Capita, a volte, che ti dimentichi un passo. Una cosa semplice. Forse tra le poche che non avevi mai sbagliato prima. Capita – la sfiga! - che succeda sul palco. Il giorno dello spettacolo. Il coronamento di un anno di sforzi e di prove.
In quella frazione di
secondo guardi le tue compagne muoversi ignare in perfetta sincronia,
cercando nella mente il modo più rapido per recuperare. Siete.
Ocho. Y... Non riesci a distinguerle, le facce del pubblico. Sono
sagome indistinte dietro ai tuoi occhi da miope. E, mentre ti sforzi
di continuare a sorridervi, pensi per un attimo che sia come in certi
momenti della vita. Ché tutto va avanti tranne te. Ché devi solo
far finta di niente ed adeguarti, sperando che il giudizio non
sia troppo severo.
Ho creduto che tutti
avessero visto. Ho pensato, soprattutto, di aver rovinato il quadro d'insieme. Ed è per questo che mi sono sentita in colpa. Che
mi sono sentita stupida. Frustrata. Di più, incazzata nera
per non aver mostrato neanche un decimo di ciò che nel mio
piccolissimo so di poter fare. E poi non è possibile, accidenti. Non
può essere che, dopo tanti anni, il telo nero delle quinte mi faccia
ancora tremare le ginocchia. Mi incasini i pensieri. Mi frughi nella
testa per tirarci fuori dubbi assurdi, anche quando per tutto il
giorno sono rimasta più calma di un maestro zen.
Sono uscita a testa alta,
senza sentire gli applausi. Ho salito le scale. Mi sono accasciata
sulla panca del camerino scorrendo le notifiche dello smartphone
senza guardarle davvero. Un video a proposito dei ragni. Un'amica che
si riconosce in un mio post. La risposta non vista al fatto che nel
flamenco è meglio un “mucha mierda” di un “in bocca al lupo”.
“Ahahaha, scusa”. Un'emoticon sorridente. Quell'errore, quello
che in molti non hanno neppure notato, io l'ho caricato di tutto il
peso delle ultime giornate. Delle troppe notti insonni. Della tosse
violenta e inopportuna che mi sfianca impedendomi a tratti anche di
respirare. Ci ho versato dentro, a quel passo mancato, tutti i mal di
testa che non ho voluto confessare. L'ansia
per un nuovo progetto. Lo studio dopo aver finito di lavorare. Le
scadenze imminenti. La fatica ad alzarsi quando suona la sveglia al
mattino. E poi è capitato che qualcuno mi chiedesse “Com'è
andata?”.
“Com'è andata?”, tutto qui. Un intervento di
cortesia. Una domanda semplice, come semplice era quel passo. E,
prima ancora che potessi impedirlo, è uscito tutto sotto forma di
lacrime.
Allora potreste chiedervi se ne
valga la pena. A conti fatti, in quel momento avrei dovuto
chiedermelo anch'io. Ma, sapete che c'è? Non l'ho fatto. Non mi è
neanche passato per la mente.
Perchè puoi essere
stanca. Puoi essere agitata. Puoi concederti, ogni tanto, di essere
persino fragile. Ma il flamenco non è questo, per me. Non è quel
pianto.
Flamenco è una
professionista come l'inarrivabile Cristina Benitez che, nei corridoi del backstage,
dà consigli ad una principiante su come muovere il polso. E' il
Tango de Triana che ti riempie di allegria. E' Lucas Ortega che urla
le emozioni senza ausilio di microfono, piazzandotele dritte tra le
corde dell'anima. Flamenco è che poi ti asciughi le lacrime e ti
torna la voglia di ballare. Che reagisci pensando al prossimo
spettacolo come al tuo personale riscatto, sentendoti piena di una
grinta che avresti voluto avere appena pochi minuti prima.
E ne vale la pena, certo che sì. Ne vale la pena per le chiacchiere e le risate in camerino. Perchè il giorno dell'evento unisce le persone più di qualunque altra occasione al mondo. Ne vale la pena per l'accento andaluso, per i dialoghi in spagnolo che impregnano l'aria del dietro le quinte. Per il privilegio di potersi godere le prove degli altri dalla postazione migliore, in un teatro vuoto. E ancora per “mi stappai la fanta” cantata sulle note di “The Final Countdown”. Per il fumo che ti intossica quando decidono di provarlo ignari della tua presenza a due centimetri da lì. Per l'improvvisa ispirazione salsera non appena lo spettacolo inizia. Per la nostalgia dell'Andalusia che ti afferra puntuale ed agrodolce come il ricordo di una relazione finita. Per gli incontri a sorpresa con persone che non vedevi da un po'. Perchè la coreografia ti piace. Perchè, per tre minuti o per un giorno, stacchi da tutto il resto. Perchè, come o più di sempre, ti diverte ballare.
Domani si ripete a Monfalcone. Ed io vi giuro che non vedo l'ora.
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