Visualizzazione post con etichetta roma. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta roma. Mostra tutti i post

venerdì 22 luglio 2016

Roma, al contrario.


C'è un'energia inconfondibile, nelle Capitali. Una sorta di elettricità statica che le fa sembrare un po' tutte la stessa città. Sarà l'incastro perfetto di anime molteplici, segregato nei confini invisibili ma netti dei quartieri. O saranno forse i secoli di storia impilati uno sull'altro in strati architettonici e di idee. Magari i turisti, che si entusiasmano in lingue diverse accanto agli sguardi più bassi e ai passi più decisi di chi da lì vorrebbe andarsene via; di chi di lì è sempre stato; di chi comunque vada non lo sarà mai. 



A Roma l'ho avvertita subito, quell'atmosfera. Ed immediatamente mi ha ricordato Madrid. C'è chi potrebbe dire che sono banale. Fissata. Ossessiva. Eppure, andiamo! Prendi l'azzurro perfetto del cielo. I palazzi alti con gli angoli arrotondati. La gente che ovunque dialoga in spagnolo. Il lungo viale alberato di Villa Borghese ci mette un attimo, nel mio sguardo distorto, a diventare una bella passeggiata al Retiro. Inerpicarsi sul colle del Gianicolo è come cercare il panorama più bello al Parque de las Siete Tetas. Persino la folla disumana che affolla il marciapiedi fuori dall'hotel di Springsteen è un ricordo nitido di qualche mia (recente) vita fa.

- Perdón, ya ha salido Bruce? Es que llevamos aquí desde esta mañana... 


Eh. Ma cosa mi spingeva, esattamente? Le levatacce nel caldo già intollerabile. L'alba che colora piano il cielo sopra ai furgoni posteggiati, qualcuno che si sente male per gli eccessi della sera prima. Cerano le hall degli hotel a quattro stelle deserti tra le valige e i sogni di chi dormiva ancora. Ricordo lo stomaco che mi si apriva in urgenze di cibo. La necessità di resistere. L'adrenalina dei numeri sugli ascensori. Tutto per una foto. Per un ciao. Un "Hola", anzi. Sempre che chi aspettavi non uscisse - allora non lo faceva - dalla porta sul retro. 

Se dico che Roma somiglia a Madrid, però, forse non è nemmeno per questo. Forse è che certi posti, va a capire perchè, ti si incollano dentro come un cerotto che non riesci a staccare. E i paragoni, a volte, non sono altro che dichiarazioni d'amore. 

Ci sono arrivata dopo sette ore di treno. Una di ritardo. Mezza di delirio. Una vita di "eres italiana y nunca has estado en Roma?", e circa due o tre anni di propositi disattesi. Ad accogliermi c'è stato il vento gelido che entrava dai quattro angoli della stazione Termini e il tizio della Guesthouse che cantava Venditti mentre mi mostrava una stanza pulita senza troppe pretese. In questo mondo di Ladriii....! "Questo è pazzo", ho pensato. Non c'era dubbio che mi sarei trovata bene.

Il pretesto di quel viaggio era un altro dei miei propositi annuali. Si festeggiavano - con qualche mese d'anticipo- i dieci anni da quando mi ero chiesta se qualcun altro, oltre a me, ascoltasse in Italia El Canto del Loco. Erano tempi di ore eterne passate a digitare su Google, setacciando ogni sito possibile con la pazienza di un monaco tibetano. Contattavo chiunque facesse un timido accenno al gruppo o alla musica spagnola. Inviavo mail e messaggi privati per invitarli su un forum ancora deserto che m'ero inventata pur di riunirli assieme. Pur di (beh, diciamolo!) sentirmi leggermente meno aliena.

Per diversi giorni era sembrato tutto inutile. Traducevo canzoni. Traducevo articoli. Creavo tesserine e grafiche, ma a quanto pareva lo facevo a beneficio esclusivamente mio. Poi arrivò Ilionora. Con la I. Di lei non sapevo niente, tranne i titoli dei dischi che ascoltava di più. Iniziammo a trascorrere pomeriggi interi su MSN a interrogarci sul modo migliore per rendere in italiano espressioni idiomatiche usate nelle interviste dai nostri beniamini. Lei adorava Torres. Sui nostri status c'erano frasi delle stesse canzoni. Io facevo sogni sconnessi in cui c'entravano i Green Day.

