sabato 30 giugno 2012

Ed é Italia-Spagna. Di nuovo.


Finisce tutto com'era iniziato. Italia- Spagna, il mio cuore spezzato; e la certezza che, comunque vada, un po' sarò felice in ogni caso. L' home page di facebook, oggi, è ancora piena dei miei due colori accostati. Una rivalità fraterna che sa più che altro d'armonia. Perchè saranno gli ormoni, che ne so. L'entusiasmo, magari. Ma è da Giovedì sera che tutto mi sembra commuovente da morire. Sì, insomma, da quando ho visto la Spagna bardarsi di tricolore per unirsi al nostro tifo. E poi complimentarsi. E poi temere, perchè a quanto pare ci temono un sacco. Temere, sì, una finale al sicuro cardiopalma a cui non sono così certi di vincere davvero. Non più.



Io agli iberici l'ho ricordato, che gli vorrò bene in ogni caso. Per il resto, rispolvero il mio bunker. Ma, questa volta, lo lascio mezzo aperto a chi volesse entrare. Sì, insomma, alla fine ho deciso che il confronto mi piace. Che, se non si cade negli insulti, è bello essere affiancati anche in destini sereni. E non è solo perchè mi aumentano le visite sul blog.


Il fatto è che è commuovente – ok, forse un po' amaro, ma comunque commuovente – che le due Nazioni più in crisi d'Europa siano le più forti a livello calcistico. Ti fa pensare che abbiamo entrambe bisogno di uno svago. Di un qualcosa che ci induca, almeno vagamente, al patriottismo. Di un evento, uno sport, in cui impegnarci e per cui esultare. Poi probabilmente è una gioia effimera. Ché lo sappiamo tutti, che le cose importanti sono altre. Però, al Diavolo... può davvero essere così sbagliato, gioire per qualcosa?

Per cui eccomi qui. Pronta a tifare per il Paese in cui sono nata, con un sorriso bonario a quello che ho nel cuore. Eccomi qui, convinta – e mi si perdoni l'arroganza – che se l'Italia è passata in finale è stato anche un po' per merito della mia bandiera. Quella che mi ha seguita in giro per la Penisola Iberica, sepolta sul fondo della mia valigia o appoggiata alla transenna della prima fila. E' così sporca che il bianco è quasi diventato grigio. Ma ogni segno di pennarello sul suo tessuto mi ricorda una dedica, o un bacio lanciato. Ogni macchia provocata da una bibita è una strizzata d'occhio, o un suo sorriso. Le emozioni non possono dipendere da qualche metro di stoffa, lo so bene, ma è da un concerto a Roses nel 2009 che credo che quella bandiera mi porti fortuna.

Vinca il migliore, allora. Nel frattempo, mentre ognuno si prepara come meglio può, che ne dite di condividere con me i migliori scatti italo-spagnoli che trovate in rete o – meglio ancora – realizzate voi? Potete pubblicarli nel commenti o sulla pagina facebook del blog. Così, tanto per entrare in atmosfera.


venerdì 29 giugno 2012

Uno strano cappello.


Immaginate un agglomerato di gente col cappello. Tipo Zorro, il cappello. Però senza la Z. Un copricapo che calza a pennello, che dicon tutti che son buffo e piccolino, proprio buffo, ma piaccio così. Ecco, appunto: immaginate che a me venga in mente la sigla di Memole, e capirete senz'altro perchè rido. Le altre, tutt'attorno, dovrebbero invece lanciarsi in dialoghi surreali. C'è chi dice “vamos a bailar esta vida nueva” e chi si prodiga in “un pasito pa'lante Marìa”. E' la ricetta di un brusio da feria studiato a tavolino per chi non sa lo spagnolo. Nello specifico, il tavolino è quello di una gelateria del centro, davanti a una coppa di gelato alla frutta alta grossomodo un terzo di me. La stessa dell'altr'anno, che ai rituali scaramantici non so rinunciare. Specie se prevedono una fresca ingestione di calorie.



San Vito al Tagliamento. Rimpianti d'aria condizionata. La nostra esibizione comincia così.
Perchè, siamo alle solite: quando ci vuole un anno intero a preparare sei minuti sul palco, poi ci si aspetta che di quei sei minuti io parli. Anzi, in realtà ci si aspetta che io parli di tante cose, ultimamente. Una su tutti, gli Europei. Ma...tempo al tempo. In ordine cronologico, i resoconti flamenchi vengon prima.

