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giovedì 19 novembre 2020

4 idee per un’escursione nella natura senza uscire da Málaga

Quando ti decidi (finalmente?) a rompere un silenzio lungo diverse ere geologiche, il minimo che tu possa fare è giustificare la scelta con un post di pubblica utilità. Questo dovrebbe esserlo per chi, come me, ha scoperto negli ultimi mesi l’inaspettata esigenza di stare a contatto con la natura. 

Tanto per capirci, nel mio armadio non c’è neanche una tuta. Il capo più sportivo che ho è un paio di converse a fiori taroccate che è già tanto se sono riuscite a sopravvivere ai bagni chimici dei festival. L’unico sacco a pelo che abbia mai posseduto in vita mia lo comprai per accamparmi davanti ai palasport, e attualmente si gode un pacifico pensionamento nel ruolo di ripieno della fodera del piumone (comprare un piumone vero mi sembrava uno spreco di soldi, nella Costa del Sol). 

Insomma, non sono propriamente un tipo avvezzo alle escursioni campestri. 

Pare, però, che gli arresti domiciliari imposti dalla PutaPandemia siano in grado di cambiare anche le anime più cittadine - soprattutto quelle che vivono in un appartamento di 30 metri quadri vista strada, con tanto di bidone della spazzatura annesso.

Almeno fino al 23 Novembre, in Andalusia, non possiamo uscire dal nostro Comune. Bar, negozi di abbigliamento e attività non essenziali chiudono alle sei, avviando una quotidiana e progressiva desertificazione dei centri urbani che culmina nel coprifuoco delle dieci di sera. 

La buona notizia, però, è che a Málaga si può passare una giornata immersi nella natura, senza neppure uscire dalla città. Non ci credete? Date un’occhiata qui sotto. 

Ho selezionato 4 luoghi che forse non conoscete e che sicuramente adorerete se volete prendervi una pausa dal cemento di casa, il viavai delle macchine, le luci di Natale e i ragazzini che anticipano la sbronza nei pomeriggi di Pedregalejo. Non ditelo a nessuno, ma quando siete in mezzo a un bosco, senza anima viva nel raggio di centinaia di metri, magari potete anche permettervi il lusso di abbassare un momento la mascherina. 


1. PARQUE DEL MORLACO 

Parque del Morlaco 

















La mia scoperta più recente. Fuori da ogni rotta turistica, il Parque del Morlaco è un gioiellino incastonato tra i villoni di uno dei quartieri più ricchi di Málaga: il Limonar. 

Lo so, agli italiani fa ridere. Pensate che c’è pure un autobus che fa capolinea da quelle parti. La frase tipica dell’Erasmus che se lo trova davanti appena arrivato in città è: “andiamo a Limonar” ah ah ah. Che tenerezza. 

Comunque. Stavamo parlando del Parque del Morlaco, un’area forestale di 161.720 metri quadrati dove troverete tutto quello che si può desiderare per una tranquilla passeggiata all’aria aperta: boschi popolati da scoiattoli, camaleonti e una stupenda vista sul mare. La cosa migliore è che, quando vi stancate di tutto quel verde e di tutto quel silenzio, in circa 15 minuti a piedi arrivate a los Baños del Carmen, che se non fosse un possibile focolaio di Coronavirus nelle Domeniche di sole (sul serio: tutti lì dovete andare?) sarebbe il luogo perfetto per un aperitivo. 


2. MONTE DE GIBRALFARO


Monte Gibralfaro 














Vista dal Monte Gibralfaro 















Famoso per essere stato l'ultimo luogo di Malaga conquistato dai Re Cattolici nel 1487, il castello di Gibralfaro (costruito nel XIV secolo) è uno dei monumenti più importanti in città. Se entrate in un qualsiasi punto di informazione turistica  e chiedete come potete raggiungerlo, vi diranno che avete due opzioni: in autobus oppure a piedi, seguendo il sentiero asfaltato che fiancheggia l’Alcazaba. Difficilmente menzioneranno però la terza via, che io ho scoperto quasi per caso nell’immediato post-lockdown. E, dopo 4 anni di residenza fissa a Málaga, è proprio il caso di dire: “meglio tardi che mai”. 

Quando la libertà di passeggiare era limitata ad un chilometro da casa, mi accorsi che, in fondo a calle Agua (una laterale di Calle Victoria) ci sono delle scale. Salendoci, si accede ad un’enorme area naturale che - udite, udite - si è scoperto poi essere proprio il Monte Gibralfaro. Da quel punto di accesso è possibile raggiungere il castello attraverso i sentieri in mezzo agli alberi, lontani da famiglie chiassose e con la compagnia quasi esclusiva degli immancabili scoiattoli. Certo, dovete mettere in conto salite e sudore, ma il panorama quando arriverete in cima vi ripagherà di tutte le fatiche. 