Poco a poco, la gente iniziò ad iscriversi. Prima 5, poi 10, poi di più. Arrivammo ad una quota di oltre duecento e a me sembrava un'autentica enormità. Di Ilionora, inspiegabilmente, persi ogni traccia nel 2008, dopo quel primo concerto al Palacio de Los Deportes che lei visse alcune file più indietro di me. Era il primo senza il batterista Jandro. Il primo di una nuova era. Forse, in un certo senso, già l'inizio della fine.

A Roma, dieci anni dopo, è stato strano pensare che una manciata di quei primi iscritti era ancora seduta accanto a me a un tavolo dell'Hard Rock. Ma ancora più strano è stato rivivere come in un film tutte le avventure che abbiamo condiviso. Quella giornata a Milano. I video girati a Venezia. I tanti viaggi in direzione sud ovest. 

Siamo cambiate. Dio, cresciute. Me ne rendo conto adesso, quando ripenso alle critiche mosse al videoclip di qualcuno che un tempo avremmo forse venerato senza se e senza ma. Oggi parliamo di ragazzi, di famiglie, di lavoro. E lì, in una Capitale che guarda caso associo a Madrid, mi sono sentita orgogliosa di me. 

Non ce l'avrei fatta da sola, è vero. Ed è anche vero che era soltanto un fanclub. Però, in quei pomeriggi del 2006, la mia determinazione mi portò davvero a costruire qualcosa. Qualcosa di bello, qualcosa di duraturo. Perchè queste persone, che conosco ormai da un decennio, sono da un decennio a tutti gli effetti amiche. Come me, ora la musica la vivono in modo molto diverso. Magari domani, chissà, quella stessa musica non ci piacerà nemmeno più. Però le risate, i ricordi, tutto quello che abbiamo vissuto...ecco, quello resterà. E' già rimasto, come la granita troppo grande che cola sulle mani in piazza Navona. Come il gusto della cacio e pepe tra i colori di Trastevere. Come un selfie che immortala il momento mentre il vento gioca con la mia gonna sulla terrazza del Pincio. Nel 2006, onestamente, non l'avrei mai potuto immaginare. 

Forse Roma è il posto giusto per rifletterci. Lì, dove le rovine di vastità passate ti proiettano in testa l'immagine di quello che forse un tempo era. E ti chiedi "ma era meglio?", laddove l'Impero si eclissa per lasciare spazio ad ammassi di zombie alla ricerca di Pokemon mentre l'umanità, tra spari e bombe, va a puttane. Ti rispondi di sì. Poi ricordi gli schiavi, i gladiatori e le aspettative di vita. Ricordi soprattutto che viaggiare, come lo si fa adesso, era semplicemente un'utopia.

Pro e contro.
Era diverso. Tutto qui. Lo è sempre. 



Poi magari l'impressione delle città dipende dai ricordi che ci costruisci dentro. Compresa la serata in pizzeria con l'amica di una vita. Il senso di famigliarità che ha in sè il suono di un arrivederci e la consistenza di un biglietto aereo.

L'aspettavo da tanto, Roma.
Roma, se la leggi al contrario, non è in fondo altro che lo spagnolo Amor. 




giovedì 6 dicembre 2012

E' stata...un' #Odissea: quello che non sapete sul mio primo libro (in anteprima alla fiera di Roma)


Certe notizie ti cambiano i piani. E questa non è tra quelle che si possano tacere.

Avevo in mente di continuare con i resoconti di Madrid. Avrei postato la seconda parte delle avventure groupieggianti che alcuni di voi probabilmente stavano attendendo. Vi avrei fatti sorridere- o almeno ci avrei provato- finchè l'ultimo dei punti mi avrebbe ridonata alla realtà. Solo che è uscita “#Odissea”, e tutto il resto ora lo devo rimandare.

