ho appena visto quando mi accorgo che attorno al tavolo a cui sono seduta, e proprio accanto a me, c'é Dani Martín. Forse c'era anche prima. Forse é appena arrivato. Chi lo sa. Il punto é che la cosa mi sembra assolutamente normale. Improvvisamente, inizia a intrattenerci raccontando delle barzellette in un italiano perfetto, imitando di volta in volta quasi tutti gli accenti regionali. Io lo guardo stupefatta.

“Ma...parli benissimo la mia lingua! Molto meglio di tuo cugino”, gli dico, sinceramente ammirata. “Non si sente proprio la cadenza spagnola”.

E' che l'ho studiato all'accademia di Arte Drammatica”, risponde lui come se fosse del tutto logico. Tacitamente, soppeso l'informazione nella consapevolezza di avere un'altra cosa da scrivere sul fanclub.

Uscendo dal bar, noto poi delle chitarre posate su di un mobile all'ingresso. Sono tutte usate. Ognuna di loro ha legato sopra un cartellino arancione con sú scritto il nome del proprietario e il prezzo base per l'offerta d'acquisto. Sono tutte bellissime, tranne una. Una piccola, squadrata, impolverata. “Ma non potevano, almeno, pulirla?”, esclamo indignata. Poi, noto il cartellino che l'accompagna. “Ve la do gratis, basta che ve la prendiate”. Sotto, il nome e cognome di un amico, Marco. Che- manco a dirlo – proprio in quel momento fa la sua apparizione nel bar.



Scusa, ma da quando in qua regali chitarre? E non potevi almeno sprecarti a passarci uno straccio sopra?”, lo aggredisco. Lui si stringe nelle spalle.
Troppa fatica. Se se la prende qualcun altro, perché dovrei pulirla io?”.

Un po' perplessa, e ancora vagamente infastidita, mi trovo ad afferrarla.
Beh, senti, se é gratis me la prendo io. Magari é la volta buona che imparo a suonarla!”

Ed esco dal locale con aria vittoriosa.

Finalmente, arrivo all'aeroporto. Che, in realtá, non é altro che una stazione degli autobus semi-abbandonata. Ricorda molto quella di Corral de Almaguer. I miei mi stanno aspettando davanti ad un pullman blu che sembra in procinto di partire. Noto che mia madre indossa un maglione extralarge pieno di perline e la stessa collana di perle che portava sempre quando ero piccola. Non faccio neanche in tempo a salutarli che ricordo di non potermi portare via la chitarra. Voglio dire, dovrei imbarcarla nella categoria “oggetti speciali”, e ormai ho giá fatto il check in online.

Facendomi di nuovo prendere dall'ansia, inizio a fermare i pochi passanti che incontro cercando di piazzare lo strumento a qualcuno. Peró, niente: é impolverato, bruttino, nessuno lo vuole. Soltanto all'ultimo minuto, e dopo innumerevoli tentativi, riesco a passarlo ad una ragazza che, nel sogno, so essere amica di Marco. “Ridagliela quando lo vedi, per favore”. Ma devo implorarla inginocchiandomi sull'asfalto, perché dica di sí.

Sto ormai salendo sulla corriera quando vedo Marco arrivare in stazione assieme ad Alessandro. Al che, ovviamente, un po' mi incazzo: dico io, ma non potevano arrivare prima?!

....Dovró controllare che tipo di erbe avesse poi dentro quella tisana. 

2 commenti:

  1. ahahah....bellissimo!sembra una fiction!.-)secondo mè....a parte quello che hai premesso tu....avevi pure caldo,la notte....e sete.....quanto blù rinfrescante c'è nel sogno!
    kitfreud!

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  2. Puó essere. Li chiamerei "effetti del piumone" :P

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