venerdì 28 ottobre 2016

Soundtrack


Non crederete mica che abbia smesso di consigliarvi musica solo perchè mi sono trasferita in Spagna, vero? Potrò non avere tempo per la vita, ma ne avrò sempre per premere play. 

E quindi eccomi qui: tra un appuntamento di lavoro, una lezione di flamenco e un articolo da scrivere, queste due canzoni più di altre si divertono a girovagare in loop tra le mie cuffie e il padiglione auricolare. Una è spagnola, l'altra italiana. Perchè - ca vans a dire? - il titolo, al blog, l'ho messo per un motivo.

- RULO Y LA CONTRABANDA - NOVIEMBRE


C'è tanto amore, nel nuovo disco di Rulo. Un amore contrastato, difficile, sanguigno. Un amore che ti lascia e ti riprende; uno scontro sul ring tra due avversari uguali. Come sempre, nei suoi testi, si racconta per contrasti e paradossi; Solo che, a differenza dei lavori precedenti, appare qui più morbido e protagonista che mai. Mi piace, "El doble de tu mitad". Perchè è coerente nel mantenere uno stile ma conforta di un sound che non ti stanca mai. Tra i brani in tracklist, Noviembre è il mio preferito. Un modo per cullarmi, struggente, nell'abbraccio di una ninna nanna malinconicamente mia. 


- BAUSTELLE - LILI MARLEEN





Bentornati, non c'è altro da dire. Ho sempre ritenuto i Baustelle un po' troppo pretenziosi. Certo, alcune canzoni rasentavano il capolavoro; ma ascoltare un disco tutto intero era per me come sforzarsi di arrivare in fondo a un libro che pensa troppo allo stile e troppo poco al contenuto. I Baustelle, detto fuori dai denti, mi parevano certe volte roba da intellettuali snob. 
E quindi adesso i casi sono tre: io mi sono sbagliata, loro sono cambiati, o sono diventata anch'io un'intellettuale snob. Perchè Lili Marleen, Dio Mio, è quasi perfetta.
Il modo in cui riassume un'epoca in soli 4.32 minuti di canzone. Il modo in cui cuce assieme Bowie, le SS e il terrorismo islamico, il modo in cui lega il passato a Spotify. Forse era semplicemente troppa la mia disperazione di fronte a una scena radiofonica italiana che mi sembrava dare sempre meno spazio alle parole. Forse un testo bello come questo, in un periodo meno "Sofia" e più "Cemento Armato", mi sarebbe passato inosservato. Ma non è quel periodo, e a questi ragazzi io darei quasi un Nobel. "Parigi è una stella, non è una città"

Voi quale preferite tra le due?

domenica 23 ottobre 2016

Scambi linguistici, gastronomia e invasioni aliene.



Dovrei (re) imparare a scrivere le cose non appena mi capitano. Così forse eviterei di sognare micro-navicelle aliene a forma di pesciolini che invadono la terra facendo bzz bzz. Sul serio: ho letto una volta che le persone creative tendono a fare sogni strani quando non riescono a dare sfogo al proprio talento. E, per quanto mi riguarda, è assolutamente vero. Certo, non sono del tutto sicura che si possa considerare un "talento" l'esigenza di esternare i fatti miei su un blog; Ma tant'è.

Negli ultimi giorni sono stati ben due gli eventi che mi hanno segnato - e cambiato, e stravolto- in modo significativo la vita malagueña: il primissimo intercambio italo-spagnolo e l'inizio della formazione per diventare guida per i tour gastronomici di Málaga. Prima che vi emozionate: non è ancora detto che mi prendano. Il principale ostacolo, per come la vedo io, è questo mio inglese pizza-spaghetti-mandolino-o sole mio- guaglió-ué-ué. Ché dicono faccia addirittura "autentico" (pare che gli anglosassoni, in via generale, non distinguano l'accento spagnolo da quello italiano) ma a me, personalmente, fa cagare. Per ovviare alla cosa ho preso quest'abitudine di mettermi sù i video di youtube in cui ci sono degli ammeregani che parlano, metterli in pausa, e provare ad imitarne pari pari alcuni dialoghi o espressioni. Dato che le pareti del mio salotto sono così sottili che ormai conosco a memoria i nomignoli che i vicini danno al cane (per lo più "mi peluchiiiitoooooo") mi chiedo spesso cosa possano pensare sentendo una pazza che, senza nessuna ragione apparente, sbotta all'improvviso in un "o mai gad, dis is emesiiing". E rido da sola. Il che, in effetti, non credo aiuti a migliorare la loro opinione su di me. Pazienza. Se mi dovessero internare sappiate che vi ho voluto bene. E quando verrete a trovarmi in manicomio datemi corda se, intontita dalle medicine, dirò che gli alieni mi hanno suggerito l'inquadratura migliore per la foto del tramonto da postare su Instagram. 

