venerdì 30 dicembre 2011

Venerdí...Sangría!

Dunque: siccome-che domani é il mio compleanno, direi che si puó giá brindare. O no? Oggi parliamo del cocktail spagnolo per eccellenza. Quello che, appena inizi a studiare la lingua, inevitabilmente traumatizza nel nome. Se non avete avuto il piacere, sappiate che la traduzione letterale di “Sangría” altro non é che salasso, emoragia. Ma, al di lá del paragone orrido dovuto al colorito rossastro, resta sempre un grande classico che non delude mai. Un classico che prevede varietá infinite di preparazione,peraltro, nessuna delle quali puó dirsi a prescindere “giusta” o “sbagliata”. Si varia dal cointreau alla vodka, dalla presenza all'assenza dei chiodi di garofano, passando per dibattiti annosi sull'utilizzo dello sherry. Io mi limito a proporvi la mia, tramandata anni orsono da Valencia a Trieste a intermezzo di feste erasmus altrui e banchi incisi di una vecchia aula d'universitá.






SANGRÍA: Ingredienti per un litro di vino. 

1 litro di vino rosso
1 lattina di aranciata
1 lattina di limonata
1 bicchiere/1 bicchiere e mezzo tipo "chupito" di vodka
2-3 cucchiai da cucina di zucchero
Frutta varia (mele, arance, pesche, banane...)


Tagliate a dadini la frutta e mettetela in un contenitore.
In una caraffa versate il vino, l'aranciata, la limonata e la vodka.
Mescolate bene.
Aggiungeteci la frutta e lo zucchero.
Mescolate di nuovo.




La Sangrìa va servita rigorosamente fredda, quindi é consigliabile farla riposare per un po' in frigo prima di servire. 

giovedì 29 dicembre 2011

Propositi per il 2012

Nonostante tutto – e lo dicevo- li amo. Ecco perché, nell'inedita speranza di reperirli tra una dozzina di mesi, decido questa volta di sostituire un foglio con i tag. C'è una regola che seguo, una soltanto: non dev'esserci in mezzo niente di realmente impossibile. Niente capatine sulla Luna, Jet Privati, o matrimoni con aspiranti sosia di Jhonny Depp. No. Solo una sfida con me stessa. Un'intenzione ferma di sbarrare caselline. Così, quasi a dar ragione allo spot di una nota marca di scarpe sportive (ma poi, era Adidas o Nike?), ecco i miei propositi per il 2012. In attesa di leggere i vostri con certa malcelata - e neanche tanto lieve- curiosità.


1. Andare a trovare un'amica a Parigi.


2. Trovare il modo di vivere in Spagna a costo zero, foss'anche solo per qualche mese. Benaccetti programmi Leonardo, Servizio di Volontariato Europeo, concorsi del Ministero degli Affari Esteri, corrispondenze per conto di media nazionali, generose ospitalità prolungate. 



3. Riordinare l'armadio. 




4. Uscire di più, almeno nei weekend. 

5. Terminare il mio annoso progetto di programma radiofonico e iniziare a proporlo (anche gratis) alle piccole emittenti locali. 


6. Mandare mie recensioni e pezzi di costume a riviste nazionali di certa risonanza. 



7. Non tenere aperta la schermata di twitter quando devo fare qualcosa di importante al pc. (imprescindibile per la realizzazione dei punti 5 e 6).


8. Vedere Roma.




9. Riuscire a far interessare qualche booking agency italiana a Dani Martín. Possibilmente senza ricorrere alle minigonne inguinali.


10. Organizzare una festa di capodanno filoispanica. 



11. Organizzare almeno due raduni ad alta affluenza di “Locura Italiana”. 


12. Imparare ASSOLUTAMENTE a ballare le sevillanas (credo di essere l'unica persona al mondo che, pur studiando flamenco da ormai quattro anni, lo ignora) 



13. Giocare almeno una volta al Superenalotto o Win For Life. Altrimenti, come faccio a sperare di vincere?

14. Fare il caffé aggiungendo un po' di cioccolato in polvere nel filtro. Cosí, tanto per vedere che ne esce. 

15. Trovare una risposta spiazzante alla domanda “cosa fai nella vita?”. 

16. Sopravvivere alla profezia dei Maya salutando il 2013 con un sonoro “TIÉ”.




martedì 27 dicembre 2011

Il Capodanno mi stressa!

Chiudo le ante dell'armadio dietro ad una pila di vestiti nuovi. Lo sguardo panoramico al suo variopinto disordine interno è già un tacito proposito per il 2012. Del Natale non resta molto altro, ormai. Tutt'al più un pacchetto ancora da aprire, un paio di Santa Claus di cioccolato in bella mostra sulla credenza del salotto, ed una disastrosa sconfitta a Risiko. Stavolta non è servito a niente, il lato glamour dei miei adorati carrarmatini viola. Però ho difeso la Groenlandia, sia messo agli atti. Adesso gli esquimesi sono in debito con me.




Comunque, il problema inizia ora. Ché il mio odio per il Capodanno sta aumentando in proporzione diretta con l'età. E non è propriamente perchè ci soffio candeline sopra. Oddio, magari anche sì. Una terapista direbbe probabilmente che il mio inconscio lo rifiuta perché il giorno del mio compleanno vorrei fosse speciale soltanto per me, invece che per l'umanità intera. Mi chiedo, tuttavia, come interpreterebbe lei la tigre che ho sognato stanotte. O il fatto che Morfeo mi metta continuamente di fronte a personaggi mai incontrati davvero. Per dire. Ma, al di fuori del lettino di una fantomatica psicanalisi, la mia antipatia si deve solo allo stress.

Sì, insomma: è come la Pasquetta. La società ti obbliga a cenoni e discoteche, provocando mal di testa collettivi già a partire da Ottobre. Così magari ti ritrovi, un tardo 27 di Dicembre, a soppesare opzioni contrastanti. Da una parte, l'ennesimo viaggio in treno. Ché il programma è dei migliori: piatti tipici spagnoli, spettacolo di flamenco, ottima compagnia. Uno di quelli che sembrano fatti su misura per te. Solo che, ancora una volta, per raggiungerlo devi inghiottire kilometri. E allora ti assale come un deja vù trito e ritrito l'odore vagamente acido del riscaldamento troppo alto. Il senso di sporcizia sui sedili azzurri semivuoti. Qualche ragazzo già ubriaco alle cinque del pomeriggio. L'immancabile extracomunitaria in tiro che, con un panettone in mano, pare particolarmente in vena di socializzare. Il solito drogato che, in stazione a Mestre, ti chiede in tono losco se hai qualche moneta. Accidenti: quanti anni sono, ormai, che il giorno del mio compleanno lo passo così? Una torta al volo, il vestito buono in valigia, il cellulare che si scarica mentre muoio dalla voglia di leggere gli auguri su facebook. Perchè, da quando esiste facebook, per altre vie non te li fanno più. Sentirsi assurdamente emarginati, e ancor più assurdamente scortesi, per il semplice fatto di non poterlo fare. Ma “se viaggi a capodanno, viaggi tutto l'anno”, eccolo lì, dentro alla fretta, tutta il peso popolare della consolazione.

