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venerdì 10 giugno 2016

Euro-Flamenco 2016: La Roja Baila, e anch'io.


Certo che non sembra la sera prima dello spettacolo. 
Anzi, a dire il vero non sembra proprio niente. Giusto un ammasso di pensieri, tutti lasciati a metà. 
Una rosa. Una scarpa. Una spilla da balia. 
Duemila post da scrivere e, come sottofondo, il primo match degli europei. 

Per l'occasione ho ritirato fuori un vecchio portachiavi con la Tour Eiffel. Sempre sul pezzo, ca vans a dire. Ci ho messo sotto un quadratino di carta trasformato in bandiera dai pennarelli rossi e blu che tengo in un astuccio da più o meno una vita. Li tiro fuori giusto giusto a Natale, quando si tratta di dar forma a qualche bizzarria creativa. In questo caso, però, capirete che serviva un centrotavola a tema. 

Notifica di Whatsapp. Il cellulare che si agita sul tavolo. Nel gruppo del corso di flamenco si decreta all'unanimità il mood della vigilia: "portate la vodka". Stordimento come unica soluzione. E poi Preparativi. Smalto. Locandine. Io che allineo parole sull'equivalente digitale di un foglio bianco. Così, senza rileggere. Tanto per allentare la tensione.

Ok, mi arrendo. Alla fine è proprio la sera prima del saggio. All'ennesima potenza. Forse addirittura più solenne del solito.
Ma c'è uno che si chiama Stancu, stando alla telecronaca in tivù. Mi fa sorridere. E allora torniamo agli Europei.

Il buon vecchio Emanuele, sul suo blog, parlava delle canzoni ufficiali delle varie Nazionali. L'ho appreso da lui, che quella della Spagna sarebbe stata svelata oggi. Quindi ho cliccato sul link. Mi sono memorizzata il canale youtube. Ho aspettato. Aggiornato. Premuto play. Micro-secondi di fiato trattenuto. Suspance. Ta-daaaan.


E niente, ragazzi,  questi sembrano tutti ubriachi. Ma pesanti, eh. "Por la Roja Moriré", o "Siam pronti alla morte", "Soy Español", o "L'Italia chiamò". Poi, uno scroscio di lalalalala stile pittbull/Shakira/tormentone-estivo-a-caso. In sostanza, lo spirito di un popolo che si esprime in miscugli di cazzeggio, orgoglio ed allegria. Solo che, purtroppo, questa volta non gli riesce troppo bene. 




Quindi mi dispiace, chicos: il pezzo di Carboni eletto a sigla da Sky Sport non mi convince per niente, ma almeno in quanto a musica quest'anno mi sa che abbiamo comunque vinto noi.

PS: se domani vi capitasse di passare per Udine, venite a vedermi (e a vederci, e a vedere La Toromba, soprattutto) qui. I superalcolici sono graditi.

Adióh.





giovedì 24 marzo 2016

Di Italia- Spagna a Udine e delle occasioni perdute

A Las cinco en el Astoria, dicevano i tizi de La Oreja de Van Gogh. Ed è esattamente ciò che avrei dovuto fare ieri. 





Pare ci fossero state circa cento persone, davanti a quell'hotel di Udine. Aspettavano la Nazionale spagnola, impegnata questa sera in uno degli eventi più italo-iberici che la Regione ricordi.


Insomma, avrei avuto diverse missioni da compiere.

Tanto per cominciare, sarebbe stata un'ottima occasione per rimediare un po' di nuovi lettori. Avrei potuto stampare dei volantini con l'indirizzo e distribuirli alla gente in attesa. Scriverlo a mano in pessima grafia su degli aeroplanini di carta. Noleggiare un'auto col megafono e girare declamando "italo-spagnola, il blog che stavi aspettando!" "Italo-spagnola, la voce di chi ama la Spagna" "Italo-spagnola, dove le crisi d'identità sono all'ordine del giorno", "italo-spagnola, l'angolo online per chi.... " EBBASTAHAIROTTO. Ok, la smetto. Dai non fate così. Io dicevo per dire. Ehi, metti giù quel bastone. EEEEHI.


In alternativa avrei potuto travestirmi da giornalista o nota blogger per intrufolarmi con l'inganno nella hall. A tal proposito urge specificare la differenza tra il travestimento da giornalista e il travestimento da nota blogger. É una questione importante, e pare che il mondo sia ancora molto confuso in merito. Ho avuto una dotta disquisizione in proposito proprio ieri. Tra l'altro potrebbe tornarvi utile in vista del prossimo carnevale, non si sa mai.