#Melhannodettoglialieni


Ma cominciamo dall'inizio: l'intercambio, si diceva. Ovvero, nella mia lingua madre, una serata di scambio linguistico tra italiani e spagnoli organizzata settimanalmente da un'associazione culturale chiamata ArteNativa. Dateci un'occhiata, se vi capita: si danno un sacco da fare per promuovere la cultura italiana a Málaga attraverso tutte le forme d'arte possibili; E - oltre alla lodabilità dell'iniziativa in sè - posso dirvi che sono davvero bravi. Tra l'altro questo tipo di incontri potrebbe essere la cornice perfetta per organizzare un galà di premiazione fisico degli ormai tradizionali italo-spagnola awards. Io la butto lì, eh. Se sa mai. Mi ricevete?

Comunque. L'occasione si è rivelata importantissima per almeno quattro motivi. Ovvero: 

1) Ho conosciuto Alice, una lettrice storica di questo blog la cui qualità umana mi porta a concludere che i miei lettori sono i migliori del mondo. E mi dispiace mettervi di fronte a quest'evidenza, voi altri blogger del globo, ma è indiscutibilmente così.

2) Tramite Alice sono venuta a conoscenza del fatto che Leiva suonerà a Málaga il prossimo 19 Novembre (cosa aspettavate a dirmelo?) Notizia che, in un anno tutto sommato carente di concerti, mi ha illuminato la giornata, il mese, l'anno e forse anche la vita intera. 



3) Ho scoperto che c'è gente che studia l'italiano guardando Porta A Porta online. Sì, non dite niente. ("Ma Porta a Porta il programma?" "Sì!", "Ma quello con Vespa?!" "Sì!", "Ma, scusa, PERCHÉ?!")

4) Dopo quindici minuti abbondanti di conversazione con un'altra ragazza italiana è saltato fuori che vive sopra di me. Ora: a Málaga ci sono quasi seicentomila abitanti. Il mio palazzo ha meno di dieci appartamenti. Voglio dire, quante probabilità c'erano che succedesse? Facendo un rapido calcolo, forse dovrei rivedere la mia filosofia del non comprare biglietti della lotteria perchè-tanto-è-quasi-impossibile-vincere. Incredibile, sul serio. Il dialogo credo sia entrato nel decalogo dei più assurdi mai sentiti in quel suggestivo baretto del centro.

- Qui quando ci sono le processioni mi hanno detto che di solito la gente scappa.
- Già. Io tra l'altro ho una chiesetta proprio vicino a casa, e stanno finendo di restaurarla in questi giorni. Stavo pensando proprio ieri che il giorno in cui faranno una processione lì sarà la fine. Ché già ieri con le campane...!
- Scusa, ma dove vivi?
- A [INSERIRE NOME QUARTIERE], perchè?
- Assurdo, anch'io!
- Ma dai, in che via?
- [INSERIRE NOME VIA]
- Anch'io!!! Non mi dire numero [INSERIRE NUMERO]?
- Oddio, sì! 
- Oddio!
- Oddio. 

[...]

- Ok, ora sappiamo a chi bussare quando finisce il sale. 

E qui ci starebbe una serie di risate fuori campo tipo sitcom. Invece mi sono dovuta accontentare di un susseguirsi di sguardi esterrefatti, uno sterminio di dita puntate e un coro di "oh, ma sai che loro vivono nello stesso edificio?". Dats creisi, meeen. 

Ancora più se si pensa che la ragazza di origine tedesca con cui mi sono vista il giorno dopo (quella della formazione per le guide gastronomiche) studiava Turismo all'Università di Málaga nell'anno accademico 2008/2009. Lo stesso in cui io ho studiato giornalismo nell'edificio che ospitava entrambe le facoltà. 

"Ci saremo viste di sicuro!"
"Qué fuerte, tía!"