Una volta lì, potete seguire il percorso (debitamente segnalato) che circonda le mura della fortezza, che è leggermente più frequentato e vanta persino un’area adibita ai giochi per i bambini. 


3. MONTES DE MÁLAGA

Montes de Málaga. Foto: Málaga Hoy 














Montes de Málaga. Foto: Malaga.es












Nonostante sia un’escursione che pianifico ormai da molto, ammetto con certa vergogna di non esserci (ancora!) mai stata. Il motivo? Ai Montes de Málaga non ci si arriva con i trasporti pubblici, e farmi più di 4 ore a piedi solo per raggiungere un posto in cui andrei per camminare è un filino troppo persino per me. 

In assenza di esperienza diretta vi dirò, però, che chiunque ami la natura la consiglia come una tappa IM-PRE-SCIN-DI-BI-LE. Proprio così. Tutto maiuscolo e scandito. 

In effetti l’ha consigliata di recente pure Málaga Hoy, in un articolo dedicato (come questo) a chi volesse “respirare aria buona” senza varcare i confini del comune. Non posso confermare né smentire che, forse forse, ho preso ispirazione da lì. 

Secondo il giornale, sono due i percorsi consigliati agli escursionisti inesperti. 

Il più facile è lungo appena 3 km e inizia dal Carril del Viento, ubicato poco dopo la Venta de El León. Seguendo il sentiero, si può raggiungere il Pico de El Viento, che con i suoi 1.029 metri sul livello del mare è il secondo rilievo più alto del Parco Naturale, che in totale si estende per oltre 5.000 ettari. 

C’è poi un percorso un po’ più lungo (6 chilometri) ma sempre di difficoltà bassissima, che parte dal Mirador del Cochino, da cui peraltro si può godere di una splendida vista sulla città di Málaga e i suoi dintorni paesaggistici. Da lí si prosegue fino a un altro punto panoramico, il mirador Vázquez Sell, attraverso il sentiero segnalato come El Cerrado. La zona é consigliata dalla Junta de Andalucía per l’avvistamento di uccelli rapaci in primavera ed autunno. 

4. JARDÍN BOTÁNICO HISTÓRICO LA CONCEPCIÓN 


Jardín Botánico






















Jardín Botánico




























Se volete stare in mezzo alla natura, ma senza faticare troppo,  il Jardín Botánico è l’opzione perfetta per voi. Si raggiunge comodamente in autobus e all’interno ha un bar/ristorante con prezzi accettabili, un negozio di souvenir, bagni puliti, strutture architettoniche, aree attrezzate per pic nic e comodità di ogni genere. L’unica pecca è che, a differenza di tutti i luoghi fin qui menzionati, si paga per entrare (è gratis solo la Domenica, dalle 14 alle 17.30, orario di chiusura).

Considerato Bene di Interesse Culturale, il Jardín Botánico ha più di centocinquanta anni di storia ed è uno dei pochi giardini in Europa in cui si possono ammirare  piante di origine subtropicale. In tutto ce ne sono più di cinquantamila, di duemila specie diverse, inclusi (oltre alle immancabili palme) i bambù e gli esemplari acquatici. 

Una delle zone secondo me più tranquille per passeggiare nel verde è il sentiero panoramico che parte dalla zona dei cactus. Lì, in genere, il vociare dei turisti si disperde lasciando posto all’assoluta - e a tratti quasi inquietante - tranquillità. 



Avete già deciso quale sarà la vostra prossima meta? 

martedì 28 aprile 2020

La fine delle tapas.

Un popolo lo conosci per come mangia.
Anche per questo mi piacciono gli spagnoli.

Quando facevo la guida gastronomica, dicevo sempre ai clienti che il loro modo di stare a tavola ne riflette la personalità. In quel loro ordinare tanti piatti diversi e metterli in mezzo “para compartir” (per condividere) vedevo il riflesso di un carattere aperto, godereccio e generoso. 


Ci credevo sul serio.

Senza parlare di come quell’abitudine mi permettesse di assaggiare un po’ di tutto ovunque andassi. Per una buona forchetta (e un’indecisa cronica) come me era praticamente il Paradiso.

Lo dicevo a genitori, amici, parenti:
Avevo trovato il mio stile di vita ideale.

Quando tornavo in Italia, facevo sempre un po’ fatica a ri-adattarmi al piatto unico. Alla scelta esclusiva. Al “guai se ti azzardi ad assaggiare quello che IO ho ordinato”. 


Non mi sono trasferita in Spagna PER le abitudini alimentari, questo è ovvio. Però erano uno degli aspetti che più amavo della vita qui.

Ieri la Junta de Andalucía ha presentato al Governo la sua proposta per la riapertura di ristoranti e bar dopo la quarantena (che deve passare per il filtro e l’approvazione del Ministero della Sanità)

In sintesi, le regole sarebbero queste:

- Si potrà entrare in un ristorante solo a turno ed esclusivamente su prenotazione (prenotando al massimo per 4 persone)
- Tra un turno e l’altro, i dipendenti devono avere il tempo di igienizzare tutto.
- Non ci si possono mettere più di 30 minuti per fare colazione, e non si può restare più di  90 minuti per mangiare.
- É obbligatorio ordinare un piatto per persona, che non può essere condiviso con gli altri commensali. 

