lunedì 28 luglio 2014

"Se camminiamo tanto, dove andremo a finire?"

Strano, non avere una data da aggiungere al “ci vediamo”. Non sa di apocalittico. Di sconcertante. Non ha per niente l'aria del cambiamento epocale. Strano, solo questo. Ché in fondo é da un po', ormai, che avverto la necessità di smettere. Vado ad ogni concerto di Dani Martín con la precisa sensazione che potrebbe essere l'ultimo. Invece poi m'esalto, ritrovo il mio posto nel mondo, e non lo é mai. Non lo sará neanche stavolta, lo so bene. Avró sempre un posto nuovo da scoprire, un'amica da incontrare, un concorso a cui partecipare. Mi lasceró convincere, di nuovo e poi ancora. E mi ritroveró, per l'ennesima volta, seduta sull'asfalto ad ore comunque inumane. Lotteró contro il sole di una localitá della Costa Blanca, o magari contro il freddo fuori stagione di una qualche metropoli continentale. Avró impermeabili a proteggermi dalla pioggia, creme solari con fattore +50 da chiedere in prestito a qualcuno. In qualche remoto angolo del mio subconscio giustificheró questa follia col desiderio di difendere qualcosa. Tempo, suppongo. Energie. Un progetto che io stessa – senza che me ne venga niente – ho costruito. Poi correró. Oh, eccome.



Raggiungeró la transenna prima degli altri (chiamatemi Forrest Gump!) guadagnandomi onori da Salvatrice della Patria. Appenderó la mia bandiera come un segnaposto. Scatteró una foto, sempre uguale. E, chissá Dio perché, mi sentiró orgogliosa.



É successo, anche a Gandía; Col mare che si eclissa dentro ad un abisso nero. Lui tiene il palco come pochi sanno. Appende ottomila persone ad un silenzio. Col fiato sospeso, in una frase interrotta. Come se dal prosequio dipendesse la vita. Bravo. Eccome se lo é. Circondato da musicisti di esperienza, di quelli che non sbagliano un accordo. Li guardo scambiarsi gli sguardi divertiti di chi é rimasto unito dalla strada e dagli hotel. L'allegria di Iñaki dietro a un piano. I sorrisi di Cris. La concentrazione di Carlos dietro alla batteria.

In fondo, io, gli voglio bene. Davvero. A tutti loro. Hanno volti troppo famigliari per negarlo. Ci sono troppi ricordi, troppe note, per impedire che accada. Cosí si riavvicina, lui. Il suo sguardo di sorpresa – ché evidentemente non mi ha letta – i mille inchini e i mille gesti a cui riconosco con pena di essermi abituata. Gracias, cosí dice il labiale. Ed io sorrido, come sempre. Solo con un po' meno convinzione.






Sulla carta sarebbe tutto perfetto. Di nuovo, come o meglio di ció che aspettavo. Eppure questa volta si spengono i riflettori. Il pubblico inizia a sfollare in direzione dell'uscita. Ed io, incastrata tra commenti entusiastici, non sento quella voglia di riviverlo di nuovo. Forse sono solo stanca. E' stata una giornata intensa. Sí, dev'essere per questo. Ma é una sensazione amara in bocca. Come un campanello d'allarme dentro al cuore. E al risveglio, in una stanza di albergo in centro, scopro con orrore che non se n'é andata via.

Per qualche motivo, non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di Elena che si accascia tra le transenne. Lacrime copiose le solcavano il volto. Succedeva a Zaragoza, se non faccio confusione. Non ricordo cosa fosse successo. So solo che diceva: “per me, finisce qui”. Coerente. Non l'ho piú vista, da allora, a nessunissimo concerto. E come lei non ho piú visto Clau. Né Nes, che un giorno scriveva su Twitter “questo non é il Dani che conosco”. Non ho piú visto Cris, scatenata nei messaggi quanto nelle attese all'uscita. Aloma, che tutt'al piú ora si rifugia in fondo a qualche live vicino a casa sua. E ancora Andrea. Sonya. Anto. Quel gruppo dal nome impronunciabile che s'era dato un logo all'uscita di Pequeño. Dio, in quanti se ne sono andati...!