Comunque. Oltre ad essere molto alla mano, la ragazza mi ha portato in giro come spettatrice silenziosa di un tour in cui un gruppo di stranieri ha imparato a cucinare alcune tra le pietanze più tipiche della gastronomia locale. La lezione ha avuto luogo in una scuola di cucina bellissima, tenuta da una cuoca simpaticissima oltre che indiscutibilmente validissima e dall'altrettanto simpaticissimo e validissimo figlio. Tutto 'sto tripudio di superlativi per dire che nientissimo, quando sono uscita da lì volevo comprarmi otto pentole, una grattugia, un forno, un cappello da cuoco, iscrivermi a un corso di cucina, organizzare una cena gourmet, aprire un ristorante, passare otto ore in cerca di ingredienti di prima qualità al mercato, ubriacarmi con dell'ottimo vino, conoscere Monica Geller, essere Monica Geller (sì, è un po' il leitmotiv di questo periodo), scrivere un discorso per ringraziare per le stelle Michelin. 



E così siamo finiti a questo punto, con i suggerimenti di youtube che ora mi riportano ancora più monotoni di prima centinaia di migliaia di miliardi di: interviste agli imagine dragons (emesgin'dragonz) speciali su friends (frens), speciali su modern family (mode'n femili), i fondatori di twitter (tuid'r) che parlano ad eventi vari ed eventuali e dulcis in fundo - tanto per sentirmi meglio - video in cui si prende in giro il modo in cui gli anglosassoni pronunciano le parole italiane. Oh, se proprio devo migliorare la pronuncia che almeno sia interessante, no?

In ogni caso, se anche non dovessi diventare una nuova guida gastronomica, ora so esattamente dove portarvi ad ingrassare mangiando bene quando verrete a trovarmi qui al Sur. Invasioni aliene permettendo, questo è chiaro. Bzz bzz. 

sabato 15 ottobre 2016

Visita parenti con pappagallini.


Una settimana senza aggiornare il blog continua a sembrarmi un tempo ingiustificabile. 
A mia discolpa, traslochi e visite parenti tendono a richiedere energia. 

Meno male che c'era mamma, però, ieri mattina. Con il tecnico di Internet è stata essenziale. Ché "avvisa quando passi", e mille "certo", poi ti butta giù dal letto alle nove del mattino.

Destreggiarsi, allora. Tra lui, il caffè, la doccia, la catatonia del fissare le scale coi residui del trucco della sera prima ancora incollati agli angoli degli occhi, tanto per ricordarti che in qualche momento sei stata un po' più decente di così. Il cellulare che squilla. Il padrone di casa. Diceva di averne bisogno per aprire una porta in legno, poi ("ma devo davvero venire?") salta fuori che per collegare i cavi bastava il portellino all'ingresso che aveva già aperto circa venti ore fa. Strada in più. Campanelli che si potevano evitare. Il leggero infarto del "qui non si può fare nulla" col contratto già firmato in calce a un foglio con sù scritto Vodafone. Poco importa, se davvero oggi può risolvere tutto. Nuove droghe, nuove esigenze. Prima ancora della saliera, ho un disperato bisogno del wifi. Oggi è Venerdì. Il Venerdì della Svolta. Il Venerdì che, dopo due notti di pioggia fuori luogo, ha finalmente ripristinato il Pantone azzurro acceso della Costa del Sol. (Ho visto gente spaesata nell'analizzare ombrelli, strade troppo lisce anche per ospitare pozzanghere, persone intontite dai due centimetri d'acqua improvvisamente comparsi sul letto del fiume). 




Ho un colloquio di lavoro, il primo qui. Ho scelto un look informale ma non troppo, con la camicetta bianca, i pantaloni neri e il portatile a ingobbirmi sulla spalla destra, stivato con amore nella borsa prestatami da Grace.

Non ci fosse stata mamma, con chi l'avrei lasciato il tecnico mentre armeggiava in casa? Così, invece, sono potuta anche fuggire via. A bordo di un autobus, e poi sulla scia della gente che camminava a passo medio-lento nelle viuzze del centro città. L'ufficio era in un edificio nuovo, primo piano, porta senza nessuna targa a confermare l'esattezza delle mie indicazioni. Dentro, in un sorriso, due ragazzi che, documentatisi al dettaglio sul mio conto, si preparavano a darmi il benvenuto nel loro incredibile staff.

L'azienda organizza tour gastronomici di Málaga. Il mio compito, qualora andasse bene, sarebbe accompagnare i turisti tra locali, degustazioni e corsi di cucina. L'ideale per integrare lo stipendio, forse non troppo per mantenere la linea. Mi danno appuntamento alla settimana prossima. Un giro di prova, poi chissà.