In pratica, questo significa dire addio alla cultura delle tapas. Ai ritmi lenti. Alle sobremesas eterne nei chiringuitos. E, tra parentesi, quant’è bella la parola sobremesa, guarda caso intraducibile. Bella come l’atto di godersi la vita tra un bicchiere di vino ed un gin tonic mentre allacci il pranzo alla merenda seduto con gli amici a un tavolo vista mare. Come gli andalusi che, un po’ brilli, lasciano scorrere il giorno e le preoccupazioni cantando sevillanas per digerire in una taverna tipica.

Dobbiamo dire addio al piattino di olive davanti alla birra. Allo spiluccare qualcosa in ogni bar fino a saziarti. Al vagare senza meta per infilarsi in un posto nuovo che “ti ispira” ed esaltarti quando scopri che non era niente male. Alla casualità della scoperta. Alla libertà estrema del non programmare. Forse persino ai pentoloni della Farola de Orellana.

E lo so bene che tutto questo, adesso, è letteralmente l’ultimo dei problemi.
Lo so, che era l’unica proposta sensata.
Che sono una cretina anche soltanto a parlarne. 

Eppure, chissà perché, alla fine sono sempre i dettagli più insignificanti a gettarmi nello sconforto. 

Di colpo, leggendo il piano della Junta, m’è presa una tristezza che, razionalmente, non so giustificare. 

Forse penso e ragiono in funzione del cibo.
Forse posso abituarmi a tutto, tranne all’Andalusia che diventa il Nord Italia. 

O forse, più realisticamente, è solo che un concetto futile come la fine del tapeo rende ancora più concreto quello che già sapevo: tornare alla “normalità” sarà davvero impossibile.


Comunque sia sbrigatevi, a trovare un vaccino. 




lunedì 17 settembre 2018

Dieci anni d'amore.

Sono le piccole scelte quelle che alla fine ti trasformano la vita. 

Ci penso spesso, da un po' in qua. 

Io, per esempio, ho sempre provato una forte passione letteraria per Charles Baudelaire. 
Così, quando mi ero trovata a dover scegliere la seconda lingua da studiare all'Università, per un - seppur brevissimo- periodo di tempo avevo preso in considerazione il francese. 

Se l'avessi fatto, non sarei mai capitata al corso di spagnolo del Prof. Medina. 

Non avrei mai conosciuto Max. 

Che non mi avrebbe mai fatto un cd pieno di canzoni spagnole. Né mi avrebbe consigliato di ascoltare Los 40 online per "allenare l'orecchio" in vista degli esami. 

Di conseguenza, non avrei mai scoperto Volverá.
Non mi sarei ossessionata con El Canto del Loco. 

Non mi sarei iscritta al loro forum ufficiale. 
Non avrei iniziato a girare la Spagna per seguirne i tour.

... E non avrei finito con l'innamorarmi così perdutamente di questo Paese. 



Piccole scelte, già. 



Come quella di iscrivermi alla specialistica in Giornalismo.
Se non l'avessero tolta da Trieste, non avrei mai fatto la vita da fuori sede a Parma.
Non avrei capito - o almeno non così presto - di essere in grado di cavarmela da sola.
E non avrei avuto il coraggio sufficiente a chiedere di partire per studiare all'estero. 


Se avessi scelto un'altra Università - metti Verona, metti Perugia - tra le destinazioni convenzionate in Spagna non ci sarebbe stato, forse, l'Ateneo di Málaga. 

E oggi io non sarei qui. **

La mia dichiarazione d'amore a Málaga, lo scorso San Valentino.
La foto é stata scattata al Muelle Uno, che nel 2008 ancora non esisteva. 





Sono passati esattamente dieci anni da quando sono partita per l'Erasmus. 
Credevo di fuggire, forse, da una qualche specie di situazione irrisolta. Di andare incontro ai concerti dei gruppi che ascoltavo. 

Quello che non sapevo era che stavo andando a conoscere una versione migliore di me. 

Era sempre stata lì, da qualche parte, nascosta tra la timidezza e il grigiore dei vestiti che indossavo. Eppure, chissà come, sono riuscita a trovarla soltanto nella Costa del Sol.

Mi aspettava nel clima umido di una città che avrei saputo mia all'istante.
Un luogo dove non tutto è stato sempre facile, ma di sicuro è stato sempre degno di essere vissuto.

