Il capitolo due comincia ora.
Era la notte tra il 25 e il 26 Settembre del 2016. Un aereo come tanti, pieno di storie come tante, atterrava sulla pista illuminata dell'aeroporto di Málaga. Non potevano saperlo, i membri dell'equipaggio, che dietro al mio "Hasta Luego" c'era l'inizio di una nuova era.
Un anno. Che sembra un secolo. Che sembra un giorno. Un anno racchiuso nelle chirimoyas che iniziano di nuovo ad invadere il mercato di Atarazanas. "Ahora es temporada". La voce di Simone mi risuona nella testa, paziente mentre spiega alla mia espressione confusa il percorso da seguire nei food tour.
Sono strane, le cose che ti tornano in mente. Come la sera del compleanno di Grace, che un ciclo mestruale un po' troppo violento mi scuoteva di lacrime senza nessun motivo. Come i primi tempi, in cui non dormivo mai più di 5-6 ore a notte. E lavoravo alle 2. E non sapevo fare le fatture. I tempi in cui le cose da fare erano troppe, e non avevo ancora trovato il mio equilibrio.
Ricordo le chiavi sbagliate. La notte in strada a Torremolinos. Il rombo della moto come una salvezza. Ricordo la frustrazione della casa da cercare. Il conto in banca da aprire. E poi girare per un giorno intero con l'incoscenza della caparra nella borsa pensando "se ora mi derubano è finita, dovrò tornare indietro". Poi la sorpresa del Parque de Huelin, con la barca nel laghetto ad anticiparmi il mare. E ancora l'alternarsi di voci nel chiasso eterno di quel patio-megafono. I sassi che non ho mai finito di decorare.
Mi torna in mente lo sfinimento del trasloco sugli autobus. Il giorno che sono andata a flamenco e volevo mollare tutto, per poi cambiare idea dopo due sole lezioni. Quel pomeriggio al CacMa con mia madre. Gli scambi linguistici in tetería. E quante volte ho rimandato l'incontro con Alice, oscillando tra un po' di febbre e la pigrizia estrema! Se solo l'avessi saputo, che grazie a lei avrei conosciuto alcune tra le presenze fisse di questa nuova vita... chissà, forse due linee sul termometro potevano valere qualche serata in più.
Quella volta che ha nevicato per la prima volta dal 1984 ed io non me ne sono neanche accorta. Quella volta che il minipimer è stato l'acquisto migliore del mondo. Quella volta del concerto di Leiva, ché non si trovava un posto che fosse uno per mangiare.
Il giorno della feria. La ressa al Cervantes per il Festival del Cinema. E il giorno che ho incontrato Veronica, con la mia giacca nuova di Dona Mediterranea. Ma era ponte, e siamo finite a bestemmiare sottovoce i ritardi di un cameriere dispiaciuto in un gastrobar in cui non avrei più messo piede.
Quando sono andata a Siviglia per il SIMOF, e mi sono finta youtuber con Nancy dopo aver ballato estasiata sulle note dei Love of Lesbian a una serata indie. Quando ci sono tornata, spendendo per un AirBnB mai sfruttato ai confini del mondo. E i miei piedi hanno sofferto le scarpe a tre euro per almeno cinque mesi dopo la feria de Abril.
Ripenso a quella telefonata inattesa in un istante dolceamaro, mentre andavo a vedere il tramonto sul mare. I messaggi vocali col sottofondo dei pappagallini verdi. Casa José. Pretende. La Casa de Guardia. Tutte le volte che ho alzato lo sguardo e tutta quella bellezza mi ha inebriato il cuore.
Mi succede ancora. Ha il sapore appagante del qui ed ora. Dell'essere nel posto in cui sai- e hai sempre saputo - che saresti dovuta stare.
Un anno. Sì, insomma: immagino che ci si aspettino bilanci.
Solo che non so cosa dire. Tranne che, passando in rassegna foto e video, mi sono chiesta come accidenti sia possibile che in soli dodici mesi ci sia entrata tanta roba. Tutte quelle facce. Tutte quelle emozioni. Tutti quei suoni.
Solo che, se tornassi indietro, lo rifarei altre dieci, cento, mille volte.
Solo che l'unico rimpianto resta lo stesso dal duemilaotto: non essermi trasferita prima.
Solo che l'unico rimpianto resta lo stesso dal duemilaotto: non essermi trasferita prima.
Ieri, chiudendo la porta alle mie spalle, ho salutato come sempre i vicini. Non avrei nemmeno avuto bisogno di voltarmi: a quell'ora stanno inevitabilmente sulle soglie delle loro case, ad accogliere tra le chiacchiere il fresco della sera. "Taluego hija". In quel momento ho pensato a quanto sia assurdo e inesplicabile il processo per cui, da un giorno all'altro, il posto in cui vivi diventa casa.
Prima che potessi rendermene conto ho smesso di leggere gli annunci degli appartamenti in affitto. Ho iniziato a pensare a quanto starebbe bene una poltrona fatta con i pellet e un sacco di cuscini all'angolo tra le due finestre della camera. Un piccolo cactus dentro a quell'enorme bicchiere. Un forno elettrico. Qualche altra mensola. Magari un poster da stampare con il cielo della notte in cui sono arrivata qui.
Prima che potessi anche soltanto provare a racchiudere la sensazione in un pensiero finito, i volti del quartiere sono diventati famigliari. I passi si muovono da soli verso il supermercato. E, nonostante le tende che ancora non arrivano; le zanzariere da montare; gli insetti; i problemi avuti di recente nell'edificio...nonostante il rumore del traffico; nonostante - già, persino quello - l'assenza del mare; Nonostante tutto, quando la sera mi butto sul divano in pigiama a guardare qualche serie su Netflix, ai miei occhi questo sembra un posto quasi stabile in cui stare.
Il capitolo due lo inizio così. Più rilassata. Con più ore di sonno a notte e un po' più di tempo per me. Lo inizio con meno discobar e più serate tranquille a chiacchierare e bere vino. Ora leggo più libri. Ora ascolto più musica. Ora, forse, scrivo anche un filino di più.
Nella famigliarità di un luogo che non è più novità ma certezza, la felicità ha il calore del conforto. E ho come il sospetto che mi piaccia un bel po'.
Nessun commento:
Posta un commento