Esco da lì con il sorriso scemo di chi sente di aver iniziato a dare una qualche forma al suo futuro. Mi sento una versione molto meno ordinata di Monica di Friends, rafforzata dal fatto che davanti alla mia finestra vive un tizio che ha la tendenza a girare (mezzo) nudo per casa. Sorrido da sola, anche se il tecnico, dall'altra parte della cornetta, dice che la linea c'è, ma il mio router non funziona. Passo a chiedere lumi alla Vodafone. Mi danno il numero dell'assistenza clienti. Una tizia che mi chiama "cariño" con esagerata frequenza cerca di piazzarmi l'ennesima tessera di cui non ho bisogno alcuno. Da Starbucks, poi, la connessione é lenta da far schifo. Ma neanche questo importa. Oggi potrebbe cagarmi addosso un piccione - dritto sulla camicia bianca-  e sarei comunque, inderogabilmente, felice. 

In risposta al mio sorriso, il mondo gira come deve. Col router che invece funziona, in barba al tecnico e alle lamentele borbottate da una scala; con i gambas a la plancha di Casa Vicente, a cui darei il Nobel per la pace, la certificazione dell'Unesco come patrimonio dell'Umanità, la Presidenza del Governo, lo status di Paradiso terreno; con i graffiti nascosti in quegli angoli di Soho che trovi solo se ti perdi; con i pappagallini che squarciano in stormi di verde il cielo terso e meraviglioso del Paseo Maritimo di fronte a casa mia. Che lo guardo e penso che di quella passeggiata potrei fare un'abitudine domenicale. Che lo annuso, dietro al suo fumé di espetos, e penso sia buono da farne indigestione. Che lo ascolto, nelle chiacchiere lontane dei pochi bagnanti, nelle scarpe da corsa degli amanti dello jogging, dei ragazzi che si rinfrescano lanciandosi bottigliette d'acqua, e penso che abbia il suono della più completa allegria. 





Sullo sfondo, Málaga si staglia biancastra tra le gru del porto e le sue alture, confine di un mare calmo che sembra avere il potere di trasformare in speranze anche le impossibilità. 

E di colpo sento che ne è valsa la pena, di fare tutto quello di cui in questa settimana non vi ho ancora raccontato. Compreso strascicarsi un sacco di plastica enorme con le provviste per un reggimento prese in trip da prezzi bassi al Mercadona. Compreso bloccare le uscite dell'autobus con le mani stracolme di lenzuola e cuscini arancioni. Compreso passare 48 ore consecutive a lucidare anche gli angoli più remoti di una casa da rendere mia. Con Dani Martín che urla nasale dalle casse del Mac e io che gli vado dietro usando l'asta del mocio come microfono. 

Ché viene un giorno in cui tutta la fatica, dopo il Venerdí della svolta, si rilassa in soddisfazione. E mentre crolli sul tuo letto a due piazze, con tua madre ad approvarti nella stanza accanto, pensi a quanto sia immensamente bello poter dire che questa é la tua città. 






sabato 8 ottobre 2016

Torremolinos by Night

Mezzanotte passata. Siedo al tavolino all'aperto di un bar di paese, il computer che pesa sulle ginocchia e un look almeno tre livelli oltre il casual. L'abitante di un altro Pianeta finita per caso in un Venerdì sera. Fame, tanta. L'attesa delle tapas di polpette al sugo che ho ordinato (ma poi è legale mangiare polpette al sugo a mezzanotte?) si manifesta in decibel d'eccesso nel brontolio costante del mio stomaco. Dovrei essere stravaccata su un divano, rilassata sotto un doccia calda, meglio di tutto distesa su un letto. E invece mi sento la pazza del posto, complice anche la matita nera ormai dissolta in due macchie nerastre sugli occhi. Se analizzo la cosa con un minimo di razionalità mi scappa quasi da ridere. Come accidenti è possibile che certe cose capitino sempre a me? 

L'estrema sintesi è che sono rimasta chiusa fuori. Grace e Johnny sono usciti all'ultimo momento. Io ho preso il treno più tardi del previsto. "Ma tanto hai le chiavi". Eh. Certo. Tanto lo sapevo che sarebbe successo. Non sono mai riuscita a farle funzionare, quelle benedette chiavi. Neanche stavolta, è chiaro. L'universo, quando serve, mica complotta per concederti eccezioni. E così eccomi qui, ultima notte a Torremolinos. Ho stazionato davanti a quel cancello verde per una buona mezz'ora, sinceramente preoccupata che di lì a poco sarebbe apparso un poliziotto e mi avrebbe arrestata per tentato scasso. Spiegaglielo tu. "No, sa, é che non so aprire le porte". Ho persino braccato un passante col cane per farmi aiutare, temendo che sarebbe corso velocissimo a rubare tutto quello che c'è nell'appartamento per poi scappare con le chiavi. Ma ad aprire quel cancello, alla fin fine, non c'è riuscito manco lui. Lo so che la cosa più logica sarebbe suonare ai vicini, ma voi lo fareste, a mezzanotte passata? Sapendo che hanno dei bambini piccoli? Ecco.