In sostanza: per travestirvi da giornalista dovete indossare un cappello, infilarci dentro un foglietto con sù scritto "Press" e mettervi un paio di occhiali di quelli rotondi e grandi con la montatura classica. Avete presente, no? Se, invece, volete farvi passare da "nota blogger" è imprescindibile la messa in piega perfetta abbinata a un look casual ma perfettamente curato. Meglio se vi portate dietro un iPad, ché sempre scena. Ah, e sparatevi selfie di continuo. Non importa con quale sfondo o per quale ragione. Se vi chiedono qualcosa potrete dire "sto aggiornando i miei follouah sull'Instagram" (mi raccomando l'articolo davanti a Instagram: fa molto simpaticona/sbarazzina/moderna e tutti vi ameranno all'istante).

Comunque. Una volta ingannati i calciatori in virtù del mio spagnolo fluente (?!) avrei potuto strappare loro un'intervista esclusiva da rivendere ai media locali. Cosa che mi avrebbe chiaramente aperto la strada verso il Pulitzer. Sarei diventata famosa come "la finta nota blogger che è diventata nota davvero" e sarei stata costretta a dire "follouah sull'Instagram" per sempre. Che mirabolante prospettiva.

Un'altra cosa che avrei potuto fare, se fossi andata ieri all'Astoria, sarebbe stata chiedere a Morata di salutarmi il suo amico El Pescao, a Piqué di cosa sia solito chiacchierare a tavola con Zuckerberg, e a Iker Casillas se mi sposa. Che cavolo, COS'HA LA CARBONERO CHE IO NON HO?! EH? EH?

Ok, non rispondete.

Tra l'altro mi è giunta voce che Iker sia parecchio triste. Voglio dire, ieri è atterrato a 10 minuti in auto da casa mia e io non ero lì ad accoglierlo. Poverino, è ovvio che ci sia rimasto male.
Una foto pubblicata da Selección Española de Fútbol (@sefutbol) in data:



Forse però posso ancora rimediare. A che ora dite che partono, domani?
IKEEEEER ASPETTAMI IKEEEEEEERRRR!

Ah, buona partita a tutti.






sabato 16 gennaio 2016

Flamenco ovunque: due blog 100% italo-spagnoli


Ormai quella di consigliarvi le letture per il weekend rischia di diventare una sottospecie di tradizione. E, in un periodo quanto mai denso di avvenimenti flamenchi, il tema non potrebbe che essere legato a cantebaile e volant. 

Foto: We Love Flamenco 2016 // Sfilata di Lola Azahares

Perchè si sa com'è che va: succede sempre un po' tutto assieme. Così, a Siviglia sta per concludersi We Love Flamenco: tradizionale apripista del più prestigioso SIMOF nel dettare le tendenze della moda per bailaoras. E, mentre El Torombo terrà uno stage ad Udine, a Reggio Emilia la mia amatissima Rocío Molina si prepara a stupire tutti con  Afectos.








E' in questo contesto, mentre fissavo l'agenda immersa in un inventario di vorrei-ma-non-posso, che mi sono stati segnalati due blog decisamente italo-spagnoli. 

Il primo, Qué mire Usted! Raccoglie recensioni di spettacoli ed interviste ai professionisti del flamenco italiani e spagnoli.

Il secondo, De Palo en Palo, ha invece l'obiettivo di approfondire - nella nostra lingua - la storia di un'arte antica, multiforme e riconosciuta dall'Unesco Patrimonio Immateriale dell'Umanità.


A redigerli entrambi sono Katia, Paola e Claudia, alias Las Tres Gracias: amiche italianissime che proprio proprio quell'arte ha fatto incontrare. Nell'invitarvi a conoscerle meglio, spero aiutino anche voi a portare nelle nostre vite una piccola dose di flamenco in più. 

martedì 16 giugno 2015

Flamenco Y Poemas, o del perchè ne vale sempre la pena.


Capita, a volte, che ti dimentichi un passo. Una cosa semplice. Forse tra le poche che non avevi mai sbagliato prima. Capita – la sfiga! - che succeda sul palco. Il giorno dello spettacolo. Il coronamento di un anno di sforzi e di prove.