Il fatto è che ballare senza occhiali un po' mi isola dal mondo. I contorni sfocati occultano gli sguardi. Il dettaglio mi sparisce in approssimazioni. Ed io, di colpo, sono in una dimensione parallela. Non so se sono in grado di spiegarlo. E' come se il resto, essendo così poco netto, mi urlasse egli stesso che, di protagonismo, non ne esige nessuno. Come se , non vedendolo bene, capissi che è su altro che mi devo concentrare. E allora esisto solo io. Solo la musica. Soltanto i riflettori che da piccola mi hanno salvata troppe volte dalla timidezza. Le assi in legno che mi aiutano a prendere coscienza di me. Implorano, mi chiedono arroganti di far vedere che ne sono capace. Mi annullo nelle note, nel testo, nel ritmo, cercando dentro me la parte che forse si potrebbe ammirare. Per questo va bene, con quel cappello in testa. Anche se alle prove avevo pasticciato molto meno. Anche se le gambe sono sempre un po' più rigide di quanto vorrei. Ma va bene perchè bene mi sento. Perchè sorrido e ammicco a quell'orizzonte sfocato ballando per me stessa più che per chi c'è. 




E poi torno nei camerini, incapace di avanzare più dei due centimetri che mi separano da un cajòn colorato. Mi ci accascio sopra assorbendo complimenti al gruppo senza sentirli davvero. Bevo mezzo litro d'acqua in un unico sorso ed eccola lì, di nuovo, quella sensazione: l'adrenalina che si stacca dal tuo corpo, violenta come un cerotto strappato, per inserirti nell'ovatta di quella stanchezza dolce. Metafora di zucchero filato, di benessere, di sudore e di testa che si svuota. Il microattimo perfetto in cui non hai pensieri o sentimenti , e sai che il mondo può aspettare ancora un po'. Almeno fino a che non sarai pronta a ritrovarlo, per leggere un sms o magari mangiarti il tuo panino. Fino a che una compagna di corso non ti riassemblerà uno chignon in caduta libera , mentre una ragazza spagnola si gode l'attrezzatura che anni di esperienza l'hanno indotta a portarsi da casa. Leggi: sedia in plastica e ventilatore. L'accoppiata di oggetti che, nell'areazione guasta del piano superiore, possono bastare a farti diventare un mito.



Un anno per sei minuti, ancora. E, coreografia a parte, non è che del resto sia cambiato un granchè. Forse soltanto il clima di relax, tanto generalizzato da farmi quasi addormentare sulle poltroncine nei momenti previ alla nostra ultima prova in costume. Forse gli anni che ci rendono via via un po' più affiatate. O magari quella Chiesa in cui qualcuno s'era appena sposato. Quella in cui abbiam respirato aria umida, fingendo necessario dover farci benedire. E che buon profumo, quelle rose...!!

Mento, perchè invece è cambiato tutto. Perchè tra il pubblico, stavolta, c'era anche un'amica. E un'amica rende tutto più bello, sempre. Specie se il Flamenco te l'ha fatto amare lei. Specie se è da tanto che non la vedi.

Proprio qualche minuto fa, aprendo l'armadio, ho rivisto quelle scarpe. Calzados flamencos, professionali. Bianche e comodissime, quasi fossero studiate sui miei piedi. Stanno così bene, con l'abbronzatura, che mi verrebbe voglia di metterle per uscire. Ci sono regali che vanno al di là dell'oggetto , o del suo valore economico. Penso alla persona a cui sono appartenute. Al significato affettivo che per la mia amica rivestono. E, ancora una volta, mi vien voglia di ballare.

Forse, in qualche strano modo, adesso non soltanto per me.

mercoledì 27 giugno 2012

Concerto per l'Emilia (gli highlights).


Poi, per carità, uno può avere i gusti che vuole. Però è comunque bello vedere l'Italia stringersi attorno ad un evento musicale. Raccontarlo agli amici. Dare ragione alla tivù di Stato di un servizio che, per una volta, riesce a essere pubblico davvero. Senza interruzioni pubblicitarie. Senza troppe polemiche. Senza nessuna pecca d'auto-promozione. Sì, il Concerto per l'Emilia m'è piaciuto davvero. Nonostante Frizzi e Paolo Belli. Per la realizzazione, oltre che per la Causa in sé. Per il ritmo incipiente. Per il filo conduttore di un accento familiare sotto a un Cielo di Bologna fiero più che mai. E per la scelta del repertorio, pure. Quello che ogni singolo artista, lontano dall'ultimo successo in rotazione, ha saputo rendere tematica a suo modo. Vasco, spiace dirlo, ma mi sa che mancando hai fatto una cagata delle tue.

Chè poi me n'ero sempre stupita, di quanto una sola regione a forma di triangolo rettangolo, più che quadrati di cateti e ipotenuse, sforni musicisti a go-go. Vederli lì, tutti assieme e tutti emozionati, m'ha ribadito un concetto che in fondo conoscevo giá da un po'. Amo quella terra come amo la musica. E, chissà, forse è proprio perchè sono intrecciate. Ad esempio, avete mai fatto caso a come la maggior parte dei cantanti italiani noti in Spagna siano al 100% emiliani? Laura Pausini. Nek. Raffaella Carrà. Zucchero. Toh, mettiamoci pure Cremonini, in qualità di voce dei LunaPop. Insomma, dovrà pur voler dire qualcosa. E poi il mio tocco di Penisola iberica son riuscita a scovarlo pure lì, tra le immagini del Dall'Ara che il digitale terrestre proponeva in audio un po' sfasato sullo schermo di casa mia. Stava tutto nel cajón con cui un tizio, sul fondo, accompagnava Carboni. Una finezza che solo pochi adepti al flamenco avranno probabilmente notato.

