[Continua da qui]
Io proprio non lo so, se
lo faccia apposta. Se se ne renda conto, se mi associ a qualche
ricordo particolare, o se magari ho soltanto la faccia di una a cui
piacciono le canzoni romantiche. In ogni caso c'é un che di
inquietante e di rassicurante assieme nel fatto che i gesti di
gratitudine di Dani Martín mi condannino ancora alle stesse canzoni.
La suerte de mi vida, una foto en blanco y negro... sempre quelle, da
anni. Sempre le mie. E c'é di nuovo la solita emozione nel sentirmi,
per un attimo, speciale. Chissá se glieli hanno giá dati, quei
regali?
C'era della gente, sulla
balconata che sovrasta il palco. Sagome appena percettibili. Puntini
intravisti ed indicati dal parterre ben prima che il concerto
cominciasse. Le luci erano accese, le gradinate ancora mezze vuote.
Li fissavo, preda di un presentimento.
Mi era venuto in mente,
d'un tratto, che El Canto del Loco si appostavano sempre lí, prima
dei live. Guardavano la gente correre verso la prima fila. Ho sempre
pensato che dovessero divertirsi un mondo. Secondo me scommettevano
anche, come con i cavalli. Ricordo che le ragazzine, appena sedute,
rimbalzavano quasi. Si rialzavano ed immediatamente cominciavano ad
urlare come pazze isteriche, con un'energia che il mio fiatone ha
quasi sempre invidiato. La direzione di quella follia erano le sagome
sulle balconate. Che non erano mai delineate bene. Peró si sapeva
chi fossero. Lo sapevano loro. Lo sapevo io.
Prima di quel concerto,
il concerto in cui Dani ha raggiunto il grado di emozione piú alto
che io gli abbia mai visto addosso, ho pensato che magari... No,
pensare no. Una parte di me lo sapeva. Tanto per fare la pagliaccia,
quei puntini li ho salutati sventolando la mano.
Una settimana dopo, in un'intervista col mio amato Buenafuente, Dani avrebbe dichiarato che era nel panico. Che, sí, i biglietti erano stati venduti, ma “alle 21.10 le gradinate erano ancora mezze vuote”. E lui lo sapeva perché “c'é una balconata, al Palacio de los Deportes...”. Lo sapeva perché “lo guardavo riempirsi da lí”. Sorrido. Chissá se mi avrá vista salutare? Magari avrá pensato che ho la vista bionica. Figo.
All'uscita dal primo concerto, gli assatanati in fila per il giorno dopo sono giá abbarbicati alle transenne dell'ingresso come se quei pezzi di metallo fossero parte integrante del loro corpo. Scorgo distrattamente qualcuno dell'organizzazione mentre gli intima di mettersi provvisoriamente da un'altra parte. Osservo la foga con cui chi é appena uscito si accoda a loro e penso – con estremo orrore – che domani sará tutto un po' piú complicato. Per la veritá, la soluzione migliore mi sembra essere richiuderci in bagno e rimanere lí fino al giorno dopo ma – chissá perché – nessuno accoglie la mia astutissima proposta. Bah.
Alle due di notte credo di essere
stata molto furba a scegliere di accompagnare Silvia e Sergio a
caricare i cellulari nel mio ostello. Questo finchè Celine non
rientra raggiante dicendo che ha visto Dani e “l'ha abbracciata
come mai prima d'ora”. Il mix di stanchezza e invidia mi porta a
sproloquiare in due lingue in un discorso intercalato da porte
sbattute che più o meno recita:
“Vaffanculo, putos móviles de
mierda! Tutto perchè al giorno d'oggi non riusciamo a stare senza
tecnologia, que luego mañana sale tarde, e io
devo chiedergli se gli han dato il regalo, y no podían comprarse los
enchufes ésos que funcionan con baterías, che poi non ti puoi
neanche incazzare perché ci tengono il posto, uffa, vabbé ora
dormZZZZZ”.