Di colpo, mi sento piú vicina a loro che agli sguardi luccicanti di chi giá progetta la prossima trasferta. E non é per le tante promesse non mantenute. Per le speranze diventate delusioni. Non é per i messaggi cancellati o non risposti. Non é perché la scaletta é sempre la stessa – ed ero abituata troppo bene! - né per gli eccessi di bimbeminkia urlanti. Non per le canzoni che vorrei sentire. Non c'entra neanche questo clima orribile, intessuto di odi e di invidie fino all'ultimo centimetro di quella che dovrebbe essere passione. Niente di tutto questo, o forse proprio tutto questo assieme.

Resta il fatto che mi ostino a sperare in un miracolo. In qualcosa...chessó, un gesto, una notizia o una canzone, che possa farmi rivivere l'esperienza di saltellare emozionata per casa. Resta il fatto che difendo, con le unghie e con i denti, gli anni investiti attorno a quello che in qualche modo mi smuoveva dentro qualcosa. Lotto per l'obiettivo di arrivare ai 10 anni del fanclub (ne mancano solo due, dannazione!) e festeggiarli con una grande festa. Lotto perché sarebbe bello sentire un giorno Dani Martín nelle radio italiane e dire “caspita, forse é un po' anche merito mio”. Perché se lasciassi ora cosa mi resterebbe, se non l'ennesimo progetto abbandonato a metá?

Non sará l'ultimo concerto, Gandía. Sicuramente no.

Eppure lui si avvicina, su quel palco. Come sempre dice “Gracias”, portandosi una mano al cuore. Io sorrido, giá. Ma tutto quel che vorrei dirgli é "Grazie a te". Grazie per Ekix a luci abbassate. Per i baci a schiocco sulla guancia a Zaragoza. Per il modo in cui mi hai abbracciata a Barcellona. Grazie per l'elogio pubblico a Mallorca. Per quella volta – l'unica – che mi hai chiamata amica, anche fors'anche solo perché ti avevo fornito un'informazione. Grazie per le dediche. Per i tweet pieni di dolcezza e gratitudine. Per le interviste in cui hai parlato di me. Grazie, soprattutto, per tutte queste canzoni. Ché ognuna é un ricordo. Ché ognuna é un micro-film. E a volte, sull'ipod, lo mando avanti, perché non sempre hai voglia di guardarlo, un micro-film. Non mi piace quasi mai, confrontarmi con quella che ero: ho sempre la netta sensazione che la me di adesso perda su tutta la linea.

“Non smettete mai di camminare!”
“Se camminiamo tanto, dove andremo a finire?”
“Mah. Io forse prenderó un'altra strada”.

Ho risposto “Che stai dicendo?”.
Ho pensato che, malgrado tutto, presto potrebbe essere lo stesso per me.

Eppure é stato un gran concerto - davvero un gran concerto, Gandía.  


sabato 26 luglio 2014

De Paris a Transilvania…passando per Valencia: il mondo senza frontiere di Lucas Masciano

L'afa, a Valencia, è di quelle insopportabili. Ti appiccica alla pelle una coperta di goccioline, e il guaio è che non rinfrescano neppure. Sono atterrata da poco più di mezz'ora, trovando in quel generico qualcuno che ti attende all'aeroporto la sensazione precisa di essere tornata a casa. Ci siamo perse, come sempre, tra le curve di un parcheggio. Abbiamo abbandonato il trolley nel bagagliaio di un'auto. E adesso eccoci qui, Alicia ed io, davanti all'ingresso di una sala minuscola. A migliaia di kilometri da nuvole e preoccupazioni. Sospiro. La serranda è ancora semi-abbassata. Due persone chiacchierano appoggiate al cofano di una vettura parcheggiata, quasi certamente non loro.
“Siete qui per il concerto?”
“Sì, anche voi?”
Le note del soundcheck arrivano in lontananza, smorzate dalla vetrata, come una sorta di piacevole litania. Di colpo la riconosco: l'ansia che si scioglie nelle viscere, l'ovatta del relax dentro al cervello, il brontolio inconfondibile della Fame Nera.

All'inizio di un viaggio, in attesa del live di un tizio argentino, eccolo qui, il mio contraccolpo di serenità.
Esce di lì a poco, Lucas Masciano. Gli occhi chiari, l'inconfondibile accento cantilenato, un copricapo simile al mio.