Oh, Málaga. 
Quante volte, lasciandoti, ho sentito che qualcosa si rompeva dentro me.
Quante volte ti ho promesso che sarei tornata.
Che sarebbe stato l'ultimo aereo.
Che sarei riuscita, un giorno, a chiamarti di nuovo casa

Ricordo un video che avevo postato su Youtube. Inquadravo le valige fatte, sospirando, nel corridoio della casa al civico 44. Nella mia testa suonava Bebe.

Me fui, pa' volver de nuevo. 


L'ho fatto, accidenti.

E oggi si compiono dieci anni esatti dal momento in cui l'Universo ha iniziato a mettersi in moto per portarmi fino a qui.

Per festeggiare, ho voluto riscattare il post che scrissi nel primissimo giorno di quell'incredibile avventura. Si intitolava "Scrivendo da Casa Babylon (con un casino allucinante in sottofondo)" e lo trovate a questo link. 



Tralasciando il fatto che ero una cretina - e pure insopportabilmente giovane - é ancora bello rileggere le mie primissime impressioni sul luogo in cui oggi vivo. 

Certo, ci sono molte cose che mi lasciano perplessa. Tipo: non capisco come diavolo facessi ad essere così meravigliata dai semafori in movimento o dalla gente che suonava per strada. E poi perchè avrebbero dovuto essere per forza dei pseudo-barboni? Voglio dire, venivo dal terzo mondo? E per quale motivo deridevo 'sto povero Cristo che aveva avuto semplicemente la cortesia di presentarsi al telefono? Vi chiedo scusa, sul serio. Con dieci anni di ritardo, ma vi chiedo scusa. 

Avevo completamente rimosso la statua del polipo davanti al Teatro Romano, e pure i mimi sbrilluccicanti in Calle Larios. Avevo scordato anche l'esordio pseudo-comico con la valigia che si rompe in aeroporto; E mi fa sorridere la tenera innocenza di quando scrivevo che il rasta degli occhi quadrati era "ubriaco fradicio" anziché completamente fatto. 

Immagini di repertorio: Calle Larios a Settembre 2008.
Notare la tizia che passeggia dietro, inquietantemente simile per look e taglio di capelli a come sono io ora. 





Lo shock dell'impatto con l'accento andaluso e i vari Cristi appesi ovunque... quello invece sì, lo ricordavo bene.

Rileggo quel post, oggi, e mi dá una strana sicurezza constatare che certe cose non cambiano mai. 

Come il fatto che da subito ho trovato bellissimi i ragazzi malagueñi (ma chi diceva che gli andalusi sono brutti, poi? Ma di quali cavolo di stereotipi parlavo? Sul serio, come facevate a sopportarmi?) 

Ma soprattutto il fatto che, al di là di tutti i cambiamenti subiti negli anni, le ragioni per cui mi sono innamorata di Málaga sono le stesse per cui ancora oggi la amo alla follia. 

"A Málaga ci sono certi incroci che ci metti una vita ad attraversare", scrivevo, "Ma la gente sorride. Ti sorride sempre. La gente ti guarda negli occhi e ti saluta, anche se non ti conosce e sei in una grande città. Se possono ti aiutano, tutti. Anche quando tu non lo chiedi."



La notte della mia laurea, in un momento di incertezza sul futuro, qualcuno mi disse:
"Intanto trova il posto dove sei felice e vacci. Il lavoro verrà dopo".

Se l'ho già scritto perdonatemi: insisto perchè, col senno di poi, è stato forse il miglior consiglio che mi abbiano mai dato.

Io, quel posto, l'ho trovato dieci anni fa. 










** PS: questo é esattamente quello che intendo quando dico che ragiono come Ted Mosby. How I Met My City. Se esiste una cura fatemelo sapere. 






martedì 21 agosto 2018

Incompleta.

L'hot dog delle 5.30 del mattino getta silenzio tra le conversazioni.
Mancano i cornetti. Abbonda il sonno. E qualche ricordo fresco ancora da assimilare. 

I bassi di un brano reggaetón ci raggiungono dalla caseta di fronte, testimoni del via vai di un mondo parallelo. Di gonne flamenche che accarezzano l'asfalto. Di trucchi disfatti. Di file all'ingresso come un insulto all'alba che non deve arrivare. 




"Se acabó la Feria, chicos".
Nella mia voce una punta di tristezza si mischia al sapore dell'ultimo Cartojal. 

L'ho salutata per bene la mia Málaga, 'sta volta.
E l'amarezza di un volo in ritardo sembrava ribadirmi quello che già so. 

Lasciarla fa male, da sempre. Che sia per dieci giorni o per dieci anni interi. 

Perchè il mio posto è qui, non ho alcun dubbio. E a spaventarmi non è la resaca all'aeroporto, ma piuttosto l'idea di risvegliarmi come quella che una volta ero. Non voglio perderla, la leggerezza di quest'estate assurda. La scintilla nello sguardo che ha fatto dire ad un'amica che mi vede "più donna". La spontaneità con cui consiglio dischi alle commesse del Corte Inglés. 

