L'amore tra Málaga e Antonio Banderas non lo puoi spiegare se non ci vivi in mezzo. É un legame a filo doppio, solido e discreto come possono esserlo soltanto i più longevi. Lo percepisci tra le pietre del Teatro Romano, quando cade la sera tra il borbottio del Pimpi e i neon delle terrazze chic. S'infrange con le onde, senza troppo drammatismo, sul Paseo Marítimo che ne porta il nome. Quel legame si magnifica nell'orgoglioso rispetto di un posto in cui tutti sanno dove vive, eppure nessuno va mai ad importunarlo sotto casa sua. Ché poi sarebbe bello non doversene stupire.
Dal 2009 Antonio Banderas per me è in un certo senso un pezzo di città. Ricordo quando passavo per caso davanti al Teatro Cervantes, troppo bassa per scrutare tra la folla, troppo stordita per decifrare le sillabe che andavano a comporre un'ovazione. Oltre quel muro di gente - mi avevano detto - c'era lui. Zorro. El Gato con Botas. L'andaluso forse più internazionale al mondo. Quel giorno, chissiricorda perchè, ho iniziato a chiamarlo Tony. E in un nomignolo d'inconsapevole umanità smetteva di essere un attore per diventare uno qualunque. Abbandonava i panni del vecchio sex symbol per vestire quelli di uno che, semplicemente, mi stava simpatico. Forse in quel momento sono diventata parte di Málaga. Della sua essenza, del suo anti-divismo, del suo essere sempre cosí colloquiale.
Otto anni dopo, aspettarlo davanti a quello stesso teatro mi è sembrato quasi un doveroso atto di passaggio. Come se dovessi dimostrare alla città che sono di nuovo qui, a chiudere un ciclo, qui dove avevo siglato un patto con me stessa nei giorni in cui il mio primo Festival del Cinema la faceva esplodere di bellezza e luce. Erano i giorni in cui (me ne rendo conto solo ora) capivo per la prima volta di non voler tornare.
Probabilmente avevo bisogno di veder esplodere quell'amore nel grido della folla. "Antonio, Antonio!" - mille voci in una sola - quando l'ultima auto con i vetri oscurati lo consegnava agli abbracci, agli applausi, alle strette di mano. E lui scherzava, chiacchierava, gesticolava senza sosta, con l'invidiabile talento di chi sembra essere impermeabile ad ogni aura di divismo o imposizione di celebrità.
Succedeva al termine di un pomeriggio interessante. Un gruppo di signore variopinte seguiva la scena dal balcone del terrazzo della casa che lo scorso Settembre credevo potesse diventare la mia. Succedeva dopo essermi interrogata sull'essenza reale o statuaria di un corvo fermo da troppo in posizioni scomode. Dopo aver riso come una pazza per i commenti delle pettegole attempate davanti a me - ché "tengo una amiga que es CENAFILA de ésas y se ve todas las pelis", e "qué culo más feo tiene Mónica Cruz"; ché avrei fatto un live tweeting più completo dei loro commenti se non fossi stata troppo pressata dalla folla per riuscire a maneggiare il cellulare. Succedeva prima di finire mio malgrado sullo sfondo dello Snapchat di una tipa francese che si faceva un video con le orecchie da coniglio rosa. Prima che andarsene da lì diventasse un'impresa epica.
E con quella barba Antonio Banderas mi sembrava un po' Babbo Natale. Quando mi ha salutata, assieme (ovvio!) a tutto il mio tratto di folla, è stato come se il ciclo si fosse concluso. Toh, Tony, siamo di nuovo tutti e due qui.
Quest'anno, al festival del cinema, gli hanno consegnato un premio onorario. E credo di aver consumato tutti i cuori messi a disposizione da Periscope quando ho seguito la diretta del discorso con cui l'ha ricevuto. Un discorso che ho voluto tradurre qui sotto, perchè possiate condividere - seppur in minima parte - i brividi, i sorrisi e l'emozione che ha messo addosso a me.
Perciò, Banderas, l'unica cosa che ti chiedo è questa: smettila una buona volta di parlare con le galline. Uno che racchiude flamenco, Odissea e Málaga in un unico contesto non si merita di essere associato a Rosita e a quelle stramaledette merendine.
Guardate tutto il video, che ne vale la pena.
<< Non mi sono preparato nulla perchè in genere mi piace scrivere le cose da dire in questo tipo di atti, ma mi sembrava che rivolgendomi ai miei compaesani sarebbe parso un po' freddo mettersi qui davanti un foglio e leggere; quindi improvviserò un po'.
Alcune delle cose che dirò qui le ho probabilmente già dette questa mattina alla conferenza stampa. Avevo letto ultimamente che il festival di Málaga era in debito con me e che con questo premio voleva saldare quel debito e non è vero. Non è vero perchè il festival di Málaga a me non deve proprio niente. Tutto quello che ha ottenuto se l'è guadagnato in 20 anni grazie ai diversi direttori del festival che si sono succeduti, alla la gente che ci ha lavorato, ai tecnici: tutti loro hanno lavorato un sacco e lo so bene.
