Abbiamo
fatto un patto, noi amiche della sposa. “What happens in Addio al
Nubilato stays in Addio al Nubilato”: una roba così. E mi sembra
quasi di vederlo, il vostro sguardo malizioso. Immaginerete scenari
in realtà mai accaduti. Rielaborerete senza accorgervene cliché da
film americano, come al vostro posto avrei fatto anch'io. Il motivo
per cui non vi racconterò di Sabato, invece, è ben diverso. Più banale, forse. Ma, proprio per ciò, mille volte più vero. Il fatto è che un segreto unisce. Sì, è solo questo. E' tutto qui. E' solo
che gli eventi epocali lo sono un po' di più, se restano ristretti
ad una cerchia selettiva.
E
allora guardo il velo color fucsia appeso in bella mostra sul
pannello di sughero. L'abbiamo preso dai cinesi, in clamoroso ritardo
sulla tabella di marcia. Colpa di Trenitalia, manco a dirlo. Colpa
dell'ennesimo tizio che pensa bene di suicidarsi nel peggiore dei
modi. Perchè, dico io, come si fa a buttarsi sotto un regionale? A
scegliere di finire i propri giorni facendosi odiare da centinaia di
sconosciuti? Una decisione simile esige essere stronzi, più che
disperati. Masochisti, più che bisognosi d'attenzione.
Però il velo sta lì, con tutte le sue belle margherite in rilievo. E' il
gadget che ci siamo scelte, l'emblema stesso del concetto di Kitsch.
E se lo guardo, ora, lui non mi ricorda un altro viaggio disastrato.
Al contrario, rievoca risate. Di quelle che ti viene il mal di
pancia, tanto sono intense. Perché non riesci a smettere, e
tantomeno a controllarti. Non c'entra neanche l'alcol, é solo che
sono sincere. Traspare anche dalle foto, in fondo. Ce le siamo
scambiate in gran segreto, fedeli al motto inedito del nostro
personale “Fight Club”. Il flash ha catturato nei sorrisi la
sensazione di divertimento spensierato che da troppo sentivo
l'esigenza di rivivere. E, Dio, quanto mi ha fatto bene!
Una delle mie piú care amiche si sposa,gente. La foto di noi due in tutú, sul palco del teatro comunale, ha spinto entrambe, per un attimo, a sbattere le ciglia un po' piú forte del normale. Strano, oltrettutto, come un gesto definito seduttivo sia anche il piú efficace per mandare via le lacrime. Due bimbe in uno scatto datato anni novanta. Sguardi puntati verso un pubblico che, parzialmente, ci avrebbe poi viste crescere. Diventare ragazze. Condividere un diario rosso con la Luna in copertina che conservavamo a fasi alterne, scherzando sul fatto che l'avremmo un giorno passato ai nostri figli. Scrivevo di voler vivere a Bologna, perché ho sempre avuto quest'urgenza di scappare. La cittá del mio idolo musicale di allora sembrava sul serio la migliore delle opzioni. Ed é strano, stranamente inquietante, che su Rai Due abbiano deciso di dedicare una monografia a Cremonini proprio ieri. Con l'inizio di "qualcosa di Grande" che rimane per me una stilettata al cuore. Scrivevo anche di sognare incontri romantici su di una spiaggia al tramonto, con l'Amore della Vita che tanto disperatamente desideravo incontrare. E poi ci scambiavamo lettere. Lettere lunghe, inchiostro su carte colorate, su cui vomitavamo litigi, paranoie e cotte passeggere. Lei, scherzando, diceva che le avrebbe pubblicate per guadagnarci qualche lira quando fossi diventata una scrittrice famosa. Perché l'ho sempre avuta, quell'ambizione lí.
E
adesso lei si sposa. Io non vivo a Bologna, peró ho scritto un
libro. E l'Amore della Vita, anche se fingo che non mi importi, forse
lo sto aspettando ancora. Ché certi eventi, si sa, ti tirano fuori
la vena romantica. E tra le foto del vestito, il dress code, e i
discorsi sull'acconciatura io mi sono sorpresa a progettare le mie
nozze. Tutte le invitate avranno dei fiori in testa. Balleremo
sevillanas. E un complesso pop-rock metterá in scena tutti i brani
che mi hanno in qualche modo cambiato la vita.
Peró
adesso basta: ché divento melensa, e poi piango da sola a rileggermi
il post.
Il
punto é che l'Addio al Nubilato – si condivida o meno - io l'ho
percepito davvero come una svolta epocale. L'ho visualizzato
chiaramente, sulla pista di una qualche discoteca, laddove i brani
nuovi comportano coreografie pre-determinate. Li conoscono un po'
tutti, a quanto pare, i passi di danza che a me risultano nuovi. E
gangnam style. E danza Kuduru. E be re be re be re ba ra ba ra ba ra.
In un motto di pseudo-tristezza, ripenso ad una frase di mio padre.
A tutti i blog inglesi con la lista numerata delle cose da fare per
essere felici. Scrivere un post di successo. Indossare un paio di
jeans. Vivere. Perché in fondo é vero: ormai sembra che non
riusciamo a fare niente, se non ci danno precise istruzioni. Abbiamo
bisogno che ci spieghino tutto. Anche come ballare, Santoddio! E io non
lo so mica, se ci sto.
L'ho
capito lí, che non frequento le discoteche da troppo. Che ho
cambiato interessi. Aspirazioni. Stile. L'ho capito lí, quando ho
iniziato a pensare con la logica dell'”ai miei tempi”, quanto
veramente siamo ormai cresciute.
E
tuttavia, ogni tanto, mi piace ancora fingere di essere quella bimba
col tutú. Quella bimba a cui - che strano! - adesso un velo color
fucsia mi fa pensare.
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