Prometteva di ricreare l'atmosfera dei concerti, il nuovo DVD di Dani Martín. E, in un certo senso, é stato così. Non credevo di poterla provare anche attraverso uno schermo, quella sensazione. La famigliarità dei volti in mezzo a cui sono cresciuta. Lo strano senso di conforto e appartenenza. Il sorriso ebete che, per due ore di fila, mi mette in pausa il resto della vita. Mi é sempre successo, ai live. Si accendono i riflettori, i primi accordi riempiono di storia un palco, ed io dimentico di colpo ogni fastidio. Deja vú. Ricordi inanellati nelle stesse quattro note. Sei lí, sei viva. Ti aggrappi a una transenna come fai con le illusioni. D'improvviso la tua rabbia sembra sbagliata e lontana. Perdono di significato, gli episodi che ti hanno strappato di dosso l'entusiasmo. Le delusioni che ti accorgi dipendere in percentuale eccessiva da parole altrui. "Sono un'idiota", ti ripeti. "Voglio riviverlo", ti sembra urlarti in faccia l'emozione.
Per questo, soprattutto, mi é piaciuto "Mi Teatro". Non perché ci sono anch'io, a parlare di quella stessa sensazione in fila. Non perché la mia felicità trasuda in modo evidente nel veloce primo piano sulle note di "Mira la Vida". Anche se sarebbe stata una giustificazione valida, non è nemmeno perché si guadagna a pieno titolo la dicitura "italo-spagnolo" in virtù della regia. L'ho scoperto per caso, merito di un accento un po' troppo rivelatore e di una successiva ricerca su Google: a curarla è stato Cristian Biondani, italianissimo e già responsabile - tra altre molte opere impeccabili - del film in 3D del concerto di Ligabue a Campovolo. Ma no, non è per questo. Mi Teatro mi è piaciuto, essenzialmente, perché per 110 minuti sono riuscita a fingere che niente fosse cambiato.
Certo, poi spegni la tv e l'effetto passa. Tanto ormai sono rassegnata a viverla in modo conflittuale. In bilico tra l'allontanamento imposto dalla crescita e la volontà di rimanere attaccata a qualcosa in cui ho investito quasi un decennio di vita. Lo so, che quando idealizzi troppo qualcuno e te lo buttano giù dal piedistallo niente può tornare come prima. E siccome cambio gusti, cambio ascolti, trovo sempre la stessa frase nel profondo dello stomaco. Estrapolata dal contesto, eppure crudelmente vera. "Così acido è il sapore della delusione". Giá.
Forse è un bene, però. Perché se poi cullarsi nei ricordi riesce a restituirmi quelle sensazioni, allora vuol semplicemente dire che posso guardare agli eventi con un occhio più critico. Che posso provare (se non sempre riuscire) a separare la persona dalla musica, a riconoscere quello che non mi piace risparmiando il resto. A rinunciare - Alleluiah, alleluiah - alla visione distorta della fan in favore di uno sguardo finalmente obiettivo.
Ci sono dichiarazioni su cui ho da ridire, in effetti, dentro a quel DVD. L'affermazione per cui ora "non c'è più isterismo tra la gente che si accampa fuori dai palasport", per esempio. Oppure quella, opposta e ribadita in più interviste successive, per cui un pubblico di quindicenni è il benvenuto, perché "garantisce alla mia musica un futuro"; "Perché mi fa vendere", anzi, meglio ancora.
É vero, non c'é dubbio. Sarebbe ipocrita sostenere il contrario. Ingenuo pensare che chi vive di musica non aspiri a commercializzarla. A quale prezzo, però?
Puntare ad un target di adolescenti urlanti vuol dire portarle ad identificarsi nelle canzoni che scrivi. Il che spiega, peraltro, il terrore dichiarato in un altro DVD. La paura di sistemarsi, mettere sù famiglia, perché "temo che non mi verrebbero più canzoni". Perché verrebbero, in realtà, ma affronterebbero altri temi. Racconterebbero storie che le ragazzine non vivono. Il contrario, però, rischia di allontanare (come in molti casi ha - ahimè - già fatto) le trentenni che con la musica de El Canto del Loco sono cresciute. Di escludere l'ondata di madri ultra- quarantenni che erano salite sul carro dei fan all'uscita di Pequeño e che si sono volatilizzate, veloci com'erano venute, al comparire del ciuffo e dello styling per gli abiti di scena.