Nel frattempo, se vi voste persi l'evento – o, semplicemente, voleste riviverlo in pillole – ve ne ricapitolo a seguire gli highlights.



La serata l'ha aperta Zucchero, con in testa un cappello molto simile a quello che indossavo io ballando il Garrotín la sera prima. Solo bianco, e come conseguenza un po' meno Tio Pepe. La Caselli, dopo 42 anni di assenza dalle scene, ha pensato bene di presentarsi sul palco in vestaglia e pigiama. Peraltro con la stessa identica afonia di chi é stato appena scaraventato giú dal letto da una sveglia inopportuna. Ma canta con Guccini, perció la si perdona. Anzi, in realtá la si perdona proprio perché é la Caselli . E direi che é abbastanza, come motivazione.



La Carrá , secondo mia madre, somiglia sempre piú ad Alaska in versione bionda. Mentre ancora ne rido, lascio a voi il compito di giudicare se sia vero .




Il mio personale premio alla miglior performance, ad ogni modo, va a Bersani. E anche quello per la miglior maglietta, a dire il vero. Impeccabili gli arrangiamenti di Chicco e Spillo: piú che una canzone, un film in note. Visivo come la scrittura dei migliori. E Giudizi Universali, prima. Emotiva come un pezzo di storia anche mia.





Sul podio anche Nek. Che, vabbé, con quella fascia blu attorno al braccio pareva si stesse misurando la pressione. Ma ha scelto tra tutti i suoi brani, i due che piú in assoluto hanno a che vedere con me. E li ha cantati pure molto bene. Cosí, se “Lascia che io sia” m'ha riportata al CostaPop di Málaga in quel non troppo lontano 2009, “e da qui” mi ha fatto ricordare quanto io ami la vita. Riportandomi al motivo principale per cui tutta quella gente stava lí.




Che poi, in effetti, l'aveva fatto poco prima anche Ligabue. L'accostamento tra “Il giorno di dolore che uno ha” e “Il meglio deve ancora venire” valeva da solo il messaggio di tutta la serata. Nonché la ragione per sorridere ancora.

Cremonini, e pare scontato, m'é piaciuto pure lui. Ma d'altra parte é un altro con cui non riusciró mai ad essere del tutto obiettiva. Troppi ricordi, troppe storie, troppi tweet. Soprattutto, troppe sue canzoni nella mia personale colonna sonora. Perció al massimo vi potrei dire che sostituire “Amiamo l'Inghilterra” con “Amiamo la nostra terra” nel ritornello di Mondo é stata una scelta un po' ruffiana. Ma non sarebbe in nessun caso, a conti fatti, un commento negativo. Insomma. É piuttosto ovvio che, nelle circostanze, ci stava. Cremonini, giá. Cremonini che, con la Pausini, ha fatto anche un duetto, oltre che la rima.

Assieme hanno omaggiato Dalla sulla mia pelle d'oca. E sarebbe pure stato uno dei momenti piú emotivi della serata, se il mio grado di disordine mentale non mi avesse restituito un solo pensiero. “Toh, guarda” , ho pensato vedendoli assieme, “due persone che conoscono Dani Martín sullo stesso palco, in Italia”. Dopo di che mi sono data al Mirto , perché obiettivamente non si puó mica essere cosí fissati!





Che in realtá sarebbe stato emotivo anche il momento Carboni, se lui non si fosse travestito da Vasco Rossi. Mia mamma che, una volta in piú, mi racconta di come ascoltasse i suoi album in loop mentre era incinta di me. Io che mi spiego la sensazione di relax estremo che mi conduce al coma profondo non appena ascolto la di lui voce. Mio padre che, in tutto questo, mette l'accento sulla quantitá di tortellini che, nel frattempo, deve indubbiamente essersi mangiato. E, sullo sfondo, il suddetto Cajón. 



Inutile: guardare certi eventi mediatici in famiglia puó decisamente essere epocale. 

martedì 26 giugno 2012

Bollettino aggiornato della mia estate.


Sono ricaduta nelle vecchie abitudini. Cioè, nello specifico, in quella di appuntare le idee per i prossimi post sul bloc notes del secolo ventuno. Leggi,“cellulare”. Sì, insomma: è probabile che della mia vita non ve ne freghi poi molto. Ma se mai vi steste chiedendo che fine avessi fatto, ci tenevo a precisare che potreste pentirvene a breve: di arretrati ne ho davvero un bel po'.

