Viviamo tempi strani, e lo facciamo a colpi di hashtag.
Ho seguito l'attentato di Barcellona sui social. Poi ci ho scritto sù questo articolo per Total Free Magazine. Riflessione, quadro della situazione, sproloquio: chiamatelo come volete, ma se riuscirà a far riflettere anche una sola persona, anche solo per un secondo, allora potrò dirmi felice.
Buona lettura.
Un'immagine dal video tributo "Imagine Barcelona" che potete vedere qui: https://vimeo.com/230307397 |
“In Plaza Catalunya si sente il rumore dei grilli”- scrive Aitor Álvarez García - “Non avevo mai sentito i grilli a Barcellona”. Alle quattro del mattino del 18 Agosto, su Twitter, ci sono rimasti solo i catalani. É una notte lunga, fatta di sirene e di silenzi surreali. Impossibile dormire.
Chi fino a ieri era alla ribalta delle cronache per gli episodi di turismofobia, adesso apre le porte di casa a quegli stessi turisti spaventati (#BedInBarcelona). Perchè non è facile essere la città di tutti. Si diventa un obiettivo anche per questo. Eppure è proprio della sua identità condivisa, multiculturale, eterna, che Barcellona adesso si riscopre fiera.
Non hanno colpito una città. Non hanno colpito una Regione né - a voler accontentare gli indipendentisti - tantomeno uno Stato. Quei terroristi ragazzini (elenchi macabri di nazionalità sulle timeline) sono riusciti nel tragico intento di attaccare il mondo intero in una strada. É per questo che ci fa così male.
E la sensazione, in questa strana notte del 18 Agosto, è quella di essere davvero tutti uniti in un abbraccio. I social network, adesso, sono un mezzo per ridurre le distanze. Agevolano i contatti (“se dovete avvisare che state bene non usate i telefoni ma il web”, chiedevano le forze dell’ordine nel tentativo di non intasare le linee). Informano di servizi straordinari quali taxi o vetture di Cabify gratis. Permettono di offrire aiuto a chi ne ha la necessità. I social network, soprattutto, sono il posto in cui andare per cercare conforto quando senti i grilli in una piazza che avevi imparato a conoscere avvolta dal rumore. E non capisci cosa succede. E ti senti solo. E ti viene da piangere. Perchè credevi che, nella città di tutti, saresti stato al sicuro.
Quella che si riversa su Twitter la notte del 18 Agosto è una città che si lecca le ferite, lacerata e accomunata da un dolore solidale. Ringrazia i Mossos (la polizia locale), impeccabili nella gestione dei loro account come lo sono stati nelle strade. Si prepara a riversarsi negli ospedali per donare il sangue. Nelle piazze a urlare che non ha paura (#NoTincPor).
Solo che poi i giorni passano. E un giorno, sulla Rete, equivale a un secolo intero.
Se qualcosa ci ha dimostrato il terrorismo è che niente di tutto quello che abbiamo imparato sui banchi di scuola vale più. La comunicazione. Il giornalismo. Il modo stesso che abbiamo di vivere. E stiamo tutti procedendo a tentoni in un universo in continua evoluzione, che possiamo imparare a conoscere solo sul campo, senza arrivare mai a conoscerlo davvero.
La Spagna, adesso, sta tornando lentamente alla normalità. Sempre che si possano considerare normali l’applauso struggente di chi torna a camminare sulla Rambla; L’ammasso di fiori; I vasi disposti in fretta e furia a chiudere il perimetro della Puerta del Sol di Madrid. Sempre che ci si riesca ad abituare al brivido sottile di quando noti le auto della polizia, disposte discretamente a bloccare gli accessi alle zone più trafficate, mentre ti stai divertendo alla Feria di Málaga.
Ma è l’anno 2017: “Normalità” rischia di essere la sola definizione che possiamo abituarci a dare al “dopo”.
E “dopo”, sui social network, c’è solo l’aberrante constatazione della morte dell’umanità. Perchè, in questo terreno minato, retweet e follower valgono di più della compassione. Abbiamo bisogno che le autorità ricordino in tutti i modi di non condividere le localizzazioni della polizia per non interferire con le operazioni. Abbiamo bisogno di twittare gattini abbinati ad un hashtag per coprire come possiamo le foto e i video delle vittime. Perchè quando qualcuno ti muore di fianco, a quanto pare, non lo tieni per mano: lo filmi e lo metti sul web.
