Se c'è una cosa che detesto, è scrivere per lamentarmi. Ho sempre inteso dolori e malumori come fatti privati, da esorcizzare tutt'al più in qualche racconto o poesia. Ne ha già abbastanza, il mondo, per avere voglia di sobbarcarsi anche i tuoi. Ne ha di più grandi. Di più urgenti. E, quando accende il computer, chiede soltanto di scordarsene un po'. É così che mi sono guadagnata l'immagine che ho sempre voluto dare: con pazienza. Pensando agli altri. Selezionando, come tutti, le cose che di me avrei voluto far sapere. Così sono l'"anima lieta". Sono quella da cui correre a sfogarsi perchè sai che in tutto troverà sempre e comunque almeno un lato positivo. Quella che vive a tinte forti, preda d'entusiasmi d'intensità maggiore della media. Li condivido - quelli sì - con la precisa sensazione di svolgere un servizio pubblico. Capita che ci riesca. Che a volte sappiano spingere qualcuno ad incuriosirsi nei confronti di un musicista, di una canzone, di un luogo. Mi scrivono, in quei casi. Conoscenti, amici, perfetti sconosciuti. Mi fanno sapere che quella curiosità ha portato a belle scoperte. Ed io - per assurdo che sembri - mi sento di colpo una persona migliore. Più utile. Più capace persino di volersi bene.
Share the love, dice il buon Cremonini. Non The Pain. Perchè in fondo è raccontare il dolore, non l'amore, ciò che davvero ti mette a nudo davanti agli altri. Ti rende fragile. Vulnerabile. Fa di te l'agglomerato di aggettivi a cui per sempre mi rifiuterò di appartenere.
Non vuol dire che non lo provi, però. Non vuol dire che non attraversi anch'io dei periodi in cui tutto ciò che vorrei fare è piangere. Dormire. Scagliare oggetti contro la parete urlando dalla rabbia e dalla frustrazione. Ecco, questo è uno di quei periodi.
Ché ho passato un mese (un mese intero!) tra febbre, bronchite e studi medici. E dopo tutto questo tempo, dopo essermi letteralmente ammazzata di medicine, la tosse ancora mi sveglia nel cuore della notte. Gli antibiotici mi disegnano chiazze rosse e pruriti sulla pelle. Il dottore mi impedisce di prendere il sole. Ed io, pallida, brutta ed annoiata tra le pareti di casa, ho la sensazione che - di nuovo - mi abbiano derubata dell'estate.
Oh, quanto la volevo, l'estate. Quanto ero felice, le prime giornate di Giugno coi trenta gradi, i vestiti colorati e la promessa fasulla che, almeno questa volta, sarebbe andato tutto bene. Credevo di meritarla, dopo che ospedali e condizioni meteo l'avevano cancellata dai calendari del 2014.
Invece.
Dire "invece" è già di per sè come sputare lacrime.
Leggo molto, nei fine settimana, mentre il resto del mondo si gode la vita.
Share the love, dice il buon Cremonini. Non The Pain. Perchè in fondo è raccontare il dolore, non l'amore, ciò che davvero ti mette a nudo davanti agli altri. Ti rende fragile. Vulnerabile. Fa di te l'agglomerato di aggettivi a cui per sempre mi rifiuterò di appartenere.
Non vuol dire che non lo provi, però. Non vuol dire che non attraversi anch'io dei periodi in cui tutto ciò che vorrei fare è piangere. Dormire. Scagliare oggetti contro la parete urlando dalla rabbia e dalla frustrazione. Ecco, questo è uno di quei periodi.
Ché ho passato un mese (un mese intero!) tra febbre, bronchite e studi medici. E dopo tutto questo tempo, dopo essermi letteralmente ammazzata di medicine, la tosse ancora mi sveglia nel cuore della notte. Gli antibiotici mi disegnano chiazze rosse e pruriti sulla pelle. Il dottore mi impedisce di prendere il sole. Ed io, pallida, brutta ed annoiata tra le pareti di casa, ho la sensazione che - di nuovo - mi abbiano derubata dell'estate.
Oh, quanto la volevo, l'estate. Quanto ero felice, le prime giornate di Giugno coi trenta gradi, i vestiti colorati e la promessa fasulla che, almeno questa volta, sarebbe andato tutto bene. Credevo di meritarla, dopo che ospedali e condizioni meteo l'avevano cancellata dai calendari del 2014.
Invece.
Dire "invece" è già di per sè come sputare lacrime.
Leggo molto, nei fine settimana, mentre il resto del mondo si gode la vita.
E oltre a leggere penso. Penso ai miei viaggi. Alle mie strane nostalgie. Penso, soprattutto, a quello che vorrei fare una volta guarita. Ho stilato un elenco. Perchè forse la volontà funziona meglio della chimica. Perchè mi aiuta a non buttarmi sul letto e vegetare. Perchè, in fondo, sono e voglio ancora essere quella che vede in tutto i lati positivi.
Quindi mi taglierò i capelli. Mi farò le meches. Mi metterò lo smalto sulle unghie e andrò a comprarmi un bel vestito nuovo. Quello lungo di H&M, magari. Mi sbronzerò di Mojito al tavolino all'aperto di un bar, godendomi l'aria fresca della sera. Ascolterò musica a palla sotto il sole, con il livello di carica dell'iPod come unica preoccupazione al mondo. Diventerò un po' rossa, e poi nera. Nera da far schifo. Nera come i bambini quando si abbronzano facendo i castelli di sabbia. Magari mi comprerò finalmente anche quel bikini con le frange il cui acquisto rimando da una vita. Poi nuoterò nel mio amato mar mediterraneo. Sentirò il sale sulle labbra. Le gocce che cadono dai capelli bagnati mentre mi stringo, con un filo di pelle d'oca, dentro all'asciugamano giallo e nero. Tornerò a Málaga. Andrò a trovare le amiche. Vedrò finalmente il Pompidou Pop Up. Andrò ad un altro concerto de Il Cile. Magari a Viareggio. Forse a Bergamo. Chissà. Prenoterò un volo per Barcellona. Farò in modo che l'acquisto di quel biglietto non sia stato vano, e mi godrò El Pescao dal vivo sulla terrazza panoramica di un hotel assieme ad altre 99 persone. Poi tornerò a lavoro. Tornerò a ballare. E, quando mi chiederanno com'è andata la mia estate, potrò finalmente rispondere "da Dio!".
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