Nel frattempo, però, approfitto degli ultimi pomeriggi sgombri da atroci ed indicibili sofferenze mensili (leggi: ciclo mestruale) . E consolido in tal modo il primo abbozzo di tintarella estiva. Cielo sgombro da nubi. Mare senz'increspature che il sole pare divertirsi a cospargere di glitter. Il sale che ti tira la pelle dopo un tuffo...è tutto, proprio tutto, come piace a me. Peccato solo per lo spavento che dà sentire una persona che sbuffa a meno di un metro dalle tue spalle, mentre ti crogioli beata sulla scaletta della barca. Vabbé, non era una persona, alla fine. Era una tartaruga gigante. Ma non è comunque una gran bella sensazione.



Le mattine le trascorro, invece, a scrivere mail in inglese per collaborare alla pre-produzione di un tour musicale in America. Il lato positivo è che ho scoperto che la mia anglofonia non è ancora andata del tutto perduta. Quello negativo (oltre alla sveglia all'alba) che se sbaglio qualche termine parlando di contratti ed accordi economici, potrei anche rischiare d'essere impiccata. Stavo proprio pensando di fare testamento domani. Così, giusto in caso.

Intanto, nel lasso temporale sospeso tra le due incombenze, faccio sogni inquietanti ove non appare nessuno che io conosca. Una specie di film d'azione mentali di cui, però, non faccio mai in tempo a vedere il finale. Ah, e ho anche messo fine in sei minuti su un palco ad un altr'anno di corsi di flamenco. Con molti applausi e un bel costume, oltrettutto. Che qualcuno lo doveva pur dire.



Insomma: è sempre il rapporto tempo/idee, a fregarmi. E pensare che sento anche quest'assurda urgenza di riordinare le borsette per capienza e colore. Prenotare voli per Parigi- Grecia- Madrid, in rigoroso ordine d'apparizione, prima che i prezzi si facciano proibitivi. Guardare una scorta di divudì che basterebbe a sfamare gli occhi di un eremita recluso per circa un mese filato. E magari pure cercar di capire se i trucchi giallorossi trovati nelle patatine comprate in Spagna sia il caso di usarli già domani. Che poi metti che la Roja batta Marìa la portugues...dico, il Portogallo, e gli Azzurri battano i Crucch...dico, la Germania, stamparli sulla guancia alla finale potrebbe non essere proprio un buon modo di tutelarsi la vita. Ché vabbé far testamento, ma non esageriamo.



mercoledì 20 giugno 2012

"Matura" da tanto. Marcia, spero mai.


E' da stamattina che ho in mente di scrivere un post sulla Maturità. Ci stavo giusto pensando, quando l'angolo di una finestra spalancata ha deciso di incontrare la mia tempia. Il che, già di per sé, avrebbe dovuto farmi desistere. Ma io, si sa, sono cocciuta.

Tra parentesi, vorrei anche far presente che staccare i cubetti di ghiaccio dall'apposito contenitore si è rivelata un'impresa più ardua del previsto. Così alla fine mi sono arresa, e ho passato circa mezza giornata con un rettangolo fucsia appoggiato sul bernoccolo incipiente. In pratica, l'immagine di una donna glamour.

Comunque: dicevo, la Maturità. Impossibile non pensarci, mentre migliaia di studenti trascinano in giro vocabolari pesantissimi e un agglomerato di paturnie. Impossibile, più che altro, non ricordarsi di quando ero una di loro. Succedeva nel 2003. Finiva il 3 Luglio con un senso di improvvisa leggerezza nell'”arrivederci” con cui mettevo un punto conclusivo agli orali. 3 Luglio: curiosamente, la stessa data in cui, qualche anno dopo, ho discusso la tesi di laurea triennale. La specialistica m'ha un po' sballato la cabala, a dire il vero. A meno che non si consideri che 3+7+2+3 fa 15, che è il giorno di settembre in cui sono (inutilmente) diventata “dottoressa magistrale”. Però, insomma, chi se ne frega. Il punto è che, secondo le burocrazie statali, sono matura da ormai così tanto tempo che a quest'ora dovrei già essere caduta dall'albero, probabilmente spiaccicandomi con ghigno sadico su di un'auto appena lavata. E forse, in effetti, si spiega pure la finestra sulla tempia. Che, detto così, sembra un remake di Hichcock. Dopo “La Finestra sul Cortile” arriva “La Finestra sulla tempia”. Colonna sonora dei Negramaro. “E non mi reeeeeeeestaaaaaaa...”.



Sì, sì, vabbè, la smetto.

In realtà, se penso ai miei Esami di Stato, la prima cosa che mi viene in mente è un caldo infernale. La seconda, una vecchia signora pazza che non la smetteva di urlare “ohmariamariamariamaria” “aaaaaaah” “ohmariamariamaria” mentre cercavo di studiare in giardino. Il che mi porterebbe in immediato a dire ai giovani d'oggi che hanno un bel po' di fortuna. Forse non tanto per via della vecchia ( magari qualcuno di loro ha a sua volta una vicina così), ma di sicuro per  le temperature. Cioé, non che ora non faccia caldo, ma mentre teoricamente si stavano preparando il clima era decisamente più fresco e piovoso. Dall'altra parte, però, hanno anche l'immensa sfiga per cui, nel frattempo, sono stati inventati twitter e facebook. Parliamoci chiaro: fossero esistiti quand'ero maturanda io, non so mica se sarei stata così secchiona. Vabbé. 

