giovedì 8 gennaio 2015

Je suis Charlie.

Ti frega sempre, la vicinanza emotiva. Subdola, priva di contorno, tendenzialmente di un egoismo raro. Sarò a Parigi tra poco più di una settimana. É anche per questo che la strage di Charlie Hebdo mi ha colpita nel profondo. Più del solito. Più di quanto avrebbe comunque fatto con una persona che ha studiato giornalismo; una che nella risposta “che vuoi fare da grande?” difendeva già a undici anni la libertà d'espressione. Una che ha iniziato a fare satira prima ancora di capire che la stava facendo. Ed ha scoperto, poi, che le piaceva. La divertiva. Che, tutto sommato, non le riusciva neanche così male. La chiamava “delirio”, a dire il vero. Perchè quella parola, “satira”, le è sempre sembrata troppo seria ed importante per meritarne l'applicazione su di un libro o su di un post non pretenzioso. Perchè in fondo sì, giornalismo va bene, ma lei aveva sempre immaginato di occuparsi solamente di musica e cultura. Eppure... che succederebbe se i sostenitori di Mariano Rajoy mi incarcerassero per averne preso in giro la pronuncia? Se i Sovrani spagnoli, leggendo un mio post, decidessero di uccidermi? Assurdo, vero? Fa quasi ridere, da tanto è surreale.



Ma è proprio così che dovrebbe essere: surreale. Inconcepibile. Ridicolo. Perchè il solo fatto di ritenerlo tale dimostra di per sé la nostra libertà. Morire per aver cercato di far sorridere, semplicemente, non ha senso. Non lo ha se parli di politici, se alludi ad una società intera, e neanche se l'oggetto è religioso. Poi puoi condividerne o meno i contenuti, considerarli persino esagerati o irrispettosi, ma a me fa schifo l'idea di vivere in un mondo in cui devi aver paura di quello che scrivi, disegni o dici. In cui l'ideologia di altri può mettere fine ad una vita – una vita, cavolo! - mentre cammini per strada, prendi un aereo o vai a lavoro. Che poi è retorico, lo so. Probabilmente banale. Ma a me, in questi due giorni, accendere il computer o la tv ha davvero messo il magone.




“Tra poco più di una settimana vado a Parigi. Oddioooo, a Parigi!”. Mi sono accorta che, tra tutte le sensazioni del mondo, dentro di me c'era anche il panico. Non è giusto. Perchè se provi panico hanno vinto loro. Mi fa arrabbiare, come mi fa arrabbiare l'idea che qualcuno possa preoccuparsi perchè la mia prossima destinazione è una civilizzata capitale europea, a un solo confine di distanza da qui. E allora festeggerò il mio compleanno in ritardo, con un viaggio, come previsto e come doveva essere. Mi godrò della buona musica dal vivo. Farò turismo. Berrò del vino. E mi divertirò. Perchè non è mancanza di rispetto, ma il solo modo che mi viene in mente per onorare le vittime di quella assurda strage.  

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