domenica 11 luglio 2021

Treviso non è pronta: l’odissea del rientro in Spagna tra QR e Green Pass

Il concetto di ordine è alieno al DNA dei popoli mediterranei. Capisci da dove arriva uno dal modo in cui si mette in fila, e la disposizione da parterre di concerto pop dei passeggeri diretti a Málaga non lascia dubbio alcuno sulla loro nazionalità. Italiani, spagnoli, poco importa: le differenze ora si appianano nei volti confusi, nello gesticolare sfrenato, nei decibel in ramping sotto la mascherina. Cosa caz*pita tengo que hacer. 

Quelli che mi si accalcano attorno non sono più turisti di ritorno da un viaggio a Venezia, con ancora in testa il cappello da gondoliere comprato dai filippini a Rialto.  Non sono viaggiatori intrepidi pronti a sfidare i 40 e passa gradi della bella Andalusia per poi raccontare che sì, bella la mezquita, ma facciamo che ci torno quando non rischio l’autocombustione.
Forse non sono neanche più persone. In questo momento sono (siamo) tutti solo centinaia di esseri isterici che si ammassano senza alcun criterio in una stanza più piccola del salotto di casa mia…  e non è che viva precisamente in una mansione da diva hollywoodiana.
Al centro del girone infernale, un tizio autoelettosi benefattore della comunità sta urlando senza sosta il numero del volo. Attorno a lui, si stanno formando piccoli cerchi di sconosciuti che si copiano l’un l’altro le risposte alle domande sul cellulare.
“Io che posto ho?”
“Signorinaaaaa io sono vaccinato, posso passare? Guardi, ho il green pass!”
“Qua cosa devo scrivere? Veneto?”
“Ma il qr è quello della certificazione verde?”
“Questionario? Che questionario?”


Tra gomitate, spintoni e passaggi tipo limbo sotto ai nastri rossi e bianchi che dovrebbero separare le code ai check in, la marea umana si sposta da un lato all’altro della hall seguendo ipnotizzata le direttive degli schermi. Che, come no, cambiano idea ogni 5 minuti.
“Chi ha solo il bagaglio a mano alla porta 3”
“Chi ha solo il bagaglio a mano alla porta 5” 

“Potete andare a qualunque porta, basta che facciate presto, per Dio”. 

  
E pensare che poteva essere tutto così semplice…

La tipica "fila mediterranea" all'aeroporto di Treviso




Per entrare in Spagna bisogna compilare un questionario online del Governo, che ha l’obiettivo di rintracciare in fretta i nuovi casi di Covid-19 sul territorio, frenando la diffusione dei contagi. Ti chiedono robe tipo i tuoi dati, i recapiti, da dove arrivi, quali Paesi hai visitato negli ultimi 14 giorni, dove alloggerai in Spagna e che certificato alleghi per dimostrare che non stai portando il virus a passeggio: tampone negativo (se sì, di che tipo, fatto dove e in che data), ciclo vaccinale terminato o avvenuta guarigione.
Una volta fornite tutte le informazioni richieste, si genera un codice QR che viene SEMPRE E COMUNQUE richiesto all’arrivo: se ce l’hai, passi la frontiera. Se non ce l’hai, no.

Mi pare quindi sensato che controllino che tu ne sia provvisto ancor prima di decollare. Voglio dire: se sei già atterrato a Málaga, vai bello arzillo verso l’uscita e ti fermano perchè non hai il QR compilato che fai? Passi il resto dei tuoi giorni in aeroporto come Tom Hanks in The Terminal? Io finirei per spendere tutti i miei soldi da Natura e metterei sú 8 kili da Starbucks, tutti sul sedere. Non è il caso. 