Dall'altra parte non c'è niente, almeno per le aspettative della società. Soltanto una serata qualsiasi in compagnia della famiglia. Chiusi in casa, probabilmente in tuta, ad aprire quei Santa Claus di cioccolato mentre ci si sfida a qualche gioco da tavolo. E, con mia discreta sorpresa, mi accorgo che non mi dispiacerebbe mica. Solo che non sarei capace di affrontare i taciti giudizi, questo é. Ché il giorno 1 inizieranno a fioccare foto di serate mondane riuscite alla grande, commenti inspiegabilmente fieri su coma etilici evitati per un pelo, domande su quello che hai fatto tu. Non avere un moroso e non passare il capodanno con gli amici ti fa sentire inevitabilmente una persona sola. E non importa che poi l'abbia scelto tu, magari dando retta a quell'assurda stanchezza. Scegliendo, quel viaggio, di rimandarlo soltanto di un po'. No. Il giudizio degli altri può essere un'occhiata. Un sospiro. Può anche non essere nient'altro che un pensiero che ti sei inventata. Eppure riesce a esistere lo stesso. Riesce a condizionarti, dannazione.



Perciò alla fine non lo so, cosa farò il trentuno. Magari a Trento ci vado davvero, e di certo se lo faccio mi divertirò. O magari me ne starò a Monfalcone, chiedendo la rivincita ai miei carrarmatini viola. Comunque sia, detesto le paturnie mentali che quella data riesce sempre a crearmi. Sempre, sin da quand'ero bambina. E dire che mi piace, l'idea dell'anno che inizia. Di una lavagna vuota- un'altra – tutta da riempire. In fondo sono quella che fa le liste dei propositi e dei desideri. Quella che cerca profezie nella prima canzone ascoltata per caso. Quella che, soprattutto, distorce i ricordi nei bilanci per dare maggior rilievo a quelli positivi.

Il giorno di Capodanno, però...Dio, quello mi piace sempre meno. Oltrettutto, scrivendolo mi accorgo che mentivo: le candeline c'entrano. Sì, c'entrano eccome. Ché se scarto discoteche dai progetti; se il treno mi impigrisce; se ho bisogno di famiglia...beh, magari é per la stessa ragione per cui inizio ad adorare i concerti in teatro, coi biglietti numerati e zero file. Magari è solo questo: sto invecchiando.

Proprio oggi, mentre ci riflettevo, é uscito in anteprima un brano del primo disco solista di Leiva dopo la separazione dei Pereza. Quasi volesse ricordarmi che cambiare può anche non essere un male. E, in effetti, sapete una cosa? Quel brano m'é piaciuto da morire.  





venerdì 23 dicembre 2011

Venerdí...Churros!


Churros. Accompagnati da una tazza di cioccolata fumante, incarnano una tra le più tipiche tra le colazioni spagnole. I più famosi sono probabilmente quelli della storica chocolatería San Ginés, in pieno centro di Madrid, ma potete trovarli con facilitá in pressoché qualunque punto della penisola iberica. A me ricordano colazioni in comitiva la mattina dopo un concerto, o il baretto sotto casa del mio periodo malagueño  in un momento di relax dopo l'intensa sessione di shopping pomeridiano.
 Leggi altrimenti: “sigh, nostalgia” (ché, tra l'altro, la foto a corredo del post é stata scattata proprio in quel contesto). Sconsigliatissimi in seguito agli eccessi alcolici del Carnevale di Cadiz (specie se, davanti a te, ti si prospettano svariate ore di pullman sobbalzante), sono tuttavia soliti mettere il punto e a capo ai festeggiamenti iberici per l'anno nuovo. Ed é anche per questo che, guardando il calendario, oggi la mia rubrica culinaria la dedico a loro.


CHURROS

Ingredienti per 4 persone:

500 gr. di farina bianca
sale
olio d'oliva

Tempo di realizzazione: 20 minuti
Tempo di cottura: 15 minuti

In una pentola capace portare a ebollizione un litro d'acqua leggermente salata. Versarvi, poco per volta, la farina setacciata, mescolando vigorosamente con una frusta, fino a ottenere una pasta morbida ed elastica. Lasciar intiepidire.

Far scaldare abbondante olio nella padella dei fritti (in alternativa, potete anche utilizzare direttamente la friggitrice). Raccogliere l'impasto in una tasca da pasticcere con bocchetta grande spizzata; far scendere la pasta direttamente nell'olio in bastoncini della lunghezza di circa 10 cm. Quando saranno dorati, sgocciolarli e farli asciugare su carta assorbente da cucina.

Potete servirli sia caldi che freddi. Se non li accompagnate con la classica tazza di cioccolato, sono molto buoni anche cosparsi di zucchero a velo. 

giovedì 22 dicembre 2011

Feliz Navidad, perció.

Due modi diversi di farvi gli auguri, a tramite di due enti quasi diametralmente opposti. Nello specifico, un fanclub e una galleria d'arte. Ché a me, i montaggi video, piacciono sempre e comunque da morire.

Poi, in fondo, che importa se con tutta probabilitá da qui a Natale posteró di nuovo?



mercoledì 21 dicembre 2011

Il passato, face to face.

Io una volta avevo un blog. Non questo, dico: un altro .Il primo. L'avevo aperto nel 2003, protetta dall'anonimato di un nickname. Ero soltanto una ragazzina, eppure ancora mi sorprende il successo che aveva. Certo, come tutto, c'era voluto un po' perchè prendesse piede. Ma ero molto paziente, all'epoca. Armata di un manuale che riportava l'elenco aggiornato dei blog più letti in Italia, ero passata a lasciare commenti mirati sotto ad ognuno dei loro ultimi post. Post che avevo letto davvero, e che davvero mi riuscivano ad interessare. Erano frasi brevi, profonde o ironiche a seconda della circostanza. La costanza aveva portato alla familiarità. La familiarità all'intriga. E forse era vero che non scrivevo male. Morale: con quel blog, in rete, ero quasi riuscita a farmi un nome.



Lo aggiornavo quotidianamente, alternando scritti lunghi ad illuminazioni twittere ante-litteram. Zero immagini. Carattere Times New Roman corpo 12. Interlinea inesistente. Eppure, avevo una media di 15 commenti a post. E non parlo di spam, badate. Non mi riferisco agli inutili “passa da me”. No. Quella era gente che mi leggeva, e lo faceva con attenzione. Su quel blog, tra quei commenti, erano arrivati a lasciare la loro firma scrittori di best sellers come Luca Bianchini, Federico Moccia (ebbene sì) o il duo emergente tutto al femminile Canevari e Fiume. Per non parlare delle cosiddette e pluripremiate blogstar: gente come l'autore di “e io che mi pensavo” , Squonk o Personalità Confusa passavano a dire la loro in più di un'occasione. Se non sbaglio, l'aveva fatto in un caso persino Macchianera in persona. Avevo anche inventato una fiction comico-fantasy a puntate, molto liberamente tratta dalle vicende che accadevano durante un corso di spagnolo all'università. Ogni puntata occupava in media 4 pagine di word, per dire. Eppure erano i post più apprezzati, in barba alla legge della brevità di cui tanto si riempiono la bocca gli esperti di comunicazione online. I lettori fissi li chiedevano a gran voce. Molti mi scrivevano in privato dicendo che s'erano stampati la puntata per poi leggersela a letto prima di andare a dormire. Lo giuro. Era qualcosa di incredibile, almeno a pensarci ora. Di estremamente gratificante, anche e soprattutto per la mia autostima.

Ma la cosa migliore era che non me ne importava. No. Per niente.

