É stato bello fantasticare su come sarebbe stato vincere la lotteria. L’appartamento non troppo grande sul paseo marítimo Antonio Banderas. Una stanza insonorizzata da usare come studio, ed io che faccio colazione su un balcone vista mare.
Passavamo in rassegna i viaggi che avremmo fatto. La California. Il Gran Canyon. I paesaggi d’Islanda immersi dalle luci verdognole dell’aurora boreale. Le serrande dei negozi di Calle Cristo de La Epidemia si alzavano sonnacchiose dopo l’orario della siesta e mi rendevo conto - questa volta senza dirlo - che non mi sarebbe servito in fondo chissà che di materiale.
É stato bello anche svegliarsi un 22 di Dicembre per digitare in fretta una serie numeri sul sito delle Apuestas de Estado. Provare a credere per una frazione di secondo che la legge della probabilità si sbagli a mio favore.
Niente.
Eppure il decimo nel portafoglio faccio ancora fatica a buttarlo via. Forse perché parla di sogni. Di conversazioni a tarda notte sulle credenze delle popolazioni andine. Della capacità, che ancora non ho perso, di sperare a voce alta in un futuro migliore.
E così è tempo di bilanci, pare.
Guardate, ho fatto pace anche con Monfalcone. Con le sue geometrie quadrate e grigie. Con l’ansia assurda che mi aveva dato il riscoprirla così simile a Sant Cugat - d’altronde, persino a Sant Cugat c’era quel ristorante buono.
In fondo questa volta mi serviva, una pausa forzata nella vita che ho assemblato troppo in fretta giù a Sud Ovest. Dovevo osservarla dalla distanza per capire se la costruzione è abbastanza stabile. Se si sposa bene al paesaggio. Se posso veramente andarne fiera.
La risposta credo sia sì.
Il primo Gennaio 2019 scrivevo su Instagram che a Capodanno mi ero sentita amata. E che avrei voluto provare quella stessa sensazione durante tutti i giorni dell’anno a venire.
Allora forse un fondo di verità c’è, in tutte quelle cavolate da libro d’auto-aiuto; Perché quasi quasi adesso mi sentirei di dirlo anch’io, che se desideri qualcosa l’Universo cospira per fartelo ottenere.
Ok. Più probabilmente, sono stata fortunata.
Comunque sia, quel desiderio s’è compiuto. E non soltanto lui.
Un po’ ho paura di parlare troppo presto, ma fino ad ora quest’anno è stato uno tra i più intensi e meravigliosamente assurdi di tutta la mia vita.
Nel 2019 ho preso a mani piene tutte le esperienze che potevo permettermi di vivere. Sono stata a decine di concerti. Mi sono ubriacata ai festival. Mi sono abbuffata di canzoni senza mai digerirne nessuna. Ho detto “esco” anche quando la pigrizia stava per vincere. E, alla fine, non me ne sono mai pentita.
È stato l’anno degli hotel. Dei taxi. Delle tapas al bancone della Tranca, e delle mille serate in Calle Carretería. L’anno in cui il Love, Etc. si è aggiunto alle tappe fisse della nostra personale via Crucis, e Alejandro del Colmado ha iniziato a prenderci in simpatia.
Quest’anno ho re-incontrato persone che non vedevo da una vita, e ne ho conosciute di nuove che sembrano arrivate per restare.
Ho esplorato posti che non conoscevo. Sono stata sospesa a centinaia di metri dal suolo sul ponte sbilenco del Caminito del Rey. Ho lasciato i polmoni sulla salita per Álora, ho visitato un castello solo perché mi piacevano le foto che avevo visto sui social. Mi sono sentita sulla Luna mentre saltellavo sulle rocce del Torcal, ho raccolto margherite sul fianco della fortezza di Antequera, ho creduto di morire sbranata da quattro cani incazzati nel mezzo della campagna siciliana e sono rimasta incastrata con la macchina nelle stradine del centro storico di Modica. What a Life.
É stato l’anno in cui ho scoperto la S.P.A e mi sono innamorata del tartufo e del sushi. Ma anche l’anno in cui mi sono abituata alla colazione andalusa col pitufo con tomate y aceite, ho scelto il mio “bar di quartiere” e quello in cui sono ufficialmente entrata nel tunnel della dipendenza da Campero (non é un panino, é una droga).
Nel 2019 credo di aver imparato finalmente a mettere me stessa al primo posto. A rifiutare un ottimo posto di lavoro senza sentirmi in colpa, se significa rinunciare a vivere dove voglio vivere. A dissentire quando non sono d’accordo col mio capo. A far valere le mie opinioni in azienda. Persino - incredibile ma vero - a mettere a tacere il mio dannato senso di responsabilità di fronte ad attività che io e soltanto io ho scelto di fare.
E allora pazienza, se una settimana non riesco a consegnare l’articolo per Total Free Magazine. Chissenefrega se non aggiorno il blog per più di un mese. Ho imparato a perdonarmi se qualche volta sono stanca, se non ne ho voglia, se perdo un po’ di tempo a fissare il nulla seduta sul divano. Perché me lo merito. Perché - accidenti - sono umana anch’io.
Una volta in più, ho capito quanto sia importante circondarsi di un buon gruppo di amici quando abiti a migliaia di kilometri dalla tua famiglia. Perché una nuova specie di famiglia, vuoi o non vuoi, te la devi creare.
Soprattutto, ho imparato che l’amore non c’entra niente con le farfalle nello stomaco, l’agitazione, gli alti e bassi emotivi il senso di costante inadeguatezza a cui m’ero abituata ad associarlo.
Ho scoperto che in realtà é straordinariamente semplice. Semplice come trovare una persona davanti a cui non ti importa di scoppiare a piangere per una sciocchezza, di mostrare i tuoi difetti o di cantare a squarciagola le tue canzoni preferite anche se sei stonata come una campana. L’amore (chi l’avrebbe detto?) alla fine non è altro che ridere fino alle lacrime, struccata e in pigiama, con qualcuno che ti fa sentire a casa.
Le possibilità di trovarlo passati i trent’anni sono talmente poche che in fondo forse l’ho vinta davvero, la lotteria.
Si chiude cosí il decennio che s’era aperto con la mia laurea. Il decennio che mi ha (ri)dato Málaga, la partita IVA, le tasse e le responsabilità. Ed io gli dico addio, oggi, con la sensazione di aver gettato le basi - per quanto un po’ sbilenche e decisamente pericolanti - della vita adulta.
Mentirei se dicessi che provare a immaginarne il seguito non mi da le vertigini, ma saró felice di continuare ad ammassare mattoncini a caso per vedere cos’altro succede.
Intanto grazie, duemiladiciannove.
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