Altri ricordi random che mi assalgono riguardano la versione di latino (o era greco? Boh) che avevo passato a più di metà classe. Si sa: in certe occasioni passare una versione ben fatta ti rende l'eroina del momento, dotandoti di un potere che manco te l'immagini. Tutti volevano ricambiare, tutti mi idolatravano... é stato un momento particolarmente gradevole, per la mia autostima. In effetti, anni dopo, mi vien da dire che forse non l'avevo fatto per pura e semplice generosità.

E poi la mia fantastica tesina su Baudelaire. Mi ero preparata tutti i collegamenti possibili e immaginabili, per poi trovarmi a dover rispondere a tutt'altri quesiti all'orale. Non ve la so neanche spiegare, la ventata d'odio che provai nei confronti di quella di Storia . Insomma, avevo riciclato il programma dell'anno prima pur di essere preparata ad ogni evenienza. Ma mentre io ripetevo “Moti parigini del 1948” “seconda repubblica” “Napoleone III” con una frequenza che avrebbe dovuto insospettirla, lei sbadigliava leggendo il giornale. Il giornale, capite? Non mi ascoltava neanche! Che poi, in realtà, l'unica che in quell'occasione mi aveva chiesto esattamente ciò che mi aspettavo, è stata quella di Arte. Anzi, no: forse anche quella di Inglese mi aveva chiesto di Poe. Comunque, l'importante è che sia andata bene.




Bene in tutti i sensi, tra l'altro. E non parlo più solo di voti.
Il fatto è che quella dannata tesina aveva rischiato seriamente d'incasinarmi il futuro. Cioé, non proprio la tesina: più che altro, Baudelaire. Ero talmente fissata con lui e la sua poesia da essere stata sul punto di scegliere Francese, anziché Spagnolo, all'Università. Per fortuna mi sono ripresa in fretta, sulla base del corso preparatorio di castigliano su cui avevo già investito del tempo in quarta superiore, dei ricordi di vacanze in Famiglia, e di tutt'una serie di buoni consigli da chi, attorno a me, credeva fossi impazzita.

Quella scelta, col senno di poi, m'ha resa ciò che adesso sono. Non che questo sia necessariamente un bene, per carità, ma insomma...senz'altro m'ha evitato una prof cattivissima a detta di chiunque. E poi m'ha portata al corso nel quale ho conosciuto la persona che mi ha musicalmente presentato El Canto del Loco. Che, visto quello che grazie a loro ho vissuto negli ultimi sette anni, direi che non è affatto poco. Oddio, in realtà credo che, in qualche modo, li avrei conosciuti comunque. Intendiamoci: non è che io voglia passare per forza per il bimbo autistico di Touch, ma sotto certi aspetti sono davvero convinta che il Destino sia segnato. Del tipo: lo sapete quante volte ho incrociato quella band, prima di concederle di entrarmi nella vita? Almeno tre. E ovviamente anche questo l'ho scoperto di recente.

La prima volta, a quanto pare, è successo nel 2001. Iniziavo a usare internet, principalmente perché seguivo i LunaPop. Ricordo perfettamente di essere entrata piú di una volta sul sito del loro fanclub spagnolo, quando la Vespa Especial li aveva fatti sbarcare dall'altro lato dei Pirenei. Beh, l'ho ritrovato da poco, quel sito. Google + Noia, accoppiata vincente. E, indovinate ? Tra i messaggi di quell'epoca ce n'erano almeno un paio che invitavano ad ascoltare una certa band di Madrid. Probabilmente li avevo saltati a pié pari tacciandoli di spam. O magari perché non capivo ancora bene lo spagnolo. Ma adesso, leggere quel post, fa un po' paura. “Se vi piacciono i LunaPop”, c'era scritto, “Vi piaceranno senz'altro El Canto del Loco. Qui potete ascoltare qualche loro brano!”. Certo, non si puó dire che non avessero avuto
 ragione.



La seconda volta é stata alle Canarie, quando cercavo un disco spagnolo da portarmi a casa come souvenir. Per qualche strana ragione ero stata attratta da un cd con la copertina azzurra e cinque ragazzi accuffati sopra. L'avevo preso in mano. Ne avevo letto la tracklist. Ma, non sapendo assolutamente che genere facessero, alla fine avevo scelto di andare sul sicuro. E avevo (sigh!) comprato Enrique Iglesias. Quell'album con la copertina azzurra era “A Contracorriente”, de El canto del Loco.