Ogni volta che torno, un sonno che pare eterno mi getta sfinita sul letto della casa in cui sono cresciuta. Al risveglio le immagini della mia vita andalusa sembrano i resti di un sogno che fatico a mettere a fuoco. Lontane. Indistinte. Irreali. Non ci sono notifiche sul cellulare, né programmi per il fine settimana. 

Ogni volta è come se gli ultimi due anni si fossero cancellati nella pigrizia estrema che di nuovo mi investe. E mi rende bambina. E m'incatena per mio stesso volere alla routine mai perduta del passato.

Ecco, è questo che mi fa paura. 

Eppure Dio sa se le volevo, queste vacanze estive nella terra patria.
Dio sa se ne avevo bisogno.  

Tanto. 


Come di un punto e a capo. Un attimo di autentica disconnessione. Una parentesi di tranquillità che nelle notti lunghe della Costa del Sol non riesco - né, temo, riuscirò mai del tutto - ad incontrare. 

Solo che la tocco con mano, ogni giorno, la nostalgia degli altri italiani che vivono in Spagna. Per quanto amino il Paese in cui vivono, tutti loro hanno qualcosa per cui sospirare. 

La difendono nelle conversazioni. Li riempie di orgoglio e di emozione quando comprano un biglietto aereo. E, anche se non l'ho mai ammesso, io li invidio.

Non l'ho mai provato, quel senso forse di appartenenza alla mia città o alla mia Regione. 
E solo adesso mi accorgo che mi fa sentire incompleta. Diversa. In colpa, persino.

Nel mio Nord-Est ci torno - e volentieri! - per la famiglia. 
Ma, per quanto mi sforzi, la lista di ragioni si esaurisce  lì. 

Da me non ci sono, purtroppo, i mari cristallini del Sud. Le spiagge di Málaga che tanti criticano sono nettamente migliori di tutte quelle che ho accanto nel mio angolo d'Italia. 

In più l'acqua è fresca e subito fonda, proprio come piace a me. Non devi camminare per chilometri perchè ti arrivi ad altezza vita. Nè litigare con i bambini che giocano a palla in una pozza a temperatura pipì.

La gastronomia andalusa - non è un mistero- mi piace da morire. Per un espeto potrei fare la guerra. Il Moscatel lo importerei senza remore.

Non mi manca il cibo italiano, perchè se ne ho bisogno lo trovo a Málaga, e di miglior qualità di quello che posso reperire a Trieste o a Monfalcone. 

Non sto scherzando. 

Il Terra Mia fa la pizza più buona di qualunque pizzeria dell'Isontino. L'osteria da Angelino, vicino alla Cattedrale, propone una cucina romana da leccarsi i baffi. Alla Bacanal lo spritz è ottimo. E ci sono posti in cui i cannoli li importano direttamente dalla Sicilia. 

Se penso alle uniche pietanze veramente locali che in Andalusia non trovo mi vengono in mente tuttalpiù il cotto col kren (aka rafano), la Iuta, la cubana, il frico, la polenta, i cevapcici, la lubianska. Ma onestamente chi le mangerebbe, con quaranta gradi all'ombra? 

A Málaga il caffè buono si trova, se sai dove cercare. E senza le orde di zanzare. I temporali ogni  sera. Le facce incazzate della gente che va sempre di fretta per le strade. A Nord - Est il sole se ne va a dormire presto, e nessuno canta flamenco mentre passeggia davanti alle finestre della sala. 





Gli occhi degli estranei ti evitano invece di fissartisi addosso in un sorriso. Nessuno, dietro allo sportello di una banca - o alla cassa di un supermercato - inizia a chiacchierare con te della tua vita. 

Quando gli altri italiani all'estero mi chiedono di dire qualcosa nel mio dialetto, io fatico un sacco a ricordarmi le parole. In cambio, conosco a perfezione gran parte delle espressioni malagueñe più tradizionali.

É come se fossi completamente disconnessa dal mio passato. Come se fossi priva di radici. 
E, ve lo giuro, mi dispiace da morire. 

Perchè tra questi palazzi da mozzare il fiato e queste vocali troppo aperte; tra la Fincantieri e l'Ursus; tra le raffiche di vento e la statua di Svevo ...qui, alla alla resa dei conti, ci sono le mie origini.

Vorrei poter essere in grado di difenderle, come chiunque altro. 
Di riscoprirle. Di riconoscere il ruolo che devono pur aver avuto in ciò che sono diventata. 

Vorrei con tutta me stessa avere il sorriso che hanno gli italiani all'estero quando s'imbarcano in direzione "casa". Il sorriso che, al contrario, ho io soltanto quando la rotta è a Sud-Ovest.

Così, in queste vacanze, ho deciso di impiantarmi nello sguardo il filtro dei turisti entusiasti.
Di cercare tutto il bello della mia terra, immagazzinarlo, e poi sputarlo fuori. 

