sabato 30 dicembre 2017

I miei 10 dischi del 2017

Ammettiamolo: a livello musicale, il 2017 non è stato niente male. Denso di uscite almeno quanto lo è stato di fatti. Ma, se i dati di Spotify riflettono piuttosto bene la mia deriva flamenca, non tengono altrettanto conto dei cd messi in bella mostra sulla libreria, degli mp3 in riproduzione casuale su iTunes, degli ascolti ossessivo-compulsivi di quest'ultimo mese. Ecco perchè ho voluto stilare un bilancio più preciso, elencando in ordine di preferenza i dieci dischi che più ho amato di quest'anno in conclusione. 





1. Cesare Cremonini - Possibili Scenari 

Capita di andare a dormire e risvegliarsi nel 2011. O almeno è questa la sensazione che provo, quando ascolto Cesare in loop costante e mi emoziono perchè Dani Martín lo esalta su Twitter. Non fosse per Málaga, direi che niente è mai cambiato. Sono ancora la ragazzina battezzata di birra sui capelli e transenne deformate di spintoni al primo concerto dei LunaPop. Quella che alle otto del mattino trascinava le occhiaie fino alle porte dell'hotel Vincci pur di regalare l'ennesimo album del solito italiano a un tizio di Madrid. Allora
 play. Finisce. E play di nuovo. Sarà pure uscito tardi, ma Cremonini torna ed essere quello della Teoria dei Colori, del rumore sinistro di una copertina inzuccherata di Coca Cola, dell'estate su una barca, e Parma e i progetti per il futuro. Gli arrangiamenti raffinati di Possibili Scenari sono la versione adulta di quel qualcosa di inspiegabile che in quella voce mi ha sempre stregata. Capitolo mille, capitolo uno.


Tra le tante cose da segnalare in questo 2017 c'è senza dubbio la maggior quantità di indie rock tra i miei ascolti musicali. Non mi ero mai presa la briga di conoscere i Vetusta Morla al di là delle loro hit più note. Capo cosparso di cenere. Mia colpa. Mia grandissima colpa. Questo disco mi è piovuto addosso come pioggia fresca dopo anni di siccità. Mi ha stregata. Rapita. Conquistata al primissimo ascolto per soggiogarmi del tutto dal secondo al millesimo. É uno di quei lavori in cui la traccia preferita cambia di giorno in giorno, a seconda dello stato d'animo. Quelli che ti sembrano ogni volta in parte nuovi, con il tipo di sound eterno che probabilmente anche tra dieci anni continuerai ad apprezzare. 


Ancora ricordo quando, spinta dalla curiosità delle eccessive lodi, ho ascoltato per la prima volta questo disco su Spotify. Vivevo ancora a Huelin. Il sole inondava il soggiorno e un mondo intero mi si spalancava con le prime note. Ricordo di aver pensato che era da tanto che un italiano non scriveva testi così perfetti, raccontando nello stesso istante un preciso momento storico e l'individualità qualunque di chi come me si trova a viverlo. Canzone contro la paura, La Verità, il Costume da Torero...quante volte, da allora, ho tediato i vicini nella megafonia naturale del patio! Quante volte mi ci sono specchiata! Quante volte è stato un vero peccato che non potessero capirne le parole. 




Signori della Universal, per Dio, date a quest'uomo la visibilità che merita. É un appello accorato, il mio. Ché investire nella rotazione sui network top 40 non basta mica, se lo fai solo con il primo singolo. Era Bellissimo è stato per l'italiano medio la promessa di un Grande Ritorno di cui ha subito perso le tracce. Buttami via, parliamone, era persino meglio, eppure i passaggi sono stati dimezzati. Ogni volta che ascolto brani come "La cenere dal cuore", "Da domani", "Il lungo addio" o "Mamma ho riperso l'aereo" sbotto per la rabbia di una profonda ingiustizia. Questo disco è stato il parto complicato al culmine di una gestazione troppo lunga, valsa trasferimenti, trasferte e cambi di vita. Ma l
'italiano medio che ne sa. Lui continua a non sentirlo in radio, a ricordarlo per (sigh!) Maria Salvador; e proprio non ha idea di cosa si perde. 