E poi, tornando indietro, leggevo una rivista sull'aereo. La conservo ancora, tra le mie duecento scartoffie. Un trafiletto parlava della fine del tour di una band di Madrid. Loro erano lí, tutti e cinque, con in mezzo Amaia Montero. “El Canto del Loco” si leggeva in grande. “Che razza di nome”, avevo pensato. Ricordo che mia madre - e questo ve l'avevo anche giá raccontato -  fu attratta da quell'immagine. Mi disse “e questi chi sono? Fossi in te proverei a scaricarmi qualche loro canzone, magari son bravi”. Ma io avevo giá una lista di 10 brani pronti a diventare compilation. Li avevo trascritti dalle classifiche di vendita lette chissá dove. Non avevo voglia di cercare oltre. Cosí alzai le spalle, girai pagina, e dovetti aspettare fino al duemilasei.

Quindi, boh. Magari se avessi scelto di studiare francese avrei, tipo, conosciuto Celine su Internet, per fare un po' di pratica. E lei mi avrebbe consigliato di ascoltare un certo Dani Martín, che prima era ne El Canto del Loco, che ne so. O magari mi sarei imbattuta nella versione doppiata in francese di Cuenta Atrás cercando qualcosa da guardare per allenare l'orecchio alla pronuncia. Mi sarebbe piaciuto l'attore protagonista, ne avrei cercato notizie sul web e...

Insomma, in un modo o nell'altro Dani and Co li avrei conosciuti comunque, di questo sono quasi sicura. Solo che ci avrei messo un sacco di tempo in piú. E mi sarei – di conseguenza – persa un sacco di belle emozioni. E poi ricordo che, sempre per colpa di quella tesina, pensavo che se fossi tornata a Parigi avrei voluto fare visita alla tomba di Baudelaire. Cioé, ci rendiamo conto?! La tomba. Ero praticamente la groupie di un poeta strafatto dell'ottocento, é inquietante.

Invece, una cosa che mi spiace non ricordare della mia Maturitá sono le canzoni che andavano all'epoca. Cosí ho fatto una ricerchina veloce, tanto per. E ho trovato questo sito. Da cui scopro che era proprio quella l'estate di “no es amoooor, lo que tu sienteees, se llama obsesión!”, singolo piú venduto in assoluto. Made in Aventura. Lingua (guarda tu!) spagnola. E in classifica c'era pure Objection, che é tutt'ora il brano che piú amo di Shakira. 






Poi c'erano le Vibrazioni, che debuttavano con “Dedicato a Te”, del cui videoclip avrei parlato nella tesi triennale. E i Black Eyed Peas, che si facevano conoscere chiedendosi “Where is the love?”. C'era Panjabi MC coi suoi ritmi da Bollywood che, ricordo, ballavo sempre con piacere. Gli Evanescence con Bring me to life. La mia conterranea Elisa con ben due singoli in hit parade. E, forse, pure la marmotta che confezionava la cioccolata. Ad ogni modo, una gran bella estate spensierata. Anche sotto il profilo musicale.





lunedì 18 giugno 2012

Diamo i numeri! Ecco i 10 post piú letti del blog.


Il Lunedì è il giorno giusto per i bilanci. Cioé, in realtá sarebbe stato meglio la Domenica. Ma, insomma, una c'avrá pure il diritto di andarsene un po' al mare, no? Tra l'altro, per dirla proprio tutta, avrei anche un sacco di cose interessanti di cui parlarvi. Cose legate all'attualitá spagnola, intendo. Solo che le ho giá trasformate tutte in articoli per Total Free Magazine, per cui dovrete accontentarvi di aspettare che escano lá.

Quindi, si diceva...bilanci. Perché, vedete: c'é una funzionalitá particolarmente azzeccata, in questa nuova grafica del server di Blogger. Ti calcola gli accessi ad ogni singolo post. Morale: adesso non solo so quali sono i piú letti, facendomi un'idea di cosa piú interessa i miei lettori, ma proprio conosco i numeri. Sí, insomma, la quantitá di persone fisiche che hanno dedicato un paio di minuti a leggere le mie vicessitudini. Il che provoca in me una quantitá di imbarazzo misto shock sconcertante, perché – seppure ad intervalli alterni – siete onestamente tantissimi.

Ma, per evitare di cadere nel miele dei ringraziamenti da Oscar (anzi, Grammy, che mi si addice di piú), mi preme condividere con voi i dati sui post piú letti in questo nuovo corso di Italo-Spagnola. Dove per “nuovo corso” s'intende ovviamente l'era dopo Splinder, che parte dalla fine del 2011. Sui risultati statistici del “prima”, temo resterá sempre un'ombra di mistero. Comunque, eccovi la top ten. Con relative riflessioni conseguenti.




