(continua da qui)
“Ilaria, cómo estás?!”
“Ilaria, cómo estás?!”
Mi
imprime due baci sulle guance, e al solito pare scontato dire che
adesso “ bene”. M'hanno ascoltata, gli altri, quando la sua
silouette é apparsa dietro i vetri opachi. Ormai, nel riconoscerla,
ho raggiunto un livello di esperienza notevole. Cosí ora siamo qui,
nella hall tanto grande quanto dispersiva di un albergo in toni
freddi uguale a molti altri visti prima. L'emigrazione simultanea é
avvenuta in tacito accordo. Un sms sul cellulare accompagna il mio
aggrapparmi alle sue spalle. E, nonostante il caldo, i bicchieri
mezzi pieni restano sul tavolino.
“Sei
un po' stanco di questo tour. Vero, Dani?”, azzarda il papá di
Mar. Tra parentesi, l'unico ad essersi ricordato che quelle coca cole
si dovevano anche pagare. Vabbé.
“Un
pochino, sí.”, ammette abbassando gli occhi, in un accenno di sorriso
timido.
“Si
nota, sinceramente. Ma é normale, in fondo, é tanto tempo che va
avanti”
“E'
che sono, quanto? Un anno e mezzo, ormai!”, si giustifica.
“Quasi
due anni”, non riesco a fare a meno di puntualizzare.
“Ecco,
sí, quasi due anni di tour, tanti kilometri, e iniziano a pesare”
“Ti
meriti un riposo. Fa' le cose con calma e ricarica le batterie”.
L'affermazione
dell'uomo mi provoca un terremoto interno di consenso, approvazione e
tristezza. So che deve finire. Dicevo anche di esserne quasi felice.
Eppure, in quest'istante, vorrei non accadesse mai. E' a pochi metri
da me, e vorrei soltanto dirgli che momenti come questo mi
mancheranno un casino.
“Adesso
i miei piani sono di buttar fuori il disco nuovo per le feste di
Natale del 2013”, ci informa. E, siccome non sono piú in grado di
fingere un briciolo di sanitá mentale, mi scappa un “Uuuh, para mi
cumpleaños! Qué guay!”.
Lui mi
guarda negli occhi, tra il perplesso e il vagamente divertito. Poi
riprende il discorso da dove l'aveva interrotto.
“E
il tour nel 2014. Ma con poche date in Spagna”.
“E
fuori dalla Spagna?”
“Fuori
dalla Spagna, molte di piú”.
Lo dice con tono troppo serio per pensare che abbia colto la mia illusione. Si riferisce all'America Latina, é ovvio. Le altre, peró , hanno capito eccome.
“Adesso é il nostro turno di conoscere Parigi, Roma..”
“No,
Roma no! Venezia, che mi viene piú vicino!”
Continua
a fissarmi con un'espressione strana. Poi, ci informa della sua
leggera fretta.
“Bueno,
chicos. Devo andare che sono d'accordo con un mio amico di berci una
cosa assieme prima di andare al soundcheck. Tra parentesi, dovrebbe
essere qua in giro ma io non lo vedo mica...dove cavolo...?”
“Aspetta,
Dani, possiamo farci qualche foto prima?” , inteviene Mar.
“Hombre,
claro! Cómo no!”
Sto
finalmente rimettendo il cellulare in borsa quando mi accarezza
dolcemente la spalla. Un gesto semplice che nel suo essere inatteso e
immotivato quadruplica di botto il suo valore. Ho giusto il tempo di
alzare gli occhi dalla borsa e ricambiare un sorriso, prima che posi
con Inma e con Mar. Che, in realtá, la foto con me non sarebbe
neppure stata necessaria. Avevo quella del giorno prima, in fondo.
Ma, sebbene non avessi chiesto niente, quando le altre ragazze si
allontanano mi avvolge con un braccio e mi stringe a sé. Il papá di
Mar mi prende la macchina fotografica praticamente dalle mani, mentre
sono troppo frastornata per capirci alcunché. Cioé, piú che
frastornata, rilassata. Ma tantissimo. Appoggio la testa al petto di
Dani ed é come se tutti i kilometri degli ultimi giorni, tutte le
sveglie ad ore antelucane, dessero di colpo mostra di sé. Perché ci
sono ben due flash a cui badare, altrimenti credo che mi
addormenterei.
“Mio
Dio, non so dove guardare, con tutte 'ste macchine fotografiche!”
Nel
dirlo sono seria. Ma lui, chissá perché, si mette a ridere di
gusto. Come se fosse una battuta incredibilmente divertente. Mah. Lo
guardo con due punti interrogativi dipinti negli occhi. Della serie.
“Cacchio ti ridi?!”. Ma poi, per qualche ragione, viene da farlo
anche a me. Anche perché, in effetti, é comico che – in entrambe
le foto – sia io l'unica a guardare sempre in camera. Quello
abituato ai photocall, a onor di logica, dovrebbe essere lui.
“Vabbé,
grazie mille ragazze. Scusatemi, chiamo un attimo il mio amico che
non so dove s'é cacciato!”
“Tranquillo.
Grazie a te. A dopo e...buon viaggio per domani”.
Ha giá
l'orecchio sull'Iphone, quando glielo dico.
“Domani
ho il volo alle nove di mattina. Da Madrid. Dio mio!”
