domenica 17 febbraio 2013

Ancora (e poi basta) su Sanremo.


In realtà c'entrano poco, le canzoni. Dirlo suona triste. In parte contraddice le stesse priorità che appena l'altro giorno chiedevo di fissare. La coerenza perdoni l'oltraggio: è solo che mentire a se stessi a me non sembra mai una buona idea.

Sanremo è una bolla, è questo il punto. Un mondo parallelo. La realtà virtuale che, se non integralmente, riesce comunque ad assorbire buona parte di me. E' così che lo vivo. Sulla pelle, come tutto. Come il cambio di abitudini e di orari che, una sola volta all'anno, mi impone il prime time. Il Festival è l'argomento di cui tutti parlano. Il tema di conversazione comune che, per una settimana, fa di una Nazione una sola famiglia. I problemi ed i bisticci chiusi dentro ad un cassetto. In un'altra stanza. Lontano da quest'unico divano comodissimo su cui, a conti fatti, tutti noi sediamo. E' la strana tradizione da lustrini e melodramma che, ad uno straniero, non sapremo mai spiegare. D'altro canto, io faccio fatica a spiegarlo pure a voi. Fatico a chiarirlo, anzi, finanche dentro me. Insomma, qual è la ragione per cui, se posso, non me ne perdo mai un'edizione? Perchè,al di là della brillante o penosa riuscita, finisce col piacermi in ogni caso?



Ci ho riflettuto. E forse c'entra il fatto che, per una settimana all'anno, io riesca a riconciliarmi con la mia italianità. Che è l'unica occasione, questa, in cui mi sento calata nel contesto. Dividersi tra due Paesi, in fondo, è un po' una sottocategoria della bipolarità. Implica un retrogusto costante di non appartenenza. Una continua parzialità di fuori luogo. E con Sanremo...beh, con Sanremo sparisce. Così, di botto, come una magia. La magia che, in questa strana urgenza di tifare, mi porta sempre ad invaghirmi di una qualche nuova realtà. E non importa che sia una passione nata ex novo o, come in questo caso, il mero rafforzarsi di una che era già in corso. Mi era successo già con Renga, tra parentesi. Non era neanche poi moltissimi anni fa. No, il punto è che poi mi vien voglia di varcare il limite esterno. Di entrare nel primo cerchio, per così dire. Chè voi non lo sapete, ma ho tutta una mia teoria sociologica sul mondo groupie. Ricorda un po' i gironi danteschi, e non smette mai di darmi ragione. Magari prima o poi ve l'illustro, assieme all'Infografica a cui già accennavo. E, insomma, niente. C'è la novità. L'euforia. L'eclissarsi momentaneo del mondo reale.

Fino a che, prima o poi, il sipario cala.

Ebbene sì, signori, Sanremo si è chiuso. La bolla è scoppiata. Prima che me ne accorga, tutto è già tornato come prima. I dibattiti politici. I biglietti d'auguri. La routine del penultimo cerchio, dove tutti sparlano di tutti e il gossip resta il pane quotidiano. Dove di amici veri ne puoi trovare pochi, e la musica – ahimè- a quanto pare importa sempre meno. Ad aspettarmi al varco, adesso, c'è una settimana tutta intrisa di post it. Dalla disperazione, quasi quasi guardo pure Domenica In. O magari mi stordisco di video de Il Cile, tanto per darmi l'illusione che , in quella realtà virtuale, un po' ci sono ancora. D'altronde uno che chiama i fan ciloski non può che starmi simpatico di per sé.

Forse, però, non ne vale la pena. Forse, la vita vera, è meglio tornare ad affrontarla subito. Tanto domani è Lunedì, sarebbe in ogni caso dovuto accadere.

Prima, però, vi voglio dire del verdetto. Perchè mi ha soddisfatta pure quello, a ben vedere. E l'ha fatto in tutte le categorie. Oddio, gli exit poll di casa mia davano esito diverso. Gazzè vincente tra i big, Malika Ayane seconda. Ma anche così, per una volta sono in tutto e per tutto d'accordo con la giuria. Perchè Mengoni è bravo, poche ciance. Perchè Il Cile, i migliori testi, ce li ha davvero. E non lo dico perchè sono di parte (tra l'altro,sottolineerei che ha vinto anche il premio Assomusica per la miglior esibizione).


Il Cile é stato premiato da Veloso. Cioé, un brasiliano che premia il Cile, capite? America Latina Unita.


Perchè se non avessero dato un premio della critica a Rubino mi sarei seriamente incazzata. Perchè il brano di Maggio mi mette di buon umore. Perchè, a chi dirà che Elio meritava di più, sarò ben lieta di controbattere il no. Sono dei virtuosi, certo. Hanno avuto un'idea geniale e innovativa, altrettanto certo. In quanto a tecnica, probabilmente, non li batte nessuno. Eppure, per come la vedo io, la loro “canzone mononota” non è un brano che mi metterei ad ascoltare in loop sull'ipod. Né uno che canticchierei per strada. Se Sanremo è il festival della canzone, allora, era giusto che vincesse un prodotto radiofonicamente in grado di chiamarsi tale. Il riconoscimento a tecnica ed idea, d'altronde, agli Eelst è arrivato in ogni caso.



E, tra l'accento madrileno del corvo di Rockefeller e Quizás, quizás, quizás cantata da Bocelli, anche qualche italospagnolismo, alla fin fine, c'é stato.


Cliccate per godervi i video, intanto che io mi riconcilio con la mia esistenza bipolare.


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