Io volevo scusarmi in qualche modo perchè ho assistito in due o tre occasioni, e non siamo riusciti ad inserire nel contesto del Festival film come el Camino de Los Ingleses o Crazy in Alabama, i miei due lavori come regista. La gente mi diceva sempre: "Lei viene alla Semana Santa e non viene al Festival", ma il punto é che durante la Semana Santa è festa in tutto il mondo e quindi mi lasciavano allontanarmi dalle riprese. In altre circostanze mi dicevano "No, non è più festa adesso, deve restare qui".
Questo premio deve servire per consolidare un rapporto. Deve servire a far sì che io prenda un impegno con questo festival, che mi "usino" di più, che io possa essere più utile e diventare davvero un anfitrione del festival di Málaga. Oltretutto io mi congratulo per il fatto che quest'anno si sia finalmente aperto in modo chiaro non solo al cinema spagnolo ma al cinema IN spagnolo: questo ha un significato molto importante, internazionalizza il festival e apre la porta a un mondo che è mi é stato molto vicino in tutta la mia carriera, sia nel periodo che ho passato negli Stati Uniti sia dopo, in diversi Paesi come Cile, Argentina, Colombia, Messico, Venezuela, dove ho girato film e avuto l'occasione di lavorare a contatto con il talento di queste Nazioni che è enorme e invidiabile. La possibilità di portarlo ogni anno qui è fantastica e credo sia stata una mossa azzeccata da parte della direzione del festival.
Tutto questo si inquadra bene in una città, Málaga, che sta smettendo di odorare di doposole e che inizia ad odorare di cultura. E l'orgoglio che si prova! A me piace conservare il senso critico con me stesso e in tutti gli aspetti della vita, ma bisogna anche mostrare i muscoli e sentirsi orgogliosi. Io credo che noi malagueñi dobbiamo iniziare a mostrare quei muscoli; mantenere il senso critico, naturalmente, per migliorare le cose che possono andare bene o male, ma Málaga sta diventando una città importante e io credo che siamo solo all'inizio di un percorso per cui si trasformerà nel futuro in un punto di riferimento per la cultura a livello mondiale.
Questa, che sembra una cosa senza senso, non lo é più di quando io dissi che me ne sarei andato ad Hollywood, ma le cose succedono.
Le persone sono molto diverse tra loro ma io mi sento quasi di dividerle in due categorie: ci sono quelli che affrontano la vita in modo cerebrale, le persone metodiche che fanno strategie... io non sono così. Io mi sono affidato al cuore per per tutto quello che ho fatto nella vita. Sono impulsivo, non ho mai pensato molto, mi sono tuffato di testa in tutto. Quando sono andato via da qui a 19 anni diretto a Madrid l'ho fatto a cavallo di un cuore. Ho lavorato sostenendomi su quel cuore. Sono andato negli Stati Uniti sulla spinta di quel cuore e il giorno 16 gennaio di quest'anno quel cuore mi ha detto "ora basta, siamo arrivati". E ho avuto un infarto. Ti fa pensare, perchè gli ho messo molta pressione addosso, e il mio cuore - che è estremamente andaluso- mi ha detto: "picha, fermati un attimo, ché sennò qua ci tocca litigare". Abbiamo avuto uno scontro. Ora stiamo facendo di nuovo amicizia, parliamo molto tutti i giorni.
Mi sono reso conto che, nonostante tutto quello che mi dicono i cardiologi, il cuore non è una bombola che dà ossigeno al corpo, il cuore - e in questo bisogna affidarsi alla cultura popolare, che è saggia: la gente non dice "ti amo con tutto il mio cervello", dice "ti amo con tutto il mio cuore"; Non dice "mi si è spezzato il pancreas dalla tristezza"...parlano del cuore, e lo fanno perchè ha un significato, che io adesso ho capito più che mai. Il cuore è un magazzino di emozioni e in questi due mesi io ho visto lì dentro tutte le persone che ho amato e che amo, ho visto Zorro, ho visto un gatto con gli stivali, ho visto il mio amico Almodovar, gli anni della movida, gli anni del Teatro Romano qui a Málaga quando andavamo in giro vestiti da romani su un vespino per andare a recitare;
E sulle pareti di quel cuore, nei ventricoli e nelle arterie coronarie e tra sistole e diastole, c'è Málaga. Lì, come la mia Itaca personale, o forse come la mia Dulcinea. E nel mezzo di tutto questo un'idea di nuovo surrealista, andalusa, insensata, malagueña e chisciottesca: l'idea che il meglio debba ancora venire. >>
PS: Comunque il tappeto rosso in Calle Larios dovrebbero tenerlo sempre, ché con i tacchi ci si cammina meglio.
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