Promemoria: mai viaggiare
a Febbraio. O, quantomeno, evitare di pronunciare con tono spavaldo
che “tanto son solo due fiocchi” appena scesa
alla stazione di Mestre. Cristiddio, quand'è che
imparerò dalle esperienze? Chè, due ore dopo, la pista del Marco
Polo è sotterrata da una coltre di neve. Non meno di cinque
centimetri, di cui osservo l'incremento con aria via via sempre più
preoccupata. C'hanno un bel da fare, tutte quelle macchinine. Salano.
Spalano. Lampeggiano d'arancione, a tema con i display. Ed è un
mantra di Delayed. Dling Dlong. Turisti inglesi che scattano
foto a tutto spiano. Probabilmente invano, visto
il riflesso dei lampioni sul vetro. Ma contenti loro... L'autobus
che dovrebbe condurci all'aereo, nel frattempo, tarda ad arrivare.
L'hostess, al gate di imbarco per Parigi Orly, ostenta sorrisi
autentici quanto una moneta da 6 euro. La vedo che è tesa. Ne
osservo l'andirivieni sbilenco su un tacco dodici che sono
quasi certa leverebbe volentieri. Ne leggo il labiale. “Non
mi risponde al telefono, non so dove accidenti sia”. Il caos. Una
coppia di argentini, nella beata ignoranza di una lingua straniera,
chiacchierano tranquilli del più e del meno. La giovane si riattacca
al telefono. Guarda oltre la vetrata. I fiocchi, quei maledetti
due fiocchi, scendono intanto sempre
più copiosi.
Mezz'ora dopo, il suo
sollievo annuncia metallico l'inizio dell'imbarco. Tre quarti d'ora
dopo, sto imprecando mentalmente contro i due coniugi francesi che il
destino ha scelto come miei vicini di
sedile. Disarmante, la loro flemma. Dieci minuti buoni per
sbottonarsi il cappotto, non so se rendo l'idea.
E poi via, a piegarlo minuziosamente prima di riporlo nella
cappelliera. Manco dovessero esporlo su una mensola de La Fayette.
Keep Calm, della serie. Keep Calm. Anche se, a causa della loro
lentezza, sto drammaticamente bloccando tutto il traffico di
passeggeri alle mie spalle. Qualcuno, rimasto troppo indietro per
varcare la soglia di quel boeing surriscaldato, accuserà
probabilmente i sintomi di una polmonite. E maledirà me. Che sto
maledicendo loro. Che staranno maledicendo...boh, forse il cappotto
che non si piega bene.
Un'ora dopo, una nube di
antigelo ci avvolge accompagnata da un rumore assordante. Sentite
scuse dallo staff che – naturalmente – non parla italiano. “It's
for your safety”, giá giá. Ma intanto
ho già speso cinque euro in sms internazionali, e perso in modo
inevitabile l'ultimo bus diretto a casa di Céline. Due ore dopo,
indovinate? Sarò ancora ferma lì. Sempre più rassegnata, a
chiedermi quanto diavolo possa costare un taxi. Alla faccia dei
soliti due fiocchi.
L'annuncio del decollo
imminente arriva come un sollievo inaspettato. Un calo di tensione
emotiva porta a galla una stanchezza che non sapevo d'avere. Sì,
insomma, m'abbiocco all'istante. Ma proprio di brutto, eh? Credo di
sognare qualcosa di strano in merito alla tour eiffel e gli
eschimesi. In ogni caso, a risvegliarmi è la voce del comandante.
“Siccome l'aeroporto di
Orly chiude alle 23.30, potremmo essere
costretti ad atterrare a Charles de Gaulle”.
Soppeso mentalmente le parole.
Soppeso mentalmente le parole.
Magari ho capito male.
Aspetta, ora lo ridice in
francese.
Non che lo capisca, il
francese.
Ma, ecco...quelle due
parole...
Orly, aeroport, fermé,
charles de gaulle.
Merda. Merda. Merda.
Ho un'immagine nitida
della mia amica, intenda ad aspettarmi in un terminal deserto metre
io, in terra ostile, cerco di capire come accidenti raggiungerla. A
peggiorare il tutto, la hostess scuote le spalle. Mica lo sa, se ci
concederanno i trasporti da Charles de Gaulle ad Orly. Chiudo gli
occhi. Forse, se mi riaddormento, gli eschimesi mi salveranno. O
forse no. In ogni caso...
“Comunque dovremmo
riuscire ad atterrare alle 23.30 in
punto ad Orly”, insiste il comandante. “Farò quanto in
mio potere per riuscirci”. Ed, immancabilmente, diventa il mio
eroe.