“#Odissea”, sì. Avete letto bene. “#Odissea – il viaggio di Ulisse ai tempi di Twitter”, per essere più precisi. Il mio primo libro, quello a cui tante volte vi ho accennato, si chiama così. Dice, la quarta di copertina, che ho rivisitato il Grande Classico di Omero in "una satira moderna, ironica e sarcastica”. Che sulle mie pagine i personaggi “ scendono dal piedistallo della solennità per trasformarsi in followers, dando vita ad un continuo tam tam, ad un fitto passaparola, ad uno scambio di brevi messaggi e alla condivisione di link".



Quello che, però, tace è quanto io mi sia divertita a scriverlo. Rotondamente, profondamente divertita. Come da troppo non accadeva. In #Odissea mi sono messa da parte. Meglio: ho messo da parte le mie paranoie. Chè da quando scrivo per un pubblico; da quando su di un blog ho rinunciato a un nick per il mio vero nome, il lettore in qualche modo è sempre lì. C'è anche adesso. Anzi, c'è adesso più che mai. Incastro parole con la consapevolezza che altri occhi vi si poseranno sopra. E allora mi chiedo cosa quegli occhi penseranno di me. Quale immagine vedranno. Allora cerco la frase ad effetto come si cerca un abito per il primo appuntamento con qualcuno che ti piace. Senz'altro fine che la conquista. Senz'altra spinta che la vanità.

Avevo bisogno di recuperare la spontaneità con cui mi raccontavo ai miei diari, questo è. Di ritrovare il gusto di scrivere per scrivere. Di ridere a crepapelle delle mie stesse trovate strampalate. Come ovvia conseguenza, di ridere di me. Avevo bisogno, sì, di ricordarmi per quale motivo questa riesca ancora ad essere la mia più grande passione.

Così è nata #Odissea. Giocando con un Classico. Lasciando la mente libera di vagare. E, di tutto il resto, me ne sono fregata. Poi potrà far sorridere anche voi, oppure potrete trovarla una colossale stronzata. E' un rischio da correre. Pazienza. Ma quel libro ha fatto sì che io mi riconciliassi con me stessa. Con il mio amore per le parole scritte. E già solo per questo ne vado orgogliosa.

Da oggi fino al giorno 9 lo trovate all'EUR- Palazzo dei congressi di Roma, nell'ambito della Fiera “Più libri, più liberi”. Lo stand è l'A34, quello de La Caravella Editrice. Poi, sarà acquistabile dal sito http://lacaravellaeditrice.it e nelle librerie di loro distribuzione.

Foto: La Caravella Editrice- Facebook 


E a questo punto potrei concludere copiandovi la sinossi. D'altra parte sarebbe la cosa più logica da fare, giusto? Peccato che io non sia per niente logica, e preferisca raccontarvi dei segni del Destino.

Perchè, vedete: c'è un'altra cosa che la quarta di copertina non vi dice. Ed è che l'idea mi è venuta all'inizio dell'estate, mentre pianificavo le mie vacanze in Grecia. Ero esaurita dal caldo, dalla difficoltà nel trovare gli orari dei traghetti per Itaca, dall'invidia per tutte quelle persone che su twitter non facevano che postare foto di viaggi mentr'io dovevo ancora lavorare. E' nato tutto così, shackerando informazioni mentre mi lavavo i denti. Tutto perchè un'amica mi aveva, per una volta, proibito la Spagna.

Siamo andate a Salonicco, alla fine. I collegamenti per Itaca partivano da Patrasso. Ci si metteva un sacco di tempo. Ci sarebbero voluti un sacco di soldi in più. Il libro era già bello e finito, quando passeggiavamo incontro ad un tramonto sulla città alta. Avevo in mente di inviarlo a qualche casa editrice, al ritorno. Ma non ne ero ancora del tutto convinta. Non sapevo se davvero ne sarebbe valsa la pena.

Almeno non finchè un grosso cane lupo ha preceduto il suo padrone dritto verso di noi. “Ciao”, ci salutava lui, dopo averci sentite parlare. Un ragazzo carino. Non di una bellezza scultorea, non un fotomodello, ma comunque carino. Si è fermato a chiacchierare, riconoscendo nei nostri tratti da turiste parte della sua stessa nazionalità. “Sono italo-greco”, si affrettava a raccontarci prima che travisassimo le sue intenzioni. E, il cane, intanto, ci guardava scodinzolando. La lingua a penzoloni per il caldo. Gli occhi vispi e divertiti.

