giovedì 16 luglio 2020

Ti conosco, mascherina: differenze tra Italia e Spagna nell’estate del post-lockdown

Sarà che il Friuli Venezia Giulia non é mai stata una delle Regioni più colpite. Sarà che la compagnia dei genitori, di per sé, ti rassicura. Però mi guardo intorno e la pandemia, qui, sembra non esserci mai stata.


Arrivo dall’Andalusia: terra in cui, da questa settimana, la mascherina é obbligatoria SEMPRE; All’interno, all’esterno, che si rispetti la distanza di sicurezza oppure no. La devi indossare anche in spiaggia. Persino se sei da solo. A meno che tu non sia disposto a sborsare cento euro di multa per aver fatto finta di non capire.
Foto: El Confidencial/EFE






Arrivo da un posto in cui, nel quotidiano, i discorsi ruotano ancora tutti attorno al Covid. Dove si guarda con terrore all’aumento incessante dei contagi, e si fa il conto alla rovescia verso un secondo lockdown che tutti percepiscono come inevitabile.

Alle cinque del mattino, un taxista affetto da Diarrea Verbale mi portó all’aeroporto di Malaga stampando invettive contro il vetro protettivo. Reduce da un Sabato notte di ragazzini ammassati a bere in piazza Mitjana, parlava preoccupato di incoscienza collettiva. Ed io, sfidando il sonno, gli davo ragione. “Sembra che non gliene freghi niente”, “L’empatia andrebbe insegnata nelle scuole”, “Com’é possibile che le cachimbas non le abbiano proibite da subito?”. 

Quel giorno avevo lasciato il mio ragazzo a dormire a pancia in giù, pensando che chissà se sarei davvero riuscita a riabbracciarlo tra due settimane. Le notizie parlavano di nuove zone confinate in Catalogna, di riunioni con Sánchez per decidere le nuove misure da adottare; E la paura di una chiusura imminente dei confini, nella grandine degli aggiornamenti via social, colpiva forte fino a farmi sanguinare. 

Capirete quindi il mio shock quando sono scesa dall’aereo e mi sono resa conto che qui, nel Nord Est italiano, la mascherina la porto praticamente solo io. All’esterno non é obbligatoria. All’interno, i commercianti fanno finta di non vedere.

Le persone, per le strade, parlano del tempo, dei libri che hanno letto, dell’aperitivo da organizzare, in una normalità che di nuovo ha solo la viscosità del gel idroalcolico sulle mani.

Non dico che sia sbagliato. Davvero, questo non vuol essere l’ennesimo post in cui affermo che gli spagnoli sono bravissimi e noi facciamo schifo. Per niente. In questo caso, non sono proprio in grado di dire chi ha ragione e chi ha torto. Col senno di poi, in Italia la situazione é stata gestita meglio sin dall’inizio. I contagi oggi sono molto più controllati e i dati danno motivo di rilassarsi un po’.

É solo che mi sembra strano, vedere come tutti sembrano avere dimenticato. Avevo letto, una volta, di un meccanismo fisiologico che eliminerebbe il ricordo del dolore del parto dalla mente delle mamme, perché se lo ricordassero non vorrebbero più procreare. É una specie di istinto di sopravvivenza. Un ingranaggio ben oliato che fa funzionare la macchina perfetta del nostro corpo al fine di garantire continuità alla specie. 

Forse, qui, é successa un po’ la stessa cosa. Forse la maggior parte della popolazione ha rimosso l’immagine dei mezzi militari in fila indiana che portavano altrove i cadaveri di Bergamo, perché solo cosí puó riprendere a vivere.

Non lo so. Fatto sta che io quell’immagine non riesco a togliermela dalla testa neanche se la sbatto contro il muro. Come non riesco a togliermi quella dei morti impilati al Palacio de Hielo de Madrid. Non riesco - davvero, non riesco - a non pensare a tutta quella gente morta da sola, o magari guarita, sí, ma dopo tre mesi  su un letto d’ospedale con un tubo - e il cuore dei parenti- in gola. 
Non posso non ricordare le amiche che non hanno potuto dire addio a famigliari deceduti, perché bloccate in un’altra Nazione. Amiche che hanno dovuto assistere al funerale di un genitore, o di un fratello, via cellulare. Riuscite a pensare a qualcosa di più terribile? Perché a me si inondano gli occhi di lacrime solo a pensarci.

Se qualcuno riesce a dimenticare tutto questo, se riesce ad ignorarlo…beh, cavolo, beato lui. Lo invidio da matti, dico sul serio. E mi é anche piuttosto chiaro che, se mai avrò un figlio, sarà soltanto uno, perché quel meccanismo, mi sa che io non ce l’ho.

Tacciavo di irresponsabili gli spagnoli che non sapevano rinunciare all’abbraccio, alla birra sorseggiata gomito a gomito in un chiringuito. M’ero incazzata - soprattutto con me stessa, per non avere avuto i riflessi abbastanza pronti da farglielo notare - con la scarsa attenzione dimostrata da chi, incontratami per caso in un locale, si avvicinava a parlarmi senza mettersi la mascherina. 