Lo so cosa state pensando: soltanto al quinto posto? In una classifica MIA? Eh. Il punto è che Evolve non è stato un disco facile da apprezzare. Per quanto adesso lo adori, e per quanto ammiri da sempre chi ha il coraggio di sperimentare con i sound,  è inutile negare che non raggiunge i livelli di Smoke+Mirrors o Night Visions. Ad ogni modo canzoni come Believer, Whatever it takes, Walking the Wire e la mia adorata Yesterday continuano a rendere questi quattro ammeregani imprescindibili nella colonna sonora della mia esistenza. Ai Grammy, manco a dirlo, tifo per loro. Sono convinta che li meritino, e di gran lunga molto più di Despacito. 





Mi sembra passato un secolo da quando, all'inizio dell'anno, El Pescao rinasceva con il suo nome, di nuovo sotto etichetta Sony. Un secolo dal trailer con l'evoluzione da pesce a uomo con chitarra, dalle anteprime nella sede di Twitter Spagna, da quando ero uscita per cercarlo alla Fnac. Due concerti, un'intervista e tante avventure dopo sono ancora affascinata dall'autobiografismo estremo di David y Goliath; E come allora resto innamorata di Me Voy, su tutte, perchè l'atto di andarsene ha sempre suscitato su di me un qualche tipo di assurda, pericolosa attrazione. 





Se il lavoro precedente dei Baustelle mi aveva lasciato un retrogusto amaro in bocca, con questo mi hanno riconquistata. Amanda Lear, Eurofestival e Il Vangelo Di Giovanni mi hanno accompagnata di playlist in playlist, riassumendo a perfezione il mood di un album che mi riporta ai tempi in cui li amavo per Baudelaire, Un Romantico a Milano o Charlie fa Surf. Un bentornato di inizio anno che è ancora riscoperta undici mesi dopo.







Chi ha condiviso con me anche soltanto una minima parte di questo 2017 sa bene che questa band ne è stata una componente tanto imprevista quanto essenziale. Da quando mi hanno stregata con La Inmensidad fino a quando ne ho apprezzato le qualità live alla Fnac c'é stato tutto un mondo fatto di notti tarde ed Héroes del Sábado, pulizie pomeridiane, Himno Nacional e secessionismo in televisione. Come in una scelta di doverosa continuità, il loro concerto sarà presumibilmente il primo a cui assisterò nel 2018. 







Gli applausi di Sanremo. Il bagno di lustrini dell'Eurofestival. Le spagnole quasi tutte innamorate. Il Gorilla come icona nazionale. Chiunque dica di non aver ascoltato nemmeno una volta Occidentali's Karma mente e chi non ha dato almeno una possibilità all'album che lo contiene si è sicuramente perso qualcosa. Francesco Gabbani è stato senza dubbio uno dei personaggi dell'anno. In un'abitudine tutta nostrana, più di tre quarti dei tuttologi col web gli ha voltato le spalle nel momento in cui si è permesso di "criticare" gli Afterhours, dimenticando che fino a poco prima stava per dichiarare guerra a San Marino in virtù dei punti che non gli aveva affidato. Poco male. Al di là degli snobismi e delle posizioni estreme, oggi restano i suoi diari di viaggio formato video dal palcoscenico di Kiev, la mutua ammirazione tra lui e il portoghese e - soprattutto - brani come lo scoppiettante "tra le granite e le granate", l'attuale singolo in rotazione "la mia versione dei ricordi" e quello che dà il titolo al disco: in assoluto il mio preferito. 






La già vertiginosa aspettativa per il nuovo album di Sabina era stata alimentata dalla produzione di Leiva e da due singoli a dir poco perfetti come "Lo Niego Todo" e "Lágrimas de Mármol". Alla resa dei conti, però (e forse proprio per quell'eccesso di aspettativa) il disco non mi ha convinta quanto avrei voluto. Forse troppo denso per una masticazione agevole mentre pulisci le finestre col Vetril, resta comunque degno di nota in virtù di brani come "Canción de Primavera" e  frasi come "Si no estás enamorada, vente al Sur ". 




Tra le altre uscite discografiche dell'anno non posso non menzionare poi la leggerezza solo apparente di Rozalén, il recente greatest hits di Dani Martín, il nuovo lavoro dei Negramaro e l'osannatissimo Camino, Fuego y Libertad di Pablo López, che però devo ancora ascoltare. E voi quali dischi del 2017 avete amato di più? Condividete la vostra top 10 nei commenti, se vi va: sarò felice di trarne ispirazione per gli ascolti dell'anno a venire!








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