Ho scartato l'idea quasi subito, e sono venuta a mangiare. Che tra parentesi è sempre la soluzione a tutti i problemi del mondo. Potrei scriverci sù un manuale di auto-aiuto, o una cosa del genere. "Mangia e aspetta, l'Universo ti sorriderà". Solo che le polpette non durano in eterno, e adesso che ho finito persino la scarpetta devo decidere che fare. 

Soluzione 1: prendere un taxi, fammi portare nel mio nuovo appartamento, e dormire là. Pro: tetto caldo, letto comodo, libertà. Contro: non ho le lenzuola, non ho le salviette struccanti, non ho ancora pulito, non sono stata capace di attaccare il frigo. 

Soluzione 2: aspettare. C'è un muretto davanti a casa di Grace, e lei non starà via in eterno, no? In fondo domani lavora! E poi ho il telefono, posso continuare a scrivere questa appassionatissima avventura. Hemingway deve aver sicuramente cominciato così. Ok, deciso. Finisco di sorseggiare mooolto lentamente la mia triste bottiglietta d'acqua e vado. 

Però che buon profumo di fiori. Forse è tiglio. 
Magari resto ancora un attimo, eh. 
Dai, hanno pure messo i Queen. 
De scioou mast go oooon, sciouuu mast go ooon. 
Prima c'era la Carrà, è un bel passo avanti.

No, vado. 
Anzi resto. 
Vado. 
Resto.
Vado. 

Vabbè, facciamo che vi racconto del piso. L'ho trovato in uno di quei giorni che sembrano fatti apposta per gli aforismi da Facebook. "Tutto accade per una ragione", "Quando tutto sembra perduto è il momento di rialzarsi" eccetera. Morale: che stavo di merda. Avevo preso l'ennesimo treno per vedere l'ennesimo appartamento che per l'ennesima volta mi ero arredata in testa su misura. Non era ancora neanche alla prima fermata quando la proprietaria mi ha scritto di averlo già affittato. La frustrazione mi è piombata addosso come un macigno. Di nuovo tutto da capo. Idealista. FotoCasa. Telefono che scotta. E ancora pioggia di no nelle orecchie, e ancora "tienes nómina"? E ancora spiegare la mia situazione. Non credevo di poterlo ri-affrontare. Di colpo tutto mi sembrava sbagliato, difficile, e piangere col sole è l'ossimoro fisico più brutto che c'è. 

Ero distrutta e ancora con il fazzoletto tutto smoccolato in mano quando, senza neanche accorgermene, mi sono trovata davanti a un'agenzia immobiliare. "Dev'essere un segno", ho pensato, e sono entrata.

Una ragazza simpatica ha ascoltato quasi senza fiatare il mio sproloquio nasale su case che non si trovano, necessità di ridare spazi alle amiche, aziende che garantiscono, affittuari che però danno comunque priorità a chi ha contratti spagnoli. 

"E se ti dicessi che mi è appena entrato un appartamento che fa al caso tuo?", mi ha detto alla fine fissando i miei occhi rossi da schizzata.

L'ho affittato in un giorno di lavoro e Starbucks, tra litri di frappuccino e illusioni di Silicon Valley nei ragazzi intenti a programmare sul Mac (mi è anche venuta quest'idea che devo imparare a programmare, come se poi ne avessi il tempo). Un giorno che sospiravo davanti alle vetrine dei negozi di moda flamenca, e mi perdevo tra i vicoli lasciandomi strappare il fiato dall'acuta bellezza di questa città. 



Ora è casa mia. La prima di una vita indipendente che esclude gli appartamenti da universitari. Ed è bella, bellissima anche nelle sue piccole imperfezioni.

Si vede il mare, dalla finestra della sala. E c'è un divano letto, un letto matrimoniale, la luce che entra dalle finestre per riempirti di una rotonda allegria. 

