mercoledì 3 aprile 2013

I Negrita a Trieste, e quel po' di Spagna dentro a "Gioia Infinita".


Me l'ero sempre chiesta, come diavolo facesse “Gioia Infinita” a descrivere così bene il mio ritorno dall'Erasmus. Quel che non immaginavo è che un giorno avrei avuto una risposta. Che sarebbe successo un Venerdì di pioggia. Santo, il Venerdì. Di quelli in cui, pur di essere a tema, il flash ti dipinge aureole sulla parete scura del Burger King. Omaggio dovuto, vista la tua – Santa pure lei – pazienza verso i tredicenni imberbi con cui condividi il Regionale. Vuoto, tranne il posto accanto a te. Occupato da un'angelica biondina che mai e poi mai avresti detto stesse aspettando amici. Cercava pure di calmarli, poverina. “Dai, c'è gente!” Donna batte uomo mille a zero, almeno al di sotto della ventina. Perchè loro no, la quiete pubblica non l'hanno mai sentita nominare. Si spintonano. Urlano cose stupide a troppi decibel. E se appena volti lo sguardo in loro direzione, sfoggiano inopportune pose da bulletti. Credono non l'abbia sentito, quel “che cazzo vuoi?”. Ignorano che, tra un concerto pop-rock ed un hamburger di pollo, almeno nella non-violenza scelgo di rispettare le festività. Sospiro. Il pensiero stesso d'esser stata adolescente, adesso, mi inquieta. E intanto le gocce, sul finestrino, si rincorrono: danza fuori tempo sulle note del mio ipod. Ora che la fiesta è andata... 




Aveva piovuto anche quel giorno, se non ricordo male. La natura s'impegnava a mandare a monte uno dei concerti clue della Barcolana. E non sapeva che, tanto, ci avrebbe pensato l'uomo. Succedeva anni prima. Ancora ignara di quanto stesse per cambiare la mia vita, m'innamoravo in anteprima di “Notte Mediterranea”. I Negrita, dal vivo, non li avevo più visti da allora. 

E adesso sono qui, davanti alla biglietteria del Teatro Rossetti. Neanche l'ora abbondante passata alla Lovat è bastata ad asciugarmi del tutto i vestiti. Impreco mentalmente, spostando lo sguardo dalla borsa in pelle all'orologio. La simpatica coppietta, neanche la vedo arrivare. 

“Scusa”, mi fa sobbalzare lui con un marcato accento triestino, “è questo l'ingresso principale?”
“Credo di sì. O, almeno, lì c'è la biglietteria, perciò...”
“Ah, ottimo. Perchè gavemo appuntamento alle sete e mesa all'ingresso principale e...”
“Sì, anch'io”, lo interrompo in un sorriso mentre mi chiedo perchè mai mi dovrebbe importare. 

Del tutto inaspettatamente, lui si illumina. E anche lei sembra, di colpo, molto interessata. 

“Davvero?! Te se vedi anche ti coi schizzadi qua che ga el concerto?”. 
“Ehm, no, veramente io sto aspettando una mia amica.”

Ci metto un po' a realizzare. Schizzadi. Concerto. Sete e mesa. Oddio! No, aspetta. Non può essere che...

Bohm, scolta, noi 'ndemo dentro che almeno no se bagnemo. Grasie sa”. 
“Di niente!” 

L'sms di Giada vibra il suo imminente arrivo in tasca. E, mentre lo leggo, mi chiedo se non sia il caso di avvisarla. Sì, insomma, di dirle che per caso ho scoperto che i Negrita saranno qui tra dieci minuti scarsi. Sto già digitando eccessi di esclamazioni. Poi, di colpo, penso che magari ho travisato ogni cosa. Sì, insomma, magari i due tizi erano amici di qualche strumentista, tecnico, operatore di palco. Mica me l'hanno detto chiaramente, no? Massì, è che sono troppo abituata a investigazioni da groupie, tutto qui. Deridendo la mia stessa demenza, premo con troppa foga il tasto “cancella”. Agli  “oddiooo” sostituisco un più sobrio “ti aspetto”. Indice su “invio”. Attesa della conferma. Scuotimento divertito del capo. Poi, rialzo lo sguardo sulla pioggia inclemente. E resto interdetta, di nuovo. 

Voglio dire, a me 'sto qui sembra di conoscerlo. Un tipo alto, con un filo di barba biondiccia e un cappellino grigio in testa. Cammina nella più totale solitudine a pochissimi centimetri da me. Me ne accorgo ora: sta parlando con qualcuno al cellulare. Ha un accento di fuori. Un accento toscan... Naaa. Sgrano gli occhi nel mio più eloquente sguardo da “sei proprio te?”. Lui aggrotta le sopracciglia nel più eloquente dei “sì”. Dopo di che, sparisce al sicuro tra le pareti del bar. 

E, cinque minuti dopo, arriva Giada. 
“Sai, penso di aver appena visto Pau”. 
Da quel preciso istante, le sue amiche mi iniziano ad odiare. 

D'altra parte non posso neanche fingere di essermi sbagliata. Non quando sale sul palco con addosso quello stesso cappellino grigio. Il concerto ha inizio così.

E sarà un concerto favoloso. Magistralmente costruito in un ramping di ritmi e densità di hit. Fatto per dimostrare che Unplugged non significa per forza brani lenti e noia mortale. Anzi. Chè io, in maniche corte, ci rimango dopo meno di mezzora. Scalmanata. Senza voce. Con i brividi sul corpo alle prime note di Luna, e strane botte di uno pseudo-orgoglio quando parte “Brucerò per te”. 

“Sai, il testo di questa l'ha scritto Il Cile!”
Urlo all'orecchio della mia malcapitata vicina. Lei mi risponde “ah sì?”, ma probabilmente sta pensando “e quindi?”.  Anzi, forse si sta chiedendo che c'entra 'sto monotematismo su Cilembrini, di cui le sto parlando più o meno da tre ore. Insomma, dovrei chiacchierare di Dani. Sarebbe molto più in linea col mio personaggio. Invece di Dani continuo a sognare il funerale. E mi sveglio anche parecchio agitata. Mah. 

Io ogni tanto mi vedo dall'esterno.
E mi abbatterei a badilate. 


Poi, a un certo punto, succede. Pau si toglie il cappello, ed introduce Gioia Infinita. 

“Sapete” - attacca - “Siamo particolarmente contenti di essere qua. Per noi è una specie di rivincita, perchè l'ultima volta che siamo stati a Trieste, alla Barcolana di qualche anno fa, ci hanno trattato di merda. Ci hanno fatto smettere di suonare dopo soli due pezzi, davanti a diecimila persone, perchè il sindaco aveva litigato con gli organizzatori, che avevano litigato con non so chi. Siamo andati via da lì incazzati. E, il giorno dopo, siamo partiti per una tourné in Spagna. Al ritorno da quell'esperienza è nata Gioia Infinita”. 

“Ecco perchè”, riesco a dire con un filo di voce. Nella mente, Málaga. Il volo del ritorno. L'appartamento vuoto con i pochi scatoloni da spedire. La despedida.




Ecco perché. E quasi piango, ché un perché c'é sempre. Perché le canzoni della vita...no, non é il contrario: sono comunque loro che scelgono te. 

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