Io, quel posto, lo usavo per sfogarmi. Raccontavo delle mie cotte, dei miei pensieri, delle bizzarrie infinite della vita quotidiana. Il fatto che nessuno mi conoscesse (salvo qualche sporadica amica tra le più fidate) mi dava una libertà che, a conti fatti, m'accorgo oggi di non avere più. Perchè finchè la vita reale non fa irruzione nel tuo racconto, puoi fregartene delle convenzioni sociali. Se t'innamori lo scrivi. Se t'incazzi lo scrivi. Se conosci qualcuno che ti sta antipatico a pelle, beh, che cacchio! Anche quello lo scrivi. L'anonimato non ti obbliga a proteggere un ruolo davanti alle aziende che ti cercano su google, né tantomeno a tutelare gli altri dalle offese di una troppo cruda verità. Io non ero Ilaria, su quel vecchio blog. Eppure, forse, ero me stessa più di quanto ogni giorno, in faccia al mondo, io riesca ad essere mai.



Ricordo commenti del tipo “sei sicura che sia una buona idea?”, oppure, “parli di questo qui con troppa frequenza, non é che ti piace?”. E ricordo anche che io, puntualmente, mi ci incazzavo. Negavo, a me stessa prima ancora che a loro. Sempre. Pensavo che quella gente non mi conosceva. Che non avesse diritto di giudicarmi. Eppure, con il senno di poi, mi sono accorta di come quegli estranei avessero, incredibilmente, quasi sempre avuto ragione.

E poi c'era uno, che mi leggeva sempre. Se non ricordo male, amava la Spagna pure lui. Non mi aveva nemmeno mai vista in faccia, eppure ricordo con certa gratitudine il momento in cui mi disse che, soltanto per quello che scrivevo, per il mio modo d'essere, pensava che di una come me si sarebbe senz'altro innamorato. Ovviamente, lì per lì ero scappata terrorizzata. Troppa franchezza, troppa sfrontatezza. E chi diavolo sei? Ma è stato in quel momento, grazie a quelle poche parole, che ho deciso che essere se stessi è in fondo l'unica cosa che davvero paga.

La migrazione di Splinder: è sempre colpa sua, se mi ritrovo oggi faccia a faccia col passato. Una mail promemoria. La decisione di lasciarlo andare....

E, di colpo, sono di nuovo lì. Al momento della svolta. Al mio tragico errore. Chè avevo commentato col nickname il post in cui un'amica parlava di me con nome e cognome. Mi sembra di riviverlo, adesso, il profondo terrore di quell'affermazione. Era l'ultima lezione di un corso universitario a Parma. Minuti di cazzeggio nell'aula d'informatica, coi piedi sanguinanti sotto le dannate scarpe nuove che dopo quel giorno non ho messo mai più. D'un tratto qualcuno, alle mie spalle, aveva iniziato a leggere a voce alta le prime righe del post di quell'amica. M'ero girata di scatto, il sudore sulla fronte, pensando tra me e me “Dio, per favore, fa che non legga i commenti!”. E poi invece l'aveva fatto. E poi aveva visto che, sotto a quel mio commento, c'era il link al blog.

Non ho mai saputo se al mio “smettila, ti prego, smettila, ti imploro perfavorepercaritàdidioperdiononcliccare” sia poi mai seguito l'effettivo clic. Di certo lui era rimasto in silenzio per qualche secondo, fissando lo schermo. E poi guardandomi stranito in virtù di una reazione che a chiunque , in effetti, sarebbe sembrata un filino esagerata. Anche perché non é che l'ultimo post in ordine cronologico fosse granchè rilevante, o personale, o spaventoso. Anzi, credo parlasse della bellezza di Parma in un giorno di primavera. Niente di che. Ma resta il fatto che non ero più riuscita a concentrarmi su nient'altro fino all'agognata fine di quella giornata.

Chè, lo sappiamo tutti: le notizie fanno in fretta a propagarsi. Studiando giornalismo lo sapevo, allora, soprattutto io. E in quel preciso istante, ci fosse stato o meno il clic, il mio segreto non era più al sicuro. La prima cosa che feci, appena arrivata a casa, fu andare su splinder e rendere privato quel blog. Seguì un sospiro di sollievo. Il giorno dopo, un'altra ragazza – mia compagna di corso – mi disse infatti, com'era prevedibile, di aver letto il mio messaggio fittizio di scuse. Quello che adesso appariva se, cliccando sotto al blog della mia amica, capitavi su quel mio vecchio blog. Per la serie, "l'avevo detto, io". 



Faccia a faccia con i post di quel periodo, mi sono trovata oggi a chiedermi cosa sarebbe successo se quel ragazzo, quel giorno, non avesse detto nulla. Forse, chissà, sarei riuscita con il tempo a diventare una blogstar anch'io. Però quanti danni....Dio, che caterva infinita di danni avrei finito con l'infliggere alla mia vita quotidiana! Perchè fregarsene delle convenzioni sociali, in fondo, va bene solamente finchè la società non entra in esse. Dopo, ci son soltanto casini. E poi,boh, magari è vero che qui sono un po' meno libera. Che scrivere mettendoci la faccia mi diverte meno che allora. Ma le opportunità che sono arrivate grazie a questo spazio; le persone che grazie a queste righe ho conosciuto...beh, non sono certo qualcosa che posso rinnegare. No. Io a questo posto devo troppo. Anche se non mi scrivono i “vip”, e i 15 commenti al giorno non li ho più. Forse soprattutto per questo. Perché oggi sí, che a cose come quelle darei peso.

Alla fine sono tornata su quel primo, vecchio blog. Nei circa 5 minuti di tempo in cui l'ho reso pubblico per esportarlo su di un'altra piattaforma ben 5 persone hanno visitato il mio profilo. Una a minuto, capite? Sono arrossita dietro allo schermo. Poi, al sicuro in un posto che non dirò, l'ho richiuso alle visite esterne.

E' una fetta del mio passato cui soltanto io posso oggi accedere. Ma il passato va affrontato, anche a scadenze regolari. Al passato io non ce l'ho avuto nemmeno stavolta, il coraggio di dare un definitivo addio.

lunedì 19 dicembre 2011

Fare la fashion blogger non é cosa per me.

Volevo fingermi una fashion blogger. Sì, insomma, pensavo che un vernissage importante come quello di Sabato scorso non avrebbe spinto solo me a mettere sottosopra gli armadi. Talmente sottosopra che stanotte ho sognato che me ne regalavano uno per Natale, tra l'altro. Eppure, a quanto pare, mi sbagliavo.



Per caritá, magari é anche un po' colpa mia. Io l'avevo presa sul serio, questa mia inedita missione di scrutare la folla alla ricerca dei nuovi trend di stagione. Molto sul serio, lo giuro. Ma ho il problema di distrarmi con troppa facilitá. Del tipo che sto filmando il discorso dei soci fondatori di una Galleria d'Arte, con il preciso intento di pubblicarlo posteriormente sulla pagina facebook aziendale. Voglio dire, doveva essere una cosa seria. Solo che, dopo circa due secondi di riprese, hanno 'sta bella idea di passarmi davanti con del cibo. Capirete, non ho saputo resistere.

Il video in questione – che credo non vedrete mai – riecheggia la mia voce un po' stridula mentre urlo “uuuuuuuuuuuh, ma é arrivato il cotto”. Segue primo piano zoommato di due invitanti tartine di prosciutto ricoperte da scagliette di rafano. Vabbé. Tra l'altro l'avevo conosciuto poco prima,il tizio che affettava il prosciutto. Mi aveva trattenuta per circa dieci minuti abbondanti spiegandomi che una volta gli era scivolato il coltello provocando tre punti di sutura sulla mano di un cliente affamato. Io, col cappellino zorresco del Garrotín, mi sento vagamente giustiziera mascherata. Ma, nonostante questo, me la sono data a gambe con ben poca dignitá.