“Ciaaaaoooo! Quanto tempo! Madonna, saranno passati degli anni!”
Corre ad abbracciarmi. Due baci sulle guance (e sbaglio sempre direzione!). La mia incredulità.
“Davvero ti ricordi? Come fai? É vero che son passati anni!”
“É che io per altre cose no, ma per le facce ho buona memoria.”
“Complimenti, sono davvero colpita.”

Ed é lí che decide di strafare.
“Sí, mi ricordo che venivi sempre ai concerti con un gruppo di tre pibas e due pibes”
Ho subito il sospetto che mi abbia confusa con un'altra, ma mi sembra scortese farglielo notare.
“Beh, puó essere...cambiavo spesso compagnie”.
“E mi ricordo PERFETTAMENTE che eri venuta a La Casa del Loco a Zaragoza”
“...”
“...e Barcellona! A Barcellona spesso!”
Vi prego, fermatelo.
“Vero?”
Ecco, lo sapevo io.
“Mah, veramente... io ti ho visto a Madrid, Fuengirola...”
Il povero Lucas (che per tutta la durata della conversazione si é quadagnato a sua insaputa un bonus di mille mila punti simpatia) quasi sbianca. É piuttosto evidente il suo tentativo di cercare appigli sugli specchi.
“Ah. Sí, puó darsi. É che, come ti ho detto, io ricordo le facce. Poi sui luoghi mi posso sbagliare, ma le facce...beh, vado a farmi una birra !”

Io vi giuro che lo vorrei abbracciare.

Dentro, il luogo é – ahinoi – quasi deserto. Tempo di salutare Céline, di scambiare aneddoti con il manager Tito (A cui mi presento con la vitale domanda: “ma prima del concerto abbiamo tempo di cenare?!”) e la serata puó ufficialmente iniziare.

É di quelli che piacciono a me, il nuovo progetto di Masciano. Per cercare ispirazione in vista del prossimo album, é salito su un furgoncino assieme alla sua band. Ha messo in moto, e via. Con quella vena un po' bohemienne che associo al rock d'altri tempi, il cantautore ha deciso di attraversare l'Europa in soli otto giorni. Da Parigi alla Transilvania, come indica il titolo del documentario che ne é uscito. Quello che non sanno se e quando commercializzare. Quello che sarà probabilmente (io ci spero!) fruibile a breve sul web. Quello che ora proiettano, in sale come questa di Valencia, poco prima della performance live.



Sono passati per Verona. Per Praga. Sono stati ospiti di amici un po' hippie in Slovenia, a pochi minuti dal confine su cui vivo. Hanno adottato un cagnolino abbandonato, sono stati ammoniti dalla polizia, hanno inciso pezzi in una stanza d'hotel insonorizzata alla meno peggio con dei materassi affissi alle pareti. E, soprattutto, hanno trovato canzoni. Belle, peraltro. Orecchiabili eppure non banali. Scanzonate e profonde assieme.

Perché, se il disco precedente – registrato in un teatro – vantava collaborazioni con alcuni tra i piú affermati e talentuosi artisti di Spagna, questo i duetti li ha presi dalla strada. Per ogni cittá in cui si é fermato durante il suo tragitto, Lucas Masciano ha cercato musicisti ambulanti, amateur, per proporgli di improvvisare qualcosa assieme. Ne sono nati incontri di incredibile alchimia. Canzoni impreziosite da persone che sono giá di per sé storie: una ragazza francese, un talentuosissimo violinista rumeno, degli studenti del conservatorio, un senzatetto che ama suonare il piano messo a disposizione dal comune in una piazza di - cos'era? - forse Repubblica Ceca.





Mette voglia di viaggiare, “De Paris a Transilvania”. Di partire senza meta. Di scoprire il mondo e di amarne le genti, alla faccia di tutti i pregiudizi o le barriere. In fondo racchiude quello spirito, la foto di gruppo che ci scattiamo alla fine. Una spagnola, una francese, un argentino e un'italiana (“ah, ecco perché i baci sulle guance inizi a darli dall'altra parte!”), assieme. Stretti nella stessa inquadratura. Uniti per vie traverse e complicate, ma comunque sempre grazie a sette note.