Oggi ci ho portato una prima parte delle mie cose. Ho comprato beni di prima necessità. Mi sono fatta due rampe di scale con 30 gradi , quattro borse della spesa e dodici rotoli di carta igienica appiccicati sotto il braccio. E ho avuto la sensazione che la mia vita a Málaga stia in realtà cominciando ora.
Nel frattempo, tornando verso casa di Grace e Jhonny, il rombo inconfondibile della loro Harley mi ha colpita alla schiena con il fare rassicurante di una vecchia canzone. 

"Eccoli!"
"Ma sei ancora qui fuori?"
"In realtà io..." 
"Non è possibile che la chiave non apra. Me la dai un attimo?"

Passaggio di tlin tlin. Silenzio. Contatto con un aggeggio QUASI uguale. 

"Cavolo, ti abbiamo dato la chiave sbagliata! Questa è quella del garage!"

Se non altro, mi sento un po' meno incapace. 
Anche se, certo, rimane ancora in piedi la questione del frigo...

sabato 1 ottobre 2016

Málaga, settimana 1.

Venerdì, e non sembra (quasi) Ottobre per niente. Scrivo seduta su una panchina del Muelle Uno, coi capelli arruffati dal vento e il cielo di Málaga a dirmi col suo azzurro che andrà tutto bene. Così, adesso che sono stranamente tranquilla, convinta forse troppo - non ha mai portato bene- che quella che vedrò stasera sarà la mia futura casa; Adesso, dicevo, ho deciso di tirare le somme di questa prima settimana nella mia nuova/vecchia città. 

DÍA 1 - GIORNATE MATRIOSKA



Ovvero quelle che sembrano contenerne infinite altre. Del tipo che quando arriva la sera pensi al mattino e ti sembra un secolo fa. Ecco, oggi è andata un po' così. 

È cominciato tutto in calle Granada, dove un ragazzo bellissimo ha ricamato il mio nome su un foglietto aggiungendoci un cuore rosso. Non so perchè gli ho raccontato la mia vita. Forse perchè lo fanno tutti. Forse perchè qui mi viene. 

"Mucha suerte", ha detto lui alla fine, ed io ho pensato che appenderò quel foglietto nel mio appartamento, assieme al biglietto fatto dalle compagne di Flamenco il giorno della mia festa a sorpresa. Questo, assieme all'annuncio di lavoro giratomi da Grace su infojobs, è stato il miglior benvenuto che potessi avere. 

Poi, dopo tre rampe di scale sotto un sole esagerato, ho ansimato al telefono sotto all'edificio di María. Lei è comparsa pochi minuti dopo, preceduta da due cani di diverse razze e dimensioni. Mi ha fatto strada in un appartamento alquanto sporco, ma con una veranda mica male. È lì che ho passato l'ora seguente, con un carlino addormentato sulle mie ginocchia mentre la padrona di casa mi sottoponeva a un interrogatorio in piena regola. 

"È che voglio essere sicura di trovare la coinquilina giusta", si giustificava tra una domanda e l'altra. E, per carità, un po' anche la capivo. Specie quando mi ha raccontato i suoi trascorsi di convivenza, che comprendevano amici di letto esibizionisti, Marihuana usata al posto del sonnifero e coinquiline lesbiche che smettono di pulire la casa dopo essere andate assieme. 

Resta il fatto che alla domanda: "cos'è per te il rispetto" decido una volta per tutte che vivrò da sola. 

E così eccomi qui, a sopportare attese interminabili in un'agenzia immobiliare sulle cui pareti, a mó d'incoraggiamento, si legge "if you can dream it, you can do it". A scaldare il telefono di duecento telefonate tra un boccone e l'altro in Plaza de la Merced. A scattare foto dimenticando che non sono una turista, piena di aspettative per questa nuova vita di estati autunnali. 

La giornata matrioska si conclude con l'appuntamento con B., un'italiana che come me sta cercando un posto da condividere col figlio di sei anni. Va a finire che mi ritrovo a bere birre in compagnia di un giornalista tedesco e di una spagnola in felice resaca tra bambini multilingue che barattano skateboard con cani. 

Mi ricorda l'Erasmus, solo in versione - enta. E, sapete che c'è?, mi piace da morire. 

