lunedì 3 agosto 2015

Forse non avrei dovuto, ma.


Se sei reduce da una bronchite, potrebbe non essere una buona idea cantare a squarciagola ad un concerto. Neanche produrti in urletti da bimbaminkia alcolizzata, se è per quello. Specie perchè poi restano imprigionati per l'eternità nei video che - masochista - scegli di pubblicare lo stesso su Youtube.

Sì. Se la tua salute è cagionevole da troppo, forse dovresti evitare di prendere autobus con l'aria condizionata impostata sul clima del circolo polare artico. E magari anche di importunare il tizio delle birre artigianali perchè ti faccia lo sconto a furia di sorrisini. Assolutamente vietato, poi, tracannare vodka lemon troppo in fretta perchè hai sete. A meno che tu non voglia ritrovarti un giorno a raccontare ai tuoi nipoti (o a quelli degli altri, più probabile) di quella volta che intrattenevi conversazioni rock n roll sul fatto che ti scappa da morire la pipì. 

Il buon senso, però, non fa per me. O almeno non in certi casi. 




Chè "c'ho l'inferno in gola" ma anche la responsabilità della fan di vecchia data sulle spalle. Il preciso dovere morale del supporto e dell'apporto nozionistico di fronte a chi, quello sul palco, non l'ha manco mai sentito nominare. 

E così torno da Bologna con la febbre a 38.5. Non proprio l'ideale, quando tra due giorni avresti un volo per Málaga. Mi ha mandato un messaggio minatorio, Ryan Air. Era costellato di punti esclamativi rossi e di preoccupazione. Del tipo: "Oh, demente, guarda che non hai fatto il check in online! Sei scema?". Ed io, col mio bel shottino di Tachipirina on The Rocks e i brividi che manco un cammello in Siberia, che nel frattempo calcolo quanto mi costerebbe spostare il viaggio ad altra data. 

La risposta é "troppo". 

Come se poi non lo sapessi già.

Maledetta me e le mie idee sciagurate di notti brave e musica live. Maledetto il momento in cui ho scritto ad Angela: "ci vengo io con te!". E ci siamo addormentate alle quattro del mattino con in testa un micro-film di immagini confuse e vagamente surreali. Ma allora com'è che di quella decisione non mi pento neanche un po'? 

Ché la mia etica da viaggiatrice filo-ispanica potrà anche vacillare di fronte a sogni febbricitanti di geyser e rime rap (robe tipo "l'eritema non è un problema", giusto per darvi un'idea della gravità), ma la mia italianissima anima ciloska sa che un concerto come quello di San Lazzaro non se lo sarebbe potuto perdere. E non è solo perchè la fiera che l'ospitava è una sorta di paradiso gastronomico suddiviso sullo spazio di due parchi (la piadina, ragazzi, la piadina!); non perchè il direttore artistico era nientemeno che Ballo, il bassista di Cremonini; nemmeno per la possibilità non verificatasi di incrociare entrambi tra gli stand. No. Il punto è che quello show, nel mio personale ranking qualitativo di performance live de Il Cile, si colloca al secondo posto subito dopo l'inarrivabile emozione di Parigi. 


La morale è che dovreste darglielo sempre, il microfono wireless. Garantirgliela in ogni dove, l'acustica giusta. Perchè è così che Lorenzo Cilembrini smette i panni del cantautore canonico per trasformarsi in animale da palcoscenico. Uno che salta. Si distende sul palco. Uno che scende in mezzo al pubblico, oltrepassa le transenne, si siede di fronte agli spettatori delle prime file. E canta meglio di sempre. Senza una stonatura. Senza un'imperfezione. Ricordandomi una volta in più il motivo principale che mi ha spinta a seguirlo a così tante date. 





Se sei reduce da una bronchite, forse dovresti sigillarti in casa onde evitare ricadute.
Ma, per quanto mi sia costato 17 ore a letto tra brividi e sudore, lo rifarei mille altre volte ancora. 
Etciù. 



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