Nel frattempo c'é stata l'agognata cena. La macchia sulla maglietta di Lucas innalzata ad Aneddoto della serata (“La camicia mi va stretta”). Tito che mi prende in giro: “avete mangiato? Perché lei moriva di fame giá prima”. E c'é stato, soprattutto, il concerto. Con un pubblico troppo esiguo per quello che avrebbe meritato, o per non vergognarsi al momento di cantare in coro. Eppure l'atmosfera intima di una festa tra amici, le risate, e la magia dei brani eseguiti in acustico sanno fare anche di una sala minuscola il posto piú bello che c'é.


venerdì 18 luglio 2014

Partire o fuggire?

Che tutto può cambiare in un istante si sapeva. Che succede sempre e comunque sotto un palco, nella mia vita, forse pure. 

Mentirei se dicessi che son stati giorni facili. Ricordo l'umanità varia degli ospedali. I risvegli con l'angoscia. I pensieri assurdi che ti prendono nei momenti di difficoltà. Tipo che ti chiedi, d'improvviso e senza alcun nesso apparente, dove sia finita la piccola mucca colorata che ti avevano comprato i tuoi in un mercatino hippie a Formentera. Avevi quanto? Sei anni? E cosa accidenti c'entra ora? Qui, in  questa insensatezza di tornanti in mezzo al niente. Nel nero inquietante di campagne senza luci, di quelli che ti inghiottono come galassie lontane. Ché pensa alle donne che devono partorire. Ecco, di nuovo. Mannaggia a me. 

Poi le storie. Riesco ad inventarmele anche a pochi minuti dalla mezzanotte, guardando due sconosciuti.  Per distrarmi, suppongo. O forse perché guardo troppi telefilm. 

Comunque. Il fatto è che oggi parto, finalmente. É il viaggio che attendevo da più tempo. La perfezione degli eventi che si susseguono nell'arco di una stessa settimana. Davanti a me le spiagge della Costa Blanca, il fascino descritto di una Cuenca mai vista, l'inedito di un disco in una torrida Madrid. Credevo mi sarebbe servito a prendere delle decisioni, anche. A mettere un po' d'ordine in quello che non mi piace. Immaginavo i discorsi, la ricerca degli hotel a quattro stelle, un incipit ironico - ma in fondo neanche tanto - per cercare di salvare una passione. E chissenefrega, invece.

Una delle mie attuali destinazioni


Tutto cambia in un istante, e non lo fa una volta sola. Così ora parto con un senso di sbagliato in fondo al giudizio altrui. Mi sento addosso la sensazione di fuggire dai problemi, di non aver mai fatto altro in vita mia. E non é che mi piaccia granché. 



L'unica cura, tuttavia, per me rimane solo e comunque la Spagna. E in questo post confuso e sgangherato - un post che capirà forse solo chi mi conosce - voglio soltanto esprimere il desiderio che funzioni. Che vada tutto bene, dannazione, ma bene davvero. Perché me lo merito, in fondo, il contraccolpo di tranquillità. 

Ci si rilegge tra una settimana. Dopo Valencia e Lucas Masciano. Dopo Gandia e Dani Martín.  Dopo Cuenca. Dopo Madrid ed El Pescao. Ci si rilegge, in ogni caso. E spero sia dietro ad un grande sorriso. 

martedì 15 luglio 2014

Emma, Bisbal e il tunnel musicale italo-spagnolo

Devo fare un appello: smettetela. Dico a voi, che aspirate alla nomination per la miglior canzone italo-spagnola del 2014. Perché lo fanno per quello, é palese. Altrimenti non me lo spiego, quest'improvviso affanno. Tutti a reclamare la mia attenzione. Tutti a rendermi inevitabile la stesura di duecento post sullo stesso tema. Ché io capisco che essere citati in questo blog sia obiettivamente sinonimo di prestigio internazionale (?!), peró c'avrei anche una vita. 

Comunque. Scarsa modestia ed elevata spiritosaggine a parte, il punto è che l'italo-spagnolismo musicale, in questi giorni, sta toccando le sue vette più elevate. C'è uno scambio continuo, un flusso indiscriminato di gente che passa allegramente da un Paese all'altro. Manco avessero aperto un tunnel clandestino sotterraneo. Tipo The Bridge, solo un po' più lungo e all'insaputa dei francesi. Già me li vedo, a Parigi: "cos'è questo rumore?" "Ah, rien, c'est le metró". E invece é Bisbal che gli piroetta come un indemoniato sotto i piedi mentre Mengoni si pettina il ciuffo. Son cose. 