“Come si chiama?”, gli ha chiesto allora la mia amica.
“Nessuno. L'ho chiamato così perchè io mi chiamo Odissea”.

Allora, per le strade alte di Salonicco, con l'influenza già in agguato nel mio corpo, ho saputo per certo che quel libro sarebbe stato pubblicato. Non sapevo da chi, né perché, né tantomeno quando. Ma sapevo che l'avreste letto. Sapevo che, semplicemente, sarebbe dovuta andare così.

Poi la sinossi, per chi fosse interessato, è qui. 

sabato 6 ottobre 2012

L'Italia dei Flashmob flamenchi.


Dovuta premessa per i meno informati: la Biennale di Siviglia é, senza ombra di dubbio, evento cardine per la cultura flamenca. E in occasione della sua conclusione, lo scorso 29 Settembre, la rete si é data da fare per dare ancora lustro al senso del suo nome. Tutto é partito da un video. Una coreografia di Rafaela Carrasco, corredata di apposito appello,  che da youtube ha fatto il giro del globo. Chiedeva, Raffaela, di riunirsi nelle piazze, rigorosamente in abiti civili. Chiedeva di ripetere i suoi passi, nient'altro. E nello stesso istante, tutti assieme, cominciare a ballare. Come se la terra fosse un unico tablao. 

Si trattava, insomma, di celebrare la passione che riesce a rendere un po' piú simili tante vite altrimenti diversissime. Di festeggiare quell'arte cosí peculiare che che le rende in fondo parte di una stessa famiglia senza limiti geografici o d'etá.

Beh, missione compiuta. 

Sí. Perché, a quell'appello, hanno risposto in migliaia. Da Londra al Messico. Da Siviglia  a Lubiana, passando per Buenos Aires, Budapest e Shangai. Ovunque, alle tredici in punto di quella stessa giornata, la comunitá flamenca s'é fatta sentire. Al suono della stessa musica ha stupito i passanti di sorrisi e di palmas. Di tangos e voglia di lasciarsi andare. 

E oggi, guardando quei video, io non riesco a non provare invidia per chi c'era. Ogni singolo play mi indonda di entusiasmo. Di emozione. Di energia. Tanto che – lo ammetto – faccio fatica persino a spiegarvelo in parole. Per cui sapete cosa? Premetelo anche voi, il play. Scopritela anche voi, l'Italia filoispanica che amo. 

Ché poi ogni flashmob ha le sue peculiaritá. Per esempio, eccovi quello milanese, sotto il cielo grigio degli stereotipi. 





O quello bolognese. Poco affollato, ma non per questo meno sentito. 




A Padova sono state coraggiose. Ballare su quel marciapiedi gonfio d'acqua giá dev'esser difficile di per sé. Loro, poi, l'hanno fatto addirittura con le scarpe professionali. Quelle coi chiodini sotto, per capirci. Che non si siano rotte una gamba, secondo me é quasi un miracolo. 





Le riprese di Torino sono tra le piú curate, mentre la coreografia assume un pizzico di mobilitá in piú. 





Il mio flashmob preferito, peró, resta senza dubbio quello di Roma. L'affluenza massiccia. Il sole alto nel cielo. E la gente che continua a ballare. Anche se i vigili spengono la musica. Anche se un'auto municipale si accinge a disperderli. 

Ballano. Loro ballano ancora. Come se niente li potesse fermare. E allora gli spettatori, solidali, li accompagnano in un crescendo di palmas. Nelle esortazioni. Nella gioia incontenibile di essere lí, in quel preciso istante. Lí, per dire al flamenco: “io t'amo, davvero”. 


martedì 31 gennaio 2012

Olimpiadi 2020: i video delle candidature di Madrid e Roma a confronto.

Ora, io non é che voglio fare sempre l'anti-patriottica. Cioé, in realtá mi piacerebbe anche, poter dire che in qualcosa preferisco alla Spagna il mio Paese. Solo che, ecco: ho visto il video ufficiale della candidatura di Madrid alle Olimpiadi del 2020. Ed é bellissimo, davvero. Non ho altro da dire. La voce di una bimba racconta fuori campo tutto lo spirito della cittá. Il taglio del montaggio, veloce ma non troppo, ricorda lo stile delle campagne turistiche che da sempre mi emozionano in quei loro “I need Spain”. 

