martedì 9 giugno 2020

Pau Donés, itañolo ad honorem.



A volte le parole che non trovi sono semplicemente sepolte sotto un cumulo di racconti, nel fondo di un cassetto del tuo mondo virtuale. 

Devi soltanto cercare bene. 

Si è sollevata un po’ di polvere, quando ho ritirato fuori quel post. Lo scrissi nel 2012, ad occhio e croce cento vite fa. 

Nel mezzo c’è un paragrafo che oggi mi spezza il cuore. 

“Ad esempio, c'é Jarabe de Palo. Ormai, da “il Pitbull della Penisola Iberica” sono ufficialmente passata a definirlo “Vip Itañolo dell'anno”. Un titolo di cui essere fieri, oltretutto, dato che era tutto fuorché facile sottrarlo ai Besitos di Vanessa Incontrada. Beh, lui c'é riuscito. Con il pretesto della presentazione di “Come un Pittore” in versione bilingue anche sul mercato castigliano, Pau ha iniziato a scrivere su twitter piú o meno come parlo io quando son molto stanca. Vale a dire, con la miscela di allegria perfetta in cui si uniscono italiano e castigliano. Una parola in una lingua, una nell'altra: un idioma di cui mi dichiaro ogni giorno piú fan. Senza contare che é nel nostro Paese ogni due per tre, oramai. E inonda il web di scatti ed entusiasmo, esternando conseguenze di un effetto molto simile a quello che la Spagna ha su di me.”

Quando un personaggio pubblico muore, sembra che tutti facciano a gara per incastrare un pezzetto della sua vita nella propria. Le opere che lascia ricoprono sempre, inevitabilmente, un ruolo importantissimo nei ricordi di chi aspira a sentirsi parte della conversazione globale. 

É sempre il film del primo appuntamento. Il libro che ti ha cambiato la vita. La colonna sonora che ha accompagnato ogni tua giornata. É per questo che evito come la peste i messaggi pubblici di commiato. Per non cadere nel ritrito. Nel dovuto. Nell’esagerazione. 

Ma in questo caso, per me, è stato davvero cosí. 

Donés non è stato solo una presenza costante nei deliri (e nei premi) italo-iberici di questo blog. Lo è stato anche nel mio quotidiano. 

É vero: non sono mai stata ad un concerto di Jarabe De Palo, nè posso considerarmi una loro fan. 

Le loro canzoni, però, erano come un sottofondo piacevole a cui ti abitui a tal punto da non farci più caso. Erano le onde del mare mentre leggi sulla spiaggia. I passerotti che cantano mentre chiacchieri con gli amici in mezzo alla natura. E, quando mancano ti colpo, ti accorgi che qualcosa non va.

Del resto, non credo di essere l’unica italiana che ha iniziato a balbettare le sue prime parole in spagnolo sulle note di Ricky Martin e de La Flaca. E tantomeno sono l’unica che ancora oggi risponde cantando “de qué depende?” ogni volta che qualcuno le dice “depende” (o dipende, a seconda della nazionalità). L’ultima volta mi è successo un paio di giorni fa. 

Lo prendevo in giro a sua insaputa, Pau, quando per radio la sua voce intonava “come una varca fata de carta”; E puntualmente m’incazzavo perchè traduceva i brani, insistendo sul fatto che suonassero meglio nella sua lingua madre. Quando parlava, tuttavia, quell’accento mi faceva impazzire. 

Il punto è che Donés, coi suoi duetti bilingui, la sua allegria contagiosa e i suoi neologismi, mi è sempre sembrato rappresentare l’essenza più pura di quell’identità che, in fondo, tutti noi che viviamo in bilico tra Italia e Spagna condividiamo. 

Donés sarà sempre Itañolo ad Honorem.

Una delle tante foto "italo-spagnole" di Pau Donés su Instagram (@jarabeoficial) 


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