Sotto forma di foto. 
Di storie su Instagram. 
Di parole sui social network. 

Voglio provare, per una volta, ad ignorare il resto. 
E vedere se così riuscirò finalmente a sentirmi completa. 














sabato 24 febbraio 2018

Una settimana lunga un anno

Alba e tramonto dai finestrini di un bus. Il cielo che arrossisce per la vergogna della sua stessa perfezione. Lo sa anche lui, di essere inadeguato agli sforzi. Ai colloqui di lavoro negli hotel di lusso, con la parete di vetro vista mare che sembra una bella idea solo fino a quando non ti rendi conto che ci sono venticinque gradi e tu indossi un tailleur. Inadeguato alla discesa troppo ripida per i miei tacchi nel nulla d'alto livello vicino alla stazione di Carvajal. Al tipo in giacca e cravatta che sbraita al telefono su di un marciapiedi di Marbella, mentre i primi turisti - tutti, immancabilmente, inglesi - passeggiano con l'aria ebete e il passo lento di chi non ha alcun piano se non godersi la vita.

Beati loro.

Intanto, il rumore dei cantieri inizia a costruire l'industria dell'estate. Qualcuno alza la serranda per posizionare un manichino sotto al vaso di fiori fucsia appeso al muro. Una vecchina, talmente autoctona da sembrare fuori luogo, arranca affaticata tra le stradine bianche che, in sua presenza, quasi mi vergogno a fotografare. 

Il caffè fuori dagli uffici della Randstad fa veramente pietà. 



E' stata una settimana intensa. Anche un po' strana. Iniziata tra alti e bassi di euforia e di delusione. Chiudersi in bagno per rispondere ad una telefonata. Cambiare gli orari. Poi partire, con la convinzione errata che la tua nuova vita inizi lí, accanto ad uno sconosciuto abbastanza matto da sbafarsi una scatola di Pizza Hut alle otto del mattino.

Vi prego, smettetela di dirmi che con le mie capacità "troverò di sicuro".
Perchè magari non so fare niente, invece.
O, almeno, niente che si addica a quello che cercano qui.

Se solo i soldi crescessero sugli alberi...
Invece ci crescono le arance.  

E arrivano quelli del comune a raccoglierle con una macchina rumorosissima, proprio il mattino successivo a quando hai avuto la bella idea di uscire con le amiche a metà settimana.

Una serata tranquilla, di Mercoledì. Solo che hai esagerato con le birre. E quando alle due passate ti sei accasciata sul letto era complicato spogliarsi del cappotto e della felicità. 

"Noi ti vogliamo bene!", ti hanno detto. E l'hanno fatto con tanta spontaneità che quasi ti sei commossa. 

Poi sei tornata a piedi dal balneario Baños del Carmen, mentre il cielo di nuovo arrossiva. Imbarazzato da tutti questi miei progetti, forse. Da tutto questo futuro a cui non riesco a rinunciare. Dalla meraviglia senza fine di questo paesello travestito da città. 


sabato 4 novembre 2017

Terremoti al pluriball

Disallestire mostre d'arte, questo lavoro ingrato. 
Nessuno ci pensa, quando guarda un quadro, alle persone che poi strisciano sul pavimento nel tentativo di ricostruire scatoloni. Persone che, nella fattispecie, indossano una poco appropriata - ma alquanto boho fashion - gonna lunga in seta con la tendenza ad incastrarsi nella fibbia dei sandali. Un minuto del raccoglimento in solidarietà ai figli degli scultori. 



Torno sul luogo del delitto per la seconda volta in troppo poco tempo. Agganciata alla spalla destra la mia sempre venerata Borsa Ikea contiene le armi di una guerra ancora da combattere. Forbici, nastro adesivo, due fogli, carta, penna, cinque metri di pluriball. Tra parentesi, ammetterete che ci vuole un discreto autocontrollo per trascinarsi dietro tutto quel pluriball senza far scoppiare neanche una pallina. 
Vabbè, dai, una. 
Forse due. 
Ok. Tre. Giuro, non più di tre. 

In ogni caso mi merito un riconoscimento dalla comunità Zen e l'iscrizione ad honorem nell'albo dei massimi esperti di mindfulness a livello mondiale. Auuummm. 

Seconda parentesi: si può sapere con che criterio dispongono le merci nei bazar cinesi? Voglio dire, dopo mezz'ora nel reparto cartoleria/carta da pacchi ho chiesto alla tizia dove fosse il "papel de burbujas" (scusate, bulbúa) e mi ha risposto, come se fosse ovvio: "assieme alla roba da cucina". Ora, spiegatemi che ci deve fare uno con il pluriball in cucina. Imballare gli involtini primavera? Cuocerli per produrre le nuvole di drago? Ho sempre pensato che sapessero di plastica. 

Comunque. Raggiungo un po' ingobbita la galleria per completare la missione imballi, capitolo 2 - The Revenge. 