Comunque, distrazione o no, resta il fatto che di look particolarmente degni di menzione, io non ne ho mica visti granché. L'affluenza alla mostra di Zigaina si é mantenuta nel consueto standard di sobria eleganza senza eccessi, nella sua stragrande maggioranza in tutto simile ai manichini in vetrina per le vie del centro. D'altra parte, é pur vero che le trend setter si muovono in genere nelle grandi metropoli. Non certo nelle cittadine di provincia d'uno sperduto (ma, va detto, molto ben illuminato) Nord Est.

Peccato, peró. Ché io le fashion blogger le ammiro. Dico davvero. Se ne vanno in giro con quest'aria di lieve saccenza glamour, sollevate dal resto dell'umanitá dai dodici centimetri di tacco che qualche rinomata azienda ha loro gentilmente ceduto a cambio di pubblicitá. Rispettate dagli stilisti. Venerate come dive dai media del settore. Tendenzialmente antipatiche a pelle e altrettanto tendenzialmente (forse non a caso) strafighe, le fashion bloggers risolvono il post quotidiano con due righe e una foto. Al massimo ci aggiungono un video in cui parlano sbattendo le ciglia, proprio a volersi sprecare. Eppure, quasi sempre, vengono sommerse da contratti di pubblicazione. Le vedi ai talk shows, atteggiate a maestre di vita, mentre parlano di effimero spacciandolo per profonditá.

Nonostante o a causa della mia profonda invidia, avrei voluto per un giorno sentirmi un po' come loro. Ma, ad essere sincera, non saprei nemmeno da che parte cominciare.

Magari dalla mia, di mise. Ché quella gonna irregolare, tutta pizzo e intarsi oro, io la adoro come fosse una figlia.

Te sempre gitana, eh? ”, mi é stato detto.
Peró con eleganza”, ho aggiunto col sorriso.



O magari dal look in assoluto piú osannato, composto da: linee a palloncino di una gonna lunga, scaldacuore con scollo a sbuffo, maxibag Luis Vuitton, mix sovrabbondante di collane e sciarpine, sdrammatizzazione sotterranea di un paio di anfibi. Il tutto, rigorosamente, sulle tinte del marrone.
Peró, vedete? Non ho neanche una foto da apporre a dimostrazione. E non ce l'ho nemmeno dell'altro paio di abbigliamenti che la mia iride ingenua ha fotografato dentro sé. Il primo total black, ché non si sbaglia mai. Gonna sotto al ginocchio, scampanata. Senza le pieghette, ma comunque un po' da collegiale. Stivali rasoterra, morbidi e alti. Maglioncino tinta unita sopra all'intramontabile camicia. Collana in perle grandi, sempre nera, ad arricchirlo un po'.

Il secondo total gray, se poi mai si potrá dire. Col mini-dress (notare il dominio della terminologia specifica, acquisito a furia di guardare “Ma come ti vesti?” su Real Time ) che si apre svasato appena sotto al decolleté. Lungi dal provocare, si veste di romanticismo con le quattro roselline in stoffa tono su tono che sopra di esso sono cucite.



Ad essere sincera, peró, io allo sguardo d'insieme ho sempre preferito il dettaglio. E, allora, di tutta quella passerella improvvisata, scelgo ancora una volta gli accessori. Due, in concreto: un cappotto pseudo desigual con decori rossi su grigio, e una collana di colorati fiori in feltro a conferire allegria a un vestito. Non a caso, due capi che ho – o potrei indossare – anch'io. D'altra parte, credo fermamente che la moda sia solo questione d'interpretazione. Non si tratta di seguire una corrente, e tantomeno di anticiparne una. No. Io credo che lo stile giusto sia, in ogni occasione, quello che sa rispecchiarti l'anima.



Per questo, a ben vedere, amo la mia gonna d'eleganza gitana. Anche per questo, forse, quello della fashion blogger non sarebbe il mestiere per me.


venerdì 16 dicembre 2011

Venerdí...Tortilla! (Sí, sí, chiamatemi pure Benedicta Parodos)

Io, a quest'ora, dovrei essere a Vicenza. Il piano era cercarsi un po' di Spagna nei reincontri tra bloggers. Ci attendevano copitas di Tio Pepe e assaggini di Pulpo a La Gallega, all'inaugurazione del Tablao Flamenco gestito da amici. Otra vez será. I piani, d'altro canto, sono fatti anche per essere disattesi. Specie se c'é in giro l'influenza di stagione. Cosí, mentre Paola fa compagnia allo scarso opportunismo del suo virus, io m'armo di colla, pennarelli e cartoncino. Poi, tra un bigliettino di Natale e l'altro, mi viene d'un tratto l'illuminazione. Beh, no. Per dirla proprio tutta, l'idea mi girava in testa da un bel po'. Solo che oggi ho deciso di anticiparne la realizzazione.

E allora benvenuti al primo numero della mia rubrica culinaria settimanale. Sí, sí, avete letto bene. Non che abbia pretese da Benedetta Parodi, beninteso. Ma, se si tratta di cercare la Spagna, i fornelli sono sempre uno dei luoghi migliori.



In sostanza: da ora in poi, ogni Venerdí questo spazio sará occupato da una ricetta. Piatti, bevande e sapori tipici della cucina iberica. Tutti rigorosamente da me sperimentati. Ovvero – garantisco - alla portata di chiunque, vogliate stupire i vostri amici o ricordare bei momenti a tramite di papille gustative. In fondo, se ci pensate, Venerdí é il giorno giusto: anticamera del fine settimana, periodo tradizionalmente dedicato alle cene, al tempo libero e alla vita sociale. Venerdí, soprattutto, é il giorno del #FF su twitter, cosí non rischio di dimenticarmene mai.

La partenza é affidata a un Grande Classico, trasversale alla gastronomia di tutta la Penisola. Oggi, amici, tocca alla mitica Tortilla de Patatas .



TORTILLA DE PATATAS

Ingredienti per 6 persone:

1Kg di patate
7 uova
2 cipolle
150 g di olio extravergine d'oliva
sale

Preparazione:

Sbucciare ed affettare sottilmente le patate e le cipolle. Scaldare 100 g di olio in una pesante padella di ferro. Unire le fette di patate e cipolle, salare e mescolare delicatamente facendo attenzione a non romperle.

Lasciar rosolare per circa 20 minuti.
A fine cottura, eliminare l'olio in eccesso.

In una ciotola sbattere con la frusta le uova con un pizzico di sale. Aggiungere il misto di patate e cipolle e lasciar riposare.

Scaldare intanto il rimanente olio in una capace padella di ferro. Versare il composto di uova e patate nell'olio ben caldo, livellare e lasciar cuocere a fuoco basso per pochi minuti. Girare la frittata con l'aiuto di un piatto e far cuocere sull'altro lato finchè sarà dorata. NB: una padella di diametro ristretto e bordi alti vi aiuterá a rendere la vostra tortilla piú spessa, oltre che – ovviamente – piú facile da girare. Se volete renderla piú soffice, aggiungete agli ingredienti uno o due chiare d'uovo in piú.

