Insisto: amo la magia dei
concerti, (quasi) indipendentemente da chi suoni. Poi sarebbe stato
anche carino cambiare un po' argomento, me ne rendo conto. Ma mica è
colpa mia se l'altro giorno, a Trieste, son venuti a suonare i Green
Day! I Green Day, sì. Tizi californiani che a scadenza più o meno
regolare mi hanno regalato qualche brano da ascoltare in loop. Gente
che mi ricorda: A) la prima tesi B) Zapatillas, C) Un'amica spagnola.
Musicisti che adoro in virtù di Wake me up when september ends,
Boulevard of Broken dreams, 21 Guns, American Idiot,
Basket Case, e di cui però ignoro buona parte della
produzione. Non una fan, no, decisamente. Eppure capito –
sprovvista di biglietto – nel mezzo di una tregua dalla pioggia.
Sono le sei di sera, minuto più, minuto meno. Lo sa qualunque
concertista: è l'ora dell'ultima corsa al bagno. Dell'esodo a passo
affrettato verso auto ed hotel (tu, però, tienimi il posto) dove
depositare tende quechua duramente ripiegate, coperte, giubbotti
pesantissimi di sicuro ingombro al momento di saltare. E' l'ora in
cui si comprano panini e patatine da ingurgiare controvoglia per
cena. Quella in cui il ritorno alla fila kilometrica, poi, sarà
definitivo. E con esso l'adrenalina, che inizia in un batticuore
crescente a dar mostra di sé su volti e mani. Tremanti, per lo più,
le mani.
Tra promoter invadenti
della coca cola zero e grossi camion grigi parcheggiati al molo,
un'invasione verde si muove per la città. Rilassatevi: non parlo
degli alieni. Certo, vengono da fuori. Quasi tutti. Ma per “fuori”
s'intendono ancora gli angoli del Pianeta Terra. Accenti americani,
inglesi, tedeschi, sloveni, croati, emiliani, toscani, veneti sfilano
davanti agli occhi sgranati di qualche vecchietto poco avvezzo alla
cosa.
“Ciò, te ga visto
quanta gente? Mi no credevo!”
“I xe lì da giorni
accampai, sa? Che robe!”
Sorrido. Sorridono.
Persino gli erasmus spagnoli sono usciti in massa, a rendermi più
bella la città. File di wc colorati danno colore ad una piazza
transennata, ingrigita dal mal tempo, circondata da una fila a doppio
ingresso. Chilometrica. Crescente. Stranamente ordinata nonostante le
bottiglie vuote di birra e di cognac. O magari è in virtù di esse,
che si sono già abbioccati. Chi lo sa. Comunque sia, indossano tutti
qualcosa di verde. Alcuni se lo sono spruzzati addirittura sui
capelli, con quelle bombolette spray di cui avevo scordato
l'esistenza con il finire degli anni 90. I giornalisti filmano. Le
mamme fotografano. La tizia del merchandising si sfrega le mani da
lontano.
Bellissimo, sempre. Anche
se dei Green Day (mea culpa) non ho manco un disco da sfoggiare.
Bellissimo perchè il potere della musica lo percepisci nella
capacità di attrazione. Nei pullman venuti da lontano. Nel marasma
multietnico di targhe sulle auto. Nell'ebbrezza (anche non alcolica,
intendo) dei discorsi tra persone strette e un po' stremate sui
marciapiedi umidi.
Vorrei essere una di loro, adesso. Con il mio sacchettino della Despar tra le mani, le Converse distrutte ai piedi, le strategie pronunciate sottovoce su quale zona del palco puntare. Laterali, sempre laterali. Mi manca. Al di là di tutto e tutti. Di Dani, del Pescao, di Cesare, del Cile, di chiunque abbia voglia di suonarmi davanti. A me mancano i concerti. Punto sarà possibile esserne così drogata?
Naa. Non può non esserlo
se mi brillano gli occhi al solo pensiero. Nel giro di dieci secondi
ho già deciso come vestirmi il 22 Luglio, quali amiche contattare
per il 27, e come festeggiare il mio addio al nubilato se mai mi
sposerò entro questa vita. Chè proprio l'altro giorno m'ha scritto
su facebook uno che, presentatosi come gigolò, mi proponeva i suoi
servigi in qualità di mio schiavo Se fossi interessata, beninteso.
Insomma, un po' m'ha fatta ridere. Però poi mi è venuto spontaneo
chiedermi se io sembri davvero così disperata. Non è stato il
massimo, come sensazione.
Comunque: la faccenda
dell'addio al nubilato c'entra con una biondina di Reggio Emilia.
Velo-Munita e vagamente brilla, come si conviene all'occasione, si
preparava a culminare i festeggiamenti proprio col concerto dei Green
Day. Grande idea, davvero. Si merita tutta la mia stima.
La tizia, poi, è stata
intervistata da un reporter della tivù locale. Non dirò quale, né
che programma conduca, perchè ne andrebbe forse di alcuni risvolti
miei professionali. Ad ogni modo, sembrava un tantinello brillo pure
lui. Insomma, mica è da tutti riuscire a farsi insultare da una
futura sposina, essere guardati male dall'addetta al merchandising, e
chiedere al responsabile del turismo se il batterista dei Ramones si
sia poi portato a casa del prosciutto. Il tutto, in meno di 10
minuti. Cioè, complimentoni.
Il suo cameraman, in
compenso, non era brutto proprio per niente. Era al mio fianco,
mentre riprendeva l'apertura dei cancelli. Il Momento Clue di ogni
evento live. Stranamente senza corse disperate. Senza spinte. In
ingressi scaglionati e ordinatissimi di cinque o sei persone per
volta. Nessuno che urla, nessuno che si lamenti perchè gli
requisiscono l'acqua o perchè la tal tizia coi tacchi è arrivata
ora e pretende di passare avanti. Cacchio se ne avremmo, da
imparare!
Avremmo. Plurale,
esplicito e sottinteso, che rivivrò poco più tardi dietro ad un
telo bianco appena rassettato. L'avevano tagliato, prima, a scapito
delle regole e beneficio di scrocconi come me. Ma poi un uomo
corpulento aveva dimostrato irremovibile il perchè di tutti quei
cerotti sul capo.
“Mi dispiace”, si
scusa il ragazzo della security che aveva cercato di agevolare il
nostro essere spettatori privi di biglietto. Il mio vicino di posto
(ci avrei giurato, che era spagnolo!) inizia ad insultarlo nella
lingua di Cervantes, mentre a me scappa da ridere un bel po'.
Ma il plurale, si diceva,
sta in una bandiera italiana. Billie Joe l'afferra in mezzo ad una
delle canzoni per cui li adoro. E la mia mente, incontrastata,
applica sovrapposizioni. Di Valencia. Di Madrid. Sembra ancora tutto
lontano migliaia d'anni. Tra l'altro, ha ripreso a piovere per bene.
Però sono in mezzo ad un
concerto. E in mezzo ad un concerto, del resto del mondo, riesce
sempre a non fregarmene alcunchè.
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