Il giorno dopo,
finalmente, esce il sole. Alle cinque di sera. Quando ho ormai
allungato il Decalogo del Perfetto Concertista con una serie di
postille “In caso di Pioggia” la cui regola aurea é incarnata
dal mantra “melium abundare quam avere le chiappe bagnate”
riferito alle buste della spazzatura. Ma esce il sole. Sto cercando
di approfittarne per incrementare le 2 ore di sonno (notte) + 1
(siesta) della giornata sfoggiando una mise completa di:
- turbante (aka
sciarpina multiuso comprata al Corte Inglés in una vera e propria
lotta alla salvezza mentre riflettevo su quanto sia dura la vita dei
senza tetto);
- trucco colato;
- jeans consunti (ho appena trovato dei
buchi sospetti sulle cosce) e
- giubbino in pelle usato come cuscino
(causa sparizione di quelli del café y té);
Quando una voce che mi
sembra provenire dal centro esatto della mia fase REM mi trapassa i
timpani in un “Ilariaaaa, Ilariaaaa!”.
Mi sollevo a
stento, cercando di mettere a fuoco l'essere umano da cui proviene. É
una ragazza che dimostra sú per giú la mia etá. Brandisce – con
mio sommo orrore – una telecamerina digitale e un pass.
“Hola,
te acuerdas de mí? Soy Ana!”
“.....”
“Ana, la
del foro verde!Asidesastre!”
“Aaaaaaaaaaaaaaah!
Certo” - vorrei dirle che ho appena scritto un post su di lei sul
mio blog ma forse non é il caso.
Cerco di protrarre i
convenevoli nel vano tentativo che guadagnare tempo contribuisca a
svegliarmi del tutto, ma evidentemente non ci riesco troppo bene.
Cosí, quello che sospettavo accade. “Ho visto le bandiere, ti
posso intervistare per il dvd del concerto?”.
Ora: una
parte di me é orgogliosa. Insomma, puó essere il modo giusto per
fare promozione al fanclub, convincere la Sony che in Italia c'é un
potenziale pubblico, avere un ricordo indelebile di queste giornate.
L'altra, peró, si rende conto della nebbia che attualmente avvolge
la mia mente, per non parlare del sentore tutt'altro che discreto
delle mie condizioni fisiche. E quella parte ha veramente paura.
Dico di sí. Firmo la liberatoria con una calligrafia da far
invidia a un medico. E dopo aver sproloquiato di cose di cui a
tutt'oggi non sono pienamente conscia (so di aver detto che dei
concerti di Dani mi piace tutto, di amare la Spagna, di approfittarne
per fare turismo e di aver mentito spudoratamente dicendo di essere
di Venezia perché l'elargire coordinate geografiche avrebbe
richiesto troppo sforzo cerebrale) lei se n'é andata. Per farla
breve, ho parlato di tutto tranne che del fanclub. E il fatto che
Michela abbia esternato : “il lato positivo é che non esce in
Italia”, non mi rassicura molto sulla mia performance.
Al
termine di ben altre tre ore di concerto scegliamo di attendere il
cantante all'uscita. Intendiamoci: lo sappiamo, che dopo due notti al
Palacio de Los Deportes si intratterá molto a festeggiare. I “si
stanno divertendo molto” di Bori, del resto, non sono proprio
quello che definirei un buon presagio. Eppure, nessuno sembra voler
abbandonare la postazione. Tranne me. Io che ho appena ingurgitato un
pacchetto di TUC “giusto per far qualcosa” e devo tenermi ad un
muretto per reggermi in piedi. Io che, dopo aver avuto sentore delle
gradazioni alcoliche all'interno, ho terribilmente paura di rimanere
delusa. Voglio dire, abbiamo appena visto una persona emergere da lí
inciampando rovinosamente su un gradino nel tentativo di camminare
dritta; Dani ubriaco non lo potrei proprio sopportare. Certo, lui mi
ha vista sbronza mentre ridevo da sola nella hall di un albergo, e
non é che mi sia fatta poi tutti 'sti gran problemi. Il contrario,
peró, NON PUÓ ASSOLUTAMENTE capitare. Tra fanclub e altro ho troppe
robe in ballo perché mi crolli la stima.