Perchè sì, il taxi mi
costerà effettivamente più del volo low
cost; ma alla nostra destinazione originaria, alla fine, ci
arriveremo. Dopo un volo durato un'ora scarsa, anziché
l'ora e mezza annunciata. Dopo una discesa a perdifiato che mi
renderà sorda fino al mattino seguente. Dopo un trionfale “visto?
Tutto è possibile!” a cui quel brillante Shumacher dei cieli
affibbierà un tono tra il fiero e il divertito. Ad accompagnarlo,
gli applausi dei miei vicini di posto, che non hanno battuto ciglio
durante tutta la durata del viaggio. Salvo scomodarmi cinque volte
per andare al bagno, ovvio. Dannazione, è
così difficile tenerla per un po'?
E quindi, niente. Fate
caso a me: non viaggiate a Febbraio. Perchè poi potreste ritrovarvi
nello spiazzo di Les Invalides, sferzate da un vento siberiano, a
ricordare da vicino i 13 gradi sottozero di una Vienna cancellata
dai punch. Sarete talmente sconvolte da chiedervi chi mai ve
l'abbia fatto fare, di uscire a far del turismo. E inizierete a
dubitare della reale esistenza di quei tizi vestiti da M&M's che
ballavano il Gangnam Style fuori dall'Hotel de Ville. Meno male che
gli ho fatto un video. Altrimenti avrei probabilmente optato per
l'auto-ricovero modello Perception. O l'elettroshock d'ispirazione
Homeland. O...sì, va bene, guardo troppe serie. Che
poi speravo di incontrare il collega figo di Jo, ma rien
de rien.
Resta
il fatto che poi, in quello spiazzo di Les Invalides, ti viene in
mente di farti fare una foto. Ci metti tre anni, a scegliere la
preda. Chè quelli sono troppo anziani. Questi qui vanno di fretta.
Questi hanno l'aria un po' troppo sconvolta, e quest'altro sicuro che
poi attacca bottone. Finalmente trovi quello giusto, un tizio
solitario col cappello di lana ben calato sul cranio. E allora un
nuovo dubbio inizia a farsi strada in fondo alla tua mente
assiderata. Sei in compagnia di due francesi, tra di voi comunicate
in spagnolo, e in giro sono tutti turisti. Quale
lingua usare? Dopo un veloce referendum si decide per
l'inglese. Audrey parte in quarta.
“Excuse me, cold you
ta...”
“Qué queréis, una
foto, no?”.
Ecco, appunto.
“Sí,
gracias! Qué guay, eres español! De dónde?!”
“Barcelona,
y vosotras?”
“No,
noi siamo di qui.”
Sullo
sguardo del tizio cala un'ombra di (neanche troppo) malcelato
scetticismo.
“Sí,
ma io invece sono italiana.”
“Comunque
tra noi parliamo in spagnolo”
“....”
“.....”
“Beh,
niente, vi faccio la foto”.
Giuro
che si vede proprio, che c'ha voglia di scappare urlando.
Due
scatti per sicurezza. La sua cartina che gli sfugge dalle mani. La
catena delle maledizioni inevitabilmente sul punto di coinvolgere
anche lui. Poi ci saluta in catalano. Adeu.
Tanto per.
“Solo
due fiocchi”, insomma. Peró, dai, ne é valsa lo stesso la pena.
In fondo ho reincontrato un'amica dell'Erasmus che non vedevo dal
2009. Ho riassunto in cinque minuti le mie vicessitudini degli ultimi
tre anni davanti ad un caffé – visto il freddo- viennese. Ho
respirato un po' di Spagna nella sala di circense memoria che
ospitava il concerto degli Estopa. Sopportato un ubriaco molesto.
Scoperto che David, dal vivo, é caruccio mica poco. Anche se, di
questo, parleró in un post apposito. Voglio dire, del concerto. Non
della sua scarsa fotogenicitá.
Mi
sono fatta anche quattro risate al pensiero di chi spende la bellezza
di 30 euro per un piatto di spaghetti pomodoro e basilico soltanto
perché il ristorante é quello di Armani a Saint Germaine. Ah, e poi
ho rischiato di firmare il mio libro nel caffé dei letterati piú
storico della cittá. Dove le file per cercare un tavolo arrivano fin
fuori e di bohemienne non c'é piú niente, visto il prezzo del
caffé. Ci sono entrata. Ho guardato il menú .Sono ri-uscita. Poi ho
fotografato la frase piú azzeccata del mondo sull'edificio di
fronte, pensando che il mio Ulisse, se avesse preso l'aereo, avrebbe
avuto un viaggio tipo il mio.
Non
viaggiate a Febbraio. Ma, se proprio dovete, siate almeno pronti a
riderci sú. Perché con tutti 'sti aneddoti, se mai avró nipoti,
sono certa che non si annoieranno mai.
Nessun commento:
Posta un commento