In quella frazione di secondo guardi le tue compagne muoversi ignare in perfetta sincronia, cercando nella mente il modo più rapido per recuperare. Siete. Ocho. Y... Non riesci a distinguerle, le facce del pubblico. Sono sagome indistinte dietro ai tuoi occhi da miope. E, mentre ti sforzi di continuare a sorridervi, pensi per un attimo che sia come in certi momenti della vita. Ché tutto va avanti tranne te. Ché devi solo far finta di niente ed adeguarti, sperando che il giudizio non sia troppo severo.


Ho creduto che tutti avessero visto. Ho pensato, soprattutto, di aver rovinato il quadro d'insieme. Ed è per questo che mi sono sentita in colpa. Che mi sono sentita stupida. Frustrata. Di più, incazzata nera per non aver mostrato neanche un decimo di ciò che nel mio piccolissimo so di poter fare. E poi non è possibile, accidenti. Non può essere che, dopo tanti anni, il telo nero delle quinte mi faccia ancora tremare le ginocchia. Mi incasini i pensieri. Mi frughi nella testa per tirarci fuori dubbi assurdi, anche quando per tutto il giorno sono rimasta più calma di un maestro zen.

Sono uscita a testa alta, senza sentire gli applausi. Ho salito le scale. Mi sono accasciata sulla panca del camerino scorrendo le notifiche dello smartphone senza guardarle davvero. Un video a proposito dei ragni. Un'amica che si riconosce in un mio post. La risposta non vista al fatto che nel flamenco è meglio un “mucha mierda” di un “in bocca al lupo”. “Ahahaha, scusa”. Un'emoticon sorridente. Quell'errore, quello che in molti non hanno neppure notato, io l'ho caricato di tutto il peso delle ultime giornate. Delle troppe notti insonni. Della tosse violenta e inopportuna che mi sfianca impedendomi a tratti anche di respirare. Ci ho versato dentro, a quel passo mancato, tutti i mal di testa che non ho voluto confessare. L'ansia per un nuovo progetto. Lo studio dopo aver finito di lavorare. Le scadenze imminenti. La fatica ad alzarsi quando suona la sveglia al mattino. E poi è capitato che qualcuno mi chiedesse “Com'è andata?”. 

“Com'è andata?”, tutto qui. Un intervento di cortesia. Una domanda semplice, come semplice era quel passo. E, prima ancora che potessi impedirlo, è uscito tutto sotto forma di lacrime.

Allora potreste chiedervi se ne valga la pena. A conti fatti, in quel momento avrei dovuto chiedermelo anch'io. Ma, sapete che c'è? Non l'ho fatto. Non mi è neanche passato per la mente.

Perchè puoi essere stanca. Puoi essere agitata. Puoi concederti, ogni tanto, di essere persino fragile. Ma il flamenco non è questo, per me. Non è quel pianto.

Flamenco è una professionista come l'inarrivabile Cristina Benitez che, nei corridoi del backstage, dà consigli ad una principiante su come muovere il polso. E' il Tango de Triana che ti riempie di allegria. E' Lucas Ortega che urla le emozioni senza ausilio di microfono, piazzandotele dritte tra le corde dell'anima. Flamenco è che poi ti asciughi le lacrime e ti torna la voglia di ballare. Che reagisci pensando al prossimo spettacolo come al tuo personale riscatto, sentendoti piena di una grinta che avresti voluto avere appena pochi minuti prima.

E ne vale la pena, certo che sì. Ne vale la pena per le chiacchiere e le risate in camerino. Perchè il giorno dell'evento unisce le persone più di qualunque altra occasione al mondo. Ne vale la pena per l'accento andaluso, per i dialoghi in spagnolo che impregnano l'aria del dietro le quinte. Per il privilegio di potersi godere le prove degli altri dalla postazione migliore, in un teatro vuoto. E ancora per “mi stappai la fanta” cantata sulle note di “The Final Countdown”. Per il fumo che ti intossica quando decidono di provarlo ignari della tua presenza a due centimetri da lì. Per l'improvvisa ispirazione salsera non appena lo spettacolo inizia. Per la nostalgia dell'Andalusia che ti afferra puntuale ed agrodolce come il ricordo di una relazione finita. Per gli incontri a sorpresa con persone che non vedevi da un po'. Perchè la coreografia ti piace. Perchè, per tre minuti o per un giorno, stacchi da tutto il resto. Perchè, come o più di sempre, ti diverte ballare.