Ad ogni modo non ci vuole una laurea in organizzazione di eventi per capire che il modo più veloce ed efficace di verificare che uno abbia compilato ‘sto benedetto questionario sia chiederglielo nei momenti in cui è già in fila per mostrarti qualcosa. Ai controlli di sicurezza, per esempio. O addirittura al gate, subito prima del decollo. La signorina che ti chiede la carta d’imbarco potrebbe chiederti, assieme ad essa, anche il codice QR per entrare in Spagna. Hanno pure la macchinetta apposta per leggerlo. Si perderebbero circa 0,5 secondi in più per passeggero, e non si creerebbero altre file. 


Facile. Rapido. Sicuro. 


Ma l’aeroporto di Treviso is different. 



Lì la  suddetta signorina dei controlli di sicurezza ti informa - peraltro con tono visibilmente seccato - che per poter passare per tutta la trafila di vassoi e metal detector devi prima recarti al check in, dove ti controlleranno la documentazione per l’ingresso in Spagna.
Il che significa che , se hai scelto di viaggiare solo con bagaglio a mano proprio per  evitare di fare la coda al check in (o, ancora peggio, se hai pagato 4,50 € in più per il fast track) avrai la nitida visione dei tuoi soldi piegati in forma di aeroplanino che decollano verso destinazioni esotiche facendoti ciao ciao con la manina.

Una volta al check in, un’addetta solo un filino più cordiale della prima scriverà a MANO su un foglietto poco più grande di un francobollo la sequenza della tua carta d’imbarco e ci piazzerà sopra un timbro rosso con su scritto QR CHECK OK. A partire da quel momento, quel piccolissimo pezzetto di carta stropicciato sarà il tuo tesoro più prezioso: non solo ti servirà per accedere ai controlli di sicurezza, ma ti verrà richiesto persino per salire sull’aereo.
Tutto molto coerente, non c’è che dire: si consiglia vivamente di non stampare il biglietto, il green pass e il questionario sanitario si accettano cartacei solo ed esclusivamente in caso di comprovato impedimento tecnologico, si cerca di limitare l'utilizzo della poco igienica carta in favore del digitale for ever and ever… ma per dimostrare che possiedi il codice QR necessario a entrare in Spagna devi mostrare un bigliettino scarabocchiato con la biro, più piccolo e malridotto dello scontrino del supermercato che hai infilato in fretta e furia nei jeans. Eccerto.

Ma il punto non è il bigliettino. Il punto è lo scompiglio che tutto ‘sto sistema finisce col creare.

Tralasciamo per un momento che Ryanair manda cinquecentosette messaggi la settimana prima della partenza per ricordarti di compilare il questionario sanitario e che nonostante questo il 50% dei passeggeri non abbia idea che esista un questionario da compilare. Che viene da chiedersi come accidenti sia possibile continuare a guadagnare con l’email marketing. O se non sia il caso di cambiare le mie tecniche di copywriting per testi tipo: “Compra questo che è economico. Ciulli ciulli trallalà salsicce baccalà fiori di sambuco”. Tanto se leggono la prima riga è già un traguardo.

Tralasciamo anche che, nei suoi cinquecentosette messaggi, Ryanair consiglia di presentarsi in aeroporto due ore e mezza prima del volo “per agevolare i controlli”, e il check in - dove, a Treviso, si svolgono (inspiegabilmente) i controlli - apre meno di due ore prima. A questo punto potrebbero almeno affiggere all’entrata un cartello illustrativo delle diverse tecniche di harakiri che si possono utilizzare quando si è costretti a passare un’ora in una stanza con un tabacchino, due bagni e 4 posti a sedere. 

Stendiamo pure un velo pietoso sul fatto che venga affidato ad una sola persona il compito di controllare i qr di centinaia di passeggeri indemoniati: ci vuole almeno mezz’ora prima che qualche illuminato si renda conto che forse, ma proprio forse, sarebbe il caso di aprire altre due o tre file, per poter riuscire a verificare i documenti di tutti prima che l’aereo decolli. 