É una scelta, e come tale va rispettata. Le adolescenti, però, sono umorali per definizione. Continueranno a seguirlo, quelle che ora si scrivono il suo nome sulla fronte? Se non lo faranno ne arriveranno altre, pazienza. Ma per quanto tempo ancora? Se si stuferanno, un giorno, cosa rimarrà?
E ad ogni modo resta bello, poter dire "io c'ero". Farsi venire la pelle d'oca davanti all'interpretazione di Gretel in duetto con Axel (Axel e Gretel: non fa ridere anche voi?). Sentire l'esigenza di indicare con orgoglio quel tizio con gli occhi azzurri mentre canta "Señora" con Serrat. Incoerente con tutti i pensieri pregressi insistere orgogliosa che "vedi, vedi? Ce l'ha fatta! Vedi? Lo vedi quante emozioni arrivano, da lí?".
Dovreste comprarlo giá solo per quei due momenti, il DVD di "Mi Teatro": Per Gretel e per Señora. E poi per le altre imperdibili chicche. Tipo "Contigo" di e con Sabina. "Terriblemente Cruel" di e con Leiva. La mia faccia sconvolta che mi apre un indiscusso futuro nel cinema (di genere horror). La performance flamenca improvvisata nei camerini. O, ancora, la rivelazione inedita di un episodio imbarazzante avvenuto durante un concerto a Mallorca, fatto di pantaloni strappati e di mutande assenti. Che, tra parentesi, leggo come una chiara pulsione al masochismo. Perché, a meno che non sia un modo morboso per strappare altri urletti alle adolescenti, a me qualche domanda la impone. Voglio dire: io non sono un uomo, ma non dev'essere quantomeno scomodo se non dolorosissimo portare gli skinny jeans senza mutande? Mah.
E, tanto per restare in tema di Domande Esistenziali, ce ne sono due a cui non avremo mai risposta:
La strada che percorrono con il furgoncino é inquietantemente poco varia in quanto a panorama, o hanno passato un'ora a girare su se stessi? E, soprattutto, come diavolo fa a rimanergli intatto il ciuffo dopo 3 ore di show, se io dopo cinque minuti ho in testa un cespuglio degno del migliore performer reggae? Dopo tutti questi anni, almeno un prodotto per capelli, Dani, potrebbe anche consigliarmelo. Che diamine.
Per questo, soprattutto, mi é piaciuto "Mi Teatro". Non perché ci sono anch'io, a parlare di quella stessa sensazione in fila. Non perché la mia felicità trasuda in modo evidente nel veloce primo piano sulle note di "Mira la Vida". Anche se sarebbe stata una giustificazione valida, non è nemmeno perché si guadagna a pieno titolo la dicitura "italo-spagnolo" in virtù della regia. L'ho scoperto per caso, merito di un accento un po' troppo rivelatore e di una successiva ricerca su Google: a curarla è stato Cristian Biondani, italianissimo e già responsabile - tra altre molte opere impeccabili - del film in 3D del concerto di Ligabue a Campovolo. Ma no, non è per questo. Mi Teatro mi è piaciuto, essenzialmente, perché per 110 minuti sono riuscita a fingere che niente fosse cambiato.
Certo, poi spegni la tv e l'effetto passa. Tanto ormai sono rassegnata a viverla in modo conflittuale. In bilico tra l'allontanamento imposto dalla crescita e la volontà di rimanere attaccata a qualcosa in cui ho investito quasi un decennio di vita. Lo so, che quando idealizzi troppo qualcuno e te lo buttano giù dal piedistallo niente può tornare come prima. E siccome cambio gusti, cambio ascolti, trovo sempre la stessa frase nel profondo dello stomaco. Estrapolata dal contesto, eppure crudelmente vera. "Così acido è il sapore della delusione". Giá.
Forse è un bene, però. Perché se poi cullarsi nei ricordi riesce a restituirmi quelle sensazioni, allora vuol semplicemente dire che posso guardare agli eventi con un occhio più critico. Che posso provare (se non sempre riuscire) a separare la persona dalla musica, a riconoscere quello che non mi piace risparmiando il resto. A rinunciare - Alleluiah, alleluiah - alla visione distorta della fan in favore di uno sguardo finalmente obiettivo.
