Folle oceaniche. Serpentoni umani che riversano entusiasmo nelle strade e negli stand. Sono ragazzi in jeans. Signore eleganti. Gente che si sforza di incarnare in eccessi lo stereotipo di intellettuale. In mezzo a loro, pennellate di giallo. La divisa dello staff, il colore del logo. Attorno, vetrine curatissime s'addobbano a tema. Una pagina stampata appesa tra i gioielli. Una pila di volumi impolverati che si incastra tra i maglioni. Una citazione letteraria stampata sulla maglietta, magari, perchè no?
Se dovessi descrivervi
Pordenone Legge, lo farei così. Senza troppe differenze rispetto
all'anno scorso. Simili i contenuti. Uguale, il mio entusiasmo. C'è
ancora quell'incredulità quasi commossa nel constatare quanto la
cultura sappia, in fondo, appassionare ancora.
Se dovessi descrivervi
Pordenone Legge, la Pordenone Legge che ho rivissuto Domenica,
parlerei senz'altro della marea assiepata in una piazza per sentir
parlare Lucarelli. Vi direi di quel cartello con su scritto “Sold
out” (beh, “tutto esaurito”) che mi ha impedito di dare un
volto a Pennac. E poi accennerei a Bartezzaghi. Al suo pubblico di
età miste, dove trentenni con la faccia da giornalisti e la
maglietta a righe convivono armoniosi con i professionisti del web.
Una ragazza twitta dalle prime file stringendo in mano l'iphone:
appoggiate sulle gambe, una moleskine classica e la biografia di
Steve Jobs. Alle mie spalle, un dibattito in corso sulla reale
necessità di definire il concetto di Creatività. Io che
intervengo dicendo che provarci è divertente. Lo sciaquio
consolatorio del fiume come sottofondo un po' new age. Poi, la pausa
caffè. Ecco, forse vi parlerei anche di questo. Del contrasto di
sapori e temperatura. Del sorbetto al gusto moka che si intinge nel
cioccolato appena tiepido nel bar che tanto amo. E poi, cigliegina
sulla torta, aggiungerei al tutto il libro abbandonato su una
panchina fuori mano. Il titolo che non riesco a leggere, il book
crossing che mi attira. Ma forse non abbastanza da allungare il
percorso tra le ortiche.
Sì, se dovessi
descrivervi Pordenone Legge, il mio post finirebbe qui. Sarebbe un
vortice di immagini impoverite da lettere e sintassi. Una polaroid
sviluppata per il mio ricordo e per l'onor di cronaca. Però, non ci
sarei dentro io. Perchè sì, insomma, è abbastanza ovvio che la
manifestazione si meriti più di un cenno. D'altro canto dovreste
averlo capito, che l'adoro. Ma gli episodi di cui volevo davvero
parlarvi si inquadrano nel contesto senza averci niente a che fare.
Prendiamo quel negozietto
appartato, per esempio. Una stradina a fondo cieco, pochi metri
quadrati indicati, più in là, da un cartellone. Lo gestisce una
ragazza entusiasta che avrà ad occhio e croce solo pochi anni più
di me. Vende oggetti vintage che lei stessa va periodicamente a
prendere in inghilterra. Un solo esemplare per tipo, niente a che
vedere con i rifornimenti all'ingrosso dei centri commerciali. Ci
sono abiti rossi taglia XL, con la scollatura sulla schiena
impreziosita da svolazzi. Scarpine a punta arrotondata. Forbicette
per le unghie a forma di Pin-up. E ancora pins dei Beatles, oggetti
d'arredo, appendiabiti di richiamo regale e scatoline per il tea. Ci
sono gemelli con le @ per gli informatici alla moda, cerchietti con
grossi fiocchi e lampade da tavolo. Tutto all'insegna
dell'originale. Del difficilmente rintracciabile. Tutto,
rigorosamente, british.