Si puó servire sia calda che fredda, anche se la tradizione spagnola (nonché il mio gusto personale) predilige decisamente la seconda opzione.

Curiositá da non dire ad alta voce: una volta, a Madrid, mi é stata consigliato anche un metodo di preparazione alternativo per chi va di fretta. Non é molto sano, i puristi rabbrividiranno, e di certo non compete con il risultato della ricetta originale. Tuttavia, mi sento comunque di suggerirvelo per momenti fame improvvisa. Si tratta di sostituire le patate e le cipolle rosolate a delle semplicissime patatine in sacchetto comprate al supermercato e seguire pari pari tutto il resto del procedimento. Non ci crederete, ma il sapore finale riesce lo stesso ad essere buono. 


martedì 13 dicembre 2011

Francesco e gli altri.

Nel grande golfo nero dello stadio il pubblico aveva intonato un canto famelico e feroce. 
Silver non capiva le parole in francese, ma sapeva benissimo che cosa voleva quella gente:
 ancora lui, ancora e ancora lui.

(Tim Griggs, “La voce veniva dal fiume”)


“Ci sono ancora biglietti, per stasera. Vuoi andarci?”

Nessuna presunzione di serietà nel punto interrogativo. Non sono una fan di Jovanotti, mia madre lo sa bene. Sorseggio il caffè dietro a una smorfia, la mente ancora in bilico tra immagini oniriche e pagine di un vecchio libro letto la sera prima. Il prezzo in lire marchiato sulla quarta di copertina. Una copertina esteticamente poco affascinante, peraltro. Malinconia di quattro alberi rinsecchiti su caratteri svolazzanti. Eppure, certe cose non cambiano mai.



Anche quel romanzo parla di una rockstar. Di un idolo di masse. Di quella fame insaziabile e mostruosa che ti affonda i piedi nel fango mentre dimentichi la vita, tutta la vita che hai lasciato al di là. I concerti sono una parentesi, quest'è. Una parentesi di assoluta gioia.

Jovanotti, tuttavia, ha delle canzoni buone. Le illuminazioni fulminanti di Mi Fido di Te, troppe volte ricopiate al margine delle mie agende. Bella, e una festicciola delle medie in cui avevo sbagliato il colore dei collant. Il più grande spettacolo dopo il big bang, che prima ancora di Fiorello già avevo reinterpretato dentro un videoclip.



Ne avevamo parlato anche a pranzo, dell'evento previsto ieri sera. Un lungo dibattito sulla recente abitudine di fissare i concerti il Lunedì. Amarezza per i fans più nomadi. Esigenza di circolazione per la non concomitanza di eventi sportivi. E poi il PalaTrieste...Dio, il PalaTrieste è stato cornice del primo vero concerto di massa a cui io abbia mai assistito. Ne ricordo ancora la data : 4 Dicembre 2000.

Dicono che le prime volte non si scordano mai. Eppure, di quella giornata non mi restano che flash. Ricordi spezzettati e distorti, molto meno frequenti dei vuoti. L'identica concatenazione sfocata di un ubriaco che ripensi alla sera prima. Transenne distorte dalla spinta concomitante dei nostri troppi ormoni da ragazzine. Una doccia di birra sui capelli. Puzza d'alcol. L'energumeno che mi solleva da terra per scaraventarmi al di là. Suonavano i LunaPop, la band icona della mia adolescenza. L'evento che più a lungo avevo atteso. Il giorno che per tanto tempo ho continuato indefessa a considerare tra i più belli della mia giovane vita. C'erano tutti, alle mie spalle. Tutti loro. Le persone che da lì a due anni avrei conosciuto, apprezzato e criticato bonariamente in più d'un'occasione. Persone che il destino aveva già incrociato al mio, e che pur tuttavia ancora ignoravo. Un giorno importante, per la me quindicenne che ora non ricorda altro che la maglietta bianca e sudatissima di Cesare, solcata da un fulmine sbarluccicante azzurro. Una mandria di femmine che mi scaraventa a terra per afferrare un pezzo di asciugamano scuro. L'amica che tende una mano per ritirarmi su. La mia risata. Il dolore al sedere che, per più di una settimana, non ha voluto saperne di andar via.

Sì, col PalaTrieste ho un legame affettivo. Ho un legame affettivo coi concerti, soprattutto. Li vivo, ne parlo, ne scrivo, li leggo...da quel lontano giorno di Dicembre – o forse ancora da prima, dal live di Elisa nel teatro della mia città – io della musica dal vivo non ho più saputo fare a meno.


Così un ragazzo muore. Muore lì, nel luogo che una volta ha marcato il mio destino. Muore a diciannove anni, nel tentativo sottopagato di costruire ad altri la felicità. Ne ho conosciuti, di giovani così: facevano quel lavoro per pagarsi le uscite serali, magari per dare una mano con le rette dell'università. Un impiego saltuario, faticoso, poco remunerato. Di quelli che mai e poi mai penseresti che potrebbe rubarti la vita. Certi li ho conosciuti, altri li ho semplicemente visti: a petto nudo, mandidi di sudore, sotto il sole insopportabile dell'estate spagnola. E non vuol essere un'immagine sexy, nient'affatto. E' semplicemente emblema di fatica. Quante volte sono stata lì, a guardarli, distesa al riparo ombroso di una tenda in prestito, convinta che il sacrificio lo stessi facendo io.

Ho saputo di Francesco, e come concertista la mia pelle è ancora solcata da brividi. Di colpo m'é tornata in mente quella frase, quella che Dani pronuncia ad ogni dannato concerto, da anni, sin dagli esordi con El Canto del Loco. Una frase che ho sentito troppe volte perché il mio applauso non risulti mio malgrado meccanico. Una frase che, a conti fatti, non avevo mai apprezzato appieno.

“Grazie”, è questo che dice, “grazie ai ragazzi che hanno montato tutto questo, perchè è anche merito loro se possiamo divertirci questa sera”.

Mi viene in mente, anche, il lungo applauso che una volta abbiamo dedicato a un tizio coi dreadlocks. Mancava poco all'inizio dello show. E lui, imbragato in un'attrezzatura da freeclimber, era stato sollevato da corde sottili fin sulla cima della transenna destra. Elmetto in testa, minuscola pila elettrica in mano. Con poche, agili movenze, aveva adempiuto al suo compito: lisciare una piega che il vento aveva formato sull'ampio stendardo promozionale. Ricordo che, appena aveva toccato terra, qualcuno di noi gli aveva urlato “grazie”. Così, semplicemente. Lui ci aveva guardato stranito, ed io già allora avevo pensato che quel grazie fosse il segno più grande di rispetto e civiltà.

Perché i concerti, ragazzi, sono un'industria. E a volte, persi nell'overdose di sensazioni che riescono a trasmetterci, dimentichiamo quante persone ne facciano parte in realtà. Oggi, beh...per quanto suoni scontato e retorico, oggi io mi sento un po' più vicina a chi nei miei resoconti non appare mai.

Chè ieri sera ho scoperto che tolgono due file, al prossimo concerto cui andrò. Il montaggio, stavolta, sará di poche pretese, perché di pretese ne ha fin troppe storia e estetica del luogo.