Ci sono dichiarazioni su cui ho da ridire, in effetti, dentro a quel DVD. L'affermazione per cui ora "non c'è più isterismo tra la gente che si accampa fuori dai palasport", per esempio. Oppure quella, opposta e ribadita in più interviste successive, per cui un pubblico di quindicenni è il benvenuto, perché "garantisce alla mia musica un futuro"; "Perché mi fa vendere", anzi, meglio ancora.
É vero, non c'é dubbio. Sarebbe ipocrita sostenere il contrario. Ingenuo pensare che chi vive di musica non aspiri a commercializzarla. A quale prezzo, però?
Puntare ad un target di adolescenti urlanti vuol dire portarle ad identificarsi nelle canzoni che scrivi. Il che spiega, peraltro, il terrore dichiarato in un altro DVD. La paura di sistemarsi, mettere sù famiglia, perché "temo che non mi verrebbero più canzoni". Perché verrebbero, in realtà, ma affronterebbero altri temi. Racconterebbero storie che le ragazzine non vivono. Il contrario, però, rischia di allontanare (come in molti casi ha - ahimè - già fatto) le trentenni che con la musica de El Canto del Loco sono cresciute. Di escludere l'ondata di madri ultra- quarantenni che erano salite sul carro dei fan all'uscita di Pequeño e che si sono volatilizzate, veloci com'erano venute, al comparire del ciuffo e dello styling per gli abiti di scena.
É una scelta, e come tale va rispettata. Le adolescenti, però, sono umorali per definizione. Continueranno a seguirlo, quelle che ora si scrivono il suo nome sulla fronte? Se non lo faranno ne arriveranno altre, pazienza. Ma per quanto tempo ancora? Se si stuferanno, un giorno, cosa rimarrà?
Non dovrei chiedermelo, lo so. Non dovrebbe importarmene. Non dovrei sentirmi dispiaciuta alla sola idea come se su quel palco ci fossi io. É questo il mio problema: che, nonostante le delusioni, di questa storia mi sento ancora parte attiva. Coinvolta ed incapace di indifferenza alcuna.
E ad ogni modo resta bello, poter dire "io c'ero". Farsi venire la pelle d'oca davanti all'interpretazione di Gretel in duetto con Axel (Axel e Gretel: non fa ridere anche voi?). Sentire l'esigenza di indicare con orgoglio quel tizio con gli occhi azzurri mentre canta "Señora" con Serrat. Incoerente con tutti i pensieri pregressi insistere orgogliosa che "vedi, vedi? Ce l'ha fatta! Vedi? Lo vedi quante emozioni arrivano, da lí?".
Dovreste comprarlo giá solo per quei due momenti, il DVD di "Mi Teatro": Per Gretel e per Señora. E poi per le altre imperdibili chicche. Tipo "Contigo" di e con Sabina. "Terriblemente Cruel" di e con Leiva. La mia faccia sconvolta che mi apre un indiscusso futuro nel cinema (di genere horror). La performance flamenca improvvisata nei camerini. O, ancora, la rivelazione inedita di un episodio imbarazzante avvenuto durante un concerto a Mallorca, fatto di pantaloni strappati e di mutande assenti. Che, tra parentesi, leggo come una chiara pulsione al masochismo. Perché, a meno che non sia un modo morboso per strappare altri urletti alle adolescenti, a me qualche domanda la impone. Voglio dire: io non sono un uomo, ma non dev'essere quantomeno scomodo se non dolorosissimo portare gli skinny jeans senza mutande? Mah.
E, tanto per restare in tema di Domande Esistenziali, ce ne sono due a cui non avremo mai risposta:
La strada che percorrono con il furgoncino é inquietantemente poco varia in quanto a panorama, o hanno passato un'ora a girare su se stessi? E, soprattutto, come diavolo fa a rimanergli intatto il ciuffo dopo 3 ore di show, se io dopo cinque minuti ho in testa un cespuglio degno del migliore performer reggae? Dopo tutti questi anni, almeno un prodotto per capelli, Dani, potrebbe anche consigliarmelo. Che diamine.
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