1. " Venerdí crema catalana! " é in assoluto il post piú letto, con la bellezza di 1317 visite. Insomma, una dimostrazione in piú di come il cibo – superato, forse, solo dal sesso – sia indubbiamente l'argomento piú apprezzato e cercato su web. Viene da chiedersi, peró: a quel migliaio di persone che l'hanno trascritta e sperimentata, la mia ricetta sará piaciuta? L'avranno passata agli amici? Ho un futuro nella gastronomia? Posso aprire un ristorante spagnolo, se non trovo lavoro nel mio campo? Mi sto gasando un filino troppo? E direi che l'unica risposta che potró mai avere é il “sí” a quest'ultimo quesito. Quindi passo oltre.

2. " Antonio Banderas, il Mulino Bianco e una Gallina " : apprendo che ci sono ben 419 persone interessate alle vicessitudini del mio Tony che arrotonda lo stipendio chiacchierando con un pennuto. Son robe che ti segnano. Chissá se si saranno scandalizzate quanto me.

3. " Venerdí... Tortilla! (sí, sí, chiamatemi pure Benedicta Parodos "  : 336 accessi anche per il primo capitolo di una rubrica culinaria che ora inizio a sentirmi un tantino in colpa per aver abbandonato. Comunque, visto che lo riciclo, devo dire che la tizia del disegnino che avevo inserito nel post mi somigliava obiettivamente un sacco.

4. " Dolcemente complicata (e senza pretese d'originalitá " é quindi, con ben 281 accessi, il post piú letto tra quelli a carattere personale. E, se mi permettete, mi ci incazzo pure. Che, voglio dire, una fa di tutto per non lamentarsi sul web. Poi, l'unica volta in cui scrive qualcosa con l'umore sotto i tacchi, zac! Picco di visite. Eccheccacchio. Leggete robe un po' piú positive, no?

5. “Spagnoli, e italiani, quando un vecchio articolo puó ancora dire la veritá”.  . Con 276 visite, la traduzione di un vecchio scritto di Juan Arías per El País si posiziona all'equatore di quest'insolita classifica. E di questo sí che sono felice. Sí, insomma: l'articolo era davvero splendido, non c'é argomento che si inquadri meglio nelle tematiche del blog, e oltrettutto fa riflettere un casino. Quindi bella scelta, lettori miei. Bravi.



6. “ Fare la Fashion Blogger non é cosa per me ” . Ammissione di colpa condivisa da 215 modaioli 2.0 , che porta con sé uno strascico di consolazione: allora le leggete, le cose divertenti! Non devo piangere per forza, per attirare la vostra attenzione! Allegasi sospiro di sollievo.

7. “ Un angolo di Andalucía nel centro di Vicenza ” ...e , a quanto pare, avete a cuore anche i buoni consigli su come passare una serata diversa. Dire che sono fiera dei 205 contatti a questo post sarebbe riduttivo: tutta pubblicitá a beneficio di persone che lo meritano davvero. Di amici, prima ancora che professionisti. Di persone che, senza alcuna certezza su come andrá, hanno investito tempo e soldi in una passione. Ed é atto di coraggio tra i piú grandi che oggigiorno si possano compiere. Perció grazie, davvero.

8. “ Un gazpacho, Pau Dones e Kekko dei Modá. Frullare per bene ”. Non é dato sapere se le 181 visualizzazioni siano dovute alla canzone – che all'epoca ancora non esisteva in versione bilingue – o alla ricetta allegata. Forse a entrambe le cose, chi lo sa.

9. “ I 10 motivi per andare all'estero ”.  A quanto pare siete in 151, in ansie da emigrazione. O, magari, ad attrarvi era soltanto la polemica instaurata col blogger Andima, chi lo sa. In ogni caso ottimo risultato, per essere stata soltanto la risposta a un post altrui.

10. “Jovanotti, Juanes, e la salvaguardia dei duetti bilingui ” .  Chiude la top ten un altro post ritmato. Ben 132 contatti per l'elogio della collaborazione tra l'italiano e il colombiano, emblema di tutt'una filosofia di vita per cui la lingua spagnola e la nostra stanno troppo bene fuse assieme dentro a una canzone. Tra l'altro, é curioso che pure qui si citino Pittbull e Jarabe de Palo. Non credevo di essere cosí fissata con entrambi. Bah.


Concludendo: a quanto pare v'interessano il cibo, la musica, e una spruzzata di fatti miei qua e lá. E allora direi che non sto andando cosí male.

sabato 16 giugno 2012

Dal testo alla canzone (magie dei social networks)


Il procedimento canonico sarebbe quello inverso. Del tipo che ascolti una canzone. Ti colpisce. E solo allora ne estrapoli il testo, quell'agglomerato di lettere e parole che ha saputo plagiarti un pezzo di vita. Sí, insomma: é sempre stato cosí anche per me. Almeno fino a che non é arrivato il web 2.0.

