7 Settembre 2017.
Il sole è una palla rossa imprigionata dentro ad un bicchiere.
Rimbalza impotente su decine di schermi, il logo dello sponsor bene in evidenza sui profili di Instagram.
Il sole è una palla rossa imprigionata dentro ad un bicchiere.
Rimbalza impotente su decine di schermi, il logo dello sponsor bene in evidenza sui profili di Instagram.
Sono felice, Cádiz, di conoscerti finalmente per come sei davvero. Lontana dalla bolgia carnevalesca, dalle distopie dell'eccesso; liberata dalla puzza di piscio e vomito che aveva nascosto ai miei occhi la meraviglia che tutti dicevano. Lo sapevo da quel giorno che eri in qualche modo in debito con me. Così come sapevo che più di otto anni dopo l'avresti saldato.
L'ho capito su questa stessa terrazza, soltanto poche ore fa. Avevamo mollato i bagagli in un ostello tutto soffitti alti ed azulejos, ancora un po' stropicciate dal viaggio in bus. Una telefonata, un po' di mascara e via, pronte a squarciare a passo svelto il centro storico della città.
Dal settimo piano di un hotel asettico la tua caotica geometria bianca mi si è svelata come una promessa di infinite sensazioni. Era un saliscendi di tetti piatti e torri aggrappato all'Oceano, quasi temesse di vederlo scappare. Era un racconto di storia e di futuro, di fortezze e d'oro, e ancora ponti gettati sull'era moderna, e Arabia, e Roma e cattedrali. Era il teaser di quel giorno di turismo che è insieme conseguenza e causa del concerto che sta per cominciare.
Lo skyline, in quel momento del pomeriggio, era interrotto soltanto dalla silhouette magra di David Otero. "Che sorpresa!", esclamava abbracciandomi, mentre lo stesso grido, Cádiz, io avrei voluto riservarlo a te. Céline doveva intervistarlo per una radio francese, e mi aveva dato l'opportunità di accompagnarla. Tutto intorno disponevano le sedie - "nel numero esatto di biglietti venduti, mi raccomando, non si devono vedere buchi nelle foto" - e mentre sorridevo alle direttive della tizia dell'organizzazione mi tornava in mente uno dei tanti corsi di comunicazione all'Università. É simpatica. Porta un fiore tra i capelli e ha vestito la figlia con una gonna di toulle che ricorda un tutú. In una vita parallela potrei essere io. Una vita in cui ho scelto un percorso diverso, mi sono sposata, e ho deciso di essere madre.
Comunque.
Ci aveva accompagnati al piano di sotto, in cerca di un posto che mettesse il registratore al riparo dalle rivendicazioni del vento. Meglio, tutto sommato. Ché, panorama a parte, il divano della reception é parecchio comodo. Mi sono bevuta l'intervista sottolineando l'interesse con i click della macchina fotografica. Presenza discreta e rispettosa del lavoro di taglio e montaggio a cui la mia amica si sarebbe dovuta sottoporre a casa. Difficile, però, trattenere una risata quando una signora si è schiantata dal nulla contro la porta chiusa di un ascensore. "Coño, casi se mata!". E praticamente impossibile non intervenire quando alla domanda "Ti piacerebbe suonare in Francia?", David ha risposto "certo", ma ha aggiunto che il luogo in cui gli piacerebbe di più portare la sua musica è l'Italia.
É bello chiacchierare con lui, da sempre. Ha questo strano dono di metterti a tuo agio, come se in un sorriso eliminasse ogni distanza tra le luci dei riflettori e la vita in cui cambia pannolini. Ormai é una presenza famigliare per me, il che è piuttosto strano da constatare. Insomma, se lo dicessi alla ragazzina che un decennio fa ha imparato lo spagnolo con i video del Canto del Loco probabilmente non ci crederebbe mai. E invece eccoci qua, a scambiare opinioni sull'industria discografica e le migliori strategie per farsi conoscere al di fuori del proprio Paese. Ad analizzare lo strano meccanismo per cui i cantanti italiani, per avere successo in Spagna, traducono le canzoni in spagnolo; E però gli spagnoli cantano le hit italiane in italiano, e se vogliono andare in Italia pensano di dover tradurre le loro, quando in realtà hanno più successo se cantano nella loro lingua. Un casino bilingue, in definitiva. Salta fuori che a David piace Jovanotti. Ed io mi trattengo dal dirgli che ho sempre trovato una qualche affinità nascosta sia nel loro atteggiamento che nella loro musica.
Eccomi qua, insomma, a farlo ridere con battute sceme che poi ruba per un autografo. A ripassare il passato, a parlare di social.