Alle tre e mezza,
mossa da pensieri macabri tipo lui che all'insegna dell'In vino
veritas mi urla che sono una rompicoglioni, che devo tornarmene in
Italia e che i regali gli facevano cagare (glieli avranno dati, a
proposito?) decido di congedarmi. Non ho neanche finito di dirlo che
qualcuno urla Daaaani, e a me tocca fermarmi di botto come obbediendo
al richiamo della giungla.
In realtá l'uomo-col-ciuffo si
rivela abbastanza saggio da non scendere dall'auto. Quindi mi scordo
l'abbraccio “come mai aveva fatto prima”, ma, se non altro, se é
ubriaco non si vede. Certo, ha gli occhi rossi e l'espressione da
“non so dove mi trovo”, ma potrebbero anche imputarsi ad una
giustificatissima stanchezza. In ogni caso, l'auto in questione é
presa in assalto dalle niñasminkia, e siccome sono notoriamente un
nano non vedo altro che una massa di chiome variopinte che urlano in
coro: “nos hacemos un selfie?”. Sento la voce di Dani rispondere
qualcosa tipo “selfie o cerfie?” ridacchiando Dio solo sa per
cosa, e intanto parto per dei viaggi mentali assurdi sul fatto che in
italiano selfie é femminile e in spagnolo maschile, ma essendo un
termine internazionale, a conti fatti, chi é che lo decide? E se é
“autoscatto” allora in italiano dovrebbe essere UN selfie ,
mentre se é “AUTOFOTO” in spagnolo casomai LA selfie, e
se…
Mi risveglio dal coma lessicale solo quando mi accorgo che Céline, a due centimetri da me, lo sta salutando. Al che mi avvicino al finestrino con un sobrissimo “Hola Dani”. E la conversazione che segue é grossomodo la seguente:
“Hola
Ilaria cómo estás?”
Macchina che si accoda alla sua. Colpi di
clacson. Omino minaccioso dello staff in avvicinamento.
“Distrutta,
Dani. Sono distrutta.”
Qualcosa mi dice che magari non é carino
esordire lamentandosi, peró.
“Cioé, ne é valsa
la...”
L'omino minaccioso si intromette urlando “via, via!
Dovete andare viaaaa”.
Io arretro, perché sono
fondamentalmente una ragazza obbediente e – soprattutto – perché
non voglio morire prima di aver organizzato la festa dei trent'anni
coi chupitos nelle cialde del gelato.
Dani, peró, non sembra
essere d'accordo.
“Ilaria, Ilaria! Un beso!”, dice. Lo vedo
protendersi al finestrino porgendo la guancia (che detto cosí fa
molto Giuda) e allora lascio perdere l'omino.
Lo abbraccio
fugacemente oltre al finestrino abbassato e mi lascio sbaciucchiare
su entrambe le guance stranamente senza sbagliare l'ordine
destra-sinistra: dopo tutti questi anni, continua a capitarmi in
Spagna con chiunque tranne lui, generando incidenti alquanto
imbarazzanti.
Ma la buona
stella ogni tanto mi assiste. O magari é sfiga, dipende da come la
si vede.
Comunque, il tutto dura circa due secondi. Poi
l'omino mi trascina via di peso prendendomi dai fianchi, lui blatera
un “gracias, gracias” generalizzato alle niñasminkia e non
presenti, l'auto riparte e quelli dietro smettono finalmente di
suonare il clacson. Che poi, dico: che fretta mai potrai avere, alle
4 di notte? Mica devi andare a prendere un aereo! Ah,giá. A
proposito.
La scoperta finale del
viaggio é che il teletrasporto é giá stato inventato. Basta non
dormire per due notti, salire su di un volo qualsiasi e chiudere gli
occhi.
Manco a dirlo, al
giorno d'oggi non so ancora nulla dei regali.
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