Ma la mia “Fila 3” , questo m'han detto, sará in realtà un nuovo vis a vis di pochi metri con Dani Martín, nel giorno del mio onomastico. Finché non saró lá, non saró mai del tutto certa che sia vero. Eppure, immediatamente, mi si é dipinto in volto uno di quei sorrisi idioti che non si scollano piú. Ho pensato a rimmel trasparenti. A come mi vestiró. All'inquadratura perfetta per le foto. E poi, in mezzo a tutto questo, mi é tornato in mente Francesco. Francesco e tutti quelli come lui, a cui dimentichiamo di dir “grazie” ogni volta che tutto va bene.

lunedì 12 dicembre 2011

I Love Shoes! (Ma, prima ancora, la creativitá)


Non c'é alternativa, pare, al barcamenaggio tra collaborazioni. Quanto a me, ne porto avanti parecchie. E tuttavia sono in poche a darmi la stessa soddisfazione che mi da scrivere di design. Davvero, voi non avete idea delle cose che si trovano cercando notizie. Prodotti originali. Divertenti. Anticonformisti. Oggetti di cui pensi “come diavolo si fa a comparlo?” e altri che a tutti i costi vorresti avere in casa. A conti fatti, é un po' come passeggiare tra gli scaffali di un negozio inesauribile, illuminandoti gli occhi senza peso sui polpacci né sfinimento da luci al neon. Un sogno. Se solo mi garantisse uno stipendio, potrebbe veramente essere un lavoro per la vita. Ad ogni modo, se ve ne parlo oggi non é con fini d' autocelebrazione. Macché. E' solo che ho trovato questo blog, il blog di un israeliano che produce scarpe fuori di testa. Autentiche sculture da piedi. Robe che io non indosserei mai, nemmano da ubriaca. Peró che, accidenti, mi affascinano un casino. 


Le mie preferite sono le Olive Oly qui in bassoseppur in snervante competizione con le Slide e le Miao. E le vostre? 



domenica 11 dicembre 2011

Eventi mediatici ...classici.


Un brano dei Negrita mi ha risvegliato in un sol colpo Natale, buonumore e fantasia. Alleluia Alleluià, con l'accento sulla A. Vivere sulle montagne russe del mio umore é un'impresa titanica anche e soprattutto per me. Peró, sul serio, non smetterá mai di sorprendermi il modo in cui quei tizidi Arezzo riescono sempre ad essere opportuni. Ah! E il vago richiamo al titolo di un vecchio film é stato del tutto casuale. Lo giuro.




Comunque, ora che son tornata in me, c'ho un po' da fare. Cose assolutamente utili alla sopravvivenza della specie, beninteso: tipo origami, montaggi video e organizzazione- capodanno. Capirete: troppo a lungo non mi posso trattenere. E' anche vero, peró, che in questi ultimi giorni si sono successi alcuni eventi mediatici di cui, da filoispanica, non posso tacere. Tipo l'ennesimo Clásico, che per l'ennesima volta porta con sé la conclusione irrefutabile per cui Iker Casillas  , esteticamente, si avvicina molto al mio ideale d'uomo. Poi ha pure postato su feisbuc un brano de El Pescao , non si é perso un concerto de El Canto del Loco nella Capitale ed ha fatto suonare DaniMartín ad una sua intervista celebrativa su Cadena Ser. Voglio dire: che carinoooooo! Poi del calcio non me ne frega niente. Anzi, per dirla proprio tutta, il Real Madrid mi é sempre stato tendenzialmente un po' sulle palle. Peró oh, si vede che col buonumore mi si sono risvegliati anche gli ormoni, che vi devo dire?



Tra l'altro, aver accennato ai due cugini (per chi fosse nuovo del blog: ne sentirete molto parlare, per cui é meglio che vi informiate – e rassegnate- da subito) mi permette l'aggancio ad effetto all'altro evento mediatico a cui accennavo. Dicesi: Premios 40 Principales, sorta di personale tradizione natalizia che , dal vivo o al di lá di uno schermo , porto avanti sin dalla prima edizione.

Ché l'altro giorno, davanti all'esaltazione di Tony Aguilar, si sono susseguiti in me ricordi di maratone improvvisate lungo Calle Alcalá; passioni giovanili per Enrique Inglesias; imprecazioni sui consueti divistici ritardi di Shakira (da me oramai soprannominata Trenitalia); senonché -last but not least- constatazioni su nuove possibili utilitá della gonna di Malú nelle pulizie domestiche per donne impegnate.



E in mezzo a tutto questo, ho anche trovato il tempo di incazzarmi un po'. Poi magari é perché son poco obiettiva, intendiamoci. In fondo non nego che mi sarebbe piaciuto vedere il volto emozionato di Mamma Carmen mentre ritirava il premio di un figlio contemporaneamente impegnato a conquistare le Americhe. Che giá solo per la sua umiltá credo ne meritasse uno anche David. Sí, ero di parte, non é affatto un mistero! Peró, accidenti...puó un premio al Miglior Tour essere affidato alla scelta di una giuria? Insomma, é la gente che paga i biglietti, non una dannata giuria. Soprattutto: puó un premio inserito nella “categoria nazionale spagnola” essere vinto da una band messicana? E ancora perché, per la prima volta nella storia, le categorie “Miglior Solista” e “Miglior Gruppo” sono state accorpate – e, com'é ovvio, tarpate – in una sola? Consentitemelo: é solo perché alla fine non le é toccato il trofeo, che tutti sono passati sopra al fatto che Trenital...ehm, Shakira fosse nominata due volte nella stessa categoria.

Dovevo dirlo: di parte o no, a me quest'anno il galá ha deluso. Tra playback malfatti e stonature dal vivo, salvo poche cose oltre alla festa -show di Carlos Jean, la performance del suddetto Pescao e la maglietta di Amaia Montero.



venerdì 9 dicembre 2011

Campovolo e lacrime in 3D.

Milleuno comma bis: mai far vedere documentari di concerti ad una pseudo-groupie in crisi di astinenza. In barba alle mie stesse regole, ieri sera ho scelto Campovolo. Non l'avevo mai visto, un film in 3D, prima. Iniziazione all'insegna delle stelle filanti. Mano che si allunga come a prenderle, lieve frustrazione nella sala vuota di un cinema. Una di quelle situazioni, insomma, che ricordano uscite con Roberta nell'atmosfera pre-natalizia di una Malaga adesso lontana. Uno di quei momenti in cui ti senti comunque ricca protagonista di cortometraggi in bianco e nero.


"Meglio tardi che mai", dirà qualcuno. Smentisco: meglio mai. Almeno se penso alle controindicazioni. Ché voi forse non lo sapete, cosa accidenti possa voler dire infilare occhiali sopra occhiali, se hai il naso troppo magro per sopportarne il peso. Sono uscita da lì con un solco rosso bordeaux a dividermi in due parti nette il viso. Giuro. Mi fa ancora un po' male. Per non parlare del costante scivolamento dei miei occhiali da vista. Va da sé: sottostando a quelli 3D, inducono a continui sfasamenti visivi. Conseguenza: contorni che si sdoppiano. Affaticamento del nervo ottico. Antiestetico sfondo rosaceo alla pupilla, formatosi dopo novanta minuti appena. Ma come accidenti avranno fatto a sopravvivere tutti quanti, alle quattro ore di avatar? Non ti viene il mal di mare? Mah. Forse son strana io. Resta il fatto che, una volta a casa, ogni minimo rumore mi si amplifica nel cervello. Accendere la luce è il peggiore dei delitti. Giuro che un mal di testa simile io non lo ricordavo dai tempi delle feste erasmus. Quelle piú alcoliche, peraltro. L'inferno dev'essere molto simile al protrarsi perenne di tale condizione.