Il punto è che quest’organizzazione ha avuto l’unico effetto di creare assembramenti innecessari e facilmente evitabili, non solo aumentando il livello di stress generale, ma anche dando vita a possibili focolai di contagio. Perchè, non dimentichiamolo: il vaccino non evita che tu ti prenda il virus, evita che tu abbia sintomi gravi e finisca in ospedale quando te lo prendi. 

In tal senso, la situazione dopo i controlli di sicurezza non migliora. Dei due bar di cui dispone Treviso, è aperto solo uno, che finisce inevitabilmente preso d’assalto da mandrie di viaggiatori affamati. I posti a sedere - che già erano pochi di per sè - sono dimezzati da un ultimo, stoico, tentativo di mantenere le distanze sociali.

E il miglior modo di trasformare l’uomo in bestia - credetemi - è impedirgli di appoggiare il culo su una sedia. Immagino non ci siano voluti neanche cinque secondi prima che si trovasse una soluzione al problema. Qualcuno, più anarchico, l’ha fatto sradicando i cartelli “vietato sedersi” dai posti bloccati. Altri, sbrigativi, hanno optato per sedersi per terra (ovviamente appiccicati gli uni agli altri). Altri ancora hanno deciso che tanto valeva iniziare a mettersi in fila per l’imbarco - con buona pace delle cinquecentosette email in cui RyanAir intima di non farlo finchè non viene aperto il gate. Sul serio, il copywriter di Ryanair mi fa tenerezza.

Mentre cerco un cestino in cui gettare l’immondizia, mi cade l’occhio su un ragazzo addormentato che, in assenza degli strumenti adatti, ha pensato bene di togliersi la mascherina chirurgica per usarla come copriocchi.

Ve lo dico con tutto l’amore del mondo, e con tutta la mia profonda felicità per le riprese dei voli diretti Málaga- Treviso: se non siete attrezzati per garantire quel minimo di norme igieniche necessarie in tempi di pandemia, continuate ad operare su Venezia Marco Polo come si faceva fino a poco tempo fa. O ancora meglio (per me, ovviamente):  sfruttate l’aeroporto di Trieste, che è esageratamente grande per i due voli in croce che ha.

Comunque sia fate qualcosa, perchè il commento “viaggiare così è un incubo” è quello che ho ascoltato più spesso, in due lingue, al rientro dalle mie vacanze italiane.


giovedì 24 giugno 2021

La notte della magia.

Questa notte il mare si è vestito per le grandi occasioni. Sfoggia un abito blu scuro con le pailettes, tipo quello che ho cercato invano di creare con Clo3D.



Ché non lo so nemmeno io, perchè mi perdo con certe cose. Insomma, mi ci vedete a disegnare moda? Come se non avessi di meglio da fare. Mi affaccio al balcone con gli occhi arrossati da una settimana da invasata completa. 

Ogni sera, alle sette in punto, chiudevo il mio ufficio virtuale con grafica da videogioco anni ‘80 per mettermi a guardare tutorial in inglese che spiegassero come accidenti attaccare le balze alla gonna dell’avatar. Senza nessuna ragione apparente, e ancora meno necessità professionali.

Forse sto impazzendo. Forse è il balletto degli ormoni del pre-ciclo.
O magari è vero quello che ho letto da qualche parte, che la creatività è una necessità fisiologica. Tipo quando devi espellere liquidi in eccesso: se non sudi, fai pipì. Se non scrivi, dipingi. 


… O fai moda in 3D.

Male. 


A volte le parole fanno fatica a uscire, questo è. Passi otto ore al giorno davanti a un foglio bianco, spremendoti il cervello per trovare le migliori.
E poi ne passi altre due a leggere libri che ti spieghino come metterle nell’ordine giusto.
E poi altre due ancora ad ascoltare gente che ti parla di altra gente che le ha disposte in modo da indurre altra gente a fare qualcosa. Comprare, per lo più. Emozionarsi, ogni tanto.