La ragazza, gentile in modo emozionante nel micro-mondo burbero delle commesse d'oggi, mi cede un biglietto da visita col suo contatto Facebook. E, non appena esco da lì, ho in testa un'altra idea. Del tipo che mi piacerebbe mettere sù un negozio del genere, però in versione spagnola. Ve l'immaginate? Avrei il pretesto perfetto per viaggiare in Spagna a ritmi regolari, e appagherei me stessa – oltre a buona parte dei miei lettori – con un rifornimento misto di cd, libri in lingua originale, bottigliette di colacao, tinto de verano Sandevid, fiori per capelli e abbigliamento flamenco il più possibile low cost. Forse arricchirei l'offerta di maglie mala mujer o callate la boca, e accetterei richieste per ordinazioni su misura.
Sarebbe un piccolo
Paradiso per filo-ispanici. Un piccolo Paradiso per me.
Peccato che pochi metri
più in là, di fronte a Coin, l'originale “mostra di follia
burocratica” allestita in modo egregio da un cittadino qualunque
basti a farmi passare tutta la buona volontà. E proprio mentre sono
già passata ad arredare nella testa il mio fantomatico esercizio
commerciale.
In un moto di protesta
tanto originale quanto efficace, il cittadino in questione ha esposto
gli atti notarili, le pratiche, i pagamenti e i documenti che gli
sono stati richiesti negli anni per poter avviare la sua onesta
attività. Ostacoli che farebbero passare a chiunque la voglia di
mettersi in proprio. Disgusto tutto italico. Per l'appunto, follia.
Fortuna che di idee ne ho
tante, ed archiviarne una – poi, del tutto scapestrata- non fa
così male.
'Somma, dimentico in
fretta. Specie quando trovo un negozietto di dischi old-style, e
scelgo (capirete!) di passarci la mezz'ora successiva.
Dentro, il proprietario
sta appassionatamente riassumendo la trama di Dawson's Creek ad un
signore che non vedo in faccia.
“Sono le storie di
questi ragazzi adolescenti” - sta dicendo - “Che vivono in un
posto che si chiama Dawson o una roba così, da lì il nome della
serie”.
Mi viene l'impulso di
interrompere urlando: “Nooo, Dawson è il nome del protagonista!”,
ma vengo distratta dall'apparizione di un nuovo album de Il Nucleo.
Cioè, Il Nucleo, ci rendiamo conto? Sono ancora vivi? Cos'era che
cantavano, aspè...?! Lo shock è tale che mi perdo buona parte dello
sviluppo successivo della trama.
Quando mi sincronizzo di
nuovo sui discorsi del proprietario, sta passando in rassegna i
protagonisti:
“C'è la bionda un po'
facilotta, la morettina che sta con uno del gruppo, l'amico
simpaticone...”
Beh, devo dire che sta
rimediando bene alla gaffe dell'inizio, però. Bravo. Bella sintesi. Quasi quasi
applaudo.
Anche il signore (di cui
continuo a non vedere la faccia), in effetti, sembra convinto.
“Ma quindi dice che
come regalo per una ragazzina può andar bene?”
“Sì, se non l'ha vista
senz'altro...è stata una serie cult negli anni '90, la guardavano
tutti!”.
Nel frattempo, un tizio al mio fianco fa il figo con un gruppo di amici parlando di Glam Rock e tramonto psichedelico, per passare conseguentemente all'elencazione di tutt'una serie di band dai nomi improbabili che “non si conoscono tanto, però...”. Non che i suoi interlocutori sembrino particolarmente interessati, ma tant'è.
Poi qualcuno mi
suggerisce di “provare a guardare nel reparto musica
internazionale, con la lettera M”. Ed io mi giro con aria perplessa
chiedendo sinceramente smarrita: “Perchè? Chi è che ha il cognome
che inizia per M?”.
Il tutto dopo avervi
stressato per una settimana almeno con una serie infinita di post monotematici. Parliamone.
Alla fine compro Fabrizio Moro e i
Negrita . Ovvero, niente più e niente meno di quel
che ero venuta a cercare. Guarda caso, sono anche in perfetto ordine
alfabetico. Sul bancone, accanto alla cassa, c'è una copia del cd di
Tony Bennet. Quel cd, voglio dire. Con quel cognome che
inizia per M ben evidente sulla copertina. Mi viene da ridere. Ma un
sacco, proprio.
Non so com'è, ma se si tratta di musica (e di libri!) anche spender soldi mi mette di buon umore.
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