Domani si ripete a Monfalcone. Ed io vi giuro che non vedo l'ora.




domenica 9 giugno 2013

Soleá por Bulería (flash da uno spettacolo)

Se le prove generali vanno bene, lo spettacolo non lo farà. E' matematico. Inconfutabile. Verificato troppe volte per non aver chiaro sin dalle quattro del pomeriggio che la mia performance non sarà poi 'sto granchè. Eppure, neanche dei pasticci oggi mi importa molto. E' che il giorno del saggio di flamenco, a me, piace comunque. Sempre. A prescindere. Ben al di là di come vada o non vada. Mi piace dal momento del ritrovo in un piazzale asfaltato. Il sole cocente a sciogliere i nervi in una sonnolenza collettiva. Lo chignon basso, ahimè, già da rifare. E poi i discorsi su pranzi lesinati e leggeri. Trangugiati in fretta, troppo presto, controvoglia, mentre in testa ti ti martella un brano di Serrat.





Oggi, per la prima volta da due giorni, la spazzola non ha trovato rimasugli di forcine tra i capelli. Ed io ho capito che ve lo volevo raccontare. Sì, insomma, dire dei problemi, chiusi in casa a doppia mandata almeno cento universi più in là. Lontani da questo mondo meraviglioso dove tutto è bello ordinato in scafalature da dodici tempi l'una. E, sulla porta di un camerino a caso, qualcuno ha aggiunto in fucsia la parola “Triana!”. Mi viene voglia di partire, adesso, ancor di più. Mentre le immagini di un'Andalucía da cartolina accompagnano in un video i versi di Antonio Machado. E le note delle sevillanas mi ricordano la feria, la voglia di far programmi, il vestito da scegliere per muovere i miei passi in Calle Larios. Tornare alle origini, al cartello con sú scritto Calle Nueva (qué borrachera, qué borrachera), all'Erasmus, alla parte migliore di me. I fiori arancioni in testa, immagine dell'allegria. Ecco, anche di questo vi volevo parlare.

Della confusione intrinseca dei ritmi. Della Soleá por Bulería ripercorsa nella mente sulle note di Ehi Jude trasmessa da Virgin Radio. E poi delle movenze Dance abbozzate nei corridoi del retropalco, per smorzare la tensione, sul sottofondo di una bulería. Incrociare uno sguardo perplesso. Giustificarsi in un “ormai sto delirando”, e scoppiare a ridere di vero cuore.



Perché del saggio di flamenco, alla fin fine, a me é soprattutto questo che rimane. La socializzazione facilitata da una vicinanza forzata. I gossip da camerino. Il buen rollo e i mucha mierda urlati a squarciagola non appena le lancette si avvicinano alle nove. Restano il prima e il dopo, piú che il durante semi-inconsapevole in cui batti i piedi su quel palco. E ci sono solo il legno. I piedi. Il tuo occhio reso orbo da un faro troppo accecante e i tanti altri occhi funzionanti che, anche un po' a causa di questo, non vedrai mai.

Applausi.

Restano i momenti epici. Quelli da cui é facile estrapolare aneddoti di impronta vagamente leggendaria. Tipo le note di Funiculí Funiculá, rivisitate in chiave flamenca, al centro di una crisi nelle prove generali. I dialoghi tra miopi, e “non mi fare cenni, perché non ti vedo”. O l'avvenenza di quel tecnico di palco (audio? Luci? Francamente non ne ho idea) che mi fa capire, in un risveglio ormonale, che alla faccia del clima l'estate é vicina. Allora é tempo di mangiar ciliege, di dormire su una sdraio con le cuffie nelle orecchie e il tuo costume rosso uguale uguale a quello della tipa della Kellogs.

Ecco: é per tutto questo, per quest'allegria incontenibile, che vale ancora e sempre la pena ballare. E a mó di post scriptum sono lieta di dirvi che forse mi sbagliavo. Che forse neanche quell'altra, di passione, é finita come credevo. E' bastato ascoltare una canzone. Innamorarmente perdutamente. Premere di nuovo play.




Ho comprato un biglietto per andare a vedere Dani Martín a Barcellona, il prossimo 20 Dicembre. Forse, alla fin fine, non cambieró mai.