In fondo il mio mestiere (il mio bellissimo mestiere!) consiste nell’arredare risme di carta impalpabile con mobili già usati da milioni di altre persone… e nonostante questo, cercare di creare un ambiente unico. Mi riesce bene, dicono, ogni tanto. “É quello che sai fare meglio”, mi hanno detto l’altro giorno. Ed é stato come se mi avesse colpita un asteroide in piena faccia. Grande almeno quanto quello che ha estinto i dinosauri. Perché quello che “so fare meglio” sentivo di non riuscire a farlo più. E allora cosa resta di me?

É che arriva un momento, ogni tanto, in cui i neuroni si stancano di trascinare costantemente call to action per le scale, come Ross con il divano in quella puntata mitica di Friends.  Stremati dallo sforzo costante - Piiiivooooot - si accasciano sulla prima superficie morbida e non si rialzano più.

Pare quasi di sentirli: “Come sarebbe a dire che vorresti scrivere? Ancooora? PerPiacerePerPiacere, no. Pietà, per Dio! Lasciaci in pace”. E allora ecco che rimpiazzo le mille idee per i blog con cartamodelli dalle proporzioni sbagliate, in preda ai sensi di colpa di chi sente di tradire il Grande Amore della Vita per un tizio col Q.I di un armadillo. 


Ma questa non è una notte tra le tante. Non lo è mai, San Juan.

La Luna è un riflettore enorme puntato sui drappeggi da red carpet dell’unica Vera Diva. Miss Mediterraneo. Il mare è donna, dai, oggi si vede.

Sulla spiaggia deserta, sei piani più in basso, le volanti della polizia l’illuminano a fasi alterne. Riflettori azzurrognoli in cerca di trasgressori che bevono birra attorno a un falò. Ne trovano due, verso mezzanotte, colpevoli di passeggiare mano nella mano troppo vicini alla riva. Una conversazione immaginata da lontano, forse una multa. Li vedo tornare da dove sono venuti.


Sono passate sedici ore, e inizia a farmi male il braccio. 


La prima dose di Pfizer nelle vene mi ha lasciato addosso un intontimento quasi piacevole, simile a quello che ti invade dopo qualche chupito. Ho postato la foto di rito, quella che sancisce il primo passo verso una vita un po’ più simile a “prima”. Quella che presagisce concerti, viaggi senza più paletti nel naso, aria pura senza l’odore di plastica della mascherina nuova.

L’estate del 2021 profuma di ottimismo. E l’unico desiderio che avrei voluto esprimere nella notte di San Juan è, in fondo, che quest’ottimismo sia fondato.

Invece, come sempre, ho messo nero su bianco tre speranze più concrete. Le candele accese sul terrazzo tingevano di tonalitá calde la sagoma del mio ragazzo mentre una carrellata di ricordi in ordine cronologico mi dipingeva  un mezzo sorriso sul volto.

La Misericordia nel 2019.
L’appartamento del lockdown nel 2020.
La terrazza della nostra casa nuova nel 2021.

Posti diversi, vite diverse, e tre sole costanti: noi due, Málaga e le fiamme che consumano biglietti scritti a mano.

“Non hai anche tu la sensazione che sia una notte speciale?”
“Ma se è dalle dieci che non dico altro! Però ora entriamo, eh? Che mi stanno massacrando le zanzare” 


Verso l’una di notte, con la volante ormai lontana, un ragazzo accendeva una lanterna giapponese nascosto dietro al bidone della spazzatura. Pochi metri più in là, due persone appena distinguibili nel buio si guardavano attorno furtive prima di immergere i piedi in mare.

Perchè, nonostante tutto e in barba a tutti i divieti, l’essere umano ha bisogno di aggrapparsi alla magia.

La notte di San Juan ho dormito profondamente, sotto una Luna Piena più luminosa del solito. Poi mi sono svegliata. E all’improvviso, dopo tanto, ho avuto di nuovo voglia di scrivere.