“Duetti
con Tony Bennet, vero?!”, chiede qualcuno.
“Sí,
mi ha chiamato a collaborare in un disco che fa lui con artisti
latini..”
“Ma
canti in spagnolo o in inglese?”, approfitto per domandargli.
“Io
in spagnolo, lui in inglese...Pronto! Oh, ma dove siete?!”
Al
breve silenzio dall'altro lato della cornetta segue un'espressione
leggermente preoccupata.
“E
perché non entrate,invece, che fuori c'é un sacco di gente?”
Mi fa
tenerezza pensarci. E' cosí bello, il terrazzino, fuori. Di colpo mi
sembra incredibilmente triste doverci rinunciare a beneficio della
tranquillitá.
“Ok,
vi aspetto qui.”
“C'é
un matrimonio...”, affermo stupidamente indicando col braccio
fuori.
“Giá,
por eso. Troppo casino. Ohhh, allí está!”
Ci
congediamo, lasciandolo alle persone a lui care. Un saluto veloce cui
segue un “Muchísimas, muchísimas gracias, eh?” urlato in
direzione mia e di Celine. “De nada!”. E il sole ci sorprende,
sempre piú inclemente, fuori. Ah, sí: dovevo guardare di chi era il
sms.
Entrare
al concerto di Lorca si rivela un' impresa piú complicata del
previsto. Non che non fosse previsto, del resto. Perché, dai,
parliamoci chiaro: non si puó organizzare uno spettacolo con posti a
sedere e non numerare le sedie. Non se tale spettacolo é di qualcuno
che piace (anche) alle ragazzine. Non se un paio di occhi azzurri
genera isterismi – e vi giuro che é vero – soprattutto nelle
over 40 dai gomiti appuntiti. Morale: le porte si aprono su di una
marea umana. Un piede sconosciuto calpesta i lacci delle mie
converse, rischiando di farmi capitombolare al suolo. Le seggiole in
plastica bianca iniziano a volare per tutto l'auditorio. Lanciate.
Scaraventate. Scambiate di posto di fronte all'impotenza degli uomini
della security. Alla transenna della prima fila, in cui una fanatica
in ansia di rissa mi riduce a sardina in scatola, scelgo per una
volta il posto dietro. Tanto Celine é piccolina. Vedo alla grande.
Dani mi vedrá. E almeno circola l'aria, grazie al cielo. Se non
altro, da qui riesco a saltare.
Sopravvivo,
non so come. Sono incazzata, accaldata, un po' delusa
dall'organizzazione. Eppure, come sempre accade, i concerti piú
sofferti sono quelli che ti godi di piú. Sará che eravamo tutti
assieme. Cantare “María la portuguesa” a squarciagola ha piú
senso , se lo fai in gruppo. E le occhiate divertite a commentare
brani e gesti, le risate, le coreografie che improvvisiamo...non c'é
prima fila in solitudine che riesca a equiparare tutto ció. O forse
sará, invece, che Lorca era il mio ultimo concerto “grande”. Ne
avvertivo la responsabilitá mentre lo trasformavo in festa. Mentre
di ogni singolo brano facevo riassunto di vicende vissute. E persino
Dani, in qualche modo, sembrava saperlo. Lui, che per metá concerto
mi ha guardata negli occhi. Lui che ha regalato gesti in tutte le
canzoni che in questi due anni hanno significato qualcosa per me.
Eres.
Io che allungo il braccio ad indicarlo dicendo che “quiero volar
contigo”. Lui che fa lo stesso. E poi lo ripete, in occhiolino, anche
nel ritornello successivo. Eres, come la prima fila nervosa al Teatro
Coliseum di Madrid.
La
Suerte de Mi Vida. L'occhio strizzato a fine canzone. La canzone con
cui tante volte m'ha fatta sentire speciale .A Rivas, per esempio. A
Valencia. A Zaragoza durante las fiestas del Pilar.
Aunque
tú no lo sepas. Che, come al Palau de la Música di Barcellona, quel
“cada día más flacos” lo fa misteriosamente sorridere guardando
me. Io che, invece, sono piú che altro ingrassata. E che, perció,
resta un messaggio difficile da decodificare.
Mira
la Vida. Perché mai come questa volta “vuelve y te sorprende” .
Anche se indicarmi in “que sin mí tú ya no eres” suona giusto
un filino inquietante. Per dire.
Aquellas
Pequeñas Cosas. La canzone che ho riscoperto in quest'ultimo
periodo. La canzone che applico un po' a tutta la mia vita. La
canzone su cui mi regala un altro sorriso.
Il
sipario, metaforico, si chiude. Ora mi resta il concerto privato. Il
modo migliore di congedarsi. La fine del tour perfetta con la canzone
che ho in mente di richiedergli. E , come cornice, la cittá dove
tutto é cominciato. Resta un capitolo solo. Un capitolo bello, ne
sono certa. Poi – e lo faró! - dovró trovarmi qualcos'altro che mi sappia entusiasmare.
Nel 2014 compiró trent'anni, dannazione!
compirai 30anni...regalandoti il nuovo tour di Dani!:-))))
RispondiEliminacome son sempre belle ed emozionanti le tue cronache dei concerti!
besitos
kit
Graazie Kit, sempre troppo buona! :)
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