martedì 28 aprile 2020

La fine delle tapas.

Un popolo lo conosci per come mangia.
Anche per questo mi piacciono gli spagnoli.

Quando facevo la guida gastronomica, dicevo sempre ai clienti che il loro modo di stare a tavola ne riflette la personalità. In quel loro ordinare tanti piatti diversi e metterli in mezzo “para compartir” (per condividere) vedevo il riflesso di un carattere aperto, godereccio e generoso. 


Ci credevo sul serio.

Senza parlare di come quell’abitudine mi permettesse di assaggiare un po’ di tutto ovunque andassi. Per una buona forchetta (e un’indecisa cronica) come me era praticamente il Paradiso.

Lo dicevo a genitori, amici, parenti:
Avevo trovato il mio stile di vita ideale.

Quando tornavo in Italia, facevo sempre un po’ fatica a ri-adattarmi al piatto unico. Alla scelta esclusiva. Al “guai se ti azzardi ad assaggiare quello che IO ho ordinato”. 


Non mi sono trasferita in Spagna PER le abitudini alimentari, questo è ovvio. Però erano uno degli aspetti che più amavo della vita qui.

Ieri la Junta de Andalucía ha presentato al Governo la sua proposta per la riapertura di ristoranti e bar dopo la quarantena (che deve passare per il filtro e l’approvazione del Ministero della Sanità)

In sintesi, le regole sarebbero queste:

- Si potrà entrare in un ristorante solo a turno ed esclusivamente su prenotazione (prenotando al massimo per 4 persone)
- Tra un turno e l’altro, i dipendenti devono avere il tempo di igienizzare tutto.
- Non ci si possono mettere più di 30 minuti per fare colazione, e non si può restare più di  90 minuti per mangiare.
- É obbligatorio ordinare un piatto per persona, che non può essere condiviso con gli altri commensali. 

In pratica, questo significa dire addio alla cultura delle tapas. Ai ritmi lenti. Alle sobremesas eterne nei chiringuitos. E, tra parentesi, quant’è bella la parola sobremesa, guarda caso intraducibile. Bella come l’atto di godersi la vita tra un bicchiere di vino ed un gin tonic mentre allacci il pranzo alla merenda seduto con gli amici a un tavolo vista mare. Come gli andalusi che, un po’ brilli, lasciano scorrere il giorno e le preoccupazioni cantando sevillanas per digerire in una taverna tipica.

Dobbiamo dire addio al piattino di olive davanti alla birra. Allo spiluccare qualcosa in ogni bar fino a saziarti. Al vagare senza meta per infilarsi in un posto nuovo che “ti ispira” ed esaltarti quando scopri che non era niente male. Alla casualità della scoperta. Alla libertà estrema del non programmare. Forse persino ai pentoloni della Farola de Orellana.

E lo so bene che tutto questo, adesso, è letteralmente l’ultimo dei problemi.
Lo so, che era l’unica proposta sensata.
Che sono una cretina anche soltanto a parlarne. 

Eppure, chissà perché, alla fine sono sempre i dettagli più insignificanti a gettarmi nello sconforto. 

Di colpo, leggendo il piano della Junta, m’è presa una tristezza che, razionalmente, non so giustificare. 

Forse penso e ragiono in funzione del cibo.
Forse posso abituarmi a tutto, tranne all’Andalusia che diventa il Nord Italia. 

O forse, più realisticamente, è solo che un concetto futile come la fine del tapeo rende ancora più concreto quello che già sapevo: tornare alla “normalità” sarà davvero impossibile.


Comunque sia sbrigatevi, a trovare un vaccino. 




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