Venti. Ho comprato una
graziosa confezione da venti cerotti waterproof in una piccola
farmacia del centro. A seguirmi, un'inglese zoppicante con le scarpe
più sbagliate delle mie. Ebbene, due giorni dopo, quella confezione
era già vuota.
E' che lo dicono tutti:
una città si conosce camminando. Solo che sopravvaluto sempre lo
stato di resistenza dei miei piedi.
Comunque. Non le ho
ancora del tutto messe a fuoco, le mie sensazioni su Parigi. Certo,
ho dormito su un aereo per tutta la durata del viaggio di ritorno;
sui sedili posteriori di un'auto nel tragitto Venezia-Monfalcone; e
poi per altre dodici ore filate sul letto di casa mia. Eppure pare
ancora non basti a ripristinare del tutto la lucidezza mentale.
Troppe immagini e lingue a far baccano nel cervello provocano un
senso di immotivato jet lag.
Di sicuro posso dirvi che
avere un'amica del posto ti conduce ad assaporare itinerari dal gusto
parigino. Il che esclude in una vaga smorfia di disgusto l'edificio
dal taglio moderno del Pompidou, il cui azzardo avevo, invece, a suo
tempo apprezzato non poco. E che però ti porta a scoprire – più
che a ritrovare – i due volti di una città impregnata in ogni
angolo di storia e poesia. Tutti i tipi di poesia, a dire il vero,
tranne quella che a me sta forse più a cuore. Perchè è l'unico
appello, l'unica piccola delusione: dove diavolo è finito il mio
Baudelaire? Rilegato fuori dal Pantheon, dalle citazioni sulle
cartoline, finanche dai magneti, dannazione! Cioè, ammetto che
sarebbe stato pretendere troppo trovarne
uno col mio motto personale sui sogni. Ma almeno un accenno
piccolissimo a qualche suo aforismo me lo sarei aspettato, tra il
Piccolo Principe e le massime di Voltaire. Se non altro la
riflessione per cui chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere.
Quella ai turisti sarebbe piaciuta! Pover'uomo.
Ma dicevo delle due
facce. Una é quella della Parigi da cartolina, con gli Champs
Elisées, la folla colorata sui gradini del Sacre Coer, e la Tour
Eiffel che alle 10 in punto regala uno spettacolo di luci glitterate.
E' il simbolo sovrasfruttato dal marketing dei souvenir. Eppure,
anche circondato da pullman, flash, coppie che si baciano
platealmente e piedi doloranti, riesce a commuovere di una strana
magia. E poi c'è l'altra, la Parigi vera, vissuta. Ed è stata
questa, forse, la più autentica sorpresa. Un'espressione di stupore
che colpisce cenando a Bercy. Dove le case tutte uguali, in
mattoncini marron chiaro, incorniciano un vialetto ombreggiato da
teli colorati. Ai bordi, i gazebo dei ristoranti all'aperto,
sovraffollati già alle sette da esclusive parlate francesi. Attorno,
i negozietti curati, ben arredati, spaziano in un identico amore per
il dettaglio dalla moda ai dischi, passando per il cibo per animali.
E' stato lì che ho scoperto cosa sono davvero le crepes. Con la
pasta più dura, più croccante, quasi fosse fritta. Con un menù di
varie pagine a raccoglierne una varietà che manco le più fornite
tra le nostre pizzerie. E gli ingredienti che trascendono il ripieno,
per occupare di gusto anche il sopra e il sotto di un triangolo
calorico di goduria pura. Un po' come il croque monsieur emerso
allegramente dal forno dell'appartamento di Céline. La Parigi più
autentica è la chiusura ai quattro lati di una piazza di cui non
ricordo il nome, a due passi dalla casa natale di Victor Hugo. Lì,
sotto i portici di palazzoni antichi, i locali affollano bistrò
raffinatissimi, al suono perenne di qualche musicista di strada. Al
centro, un piccolo giardino a innaffiare la
strada di fiori.