Ma non divaghiamo. Le notizie salienti, grossomodo, sono le seguenti. Innanzitutto Elisa, che da mia brava concittadina ha scelto un festival di Málaga per conquistare live il pubblico spagnolo. 

Elisa al 101 Sun Festival di Málaga in una foto condivisa su Twitter.

Certo, l'han fatta suonare alle 14.15 in pieno Luglio andaluso (ed é già tanto se non s'é beccata un coccolone) ma suppongo che tutto non si possa avere. Del resto, basta guardare me per capire che Monfalcone e Málaga siano destinate ai buoni rapporti. Spero solo che qualcuno l'abbia portata al Pimpi.




Degli Efecto Pasillo, invece, ho già parlato in abbondanza su Total Free Magazine. La loro "funketón" è dallo scorso 11 Luglio in rotazione nelle radio italiane (o così dovrebbe essere, visto che personalmente non l'ho ancora mai sentita on air). A dimostrare i miei "li conoscevo già"ci sono un disco impolverato sulla scrivania, qualche playlist su Spotify, un paio di post su questo blog e persino un look ispirato alla copertina di "El Misterioso caso De…", che a questo punto dovrei proprio riciclare. Ah, domani sono in concerto al Latino Americando di  Milano: io, se fossi in voi, ci andrei. 

E poi c'è Emma Marrone, il cui nickname su Instagram ho scoperto essere (giuro!) real_brown. Beh, la brownie - ormai ne parlano ovunque - ha duettato col suddetto piroettante Bisbal in quel dell'Arena di Verona. 





A quanto pare è solo l'antipasto di un duplice e duraturo scambio: il brano, Hombre de mi vida,  sarà presente sia nella versione spagnola del disco di lei che in quella (ebbene sí!) italiana dell'album di lui. Ora: nonostante il bilinguismo - che di per sé, lo sapete, costituisce a mio giudizio un punto a favore - a me la canzone piace grossomodo come sbattere il mignolo contro l'angolo del comodino quando ti alzi di notte per fare la pipí (piuttosto meglio la versione spagnola di Amami). Peró son gusti, niente da obiettare. Quello che invece non concepisco é che 'sta poverina si strusci contro un tizio su di un palco, si faccia cavallerescamente aprire le porte di un mercato, e non abbia ancora capito come accidenti si chiami. Ché, se guardate attentamente i video dell'Arena, sembrerebbe davvero di sentire l'urlata presentazione finale di un tal "Deivid Bísbal" seguita da un successivo "Grazie Deivid", a ribadire il concetto. Cioè: Deivid Bísbal, capite? Il collega di Deni Mártin. Spero davvero sia solo una distorsione data dal microfono. Comunque sia, lui fa finta di niente, un po' stordito. D'altronde, mi chiedo se il patrocinio della Real Brown non sia l'ingrediente giusto per  quell'ingresso in Italia che sta tentando - piuttosto invano - di realizzare sin da quel lontano e da me citatissimo Festivalbar a Trieste nel duemilaqualcosa. Non é tra i miei preferiti, ma glielo augurerei. 




Se poi non fosse abbastanza, apprendo dal buon Lombardini che pure Controvento di Arisa verrà tradotta per il mercato iberico. Al che la domanda sorge spontanea: perché vogliamo farci del male? Lo sapete, vero, che potrebbe anche essere il pretesto per una dichiarazione di guerra? Se non altro, questo bisogna ammetterlo, in metrica "Controviento" ci sta da Dio. 

domenica 13 luglio 2014

Argentinità.

Prima regola dell'italo-spagnolo in caso di Mondiali: in assenza delle Nazionali di riferimento, parteggiare sempre per la squadra ispanofona. Specie se si lega ad un discreto numero di fatti, persone e vicissitudini del tuo presente. O immediato passato. O prossimo futuro, quel che é. Insomma, parrebbe piuttosto evidente che stasera io debba mettere da parte il rapporto conflittuale che ho da sempre con l'orgoglio argentino. Dimenticare un tizio che mi stava sulle palle, per esempio. O Maradona. L'appropriazione indebita delle origini del Tiramisú. Dimenticare - sí, ecco - anche l'accento e l'insistenza degli addetti ai call center di Málaga, in perenne combutta con la dueña la mattina dei giorni di festa. Dovrei pensare a Calamaro, invece, che guarda caso é in concerto a Madrid proprio la sera in cui , in un prossimo viaggio itinerante, io raggiungerò la Capital. Oppure a una canzone dei Negrita. Alla donna chiacchierona su di un autobus per Roses. Alla mia ferma, perenne, convinzione che lo Stato che ha dato le origini a Messi non sia altro che il risultato di una somma. Perché é così, tecnicamente, dai: Italia+Spagna = Argentina. La storia non mente, le locuzioni linguistiche neppure. "Valigia non é maleta, in Argentina, ma valija". Persino quello stesso orgoglio, adesso che ci penso, forse non é che eccesso di itañolitá. 