Ero tornata a casa di corsa, con lo stomaco contratto dalla rabbia, quella volta che ero uscita a fare la spesa e m’ero ritrovata con un gruppo di 5 adolescenti appiccicati l’uno all’altro, incuranti di ogni divieto. Per non parlare dei turisti, arrivati da chissà dove per ustionarsi la pelle ignari d’ogni esigenza governativa di protezione. 

Mi piacerebbe poter dire il contrario, ma non arrivo dalla Terra Perfetta. Nemmeno in Andalusia, per quanto io la adori,  l’empatia e il rispetto regnano sovrani. Per questo io stessa mi stupisco, oggi, quando penso che, alla fin fine, forse c’é più coscienza civica lì. Ma forse non é nemmeno coscienza civica…forse é semplicemente più paura. 

La mascherina e le chiacchiere del quotidiano non sono l’unica differenza tra Italia e Spagna.

In effetti, sono molte altre le cose che mi hanno lasciato allibita al ritorno in Patria.

Per esempio, qui la “distanza minima” da mantenere tra una persona e l’altra (e, di conseguenza, tra un tavolo e l’altro al bar) é di un metro, mentre in Spagna é di 2. Non dovrebbe essere uguale in tutto il mondo? Le famose "goccioline di saliva" che ti attaccano la malattia non dovrebbero avere un raggio massimo d’azione, studiato da fior fior di scienziati? Va a capire.

Qui non si usano più i guanti al supermercato. In Spagna sono ancora obbligatori (oltre che un attentato ai nervi ogni volta che devi aprire il sacchetto della frutta). Li devi indossare all’entrata e gettare quando esci. Nei supermercati più piccoli, c’é ancora pure la fila unica alle casse.

A Venezia ho notato diversi  turisti con le audioguide alla Chiesa dei Frari, mentre in Spagna sono state tra le primissime cose ad essere abolite, in quanto considerate non igieniche. Per sostituirle, al Centro Pompidou usano pannelli informativi in due lingue collocati di fianco alle opere. In un negozio di cosmetica, qui nel mio paesino natale, ho visto addirittura dei Tester. I Tester! Le aziende di bellezza stanno usando la realtà aumentata per far provare i trucchi in modo virtuale, perché i campioncini gratis, quando non vengono aboliti, si considerano una tra le cose meno sicure in giro.

Fondamentalmente la differenza tra Italia e Spagna, in questa crisi, si riduce ancora una volta al modo di pensare.

Un nuovo lockdown darebbe il colpo mortale all’economia di entrambe le Nazioni. Ma se in Spagna stanno facendo di tutto per impedirlo, qui mi sembra che sia stato il fatalismo a vincere. É un po’ una contrapposizione tra le due filosofie “Facciamo in modo che non ci richiudano” vs. “Facciamo come prima, tanto non ci rinchiudono”.
E, insisto: davvero non so quale sia il modo giusto di prenderla. Quando tutto questo gran casino stava iniziando, presi posizione per il menefreghismo degli spagnoli, convinta com’ero che gli italiani stessero esagerando con l’allarmismo. É venuto fuori che mi sbagliavo di grosso, e proprio per quel menefreghismo c’hanno rimesso la vita migliaia di persone.

Per questo oggi non mi "schiero". Perché, fondamentalmente, sono consapevole più che mai di non capirci un cavolo di niente.

Di sicuro, so che vive molto più rilassati con la scuola di pensiero all’italiana. Senza dubbio sto molto meglio da quando, nel guscio della mia famiglia, mi adeguo a fingere che tutto sia passato.

Dall’altra parte, peró, lo spettro di quello che potrebbe succedere sta ancora lí. Sta scritto nella storia. La storia della febbre spagnola. La storia della Peste. La storia di tutte le epidemie che, nei secoli,  si sono prese una pausa in estate prima di sferrare l’attacco piú micidiale. E, se la storia insegna, allora credo che la precauzione non sia mai abbastanza. Anche a costo di esagerare.
Foto di una famiglia durante l'epidemia di febbre spagnola del 1918




E poi, parliamoci chiaro: La mascherina dà fastidio a tutti. Tiene caldo, é scomoda, ti dà la sensazione di non respirare a pieni polmoni. Vero. Ma quante volte abbiamo indossato per tutto il giorno un paio di scarpe che ci andavano strette, solo perché ci piacevano? Quante volte ci siamo fatte andare bene dei jeans anche se ci stringevano in vita? E, ragazze, non mi direte che vi fa piacere, d’estate, costringervi in un reggiseno! Però lo fate. Lo facciamo. Quindi perché non potremmo sforzarci di mettere una fascia di tessuto sulla bocca? Se proprio non vi va giù l’imposizione, pensatelo come un accessorio fashion da abbinare alle maglie o ai vestiti. Compratevene due o tre con fantasie carine, e divertitevi a scegliere di volta in volta quella che si addice di più al vostro outfit. Io faccio cosí, e vi garantisco che arriva un momento in cui quest’imposizione te la fai persino piacere. Come le scarpe. Come il reggiseno. Come i jeans.

Comunque una cosa c’é, ad accomunare Italia e in Spagna nell’estate del post-lockdown: la fretta nell’aprire i bar e la lentezza nell’aprire gli uffici essenziali. L’accelerazione dei consumi e il rallentamento della burocrazia. Perché, in fondo, nel bene e nel male, rimaniamo pur sempre due popoli mediterranei.