giovedì 6 novembre 2014

In un concerto può entrarci la vita: #LogicoTour a Conegliano

15 anni. Metà della vita. Mica un fardello da niente, riempirli di canzoni.

Voglio dire, quanto può cambiare una persona in quindici anni? Quanto sono cambiata io, con gli orizzonti sempre nuovi dentro a un trolley, le passioni che sbiadiscono, gli sbalzi d'umore? Io che andavo al liceo con una cassettina nel walkman, e mi portavo il lettore cd ad una gita in inghilterra. Io che ascoltavo l'iPod sul treno per l'Università. Quattro tracce per Trieste. Molte di piú per Parma. Almeno due album su di un volo per Málaga. Io che, nell'attesa di un corriere Dhl, ho installato Spotify pure sul cellulare. C'era la stessa voce, dentro. Sempre lo stesso timbro, a rincorrermi mentre crescevo. E ora mi sembra assurdo, se ci penso. Perché, in fondo, é una delle mie poche costanti. Perché c'é stato un suo concerto sullo sfondo di ogni tappa importante. Il primo. Il mondiale del 2006. I pianti catartici in teatro. Il rientro dall'Erasmus. C'é stato lui, puntuale come la più molesta delle sveglie, a ricordarmi il passato anche mentre lo ricercavo in altri lidi. Vorrei. Vorrei che sparisce dalla scaletta come Dicono di Me dai pre-concerti spagnoli. Proprio adesso che ho la sensazione – questa sensazione assurda – che un qualche tipo di cerchio si sia chiuso.




É passata quasi una settimana, dal live di Cesare Cremonini a Conegliano. Eppure, se ci penso, mi sorprendo ancora a sorridere tra me e me. 15 anni. “Ho la sensazione che mi abbiate dato fiducia”, dice ringraziando su quel palco enorme. Ed ogni volta é come se non fossero passati. Tra le transenne mi aspettano le stesse persone, gli stessi abbracci. Hanno il sapore dei ricordi condivisi, l'aspetto di un discorso da riprendere, lasciato in sospeso appena un secondo fa. Non é stato solo un bel concerto: é stata una bella giornata. Coi crampi alla pancia dal troppo ridere. Gli aneddoti sugli spara coriandoli comprati dai cinesi. I camerieri carini, i turni in bagno, la gente che li scambia per una processione finalizzata alle foto. Attese organizzate. Attese calme. File che hanno il sapore dei re-incontri e della gioia, malgrado tutti i lividi e i disagi. “Cosí ha senso”, mi scopro a pensare. “Era per questo che lo facevo”.




Poi le canzoni. Soprattutto quelle. Il film dell'esistenza che si srotola su un palco degno delle migliori star internazionali. Occupa da solo mezzo parterre, tra esplosioni di luci e pianoforti a comparsa. Una sorta di M rovesciata che lascia proprio a tutti, finalmente, il miracolo concreto di una bella visuale. Inizia, quel film, dietro ad una tenda bianca. La sagoma di Cesare in controluce sulle note dell'intro, e subito rischio, ancora una volta, di lasciarmi andare ai paragoni. Ma basta ascoltare le prime note di Logico, e ricordo dove sono. Non hanno senso, i paragoni. Perché Cremonini é uno di quegli artisti che si assumono il rischio di iniziare con una hit. La leggo come una sicurezza ferma, ai limiti di una giustificata presunzione. Come a dire “io me lo posso permettere”. A intendere che di canzoni buone ne ha abbastanza da non temere l'inizio col botto. Non calerá, il ritmo. Non si smorzerá l'entusiasmo. Vedrete.





E infatti. Si alternano come una collana di suoni psichedelici: Dicono di Me e il viaggio in autobus a Nerja; Stupido a chi e l'Arena di Verona; Vieni a Vedere perché e Dani Martín. Si palesano La vespa e i sedici anni in discoteca. Vent'anni per sempre, Il Comico, PadreMadre e un festival della Vodafone a Lignano, Latin Lover e l'incontro di Cesena, i brividi dell'immedesimazione filo-ispanica su Fare e Disfare. E ancora “I Love You” con lo strascico di un'intera estate, La nuova stella di Broadway che piace a mio padre. C'é spazio persino per “Il primo bacio sulla Luna”, che per me ha i tornanti e le distese verdi della strada per Ronda. Che mi spiazza, disorienta, e inevitabilmente mi commuove.

La miglior scaletta che abbia mai assemblato tra tutti i suoi tour, questo mi sembra. Perché non riesco a smettere nemmeno un solo istante di cantare a squarciagola. E mi si increspano i capelli per le gocce di sudore, tra i salti e riflettori che mi illuminano il viso. Mentre impreco in direzione del cameraman che mi incolla al maxischermo e mi condanna ai “ti ho vistaa”, mentre ad ogni nuovo accordo mi sfugge dalle labbra che “questa l'adoro”. Un repertorio ad alta densità di successi, che predilige i ritmi sostenuti e sa stupire anche in quelli piú distesi. Perché Io e Anna si accompagna a un video in bianco e nero dalla fotografia impeccabile, e racconta una storia piú di quanto il testo faccia giá. Perché al piano, questa volta, non ci sono Vorrei o Niente di Piú ma Una Come Te e Figlio di Un Re. Collocate dove non ti aspetti, colorate di una tinta nuova. Ecco, forse proprio “Figlio di un Re” é il brano che mi convince meno, perché ne amavo – soprattutto – le sonoritá corali che la versione intimista mi pare un po' appiattisca.

Peró fa niente, perché poi c'é Marmellata 25. C'é Cesare che si china a cantarmi negli occhi che “mi hai lasciato pure tu”, e io che rido pensando che, invece, la sua musica é una delle poche cose che non ho lasciato mai. C'é GreyGoose, ancora. C'é Mondo. C'é Un Giorno Migliore. Che, come tutte le tradizioni che si rispettino, é ormai da anni destinata a sigillare di speranza lo show.







Uno show che ha trasformato due ore in pochi minuti. 24 canzoni in una proiezione di polaroid di esperienze fatte. Una notte in hotel nell'insonnia dell'adrenalina.

Sono cambiate tante cose, in 15 anni. Ma la felicitá che mi ha avvolta a Conegliano dimostra (ed é rassicurante!) che ce ne sono certe destinate a non cambiare mai. E quindi Grazie. Ancora una volta é questa, la sola parola che mi sento di dire. 

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