"Puoi aspettare mezz'ora?", chiede la responsabile. "É che devo chiudere un attimo". 
Ok. Per la verità inizio a sentire i primi morsi della fame, ma ormai faccio parte della comunità zen. Quindi sorrido, dichiaro la mia assoluta e andalusissima assenza di fretta, e vado a sedermi su di una panchina del Muelle Uno. 

Panchina che deve essere peraltro stata collocata davanti ad una piantagione di Marijuana, perchè questo posto sa di Amsterdam, ah ah ah, peace and love, no women no cry, e dopo 5 minuti sono già del tutto rincoglionita. Nel frattempo apprendo anche che c'è stato un terremoto del quarto grado Richter. A Málaga. Che robe. Tutti ne parlano, nessuno l'ha sentito. Un po' come gli zombie, o il Paradiso. 

Per fortuna la signora della galleria non é di qui, quindi dopo trentatré minuti di attesa la porta del magazzino è già stata spalancata per accogliermi. 

É un posto enorme. Un po' buio. Pieno di pellet, tappeti da teatro e oggetti di arredamento di genere vario. 

"Ci metto al massimo quindici minuti", dico ottimista. 

Peccato che non tenga conto delle doti da equilibrista necessarie a pesare pacchi di grandi dimensioni su una bilancia da bagno presa dai cinesi (l'ho trovata nel reparto stufe) e un pavimento coperto di sassi. 

Morale: un'ora dopo sono ancora lì, con tre strati di vestiti in meno, la frangia distrutta e il sudore che gronda da ogni parte del corpo. Praticamente avvolta nel pluriball come un involtino primavera. 

Ho finalmente finito quando, d'improvviso, la luce si spegne. Sul momento penso a un guasto. Poi, sento le voci. 

"EEEEEHHHH ESTOY AQUÍÍ!" - inizio a gridare - "NO CERRÉISSSS!".
Ma, ve l'ho detto, il posto é enorme. 

Dal momento che nessuno accenna a una risposta, prendo d'impulso la borsetta (toglietemi tutto, ma non il mio iPhone) e corro a perdifiato fino all'ingresso. 

Giusto in tempo. Le due donne che stavano per chiudere la porta lanciano un urlo degno dei film horror - ma davvero é messa COSÍ MALE la mia frangia? - poi, riaccendendo la luce, scoppiano a ridere istericamente. "Qué susto! Ci eravamo dimenticate che eri qui". 

E per un attimo ho una visione di me chiusa in un magazzino buio per tutta la notte, senza cibo né acqua, che disegno una faccina sui sassi per farmi compagnia come in Cast Away. Destino avverso. 



Recupero alla bell'e meglio il resto della mia roba. Esco. E, in quel preciso istante, quasi a festeggiare lo scampato pericolo, un tuono apre le cataratte del cielo. 

Immagino non serva dirvi che l'ombrello non me l'ero portato. 








domenica 15 gennaio 2017

Montaggio veloce, musica in crescendo.

Atterraggio effetto ascensore. Tentativo poi riuscito di recuperare un ritardo. "Ma che cos...". Mi riscuoto dal classico coma-da-viaggio giusto il tempo sufficiente a riflettere su di un episodio accaduto in aeroporto. Appunti mentali per un post da scrivere. Forse arriverà, prima o poi. In differita. Aggiornare il blog in tempi brevi oramai sembra diventata un'utopia. Niente applausi sulla pista, grazie al cielo. Sarà che in questo brusco toccar terra non c'era proprio niente da lodare. Nelle cuffie, gli Imagine Dragons cantano che I'm coming home to you. 



Tirare giù il trolley cercando di non ammazzare nessuno. Anche perchè il bimbo con la tosse catarrosa mi sembra che ci stia già pensando da sé. Corsa a perdifiato verso l'ultimo bus della notte. Traguardi trionfali che manco alle Olimpiadi. Ce l'ho fattaaaa, ce l'ho fattaaaa. Scoppiettio del motore, strade semideserte, la disabitudine di avere caldo dentro al piumino invernale. 

Due rampe di scale. Chiave nella toppa. Senso di euforia. Home is where... no. Buio. Luci che non si accendono. Fornelli ad induzione che non inducono. Lavatrici che non lavano. Connessioni che non connettono. Boiler che non boilerano. Keep calm and torcia dell'Iphone. Mezzanotte è troppo tardi per chiamare il padrone di casa? Un momento, i contatori. Foto a mio padre via whatsapp - e poi dicono che la tecnologia non serve. "Tira giù i due in alto" - certo che sono inetta. Sospiro di sollievo. Luce fu. Fu, con la luce, valigia da svuotare, frigo da riattaccare, notti da non dormire per l'ansia di un Lunedì epocale. 