Comunque. Adesso penserete che io sia qui per lamentarmi, e invece non è vero. Chè Ligabue, già solo a sentirlo parlare, m'evoca odore di terra e profonda tranquillità. E', a conti fatti, la stessa sorta di nostalgica quiete casalinga che provo nel deja vù di portici e di giallo, di chiese a mattoncini e strade strette. Tra nebbia e locali a cui dai del tu. Sospiro. Ligabue è la mia Emilia. Emilia adorata, seppur sia senza mare. Non m'ero resa conto di quanto mi mancasse, cavolo. Sono ricordi formato canzoni. Ancora una volta, protetti dal visino stupito della Luna Piena. Quella Luna – la stessa – mentre centoventimila persone affollavano Campovolo, stava realizzando i miei sogni in terra spagnola. Era il picco di qualcosa che da lì, mi ci sono fissata, non poteva far altro che decrescere. E forse è per questo che adesso avrei più che mai bisogno di un messaggio. Di un conforto, un appiglio a cui potermi aggrappare. Una ragione per rendermi conto, ancora una volta, che non é cosí. Poi non so cos'ho, accidenti: sono tre giorni che piango per ogni cazzata. Tristezza, rabbia, felicità, emozione, frustrazione, invidia...è come se nessun sentimento fosse più in grado di restare chiuso dentro me. Sono un pianto continuo, insopportabile. L'altro giorno ho stentato a trattenere le lacrime persino perché non mi riusciva al primo colpo un passo nuovo di flamenco. E ho detto tutto. Cioé, vi prego, abbattetemi.



Ma poi saranno gli ormoni. Sarà che c'è pure oggi, questa benedetta Luna Piena. Ed è da quel giorno, dal giorno di Campovolo, che persino il ritornello dei Modà per me ha cambiato radicalmente significato.



E sì, sono melensa peggio di una ragazzina. Ma in fondo è identificarsi in una canzone il primo passo per fartela piacere. Se Ligabue riesce a convocare tutta quella gente in uno stesso posto; gente che dichiara –come me- di essere parte di qualcosa...beh, io credo sia perchè ha il dono di riuscire a trasformare le loro storie in un'ensemble di musica e parole. Sapete, una volta qualcuno disse, riferendosi a pop e rock, che “la perfezione, in musica, è sinonimo di freddezza”. Ecco, io sono d'accordo. Perchè ci sono generi in cui è più importante incastrare la personalità in un tratto distintivo, in un riff di chitarre, in una voce immediatamente riconoscibile. Ci sono generi, soprattutto, da cui non ci aspettiamo altro che un riflesso di quelli che siamo. Generi specchio, dentro cui avere un brivido. Colonne sonore al nostro personale videoclip.

Ho scelto di andare a vedere Campovolo perchè, malgrado il mal di testa, un concerto del Liga era un'esperienza che da anni volevo fare. Dover star zitti in una sala vuota, tuttavia, mi risulta comunque un bel po' contronatura. Mi tappo la bocca con le mani, mentre a tutto volume suona “Quella che non sei”. 


martedì 6 dicembre 2011

Regali di Natale per Filoispanici

L'albero sta lí, ancora spoglio e un po' sbilenco, intento a impossessarsi del suo consueto angolino. A ricoprirlo c'é la polvere di un anno che – non lo so perché- odora di transizione. Stavolta, per adornarlo, useremo decorazioni fatte a mano. Cuori intagliati nel cartoncino bianco. Bagni di porporina e brillantini spray. La neve altro non sará che cotone, in una specie di Copy & Paste alla Muciaccia che, se non avessi avuto la brillante idea di beccarmi l'influenza intestinale, di sicuro m'entusiasmerebbe un casino. Non é istinto creativo fine a se stesso, intendiamoci. E nemmeno adeguamento spicciolo ai tagli di MarioMonti, l'uomo che continua a sembrarmi una domanda da test della personalitá (io preferisco la spiaggia). No. E' che, vedete: quando l'anno precedente la tua gatta ha fatto capitombolare l'abete a terra in una media di due volte al giorno, inizi anche a valutare soluzioni alternative. Questa sua ossessione per le forme sferiche, tra l'altro, non é mica sana: ieri, mentre guardavo Fiorello, ha piazzato la zampetta in faccia a Jovanotti. Tutto perché, sullo sfondo, le luci dei riflettori le sembravano piccole palline. Cioé, capite la gravitá? Che poi, non riuscendo a prenderle, c'é pure rimasta male. Poverina.

Comunque. Respiro atmosfera natalizia a Go Go. Sará per questo che m'é venuta voglia di parlare di regali. Per questo, o magari per la pubblicitá invasiva con cui le aziende danno a conoscere le loro “apposite confezioni” sul web. Resta il fatto che le mie vocazioni da aiutante di Babbo Natale non sarebbero tali se non prendessero le misure di gusti e caratteri del destinatario. Dei destinatari, anzi, in questo caso. Perché quelle che vi propongo a seguire sono soluzioni regalo perfette per qualunque declinazione di filoispanismo . Poi resta beninteso che potete suggerirne altre voi. 



-PER IL FILO-ISPANICO NOSTALGICO. E' l'italiano che, per studio o per lavoro, ha vissuto una certa quantitá di tempo in Spagna. Quello che proprio non vuole rassegnarsi al ritorno in patria e porta gli amici allo sfinimento con il monotematismo dei suoi verbi al passato. Ex erasmus in depressione, turista disadattato con un pezzo di cuore a Madrid, gente con lo sguardo perso che mescola le lingue nelle sue conversazioni quotidiane. I filoispanici nostalgici si commuovono guardando vecchie foto e non passano giorno senza fermare lo zapping satellitare su TVE Internacional. Per loro propongo:

  • SOLUZIONE 1 ( fino a 20 euro): I sapori e gli odori sono tra le cose che piú stimolano il ricordo. Ecco perché i filo- ispanici nostalgici ricercano costantemente i piatti e le bibite (per lo piú alcoliche) che hanno caratterizzato il loro passato felice. Un libro di ricette spagnole puó aiutarli nell'intento. Personalmente mi trovo bene con “ I sapori della Cucina Spagnola” di Daniela Guaiti (De Vecchi editore) ma una rapida occhiata tra gli scaffali di una librería qualunque vi fará sicuramente trovare un volume a caso vostro, rimanendo al di sotto dei 20 euro. In alternativa, se avete l'opportunitá di andare in Spagna prima di Natale, potete ricreare il kit gastronomico perfetto in un qualunque supermercato. Una bottiglia di Tinto de Verano Sandevid o uno stock di Colacao li renderá ancor piú felici, garantendovi peraltro un risparmio notevole.