Punti carriera: 1
Punti domicilio: 0
Punti vita sociale: 5 


DÍA 2 - ZOOTROPOLIS 



Devo incontrare un agente immobiliare in Plaza de la Constitución e il mio cervello proprio non ce la fa a dissociare la qualifica dal volto di Phil Dunphy in Modern Family. Lo twitto, rido da sola. Dio, che cosa c'é di sbagliato in me? Poi Ruben arriva, ha lineamenti latini, e a Phil non ci somiglia affatto. É simpatico, però. Mi fa strada all'interno di un edificio di fronte a El Último Mono, uno dei bar più trendy e centrali di Málaga. L'appartamento è carino, nuovo, abbastanza grande. Però, accidenti, non ha neanche una finestra affacciata all'esterno. L'oscurità, assieme alle lampade tribali che troneggiano nella stanza, mi mette addosso una specie di pesante angoscia. Ho ancora l'entusiasmo del primo giorno di saldi - aspetta che magari nel negozio accanto trovo una maglietta più carina- perciò, nonostante la splendida lavatrice nera e le posate a pois rossi e bianchi, decido che non è la casa per me.

Il fatto è che la giornata è iniziata all'insegna dell'ottimismo. Basta guardarsi attorno, e anche nei momenti di sconforto l'esorbitante bellezza di Málaga mi convince da sola di aver fatto la scelta giusta. Quello che ancora non so è che ripercorrendo lo stesso tragitto all'indietro, quando il sole sarà ormai calato, penserò l'esatto opposto. 

Nel frattempo apro un conto a La Caixa, dove una ragazza di Cadiz mi racconta di quando viveva a Verona e di come la gente, al Nord Italia, sia molto più chiusa di qui.
"Però ti guardi intorno e tutto compensa, l'Italia è splendida!"
"Sai, pensavo la stessa cosa della Spagna proprio un attimo fa". 

Solo che dopo, all'ombra di una palma nel Paseo del Parque, gli occhi un po' decidono da soli. E decidono che devono vomitarli, questi sentimenti contrastanti. Lavarla via, questa frustrazione assurda dell'ennesimo appartamento già affittato, dell'annuncio di lavoro già chiuso nel momento stesso in cui cerchi di candidarti, della presa di corrente per cui ti eri scordata che serve un adattatore. E allora piango, piango in silenzio, piango i residui di matita nera che si incastrano negli occhi; piango incertezza, piango insulti per la signora dell'Alameda Principal che voleva le sganciassi 190 euro solo perchè forse, in un dato momento, sarebbe riuscita a trovarmi lei una casa. Piango tutto quello che non ho pianto; tutto quello a cui non so se ho pensato; tutte le vite nuove che potrebbero nascere - o magari morire già in partenza - sulle fondamenta dei soldi che ho gettato via. 

Devo aspettare una chiamata alle 18.30. Da qualche parte, dentro di me, so che quella donna non la farà mai. Troppa domanda per gli affitti in centro, almeno per considerare la proposta di una che non ha un contratto di lavoro spagnolo. "Ma gliele posso dimostrare, le entrate! Ho i documenti della mia azienda! Accidenti, posso anche pagare una caparra più elevata". No, macchè. Troppo strano. E se poi te ne vai domani? Il motivo per non farlo dovete darmelo voi.

Nell'attesa, la speranza resta l'ultima a morire. Perciò approfitto della giornata mondiale del turismo. Faccio un giro gratis al museo Thyssen, fotografo un bavaglino per neonati da spedire via whatsapp ad un'amica neomamma. Appunto sul cellulare i nomi dei negozi più carini. 

Poi, quando sono allo stremo delle forze, mi siedo su un muretto davanti al teatro Cervantes. Abbacchiata. Con le gambe a pezzi. Senza uno straccio di vibrazione ad agitarmi la borsa. É allora che accade. Alzo gli occhi e leggo il nome della strada. "Madre de Dios". Una catena di pensieri mi spinge a ipotizzare dialoghi assurdi:

"Dove vivi?"
"Madre De Diooos!"
"Ok, forse sono un po' insistente, ma dove vivi?"
"Madre de Dios!"
"Sí,ma..."

E la traiettoria dei miei pensieri incontra un edificio verde acqua. Sopra c'é un cartello. "Affitto monolocale". Chiamo. Mi risponde una signora con la voce spessa e strascicata degli anziani. 330 euro, ci vediamo domani. Vuole garanzie di entrate economiche, garanzie di almeno un anno di permanenza, garanzie di depositi immediati per aggiudicarmi l'umile dimora. Le aspettative si trasformano in speranza. Sai che bello abitare di fronte al Cervantes! Giusto accanto, nella vetrina di un negozio, ci sono tutti i prodotti di uno dei miei clienti. Se bisogna credere ai segni, questa sarà la mia futura casa.

María, la ragazza con le ex-coinquiline lesbiche, mi scrive solo per dirmi che anche se vivrà con qualcun altro le sono stata simpatica. Mi augura tutto il meglio. Spera io trovi qualunque cosa stia cercando. E un po', malgrado tutto, mi commuovo. 