Diceva, David, che Facebook ha ormai perso tutto il suo attrattivo, ed io annuivo con convinzione. Diceva che il problema di Twitter è che quando il numero di follower va oltre il centinaio di migliaia le valanghe di cattiveria finiscono per farti stare male. Perchè non importa quanto tu possa fingere di fregartene: l'essere umano è essere umano. Se ti dicono che una canzone è una merda e in quella canzone ti sei messo totalmente a nudo, è un po' come se dicessero che sei una merda anche tu. Anche per questo ha sempre avuto paura ad aprirsi troppo, nei brani. Allora resta Instagram, il più divertente. Che almeno metti le foto e le persone ci mettono i cuori senza impegnarsi troppo a demolirti o approfondire. É la scelta di quasi tutti i vip, ormai. E un po' mi faceva tristezza pensare che la decisione delle piattaforme su cui esprimersi sia dirottata dalla miseria di chi crede che basti nascondersi dietro un nickname per sfogare sugli altri le proprie frustrazioni.
Adesso non ci resta che aspettarlo, mentre la terrazza si riempie e il sole del tramonto crede che quel piccolo palco sia tutto per lui. Un applauso quando si nasconde dietro al mare. Un ragazzo, una chitarra. Che lo show dei ricordi possa cominciare.
É la prima volta che David Otero suona a Cádiz come solista. Gran parte del pubblico non é mai stato ad un suo concerto. Un pubblico bello, come é sempre il suo. Amiche sui trent'anni che sorridono estasiate, coppie sui quaranta, famiglie intere, hipster che cambiano volto chiedendo un revival de "El Agricultor" ("Claro, y Pequeñita?"). Il biglietto da visita é per tutti loro una cartolina dallo sfondo mozzafiato. La magia dei brani in acustico, crudi e puri come sono nati. La dimestichezza acquisita del performer che David ha negli anni imparato ad essere. Ed io, che non ne ho alcun merito, di tutto questo mi scopro orgogliosa.
Perché, dai: cosa c'é di meglio che ridere fino alle lacrime nel bel mezzo di un concerto? A lui succede - e a noi di riflesso - mentre racconta aneddoti di "Una foto en blanco y negro" e la nostalgia di quel gruppo mi colpisce nel petto come una pugnalata.
Peccato che nessuno posti quel momento. Forse la memoria di tutti i cellulari é stata, per ripicca, intasata dal sole.
Ci salutiamo in un abbraccio veloce e la promessa delle prossime puntate. E scendo, anche grazie a lui, alla scoperta della città incantata.
Sono felice di aver ripreso a viaggiare con la scusa dei concerti. Perché le note di una chitarra possono voler dire anche kilometri di tonno tenerissimo cucinato in mille modi. E acque turchesi, e sabbia bianchissima, e la perfezione di una spiaggia da Caraibi a due passi dal centro città.
Cádiz è il contrasto tra le pietre marroni e il bianco liscio dei muri, la sensazione di leggero degrado delle pareti scrostate tra i vicoli che in qualche modo riesce a renderli ancora più affascinanti. É un susseguirsi di palme, di piazzette suggestive, di locali con i tavoli fino in mezzo alla strada, perché mangiare é piú importante di camminare.
Cádiz è la nave da crociera che compare d'improvviso come un condominio in mezzo agli edifici. E tu ti chiedi come sia possibile che in una sola notte ti abbiano rubato il mare.
Cádiz è il contrasto tra le pietre marroni e il bianco liscio dei muri, la sensazione di leggero degrado delle pareti scrostate tra i vicoli che in qualche modo riesce a renderli ancora più affascinanti. É un susseguirsi di palme, di piazzette suggestive, di locali con i tavoli fino in mezzo alla strada, perché mangiare é piú importante di camminare.
Cádiz è la nave da crociera che compare d'improvviso come un condominio in mezzo agli edifici. E tu ti chiedi come sia possibile che in una sola notte ti abbiano rubato il mare.
Ecco perchè se lo teneva stretto. Ecco perchè hai avuto quella stessa sensazione anche dopo aver salito i 173 gradini della torre Tavira. É come se la città avesse con l'Oceano un legame intenso, ma al contempo lui sembrasse troppo vasto per volersene curare. Detta legge, privando di acqua le barche ormeggiate ogni dannata notte per poi restituirgliela al mattino. Ed io lo guardo, affascinata dall'idea di grandezza che mi suscita da quando ero bambina.
Vista dalla Torre Tavira |
Perchè quando guardi il Mediterraneo riesci quasi sempre a immaginare l'approdo più vicino. Da qui in avanti, invece, solo il nulla più assoluto. Fino in America. Ho tracciato una linea immaginaria sul mio mappamondo: andando sempre dritti la prima terra che si incontra è Virginia Beach.
Come un anello al dito, la cupola d'oro della cattedrale scintilla di ricchezza, forse anche per stupire chi arriva da così lontano.
Nessun commento:
Posta un commento