  • SOLUZIONE 2. (da 15 a 25 euro circa ): se il vostro filo-ispanico nostalgico é anche un accanito lettore, un libro in lingua originale puó sempre essere una buona idea. Consiglio sempre qualcosa di non troppo impegnato o tecnico perché, per quanto il destinatario possieda un ottimo livello di castigliano, stará comunque sempre leggendo in una lingua diversa dalla sua. L'ideale é un romanzo o qualcosa di comico, come le mitiche raccolte di monologhi di Buenafuente (in tal senso, un classico sempre intramontabile). In alternativa, – nel caso in cui la vostra liberia di fiducia non vantasse l'apposita sezione per stranieri e voleste evitare le spese di spedizione dalla Spagna – potete deviare verso un romanzo in lingua italiana ambientato in terre iberiche. Carlos Luis Zafón é di certo il caso  da noi piú famoso ma anche, forse, il piú “scontato”. Io ho apprezzato particolarmente “Ritorno a Granada” di Victoria Hislop e “Il segreto del Gazpacho” di Gervasio Posadas. Ma, con google e un po' di pazienza, le soluzioni al caso vostro possono essere davvero molte.
  • SOLUZIONE 3. (da 50 euro in sú) : Se avete un budget piú alto, sará sicuramente apprezzatissimo un cofanetto dell'ultima stagione della sua serie spagnola preferita (informatevi prima di quale sia, onde evitare fastidiose gaffes) o una raccolta di film del suo regista spagnolo preferito. Potete ordinarli da siti affidabili come fnac.es (comodo anche per tempi di spedizione: si affidano al corriere UPS e sono davvero rapidi), zonadecompras.com , il nuovissimo amazon.es o elcorteingles.es 


  • SOLUZIONE 4. (piú di 50 euro ): Sempre in caso di budget piú ambiziosi, il migliore dei regali per un filoispanico nostalgico rimane sempre e comunque un biglietto aereo per tornare nel luogo in cui ha lasciato un pezzo di cuore. Meglio ancora se con soggiorno in hotel incluso per tutto il weekend.

PER IL FILO- ISPANICO FLAMENCO. E' quello (anzi, quella: nella loro maggioranza sono donne) che, della Spagna, ama soprattutto le radici musicali. Studia flamenco o magari l'insegna. E non importa che lo suoni, lo canti o lo balli: imparerá inevitabilmente il castigliano con perfetto accento andalú. Lo farebbero felici:
  • SOLUZIONE 1. (fino a 20 euro) : Un kit fai- da- te comprendente tutti quei piccoli accessori di cui una bailaora non puó fare a meno: rosa per capelli, orecchini a cerchio finto-argento, pettinino e forcine. Sempre utili e sicuramente apprezzati, vi faranno fare bella figura a poco prezzo. 


  • SOLUZIONE 2. (piú di 50 euro) : Cambia il genere, ma anche in questo caso i cofanetti possono essere un'idea azzeccata. Con l'avvicinarsi del Natale, le antologie tematiche in cd e dvd spopolano su internet e nei negozi spagnoli. Numerosi siti, come “De Flamenco” li hanno a loro volta raggruppati per fornirvi qualche idea. Per comprare dall'italia, i soliti Fnac, Corte Inglés, Amazon e Zona de Compras sono, anche in questo caso, i piú affidabili.

  • SOLUZIONE 3. (piú di 70 euro ) : Se potete permettervi spese piú esose, una gonna professionale o – ancora meglio – un paio di scarpe da flamenco faranno la felicitá della vostra destinataria. L'importante, se non siete degli esperti, é che vi informiate prima in merito alle marche, onde evitare di incorrere in fregature.
- PER IL FILO- ISPANICO CALCIOFILO. Ogni tanto si sveglia urlando “Campeones del mundooo”, in casa ha un altarino dedicato a San Iker e la Roja é la sua religione. Probabilmente a quest'ora sta meditando di migrare a Plaza Colón in occasione della prima partita di Euro 2012. Per lui:
    SOLUZIONE 1. (fino a 20-25 euro): Il peluche di un Polipo gli ricorderá sempre il mitico Polpo Paul e, con lui, una delle giornate piú belle della sua vita. Nei negozi di giocattoli per bambini ne troverete senz'altro uno. Non ha importanza se non é quello originale: eventualmente potete sempre sbizzarrirvi con la confezione, sfogando la vostra creativitá a costo zero. Immaginate, ad esempio, l'impatto visivo di due vaschette di plastica accostate. Appiccicate su di una la bandiera della Spagna precedentemente disegnata su carta o cartoncino e sull'altra quella dell'Olanda. Inserite il peluche nella prima e...beh, capirá senz'altro a cosa volete alludere.

    - SOLUZIONE 2. (piú di 50 euro) Un'altra bell'idea (seppur piú costosa) é il Kit del Tifoso della Roja, che trovate giá pronto su molti siti web o che potete creare in autonomia, ad esempio unendo una maglietta della Selección campione del mondo a cappellino, sciarpetta o bandiera. Anche in questo caso, basta armarsi di santa pazienza e fare un giro sui siti web.
- PER IL FILO-ISPANICO AUTOIRONICO. Persona tendenzialmente felice e spiritosa, non rinuncia a prendere in giro sé stesso e la sua grande passione iberica. Gli strapperete un sorriso con:
  • SOLUZIONE 1 (fino a 20-25 euro) . Che ne dite di biancheria intima targata España? Calvin Klein propone dei boxer da uomo che fanno proprio a caso vostro. E, per lei , un bel tanga con bandiera fa sempre il suo effetto. 



  • SOLUZIONE 2 (fino a 20-30 euro). Per chi ama sperimentare davanti ai fornelli, il grembiule flamenco é il must che ogni filo-ispanica dovrebbe avere. Se riuscite a fare una capatina in Spagna, lo troverete in qualunque negozio di souvenir. In caso contrario, al solito, c'é sempre il caro vecchio web (lo vendono anche siti italiani come idearegalo.it).
  • SOLUZIONE 3 (50 euro circa). Chi non ha mai sognato di tornare bambina, anche solo per un'istante? La Barbie Flamenca adempie perfettamente a questo scopo, proponendo inoltre una gran varietá di modelli. Da notare che sia questa soluzione che la precedente potrebbero essere perfette anche per la filoispanica flamenca.


- PER IL FILO-ISPANICO FAN. E' fan di un gruppo o cantante spagnolo, ragion per cui pianifica le sue vacanze in base alle date di un tour e i suoi risparmi vanno interamente a beneficio di Ryan Air. Per lui, senz'altro:

  • SOLUZIONE 1 (fino a 20 euro) . Un kit di merchandising del suo idiolo. L'esperienza personale mi induce a dire che i fans  di Dani Martín li trovano giá pronti sul sito apposito. Per gli altri, non sará comunque difficile assemblarne uno personalmente: se accostate a una maglietta qualcosa di piú economico come pins, penne, etc dovreste riuscire a farlo felice per un prezzo ragionevole.
  • SOLUZIONE 2. (fino a 50-55 euro) Se l'artista ammirato dal vostro filoispanico é uno di quelli che riempie i palasport, una tenda quechua pieghevole (con l'eventuale aggiunta di un sacco a pelo) potrebbe rendere un po' piú confortevoli le sue notti all'addiaccio mentre spera nella prima fila.

  • SOLUZIONE 3. (piú di 50 euro) Per disponibilitá economica maggiore, non c'é cosa che farebbe piú felice un fan filoispanico di un biglietto per il prossimo concerto con allegato viaggio andata e ritorno per la cittá in cui avrá luogo.

Se poi volete aggiungere al vostro regalo un tocco di creativitá in piú, potete presentarlo in una delle scatole di Todo Lo Demás esPrestado. Vendute sia online che in appositi negozi in Spagna, rappresentano tutto ció che davvero si dovrebbe regalare a qualcuno che ci sta a cuore: dai baci ai ti amo, passando per “migliaia di momenti felici” e “un sacco di fortuna”. Comprandone una contribuirete inoltre ad una buona causa, dal momento che tutto il ricavato andrá a beneficio dei progetti sociali del San Joan de Dios.



Allora, avete giá trovato il regalo che fa per voi?