Le persone felici bevono
sangria. Poi si lanciano in pista, in un miscuglio di ritmi e di
generazioni. Non importa chi c'è attorno a loro. Com'è vestito. O
cosa dice il bon ton. Le persone felici si muovono a ritmo dei Gipsy
King con lo chignon plastificato dal troppo gel. Incastrano i passi
delle sevillanas su di un qualche brano dance degli anni ottanta, e
fingono che la notte (il weekend, l'estate, forse persino la vita)
possa in qualche modo non finire mai.
Scrivo con le lacrime a
fior d'occhio. Consapevole di delusioni d'altri, con la mente
ossessionata dal confronto tra ciò che adesso sono e quello che
volevo essere. Con quella voglia di cambiare tutto che al contempo
inorgoglisce e terrorizza d'incognite. Un senso di fallimento,
assoluto e devastante, che pervade ogni cellula di me. Ché poi dici "ma no, dai!", peró ti pesa addosso. Fallito. Io.
Ho. Fallito.
Eppure stamattina, quando
ho aperto gli occhi, ero ancora una di loro. Mi rivedevo in quella
stanzetta adibita a camerino, con le mie compagne fiori-munite a
improvvisare sfilate di moda. “Divertitevi”, diceva Sonia prima
di entrare in scena. E Dio solo sa quanto l'abbiamo fatto! C'era
odore di pesce. Paella. Cloro. Odore di salsedine e di zampironi.
C'era una signora bionda dall'accento straniero che diceva che
“abbiamo risollevato la serata danzante”. I palloncini che volano
in cielo. E poi c'eravamo noi, a rispondere che: “addirittura?!”.
Il punto è che questo
mese è stato all'insegna del flamenco. Abbiamo ballato su
palcoscenici in legno, su tappeti neri da danza classica, su pedane
limitate nei metri quadrati. Abbiamo sbagliato i passi e poi
strappato applausi in performance che nemmeno noi avremmo previsto impeccabili. Ci siamo esibite in teatri e all'aperto. Con il caldo ed
il diluvio universale. Eppure l'importante, chissà come, è stato
sempre quello che veniva prima o dopo.
La sangría, per esempio.
Oppure Cristina Benitez che metteva la pelle d'oca alle prove
generali. L'importante erano le selfie in camerini muniti di
(non-ci-credo!) doccia, le risate, l'incontro casuale con Elisa (la
cantante) che ci parla in dialetto come fosse una nostra vecchia
amica. E “no gavevo mai fatto una foto con tutto un gruppo de
flamenco”, e dire “olé” invece di “cheese”. E cambiarsi
per le scale, con due di noi che ballano il valzer in abiti di scena.
Le urla delle bambine in tutú. Il confronto tra abbronzature inesistenti. I
Negrita sparati a tradimento dopo la mia performance migliore. Come a
dire che sí, sará la mia stagione. Che é appena iniziata. Che il
bello deve ancora venire. Che ormai che ho imparato a sognare...
Il flamenco, giá. Forse
é anche un po' sua la colpa di questa mia strana inquietudine.
Perché lui, questo mese, mi ha donato alcuni dei momenti migliori. E
ogni volta, per una giornata, sei minuti o un paio d'ore, non
esistevano né ansia né incombenze. Ad ogni battito di piedi era “la
miglior estate di sempre”, come il nome beneaugurante che ho preso
in prestito per una playlist.
L'ascoltavo anche ieri,
per darmi la carica. Muovevo i fianchi con pochi vestiti addosso ed
una spazzola a farmi da microfono nel playback. Mi sentivo Callie di
Grey's Anatomy. Era il weekend. Ero una di loro. Non sentivo di aver fallito in niente.
Non avevo bisogno di nascondermi o mentire.
E allora al diavolo come
mi sento oggi. Al diavolo chi ero, chi sono o chi saró domani. Al
diavolo i miei sbagli, persino. Tutto quello che voglio é affrontare
la vita come una che balla.
Perché le persone che
ballano, in fondo, sono quasi sempre le persone felici.
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