Re-start, coraggio. Con lo strudel di mia madre a colazione ce la posso in qualche modo fare. Documenti da aprire, calendari da redigere, conferenze via skype con wifi ballerino. Mail di Azienda Uno. Mail di Azienda Due. Mail di Azienda Tre. Lavoro, lavoro, lavoro. Contattare il commercialista, bozze di fatture sul divano, Madrid o non Madrid - questo è il problema. Il frigo mi congela le robe. Ansia, terrore e inevitabile fastidio. Le uova, adesso, le dovrò buttare. I biglietti del concerto in Arena. Gli organizzatori al telefono da Milano. Le risposte in digitale. Coordinarsi con mio zio. Devo andare in posta, magari domani. 

Scrivere articoli. Scrivere comunicati stampa. Postare in real time da posti in cui non sei. Poi le lavatrici. Poi stendere. Poi ti scordi l'olio, il dentifricio, lo zucchero da comprare. Oh no, ca**o, la posta! Un tasto non premuto, il frigo che riprende a funzionare. Il ritorno in un bzzz della mia felicità.

Poi drogarsi di patatine col bacon. Voglia incontenibile di pasta con la panna. La app dice che è per l'ovulazione. La lattina dei piselli che rimane sigillata. Portare giù la spazzatura. Ultime due slide di un report su keynote - ore 23.00, un tinto de verano. Domani vado in posta, giuro, vado. Cercare di organizzare la festa di compleanno. Per la nuova casa, dice il tizio, meglio se mi riscrivi ad Aprile. 

E ritorno a Flamenco. E non ricordo un'acca. Però l'accoglienza, calorosa così, mica me l'aspettavo. "Eh' que tengo un cacao". Il compleanno della maestra. "Sorpresaaaa". Semifreddo per tutti, tipo tiramisù. "Qualcuno fa il bis?". Ma dammene anche un kilo, capo. App, se hai ragione tu meglio che io non resti mai incinta: a questo punto, credo che diventerei cannibale. Coreografia nuova. "Trianaaaa". Non ci credo. Devo scrivere alle ragazze del mio vecchio corso. Nella testa, mi compare chiaramente una versione triestina del testo. "Ciò che boni i gamberoni, Mari Loli, se i xe boni!". Planta, tacón, rido da sola. In posta non ci sono ancora andata. 




C'era un tramonto bellissimo, però, e un pochino ho respirato. La Luna piena, luminosa e gigantesca, sembrava guardare meravigliata lo skyline ancora non illuminato di Málaga. Il cielo rosso attorno a lei, sopra le palme di Huelin, mi mandava in estasi di bellezza, troppa bellezza, tanta che gli occhi quasi facevano male. 





Tornare a casa, soddisfatta, coi capelli malconci per l'umidità. Stufetta micro. Controllare che il frigorifero funzioni ancora. Per poco non verso il vino nell'insalata. La posta, Diooooooo. Che mal di testa. Gruppi di Whatsapp. Azienda uno, azienda tre. Lavoro, lavoro, lavoro. 

Finchè, ad un certo punto, il weekend mi è calato addosso come un lieto fine. Ho dormito fino a mezzogiorno, tirato a lucido la casa sulle note di Robbie Williams. Costruito un cuscino comodissimo con una federa non usata e un vecchio copriletto piegato. Mi sono fatta una doccia bollente di almeno mezz'ora. Sul telefono, a parte "andare in posta", di promemoria non ce n'erano più.

Il weekend mi ha portata in centro, per la prima volta da una settimana, a bordo di un bus su cui -non si capisce come-  si concentra sempre tutto il meglio del barbuto e occhio-azzurrato universo maschile. Rivedere i volti che popolano questa mia dimensione di mondo, passare da un bar all'altro nel consueto panta rei di adesioni last minute, ballare finchè gli occhi non si chiudono ....ecco, tutto questo è stato molto più di un compleanno ritardato. Tutto questo, per me, è stato come tornare alla vita.

Una vita che qui vivo a ritmo raddoppiato. Una vita che una settimana vale più di un anno. Una vita in cui i taxisti non capiscono che alle quattro e mezza del mattino non avresti voglia di fare conversazione. Una vita che però sono gentili, e ti consigliano di andare a vedere Comares, e chissà come te ne ricordi il giorno dopo nonostante il sonno, un gin lemon e tre chupitos. Una vita che ancora ti chiedi come ti sei trovata a parlare di gnomi e di draghi con uno psichiatra che voleva fare il mannequin challenge, e perchè arrivi alla Casa de Guardia sempre quando ha appena chiuso, e poi chi era quel tizio che ogni tanto compariva dal nulla parlando in inglese? Una vita che ci ripensi e ridi. Che fai i bilanci e non ci credi. Una vita che chissà se la prossima settimana andrò veramente in posta? Una vita che mangi fragole e Nutella, passeggi per il lungomare di Playa della Misericordia e scopri che accidenti, ami da morire.

Bentornata a me, che sono di nuovo a Málaga. 
Come canta Robbie, "finally where I wanna be".