martedì 16 giugno 2015

Flamenco Y Poemas, o del perchè ne vale sempre la pena.


Capita, a volte, che ti dimentichi un passo. Una cosa semplice. Forse tra le poche che non avevi mai sbagliato prima. Capita – la sfiga! - che succeda sul palco. Il giorno dello spettacolo. Il coronamento di un anno di sforzi e di prove.



In quella frazione di secondo guardi le tue compagne muoversi ignare in perfetta sincronia, cercando nella mente il modo più rapido per recuperare. Siete. Ocho. Y... Non riesci a distinguerle, le facce del pubblico. Sono sagome indistinte dietro ai tuoi occhi da miope. E, mentre ti sforzi di continuare a sorridervi, pensi per un attimo che sia come in certi momenti della vita. Ché tutto va avanti tranne te. Ché devi solo far finta di niente ed adeguarti, sperando che il giudizio non sia troppo severo.


Ho creduto che tutti avessero visto. Ho pensato, soprattutto, di aver rovinato il quadro d'insieme. Ed è per questo che mi sono sentita in colpa. Che mi sono sentita stupida. Frustrata. Di più, incazzata nera per non aver mostrato neanche un decimo di ciò che nel mio piccolissimo so di poter fare. E poi non è possibile, accidenti. Non può essere che, dopo tanti anni, il telo nero delle quinte mi faccia ancora tremare le ginocchia. Mi incasini i pensieri. Mi frughi nella testa per tirarci fuori dubbi assurdi, anche quando per tutto il giorno sono rimasta più calma di un maestro zen.

Sono uscita a testa alta, senza sentire gli applausi. Ho salito le scale. Mi sono accasciata sulla panca del camerino scorrendo le notifiche dello smartphone senza guardarle davvero. Un video a proposito dei ragni. Un'amica che si riconosce in un mio post. La risposta non vista al fatto che nel flamenco è meglio un “mucha mierda” di un “in bocca al lupo”. “Ahahaha, scusa”. Un'emoticon sorridente. Quell'errore, quello che in molti non hanno neppure notato, io l'ho caricato di tutto il peso delle ultime giornate. Delle troppe notti insonni. Della tosse violenta e inopportuna che mi sfianca impedendomi a tratti anche di respirare. Ci ho versato dentro, a quel passo mancato, tutti i mal di testa che non ho voluto confessare. L'ansia per un nuovo progetto. Lo studio dopo aver finito di lavorare. Le scadenze imminenti. La fatica ad alzarsi quando suona la sveglia al mattino. E poi è capitato che qualcuno mi chiedesse “Com'è andata?”. 

“Com'è andata?”, tutto qui. Un intervento di cortesia. Una domanda semplice, come semplice era quel passo. E, prima ancora che potessi impedirlo, è uscito tutto sotto forma di lacrime.

Allora potreste chiedervi se ne valga la pena. A conti fatti, in quel momento avrei dovuto chiedermelo anch'io. Ma, sapete che c'è? Non l'ho fatto. Non mi è neanche passato per la mente.

Perchè puoi essere stanca. Puoi essere agitata. Puoi concederti, ogni tanto, di essere persino fragile. Ma il flamenco non è questo, per me. Non è quel pianto.

Flamenco è una professionista come l'inarrivabile Cristina Benitez che, nei corridoi del backstage, dà consigli ad una principiante su come muovere il polso. E' il Tango de Triana che ti riempie di allegria. E' Lucas Ortega che urla le emozioni senza ausilio di microfono, piazzandotele dritte tra le corde dell'anima. Flamenco è che poi ti asciughi le lacrime e ti torna la voglia di ballare. Che reagisci pensando al prossimo spettacolo come al tuo personale riscatto, sentendoti piena di una grinta che avresti voluto avere appena pochi minuti prima.

E ne vale la pena, certo che sì. Ne vale la pena per le chiacchiere e le risate in camerino. Perchè il giorno dell'evento unisce le persone più di qualunque altra occasione al mondo. Ne vale la pena per l'accento andaluso, per i dialoghi in spagnolo che impregnano l'aria del dietro le quinte. Per il privilegio di potersi godere le prove degli altri dalla postazione migliore, in un teatro vuoto. E ancora per “mi stappai la fanta” cantata sulle note di “The Final Countdown”. Per il fumo che ti intossica quando decidono di provarlo ignari della tua presenza a due centimetri da lì. Per l'improvvisa ispirazione salsera non appena lo spettacolo inizia. Per la nostalgia dell'Andalusia che ti afferra puntuale ed agrodolce come il ricordo di una relazione finita. Per gli incontri a sorpresa con persone che non vedevi da un po'. Perchè la coreografia ti piace. Perchè, per tre minuti o per un giorno, stacchi da tutto il resto. Perchè, come o più di sempre, ti diverte ballare.



Domani si ripete a Monfalcone. Ed io vi giuro che non vedo l'ora.




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