Di argentini, nella mia vita presente e passata, ce ne sono stati diversi anche in campo musicale. In attesa della finale dei Mondiali, giusto per darci una colonna sonora, ecco un campionario di quelli con cui più di recente ho avuto o avrò a che fare. 

Axel. Mi sa che l'ho già detto, ma la sua "Tus Ojos, mis ojos" é stato il mantra di un viaggio a Madrid. Il tormentone personale. L'ossessione. Il delirio che ancora fa ridere chi ha condiviso con me quell'avventura. Erano solo due mesi fa, eppure sembra già passato un secolo (profusione di sospiri). 




Lucas Masciano. Argentino D.O.C, apripista involontario del mio primissimo concerto de El Canto del Loco. Menestrello con la t-shirt di Diablito in un locale fumosissimo di Fuengirola. Lo rivedró Venerdí, dopo svariati anni. In proiezione un documentario in cui note e viaggio s'incontrano nel migliore dei connubi. Una canzone, scoperta da poco, che si é già guadagnata la mia approvazione.




El Pescao. Come non citarlo, lui che ha in Buenos Aires famiglia e seconda patria. Lui che ci ha vissuto. Che ci ha fatto nascere entrambi i figli. Lui che ha scritto una canzone intitolata "Azul Y Blanco" pensando ai colori di quella bandiera. Sará il nuovo singolo, e a me piace da impazzire. Se vincesse l'Argentina, ascoltarlo a Madrid pochi giorni dopo avrebbe davvero un sapore speciale. 



Sí, forse dovrei rispettarla, quella regola. Peró tifavo Italia. Avevo nella Spagna la seconda scelta. Poi simpatizzavo Cile per mere omonimie. Ancora, fino all'ultimo, sognavo un trionfo della Colombia. Quindi ci tengo a dirlo, prima che mi addossiate strane responsabilità: Deutschland, Deutschland über alles, gran bella cittá Berlino, oh quanto mi sta simpatica la Merkel. Che dite, può bastare? 
Buona finale a tutti!

domenica 6 luglio 2014

La Spagna vista dal cielo

É stata colpa dei fenicotteri. Un grosso stormo di fenicotteri rosa. Una nuvola di colore, il sogno un po' bizzarro di una notte agitata. 'Na roba così. Quella foto - il fatto é questo - mi ha colpita al punto da voler saperne di piú. É così che ho scoperto l'opera di Yann Arthus Bertrand.



Fotografo e ambientalista francese, ha immortalato dall'alto ogni angolo del nostro pianeta. Il risultato, facilmente consultabile grazie ad un sistema di ricerca per Nazione, é interamente disponibile online. 

Ci ho perso delle ore, su quel sito. E non esagero. Deformati dalla prospettiva insolita, certi paesaggi sembrano dipinti astratti. Ipnotizzano di meraviglia. Ti inducono a pensare che, se la razza umana non si impegnasse  per rovinarlo, il mondo sarebbe veramente un gran bel posto in cui vivere. 


La mia prima ricerca (che ve lo dico a fare?) si é focalizzata sulla Spagna. Per questo ora mi preme condividere con voi alcune visuali un po' distinte di scenari iberici che probabilmente già conoscete. Sono abbastanza sicura che un "oooh" di meraviglia riusciranno a strapparlo pure a voi. 


Se poi volete visualizzarne altri, non dovete fare altro che cliccare qui. 




Museo Guggenheim, Bilbao. 

La Geria, Lanzarote (Canarias) 

Maspalomas, Canarias 

Oliveti nelle prossimità di Siviglia

Impianto termoelettrico a energia solare, San Lucar La Mayor (Andalusia) 

Coltivazioni in Cataluña

Casa Milá, La Pedrera, Barcellona

Guardería El Petit Comte, Besalú, Cataluña 

Empuriabrava, Girona