I rappresentanti italiani della stampa - ne ho letti tanti, troppi - hanno usato il motore di ricerca di Twitter per individuare gli italiani presenti a Barcellona. E poi li hanno prontamente contattati, con frenesie da stenografi e spirito da avvoltoi sulla carcassa - “ti lascio il mio numero, lavoro per la televisione, posso chiamarti?” . I colleghi spagnoli, dal canto loro, hanno pubblicato ogni sorta di notizia falsa, salvo rettificare quando si scopriva tale. Perchè in questo universo essere i primi e diventare virali vale molto di più che verificare le fonti.
Così è successo che un bambino australiano disperso sia stato ritrovato, poi disperso di nuovo, poi mai cercato, poi morto nell’attentato. Il tutto in poco più di 24 ore.
E mentre le testate più insospettabili cercano lo scoop a suon di sangue e innocenti distesi al suolo la vera resistenza è quella dell’edicolante che, rifiutandosi di esporre tutti i quotidiani con immagini esplicite in prima pagina, fotografa lo scaffale miseramente vuoto. Che diventa virale (naturalmente!) in quanto simbolo di una moralità che non c’è più.
Quello che resta “dopo”, è la delusione nello scoprire che il tweet che voleva infondere sentimenti anti-razzisti è stato vittima dei bot. “Mia madre si trovava a due strade di distanza dalla Rambla” , scriveva Mertxe Pasamontes, “un taxista marocchino l’ha portata a casa gratis e le ha detto che non sono tutti uguali”. Bella storia. Non fosse che una rapida ricerca ha fatto in fretta a mostrare come lo stesso tweet fosse stato scritto da decine e decine di utenti diversi. L’autrice dell’originale sostiene che la vicenda che ha raccontato sia vera, ma è difficile dimostrarlo, e in ogni caso è diventata spunto per qualche programmatore annoiato e l’inevitabile sarcasmo amaro. L’hashtag #UnTaxistaMarroquí è stato Trending Topic per una giornata intera.
E poi ci sono le polemiche. Quelle degli italiani che si indignano con chi condivide le sue foto delle vacanze del 2003 a Barcellona, senza capire che la ripetizione della critica rientra esattamente nella stessa logica del “dover dire qualcosa a tutti i costi” che vogliono condannare. E quelle degli spagnoli, che si scatenano contro i Mossos perchè twittano in catalano senza nemmeno prendersi la briga di entrare nell’account e notare che in realtà l’hanno fatto in tre lingue diverse.
C’è l’odio da tastiera, cieco e sterile, di chi arriva a dire che “gli è stato bene”. Perchè dopo essere stata “la città di tutti”, Barcellona torna ad essere la città dei catalani. Quelli che “Non siamo Spagna”. Quelli che se ne vogliono andare. E allora ecco che, a una conferenza stampa, un giornalista abbandona la stanza dopo che Josep Lluís Trapero dei Mossos d’Esquadra risponde a una domanda in catalano anzichè in castigliano. “Bueno Pues Molt Bé Pues Adiós” é la reazione bilingue all’accaduto. Che manco a dirlo diventa un hashtag. Trending Topic, di nuovo. Pretesto perfetto per acuire le divisioni in una frase che di fatto le unisce.
E a me dispiace, Spagna adorata, vederti in queste circostanze così simile al mio Paese natio. Perchè in momenti come questi dovresti farti ancora più forte nelle tue differenze, non distrarti nelle scaramucce inutili di politica, lingue e incomprensioni.
Perchè, mentre scrollo Twitter in pausa pranzo, mi capita davanti il primo piano con troppi retweet del volto insanguinato del terrorista morto. La didascalia alla foto dice qualcosa come “Chiedevano di non condividere le foto dei morti per rispetto alle vittime. Questa la condivido per le vittime”.
E penso, con rabbia, che dobbiamo fare tutti un grandissimo respiro.
Mi ricordo di quella notte. Dei #BedInBarcelona. Dei grilli.
Possiamo usare la Rete molto, molto meglio di così.
Postilla
Dopo la pubblicazione di questo post, ieri, la Spagna del web ha di fatto accantonato le divergenze per ri-unirsi nel più imprevedibile dei modi: a suon di ironia. L'Isis ha direttamente minacciato il Paese tramite un video in cui, tra le altre cose, annunciava di voler riconquistare Al Andalus. Il diretto responsabile della minaccia è risultato essere il figlio di una donna nata a Málaga emigrata in Siria che risponde all'improbabile nome di Tomasa.
Anziché reagire con paura, gli spagnoli hanno letteralmente inondato Twitter di meme. Verne, nel raccoglierli, ha fatto un'interessante analisi del fenomeno. Ed io ho riscoperto, una volta di più, l'amore per questa splendida - e bizzarra - Nazione.
Nessun commento:
Posta un commento