mercoledì 30 dicembre 2020

Cose belle del 2020 (sì, ci sono state)

Foto: Pexels



Prima di lui vidi la valigia.

Un trolley bordeaux riempito di pochi abiti stropicciati presi a caso dall’armadio.
Lo fece rotolare fino al centro della stanza, il respiro affannato di chi ha accelerato il passo per non varcare i confini dell’illegalità. 

Poi mi strinse forte.
Era la sera del nostro primo anniversario. La stanza profumava di lasagna. E in quel preciso istante capii, per la prima volta, il significato della parola “gratitudine”.

Mancava ormai poco a mezzanotte, l’ora in cui sarebbe entrato in vigore il lockdown. 


Per lui non si trattava di arrivare tardi ad una cena. Si trattava di scegliere dove e con chi passare i prossimi tre mesi.

In un appartamento spazioso a pochi metri dal mare o in un buco di 30 metri quadrati con vista sul bidone della spazzatura. Con la famiglia o con una tizia isterica che da giorni non faceva altro che piangere leggendo le notizie sui social. 


“Dato che il posto è piccolo potremmo cambiare di tanto in tanto la disposizione dei mobili” - mi disse - “Fare i turni per la spesa così prendiamo aria. Fare esercizio con i video di youtube”. E il sottotesto era che (povero pazzo!) aveva davvero scelto me. 

Seguì una quarantena di ferias improvvisate, performance sonore coi bicchieri di vetro, canzoni giapponesi, cibo a domicilio, zumba, netflix e risate. Tante. Io ho imparato ad accettare il suo disordine, lui s’è rassegnato al mio essere scontrosa quando scrivo.  Ci sono cresciuti i capelli e - nel mio caso - il diametro del sedere. E mentre il mondo, fuori, impazziva, siamo riusciti addirittura ad essere felici.

I tre mesi sono diventati sei. Poi nove. Poi la ricerca di una casa più grande mentre un gatto randagio ci si struscia sulle gambe dandoci il benvenuto nel quartiere.

Il 2020 è stato orribile, non mentiamoci.
Ma è stato anche l’anno in cui ho iniziato a convivere.

E convivere, in qualche strano modo, mi ha aiutata a trovare l’equilibrio. A riprendere a leggere. A chiudere il computer dopo 8 ore di lavoro. A smettere di andare a letto alle 2 del mattino.

Ho affrontato tante cose da sola.
Da sola mi sono trasferita in un Paese straniero.
Da sola mi sono trovata un posto in cui vivere, un lavoro, degli amici. Da sola ho sopportato influenze, mal di stomaco, lutti, addii, inganni e delusioni.

Ma una pandemia, no, quella sarebbe stata troppo. 


Sarei impazzita. Ne sono sicura. 


Me ne rendo conto ogni volta in cui mi stresso per una sciocchezza e lui con un’uscita improbabile mi calma meglio e più in fretta di un sedativo.

Per questo dico che non tutto è da buttare.

Di fatto, di quest’anno ignobile, ho un altro buon pugno di momenti da salvare.

Per esempio, la cena al buio nel ristorante gestito da non vedenti a Barcellona. Indovinare il colore del vino che mi stavano servendo, non capire chi avessi accanto, soffermarsi sui sapori di pietanze da mangiare con le mani.

Il Red Carpet dei Goya. Il mio primo evento di moda flamenca con l’accredito di rivista specializzata nel settore. L’orgoglio del cartellino con sú scritto prensa e un hotel a cinque stelle in cui sognare di volant.



L’escursione con gli amici a Nerja e Frigiliana. La mia prima (e unica) serata di poesia dal vivo. La banda che suona la musica di Chorus Line in plaza de la Constitución mentre esterno il mio entusiasmo in un vocale. Salire sul tetto della Cattedrale e silenziare le notifiche per fingere che il virus non sia già attorno a noi.


E ancora, il primo giorno in cui siamo potuti uscire e il Parco di San Miguel ci sembrava il Paradiso. La piscina della casa rurale di Frigiliana nel giorno più caldo dell’estate. Ricongiungermi coi miei a Venezia in una giornata che così limpida sarebbe stata difficile anche solo da immaginare.







Poi le ventiquattro ore da vip per Esperienza Spagna. Il relax ai Bagni Arabi. Le tante escursioni in catamarano al tramonto - compresa quella in cui ho perso una scarpa pur di riuscirmi a imbarcare.


Per non parlare del weekend romantico a Tarifa. Truccarsi di tutto punto per passare Hallowen seduta sul divano. Le fughe nella natura e il pranzo al sacco sul Gibralfaro ( "Stiamo creando le nostre proprie tradizioni!"). La vigilia alla spagnola.

Il primo gennaio del 2020, ubriaca sul divano, dichiaravo che quest’anno mi faceva paura. Che mi trasmetteva brutte sensazioni. Che per una mia legge personale che ho sempre visto rispettarsi, a un’annata buona ne segue inevitabilmente una cattiva. Il 2019 era stato troppo troppo perfetto per non far presagire il peggio. Sentivo che il pungiglione liquido di una lacrima iniziava a perforarmi l’iride. Esagerata, dicevo a me stessa. E davo la colpa al vino.

Oggi penso al 2021 con un senso di tranquillità. Perchè a quella legge, adesso, voglio credere più che mai. Ho bisogno di farlo. Ho bisogno di convincermi, come convinta ero delle premonizioni fatte su quel divano, che piano piano, a fatica, questa volta andrà davvero “tutto bene”. 





P.S: Subito dopo aver scritto questo post ho avuto un incidente da idiota con il minipimer, ho passato la serata in pronto soccorso e ne sono uscita con 3 punti su un dito. COSA ACCIDENTI STATE CERCANDO DI DIRMI?

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