E poi, nel mezzo, c'è
stata l'escursione a Versailles. L'overdose di turisti russi che ti
pestano i piedi e poi non chiedono scusa. Un palazzo visto mille
volte in foto, che ricorda un videogioco che facevo con mio padre
quando avevo forse otto anni appena. E in mezzo, piacevole scoperta,
le installazioni d'arte contemporanea di un qualche artista vagamente
schizzato. Arte che, in un museo, mi sarebbe sembrata del tutto priva
di senso, di talento, di emozione. Ma che, invece, proprio lì trova
il suo habitat naturale. Lì, dove lo sfarzo del Re Sole si sposa
all'eccentricità di un elicottero rosa in piume e swaroski. Dove le
gallerie che hanno visto sfilare anni di storia ospitano i tentacoli
di un polipo gigante. E due enormi decolletè d'argento inseriscono
lo chic d'epoca attuale nella sala degli specchi, per la vanità
d'allora.
Nel mezzo ci sono state
le casette da fiaba del dominio di Maria Antonietta, a cui – a
differenza del palazzo più noto – pare non sia mai preparato
nessuno. Ci sono tetti in paglia. Fiori d'un rosa sgargiante.
Caprette, maiali e cinghiali nelle loro fattorie. E un faro
bellissimo, di quelli che t'aspetteresti in un cartone animato, in
una scena di rapunzel, o in un sogno un po' più fuori dal normale.
Sì, Parigi me la
ricordavo diversa, questa è la mia principale sensazione. Nel
capodanno dei miei tredici anni era gonfia di pioggia e frastuono.
Colorata nelle vetrine, grigio-cupa fuori. Invece l'ho riscoperta
come un puzzle di colori. Un insieme eterogeneo e schizofrenoico di
pezzi a comporre un mosaico che può solo entusiasmare. E, in tutto
questo, a rimanere intatto, c'è il mio profondo amore verso la
Defense. Il suo gioco moderno di riflessi e cristallo mi conquistava
allora nonostante il vento, e torna a farlo adesso anche in sua
virtù. Perchè la Defense è un mondo astratto in cui il presente
regna. Eppure non può farlo senza rispecchiare il panorama di ieri.
La Defense è l'arco perfettamente quadrato che si allinea a quello
di Trionfo, in un'immaginaria congiunzione
verticale che collega le epoche in un quadro generale. Credo
sia per questo. Credo sia un po' questo, il riassunto di Parigi.
Che
poi è proprio alla Defense che ho scoperto l'esistenza di un
profumo che si chiama come me.
L'ho cercato, al ritorno, in ogni
singola profumeria dell'areoporto d'Orly. Niente. Frustrata dalla
sua perenne assenza, ho finito con l'afferrare quasi
controvoglia una boccetta tester di
Angel for Man. L'ho annusata senza spruzzarmela addosso, come una
groupie isterica in crisi d'astinenza.
Dicono che l'olfatto
delle donne sia più sviluppato di quello maschile. Dicono che abbia
a che vedere con i nostri impulsi più primitivi. Dicono. Io so
soltanto che l'olfatto fa viaggare nel tempo. So solo che quel
profumo restituisce tridimensionalità a tutte le foto. E la violenza
con cui m'hanno assalita le immagini degli abbracci, dei concerti, la
nitidezza con cui ho riascoltato il suono della sua voce
semplicemente aprendo quella bottiglietta di profumo...ecco, questo
mi ha stordita. Ma forse è stato giusto così. Perchè c'è una
parete dedicata al tour di Dani Martín,
nell'appartamento di Celine. Perché il videoclip di Mira la
vida é stato ambientato proprio tra quelle
strade. E allora una parte di Parigi, della sua essenza, dei suoi
colori, forse é impregnata anche della musica che m'accompagna la
vita. E, con lei, di tutte le cose che giá mancano un po'.
* Se hai colto la citazione del titolo, grazie. Anche per essere d'accordo con me sul fatto dei magneti, in effetti. Assenzio?
ahhhhh BAUDELAIRE(quadri parigini)quanto l'ho amato!!!!e se non ricordo male c'è una stazione della metro con anche le sue citazioni....ma tornando al viaggio...alla scoperta inedita di Parigi,fatta con una parigina..è la cosa migliore per conoscere e amare una città nel suo lato vero e non turistico...i locali...il cibo...vuoi mettere?io non sono di quelle viaggiatrici che in ogni luogo del mondo cercano i ristoranti italiani e la pizza...quindi ti invidio!
RispondiEliminail profumo?ottima idea per fartelo regalare a Natale!!!!:-)
besitos kit
Giá...peró dovrei annusarlo, prima, altrimenti non sapró mai se mi piace! ahahaha
RispondiEliminaPs: stazione del metro con le citazioni di Baudelaire?! Dove?! Quando?! Perché?!