mercoledì 20 novembre 2013

Ci volevano i Paesi Baschi! [Parte I]

In Spagna non si dorme. E' un dato di fatto. Anche se questa, in effetti, qualcuno direbbe che Spagna non è. Non ci somiglia neanche, parliamoci chiaro. Si capisce già a guardarla dal finestrino del boeing. La fila di asterischi delle pale eoliche solca questa volta ampie distese verdi. Niente più color ocra, niente linee picassiane. Soltanto alberi. E alture. E nubi. Atterraggio rapido, quasi impercettibile, in un mondo tutto nuovo. Nessuno applaude, c'erano pochi italiani sull'aereo. “Hasta luego” all'hostess d'origine russa; poi via, verso l'inizio di qualcosa.

Sto per  incontrare scritte fatte di X e K. Architetture d'angoli decisi. Climi schizofrenici d'ignoto. Eppure, chissà come, sono già certa che mi piacerà.



Ma il problema, quando non dormi, è che un weekend si trasforma in una macro-giornata. 72 ore, pochi stacchi, zero pubblicità. La vivi come dentro un sogno, con le date che sfuggono a una collocazione. I dettagli si mischiano dentro alla testa, sfocando un po' tutti i confini. E tu non sei certa di saperlo raccontare. Lo ammetto: forse è anche un po' per questo che ci ho messo tanto a produrre i resoconti.

Ancor oggi non so bene da cosa cominciare. Forse dal fatto che Bilbao, col senno di poi, è stata davvero la scelta migliore. Certo, magari assistere alla prima data del tour mi avrebbe garantito un maggior tasso di sorprese. Non avrei saputo quale canzone apre lo show, né quale la chiude. Tantomeno avrei scoperto inutile l'esercizio di evitare i video di youtube. “State zitti, cavolo, non volevo sapere!”. Però, se ti devi riconciliare con il tuo passato, evitarne i lati negativi è senza dubbio la scelta migliore. Per lo meno, è quella di cui avevo bisogno io. 
Non sarebbe potuto accadere da nessun'altra parte, lo so bene. Non a Cáceres, di certo non a Madrid. Soltanto sotto quelle nubi avrei potuto trovare il senso di casa che andavo cercando. Nella gentilezza della gente. Nell'organizzazione impeccabile della fila. Sotto il tetto rosso di quella tenda Quechua dove – sgravati dalla compresenza di capi di assurde fazioni opposte – tutto sembrava davvero come prima. 


Ho riscoperto il motivo di una passione, questo é. Ho capito perchè, malgrado tutto e tutti, non posso né voglio ancora rinunciare a seguire Dani Martín. Credo sia successo prima ancora che le luci si abbassassero. Le spalle appoggiate a una transenna, il volume della playlist che suona prima del concerto che d'improvviso si alza sul mio sorriso. “Dicono di me”, la riconosco subito. Mi tornano in mente Daniela e Stefania, l'autobus per Mijas, gli strani cocktail rossi della sera prima. E poi mi guardo intorno, un po' compiaciuta e un po' infastidita: al solito, la gente sembra indifferente a questo piccolo miracolo. Se ne stanno tutti lí, a chiacchierare tra loro, finalmente rilassati. Qualcuno mangia un panino, qualcun altro si scatta qualche foto. E non sanno niente del mio ruolo in quel legame. In quella scelta. Ignorano i cd che ho regalato, i messaggi che ho mandato, e Cremonini che mi chiede come si scriva “Al mio grande maestro” in spagnolo. Ho ancora una parte in tutto questo. Lui sa, io so. “A ver si lo consigues”. E tanto basta per rendermi conto che, comunque vadano le cose, di me si ricorderá ascoltando una canzone. Mi rendo conto che sembra assurdo, ma per me é una specie di messaggio criptato. Finché la voce di Cesare mi canterá dagli altoparlanti prima dei concerti di Dani, in qualche modo sapró di essere la benvenuta. Di essere – l'ho giá detto – a casa.




E alla fine non ho pianto, sulle note di Caminar. A dirla tutta sarebbe stato un po' difficile, vista la trasformazione in stile Jackill/Hide dell'amorevole ragazzina al mio fianco. Con l'apparizione dell'ormai ribattezzato Mr. Ciuffo raggiunge livelli di isterismo preoccupanti. Schivo per un pelo due gomitate, tre pugni in faccia e la sorditá-da-urletto. Ma non riesco ad evitare il sorriso dal palco quando lui, quasi subito, mi vede. 


Sará il primo di una lunga serie. Il colpo sul petto dopo aver indicato Céline e me in “qué caro es el tiempo”, la strizzata d'occhio sulla fine di Estrella del Rock; e ancora Eres Tonto, Cero,  il “perdón si no te supe amar” di Mi Lamento, che mi dá il colpo di grazia formato brividi. Ecco, lí si che ho rischiato di piangere davvero. E avrei voluto urlare che sono un'idiota. Che i social network e la distanza mi fanno dimenticare troppo spesso tutte queste attenzioni. Non dovrei permetterlo, accidenti! E' cosí difficile mandare in loop i ricordi, invece delle chiacchiere sterili? Tenersi le proprie certezze, anziché lasciarsi condizionare?




Potrei farne un proposito per l'anno nuovo, a conti fatti. Di quelli che poi mi impegno – foss'anche senza successo – a rispettare. Intanto, peró, il concerto é per nostalgici de El Canto del Loco. I brani della band superano in quantitá quelli dell'ultimo album, anche a discapito di qualche canzone che avrei davvero voluto ascoltare. Pazienza. E' la mia storia raccontata in poco piú di due ore, tra trovate sceniche come i maxi palloncini colorati lanciati tra la gente, e siparietti teatrali in piena regola ad anticipare “Por las Venas”.  E' una festa, soprattutto. Un party organizzato da 12 musicisti che sul palco trasudano in risate tutto il loro affiatamento. Buon umore, di quelli contagiosi. Di quelli che il ritmo sostenuto di buona parte della scaletta ti induce a improvvisare coreografie sceme. A ridere da sola, magari. Non che sia una novitá. Di quelli che avresti sete, ma le hit si susseguono con tanta rapiditá da non lasciarti fiato, tempo, voglia di distrarti facendo qualsiasi altra cosa. 

E poi finisce tutto, d'improvviso. Dani scende tra la gente. Stringe mani. Mi costringe all'asfissia sulla spinta della marea ormonale alle mie spalle. Vedo il terrore nel suo volto, quando Hide, al mio fianco, gli afferra la testa con due mani come fosse un giocattolo. Ché, a quanto pare, ci sono cose che non cambiano. Come la scia del suo profumo inconfondibile che, se ne evince, usa ancora a litri. 

C'é chi diceva, sotto al tetto di quella tenda rossa, che al termine di un concerto di questo tour ci si sente "come dopo tre orgasmi di fila". Non mi azzarderei a paragoni simili. Di sicuro, peró, adesso non mi pento di aver prenotato un volo per Barcellona.Sono tornata, come la depressione post-concerto e la gratitudine che m'illumina gli occhi. 
Sono tornata, al culmine di un anno strano. Oppure, forse, non sono mai davvero andata via.[To be continued]

1 commento:

  1. secondo me',checchè tu ne dica,non sei mai andata via!:-)
    aspettando il continued.....GRAZIE!
    sempre ottimi i tuoi post!
    besitos
    kit

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