“Es una ciudad muy alegre”, dice quella bimba, “que contagia esa alegría a todo el que pase por aquí, que cuando viene ya no quiere marcharse”. E non potrebbe esistere presentazione migliore. 




E' per questo che, spinta dall'entusiasmo, ho scelto di cercare anche il clip di Roma. E giá il fatto che non abbia capito quale sia, decisamente non muove a italico favore. Sí, perché se digiti su youtube “video  candidatura Roma 2020” te ne saltano fuori almeno due diversi, senza che ti venga concesso di capire quale di questi sia l'ufficiale. Ed é vero: come  per Madrid, anche l'ambizione olimpica della nostra capitale vanta un suo canale apposito. Peccato che lí, nel luogo in cui sarebbe piú logico trovarlo, il promo non c'é per niente. Macché. Lí hanno spazio soltanto i filmati delle conferenze stampa e degli incontri istituzionali. Cosí, mentre Madrid2020 spopola sui social network, sospetto che per Roma il concetto di viralitá resti tristemente legato all'influenza di stagione. E intanto tu, che su queste cose hai pure scritto una tesi, contempli il triste vuoto di risposte mancate ogni volta che alleghi un curriculum alla mail. Perció sei giá incazzata. Un sacco. Per principio. Ma, a entrambi quei due video, decidi lo stesso di concedere il play. 

Ed é questo che ti trovi davanti. Il primo promette bene , a dirla tutta. Musica solenne, ritmo in crescendo, ricordi imperiali . Robe che inizia e pensi “che figata!”. Poi, peró, ti accorgi che, per tutti i quattro minuti e mezzo del filmato, non si vede altro che una mappa in cui sono riportate le singole locations romane. Una sorta di google earth continuo che alterna visioni dall'alto a qualche zoom. Non dev'essere quello giusto. Dev'essere una presentazione piú tecnico-logistica. Robe del genere. Comunque, una noia mortale. Giuro che, dopo trenta secondi, giá dormivo. 






Il secondo, viceversa, estende il concetto di uno slogan: “Una cittá che ha ospitato i Giochi, rimane una cittá olimpica per sempre”. Che, francamente, giá di per sé mi sembra controproducente. Voglio dire, perché dovresti puntare tutto solo ed esclusivamente sul tuo passato? Io non é che sia un'esperta in materia, per caritá, ma se aspiri ad ospitare un'Olimpiade non dovresti piuttosto dimostrare di essere una cittá all'avanguarda, in continuo divenire? Una cittá pronta, piuttosto, a costruire nuove strutture per adeguarsi ai tempi? Insomma, dai, candidarsi dicendo “me la merito perché l'ho giá avuta” é come per un cantante dire “mi merito il primo posto in classifica con il mio nuovo disco perché nel 1930 ho partecipato a Sanremo”. Con un lavoro totalmente diverso e in tempi totalmente diversi. Sul serio, io non lo capisco. Comunque: il video in questione non fa altro che riproporre immagini dell'olimpiade del 1960, senza regalare neanche un frammento d'immagine e spirito di quella che é la cittá oggi. Come se la perplessitá non fosse sufficiente, il logo in apertura cita a chiare lettere due date: 1960- 2010. Duemiladieci?!? Voglio dire vabbé che il video sará stato presentato in quell'anno lí (devo aver di nuovo sbagliato: sará quello vecchio, mannaggia!) ma...non ti rendi conto che il video di una candidatura per il 2020 dovrebbe poter e dover essere riproposto fino – appunto – al 2020 senza essere vincolato ad altre date? Non ti rendi conto che quell'accenno a dieci anni prima crea giusto un filino di confusione? Mah. 






Comunque, alla fine del mio giro virtuale (sempre piú incazzata), forse l'obiettivo lo centro pure. Nella descrizione, lo annunciano come lo spot vincitore di un concorso e pertanto destinato a rappresentare la candidatura romana. Per cui mi esalto. Penso "bene, dai, sono certa che questo non mi deluderá! Mi rimangeró la parola! Sará anche meglio di quello di Madrid". Poi premo play. E, forse saró tonta, ma vi giuro che non l'ho mica capito.