Ringalluzzita, vado verso i palazzi della Malagueta dove ho sempre sognato di vivere. Penso che magari, se l'esperienza insegna, un cartello con scritto "affittasi" ci sarà pure lì. Non c'è. Però c'è una ragazza, in un'agenzia immobiliare. 

"Passa per l'edificio qua dietro", mi dice, "prendi il numero della portineria e dell'amministrazione e prova a domandare...so che lì hanno sempre un gran movimento di affitti". Detto, fatto. E il palazzo è bellissimo, nuovo. C'è una piazzetta con un bar gestito da italiani che avevo incluso nella mia guida della città. Il mare, di fronte, è agitato il punto giusto mentre il sole mi scalda la faccia prima di avviarsi a inesorabile declino. 

La sera, a casa di Grace, guardiamo Zootropolis.
Ci metto un attimo a riconoscermi nella coniglietta protagonista.

Mañana será otro día.
Come lei, anch'io ce la posso fare. 

Punti carriera: 0
Punti domicilio: 2
Punti vita sociale: 3

DÍA 3 - UNA MONEDITA PO' FAVÓ!



Ok, a segni non bisogna crederci per niente. La signora dell'appartamento in calle Madre de Dios arriva con un'ora di ritardo, scorbutica come se ci tenesse proprio a scardinare dalla base tutte le mie più idilliache convinzioni su un popolo. Il monolocale su cui tante speranze avevo riposto si rivela essere in realtà una stanza con degli insetti morti dentro. Mi viene da piangere.

Telefono alla portineria e all'amministratore del palazzo della Malagueta. Entrambi i numeri risultano inesistenti. Un agente immobiliare, rispondendo a una chiamata disperata, mi informa che anche l'appartamento in calle Martinez Maldonado é giá stato affittato. Provo a cercare oltre i confini del centro. Fuente Olletas. Ciudad Jardin. Vialia. Affittato. Affittato. Affittato.

Ormai sono del tutto priva di energie. Mi rintano al baretto degli italiani, quello della mia guida. In genere li evito, i posti gestiti dai connazionali, ma scopro dentro me uno strano bisogno di casa. Faccio bene.
Le origini in comune uniscono sempre e così mi trovo a parlare col barista della mia situazione. Lui é di Padova, ha quasi la mia età.

"Sei qui da soli tre giorni", mi ricorda, "vedrai che qualcosa troverai. Poi, guarda: io sto a 6 kilometri dal centro e la macchina non ce l'ho nemmeno... se qui è troppo caro amplia gli orizzonti, non siamo in Italia, i trasporti funzionano bene".

So che ha ragione. Lo so talmente nel profondo che vorrei abbracciarlo, soprattutto quando dice che "hai scelto il miglior posto del mondo in cui vivere". Già che sono chiedo se gli serve una mano con la pagina Facebook, che è un po' l'equivalente due punto zero di un tizio col cappello che vada in giro a chiedere "una monedita po' favó".

La giornata finisce con un numero di cellulare spagnolo e due dischi nuovi per la mia collezione. Uno é "La Montaña Rusa", tragicamente adatto alle mie sensazioni. 

Punti carriera : 0,5 (per l'impegno)
Punti domicilio: 0
Punti vita sociale: 2 

DÍA 4 - AMICI 



Dicono che gli amici sono la famiglia che ti scegli, ed é quando la famiglia è lontana che capisci quanto sia vero. Grazie, Grace, per quell'abbraccio al termine di una giornata lunga e strana. Grazie per esserti presa cura di me capendo che avevo soltanto bisogno di una giornata di riposo, di dormire, di un chupito. Grazie a tutti quelli che mi girano gli annunci di infojobs, che mi passano contatti, che mi scrivono un messaggio soltanto per dirmi che gli manco un po'.

Paradossalmente, nonostante la distanza, da quando sono qui mi sento meno sola e più amata che mai.

Per domani ho tre appuntamenti. Chissà che non sia la volta buona.

Punti carriera: 2 (grazie agli amici!)
Punti domicilio: 1
Punti vita sociale: 45

Postilla del Sabato: 

La casa non era quella giusta. O meglio, sì, solo che hanno preferito una coppia alle mie (a quanto pare scarse) garanzie. Ieri c'è stata una cena. Un possibile contatto per un progetto social. Se riesco a trovare un tetto, tutto può ancora andare secondo i piani. 

Punti bipolarità: 206