martedì 26 maggio 2015

El Pescao. La Riviera. Madrid.

"Una lenta. Ti prego, fanne una lenta" 


Agonizzo la richiesta nella mente, la canotta a righe ormai impregnata di sudore. E penso che, in fondo, il concerto si riassuma anche così. 

Me lo ricordo, David Otero, nei suoi primi live come solista. Un po' intimidito, fermo in mezzo al palco, ancora alla ricerca - forse - di una più completa identità. Difficile crederlo, adesso, lo stesso showman che ha preso in pugno il pubblico della Sala Riviera. Palco mitico. Agognato. Emozionante. Scenario ora stracolmo di anime saltellanti con addosso facce di età e sesso variegati. Sono lontane anni luce dalle bimbeminkia dei guapoooo troppo striduli. Dai pennarelli squagliati sulla fronte. Dalle botte e dalle invidie nelle file eterne sedute sui marciapiedi. E' una folla bella, colorata, che mi rispecchia e rappresento nel sentirmi a mio agio. Una folla che, con El Canto del Loco, non pare avere più nulla a che vedere.



Ed è sua. Completamente sua. Di quel ragazzo con la chitarra colorata che ha saputo conquistarla sin dal primo accordo di Delay. E adesso salta da un angolo all'altro dal palco, ci interagisce, spazia senza paura da un genere musicale all'altro. Lui che fa gli onori di casa con gli ospiti e riesce a ballare senza portarsi addosso alcuna traccia di ridicolo, deciso e sicuro di sè come il più navigato dei frontman.



Mi rende orgogliosa, constatarlo. Io che ho sempre creduto nell'evoluzione costante come unica possibilità per un futuro vero e duraturo nelle professioni creative. David Otero, El Pescao, ha lottato, migliorato e scommesso giorno dopo giorno. Ha lasciato una casa discografica importante e tutte le certezze che ne derivavano. Ha preso lezioni di canto. Ha viaggiato. Si è confrontato con nuove realtà osando idee sempre nuove. E, poco a poco, è passato dalle poche anime dei paesini sperduti di provincia ai sold out della Joy e del Messico, per arrivare oggi in una delle sale più emblematiche della capitale spagnola, in una profusione di energia lunga due ore. Così tanta da farmi implorare una pausa. Da credere che forse non ce la posso fare. E invece sì. Certo che sì. Se ti diverti ce la puoi sempre fare.





Qui, alla Sala Riviera, David Otero aveva pianto sul palco in occasione di uno dei primi concerti veramente importanti del Canto del Loco. Ora ci torna da solista, dopo quella che a occhio e croce ipotizzo essere più di una decina di anni. E io lo vedo, dalla prima fila, lo vedo distintamente che succede di nuovo. Almeno due volte. Nei ringraziamenti. Nei ricordi. Nelle parti più emotive. 

In tanti gli hanno chiesto, sui social network, perchè dicesse che considera questo "il concerto più importante della sua vita". Lui che ha suonato davanti a un Calderón Sold Out, che ha fatto la storia riempiendo Las Ventas per tre giorni di fila. La veritá é che a me non sembra tanto difficile da capire. É un ritorno, epocale come tutti i ritorni sanno essere. Un ritorno da vincitore, oltretutto. La dimostrazione che ce la fa, e ce la fa eccome, anche senza il supporto di una band da classifica.


Per questo sono fiera di essere stata alla Riviera. Ed é questo che, soprattutto, ricorderó. Piú ancora dell'umiltà di un ragazzo con la chitarra che, appena sceso dal palco, è rimasto lo stesso di tanti anni fa. E si ferma a chiacchierare con tutti, fino che l'ultima persona non se n'è andata. Anche se gli amici lo aspettano altrove. Anche se l'una di notte è passata da un po'. E a Madrid fa freddo, tanto freddo, nelle sere ventose di maggio sulla riva di un fiume. 

David è la persona comune con cui, per qualche bizzarro motivo, non riesci a sentirti in imbarazzo neanche se lo vuoi. E ti chiede consigli sulla musica da ascoltare. Opinioni sul concerto. Parla di figli, di musica, di aneddoti di vita professionale e quotidiana in conversazioni che scorrono lisce come quelle con i conoscenti di una vita. Con la differenza che poi sale sul palco, e quando se ne va hai messo sù il più radioso dei sorrisi. 


Sono ancora più fan de El Pescao, al ritorno da una Madrid che dopo un anno mi ha ri-accolta come se non l'avessi mai lasciata. E quasi piangevo, quando la sua luce peculiare e indescrivibile mi ha avvolta oltre i finestrini dell'aereo. Possibile che l'avessi dimenticata? Possibile che fossi riuscita a vivere senza di lei?

Ché Madrid è una di quelle città in cui riesci a muoverti anche senza cartina, spinta soltanto dai ricordi e dall'amore. Una di quelle a cui hai legato così tanti ricordi che ti sembra che ogni strada racconti una storia. Una di quelle che - come ogni relazione seria - vorresti presentare ai tuoi. E quando te ne vai hai sempre qualcosa che non sei riuscito a fare. Un motivo per tornare. Un viaggio nuovo da pianificare al più presto. 

Ecco. Oggi in quella città c'è un capitolo in più. Uno in cui David Otero mi insegna che la depressione post concerto può curarsi solo con un altro concerto. Soprattutto se attorno ad esso ci muovi incontri e persone. Volti visti in foto che diventano 3D. Facce cambiate dal tempo trascorso dall'ultimo "ciao". E assieme ad essi una marea di progetti e di canzoni nuove.


Stravolta dai ricordi e dal troppo sonno arretrato, anche per questo sono grata alla Spagna che più amo. 



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