Autocitazioni sparse da
una Domenica (la scorsa) a Cremona:
- Qui sono tutti famosi. La Cremon de la Cremon.
- 502 gradini in salita sono solo un
altro modo di vedere 502 gradini in discesa (Arezzo Reprise).
- Ho messo i jeans Stradivarius nella cittá di Stradivari e nessuno mi applaude.
- Ho messo i jeans Stradivarius nella cittá di Stradivari e nessuno mi applaude.
Le pronuncio tutte di fila, in preda ad un attacco di euforia misto agitazione, fermandomi appena in tempo per non essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Sullo sfondo, Andy dei Bluvertigo sta mettendo sù dischi aiutato dall'impatto scenografico di un'improponibile giacchetta variopinta. Ricorda da vicino un top monospalla a fantasia tropicale che fa bella mostra di sé dentro al mio armadio. Decido che la voglio anch'io.
Sono seduta al tavolino di questo bar da un tempo ormai imprecisato. A circondarmi, il tipo di bella gente con cui la musica, spesso, sa arricchirti la vita. Mi guardo attorno e penso che io le adoro, quelle persone. Sì, perchè a loro non sembra una follia, macinare kilometri d'asfalto in una Domenica di sole. Alzarsi alle sette e trenta nonostante il tuo corpo sia in debito di sonno da quelle che ormai ti sembrano ere geologiche. E poi prendere un treno. Dividere le spese di un'auto. Trovarsi a ora di pranzo in una piazza che ricorda Parma (perchè tutte le città italiane a me ricordano Parma, nostalgica che non sono altro), sapendo che tra qualche ora già ripartirai. A loro, come a te, sembra che tutto questo valga la pena. Le guardi, e vedi il tuo stesso entusiasmo riflesso nei loro occhi. In fondo, c'è un cinquanta per cento di pretesto nella ragione per cui oggi siete tutte lì.
La ragione, per altro, ti si è palesata poco fa. Difficile non notarla, nel suo metro e novanta d'altezza e giubbino in pelle. Eppure, chi sa come, ci eri quasi riuscita.
“Guarda, c'è il Cile”, t'aveva detto calmo l'unico uomo della compagnia. E tu credevi ti prendesse per il culo. Invece, c'era davvero. In piedi accanto a un tavolino a due metri dal vostro. A proiettarti in quell'imbarazzo tutto peculiare da “so-chi-sei-sai-chi-sono-ma-non-dovevamo-incontrarci-per-caso” che di lì a qualche minuto si traduce in un “ciao” appena biascicato a testa bassa. Nonché, da parte mia, nella profusione di auto-citazioni psicotiche sopra citate. Si sa: io, all'imbarazzo, ho sempre reagito in modo un po' strano.
Da lì a poco, quel ragazzo presenterà il suo libro, accompagnato da una chitarra e qualche brano acustico, nella cornice suggestiva del museo del Violino. L'occasione è il festival "Le Corde dell'Anima", che celebra in una serie di appuntamenti il miglior binomio al mondo: quello tra letteratura e musica. Noi saremo lì, in un'ovvia seconda fila, a cercare di capire se sia opportuno o meno cantare.
Impresa non facile,
avvolte dal silenzio. Le circostanze di un non-concerto pesano tutte,
in mezzo a un pubblico variegato le cui facce non sapresti se
definire sconosciute o proprio ostili. Eppure, quando le note de La
Ragazza dell'Inferno Accanto invadono l'ambiente, a me la pelle si
increspa tutta in brividi.
Hanno il fascino della
riscoperta, i brani eseguiti cosí. Niente band. Zero amplificazioni.
Nessuna veste strumentale. Ti si presentano nella semplicitá di
qualche accordo e una modulazione vocale. Si tolgono vestiti, trucco,
maschere. E sembrano quasi dirti “questo sono, davvero”. Soltanto
allora puoi decidere se amarli. Capire se il loro arrivarti dentro
dipendeva solo da un lungo processo di produzione e arrangiamento o
se, invece, c'era di piú.
Ecco: con Il Cile, per
me, c'era di piú. C'era la magia delle parole. Quelle che sanno
colpirti. Capirti. Intrigarti. E dietro a loro il talento. Tanto.
Perché anche quello, nei brani chitarra e voce, emerge o svanisce
senza che gli sia possibile imbrogliare.
Sono ancora un po'
stordita, quando le mani degli spettatori restano ben salde sulle
loro ginocchia. L'intervistatrice ha appena finito di chiedere se
qualcuno volesse chiedere qualcosa. E forse sarebbe andata
avanti per la sua strada, con una presentazione poco interattiva, se
solo...
“Posso scegliere io una
persona del pubblico che mi faccia una domanda?”
Non aspetta neanche la
risposta. Io, con le mie velleitá da sensitiva, ho giá un
bruttissimo presentimento.
“Ilaria, che é una
scrittrice anche lei!”
Con la coda dell'occhio
scorgo delle teste che si girano, Rebecca che ride fragorosamente, e
qualche macchina fotografica con l'obbiettivo puntato su di me. Nel
giro di pochi secondi sono passata dall'ammirazione ad un mantra
mentale fatto di “io lo uccido” e “questa me la paga”. Cosa che, evidentemente, trapela in tutta la sua chiarezza anche dai miei
occhi.
“...E a questo punto mi
stará odiando, e non comprerá mai piú i miei dischi in vita sua”.
In realtá, quando mi passano il microfono, riesco non solo a non insultarlo, ma anche a farmi venire in mente una domanda che – se non originalissima- é quanto meno accettabile. Se non ci fosse tutta 'sta gente che mi guarda mi farei anche pat-pat sulla spalla da sola.
Poco dopo,
l'intervistatrice nonché scrittrice nonché “ah, ecco perché mi
risultava famigliare quando l'ho vista al bar” (nonché “ma com'é
che erano tutti a quel bar, che oltretutto aveva anche i bagni alla
turca?”)...insomma, lei, abbraccia a sua volta lo stile “interrogo”
per interpellare l'addetta stampa del festival.
“Sono solidale a
Ilaria!”, dice. E a me viene spontaneo un “grazie”.
In realtá, la bastardata
del G.C.T (Giovane Cantautore Toscano) finisce con l'inaspettato lato
positivo di alleggerire l'atmosfera. Cosa a me decisamente
necessaria, dopo il loop di ricordi ed emozioni in cui mi avevano
proiettata certe canzoni. Oltrettutto, mi mette il coltello dalla
parte del manico. E a evento concluso, nel momento degli autografi,
posso approfittare biecamente della sua profusione di scuse. 'Na roba
tipo:
“Ilaaaa, scusamiiii”
“Non fa niente, peró
per compensare ora mi devi come minimo una dedica bellissima”.
E infatti.
Il mio ego rigrazia.
Anche se, come ovvia conseguenza, mi é venuta l'ansia da prestazione
al momento di scrivere questo post. Ora capite perché ci ho messo una settimana?!
Comunque. Una settimana
dopo, a mente lucida e svestito l'imbarazzo, non posso che reiterare
che non solo Il Cile ci sa fare con le parole e la voce, ma – per
quanto si ostini a scrivere e dire ovunque il contrario – nella sua
umiltá e rapporto con il pubblico, vanta anche una notevole qualitá
umana. Che, come dice una certa canzone, mi auguro conservi senza
“buttarsi via”.
Venerdí 13 esce il suo
nuovo singolo. Poi non dite che non vi avevo avvisati.
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