Immaginate un agglomerato
di gente col cappello. Tipo Zorro, il cappello. Però senza la Z. Un
copricapo che calza a pennello, che dicon tutti che son buffo e
piccolino, proprio buffo, ma piaccio così. Ecco, appunto: immaginate
che a me venga in mente la sigla di Memole, e capirete senz'altro
perchè rido. Le altre, tutt'attorno, dovrebbero invece lanciarsi in dialoghi
surreali. C'è chi dice “vamos a bailar esta vida nueva” e chi si
prodiga in “un pasito pa'lante Marìa”. E' la ricetta di un
brusio da feria studiato a tavolino per chi non sa lo spagnolo. Nello
specifico, il tavolino è quello di una gelateria del centro, davanti
a una coppa di gelato alla frutta alta grossomodo un terzo di me. La
stessa dell'altr'anno, che ai rituali scaramantici non so rinunciare.
Specie se prevedono una fresca ingestione di calorie.
San Vito al Tagliamento.
Rimpianti d'aria condizionata. La nostra esibizione comincia così.
Perchè, siamo alle
solite: quando ci vuole un anno intero a preparare sei minuti sul
palco, poi ci si aspetta che di quei sei minuti io parli. Anzi, in
realtà ci si aspetta che io parli di tante cose, ultimamente. Una su
tutti, gli Europei. Ma...tempo al tempo. In ordine cronologico, i
resoconti flamenchi vengon prima.
Il fatto è che ballare
senza occhiali un po' mi isola dal mondo. I contorni sfocati
occultano gli sguardi. Il dettaglio mi sparisce in approssimazioni.
Ed io, di colpo, sono in una dimensione parallela. Non so se sono in
grado di spiegarlo. E' come se il resto, essendo così poco netto, mi
urlasse egli stesso che, di protagonismo, non ne esige nessuno. Come
se , non vedendolo bene, capissi che è su altro che mi devo
concentrare. E allora esisto solo io. Solo la musica. Soltanto i
riflettori che da piccola mi hanno salvata troppe volte dalla
timidezza. Le assi in legno che mi aiutano a prendere
coscienza di me. Implorano, mi chiedono arroganti di far vedere che
ne sono capace. Mi annullo nelle note, nel testo, nel ritmo, cercando
dentro me la parte che forse si potrebbe ammirare. Per questo va
bene, con quel cappello in testa. Anche se alle prove avevo
pasticciato molto meno. Anche se le gambe sono sempre un po' più rigide di
quanto vorrei. Ma va bene perchè bene mi sento. Perchè sorrido e
ammicco a quell'orizzonte sfocato ballando per me stessa più che per
chi c'è.
E poi torno nei camerini, incapace di avanzare più dei due
centimetri che mi separano da un cajòn colorato. Mi ci accascio
sopra assorbendo complimenti al gruppo senza sentirli davvero. Bevo mezzo litro
d'acqua in un unico sorso ed eccola lì, di nuovo, quella sensazione: l'adrenalina che si stacca dal tuo corpo, violenta come un cerotto
strappato, per inserirti nell'ovatta di quella stanchezza dolce.
Metafora di zucchero filato, di benessere, di sudore e di testa che
si svuota. Il microattimo perfetto in cui non hai pensieri o
sentimenti , e sai che il mondo può aspettare ancora un po'. Almeno
fino a che non sarai pronta a ritrovarlo, per leggere un sms o magari
mangiarti il tuo panino. Fino a che una compagna di corso non ti
riassemblerà uno chignon in caduta libera , mentre una ragazza
spagnola si gode l'attrezzatura che anni di esperienza l'hanno
indotta a portarsi da casa. Leggi: sedia in plastica e ventilatore.
L'accoppiata di oggetti che, nell'areazione guasta del piano
superiore, possono bastare a farti diventare un mito.
Un anno per sei minuti,
ancora. E, coreografia a parte, non è che del resto sia cambiato un
granchè. Forse soltanto il clima di relax, tanto generalizzato da
farmi quasi addormentare sulle poltroncine nei momenti previ alla
nostra ultima prova in costume. Forse gli anni che ci rendono via via
un po' più affiatate. O magari quella Chiesa in cui qualcuno s'era
appena sposato. Quella in cui abbiam respirato aria umida, fingendo
necessario dover farci benedire. E che buon profumo, quelle rose...!!
Mento, perchè invece è
cambiato tutto. Perchè tra il pubblico, stavolta, c'era anche un'amica.
E un'amica rende tutto più bello, sempre. Specie se il Flamenco te l'ha fatto amare lei. Specie se è da tanto che
non la vedi.
Proprio qualche minuto
fa, aprendo l'armadio, ho rivisto quelle scarpe. Calzados flamencos,
professionali. Bianche e comodissime, quasi fossero studiate sui miei
piedi. Stanno così bene, con l'abbronzatura, che mi verrebbe voglia
di metterle per uscire. Ci sono regali che vanno al di là
dell'oggetto , o del suo valore economico. Penso alla persona a cui
sono appartenute. Al significato affettivo che per la mia amica
rivestono. E, ancora una volta, mi vien voglia di ballare.
Forse, in qualche strano
modo, adesso non soltanto per me.
ciao memole!quanto son sempre belli i tuoi post flamenchi.....:-) l'ho già detto...ma si sente che hai il duende!
RispondiEliminabesos kit
Ora non esageriamo...peró grazie!! :)
RispondiElimina