Non so se a voi capiti mai. Eppure sempre piú spesso i social networks mi propongono versi spogliati in assoluto dalla loro melodia. Li leggo, neri su bianco, trasformati in stati di facebook o in qualche ingegnoso tweet. Appartengono a brani che non conosco, ma declamano concetti che condivido appieno. A volte, strappano ammirazione solo in virtú della poetica in cui sono incastrati. Altre, semplicemente, mi pare si addicano a qualche parte di me. Cosí vado a cercarmeli, quei brani.
Davvero, sono diventata un'esperta mondiale nel copia-incollare versi di canzoni su google per risalire al titolo. E poi inserirlo, quel titolo, sul motore di ricerca di youtube.

Ho fatto scoperte musicali a dir poco affascinanti, in questo modo. Decisamente piú indie di quanto da me ci si potrebbe mai aspettare. Per dire, i Love of Lesbian li ho scoperti cosí. E sono solo un esempio tra tanti. L'ultimo in ordine cronologico é costituito da questo pezzo di Zahara (la frase "colpevole" non era niente di speciale, oltrettutto; solo: "aplaudí tus últimas canciones, a ti te esperaba una chica en el coche")

Ve lo propongo, chiamandovi – se lo vorrete – a interagire ancora. Vi é mai capitato di venire a conoscenza di una canzone partendo da un suo verso letto chissá dove?! E, se sí, quale? 


venerdì 15 giugno 2012

La mentalitá del Biscotto.


Siamo un popolo di frignoni. Punto.

Non che sia una novità, del resto. E' solo che a volte l'atteggiamento di fronte al calcio mi sembra fare da specchio a tutt'un modo di vivere. E, prima che mi tacciate d' anti-patriottismo, va detto che , mio malgrado, lo porto avanti anch'io. Mea culpa, insomma. Mea maxima culpa. Ma il grande vantaggio di avere amici oltre confine è che puoi usare i loro occhi per guardarti da fuori. Per questo oggi mi accorgo che dovremmo cambiare.

Sia chiaro: io di calcio non ci capisco niente. Sono una di quelle persone giudicate bieche e opportuniste dagli appassionati del genere. Sì, dai: quelle che guardano le partite solo in occasione di europei o mondiali. E ogni quattro anni, di botto, s'improvvisano tifose. Anzi, a dirla tutta sono anche peggio. Perchè, in fondo, più che le partite, io guardo lo schermo del pc con la televisione accesa in sottofondo. Uso i commenti dei telecronisti a pretesto per battute sarcastiche su twitter; E più che sugli schemi di gioco, mi concentro al massimo sull'avvenenza di certi giocatori. Insomma, non starò qui a fare commenti su Italia- Croazia, o magari su Spagna – Irlanda. No. Non mi sento in grado di giudicare la qualità tecnica della nazionale azzurra, e tantomeno le Furie Rosse di Del Bosque. La storia del Biscotto, però... Dio, quella sì che mi fa imbestialire. E mi fa imbestialire proprio perchè è così dannatamente da noi.



Lasciamo stare che, visti gli scandali che hanno coinvolto il nostro campionato, forse suoneremmo meno ipocriti se evitassimo di fare i moralisti proprio ora. E lasciamo stare anche l'intelligenza estrema dei giornalisti che vanno a suggerire apertamente all'allenatore croato la possibilità di un pareggio per passare il turno. Come se, tra l'altro, alla domanda “avete intenzione di fare il biscotto?”, qualcuno potesse essere così scemo da risponderti di sì. A me, quello che infastidisce, è proprio la mentalità in cui ricadiamo sempre. Questo pensare agli altri, agli altri, sempre e solo agli altri. A cosa faranno o non faranno, gli altri . A quanti punti totalizzeranno, gli altri. A cosa dovrebbe succedere, agli altri.

Ma, dico, possibile che non ce ne rendiamo conto? Dovremmo pensare a vincere. A segnare dei goal. Nient'altro. Poi le altre squadre facciano un po' quello che vogliono, ché se segnamo tanto non saranno comunque, in nessun caso, un problema. Per dirla in altri modi: dovremmo usare la filosofia spagnola. Però non ci riusciamo, ed è ovvio, perchè siamo abituati a vivere così nel quadro generale della nostra quotidianità. Lo dicevo, no? Il calcio è uno specchio.



E, per quanto insondabil, ci dovrà pur essere un motivo se, quando vivevo in Spagna, me ne fregavo altamente dell'opinione altrui. Avvertenza: non sto più parlando di porte e palloni. Sto parlando di quando uscivo di casa struccata, anche se dovevo andare a pranzo fuori. Parlo di quando mi mettevo a ballare – ed ero sobria – fregandomene altamente se la pista del bar non era piena. Di quando scivolavo sul pavimento bagnato dell'Eroski e , anziché vergognarmi della brutta figura, ci scherzavo sù con le vecchiette del quartiere. Parlo, adesso, di quando il fatto che nessuno potesse o volesse accompagnarmi non era mai motivo sufficiente a rinunciare ai miei piani. E a quant'ero più felice vivendola così.

Solo che poi sono tornata in Italia. E, prima che me ne rendessi conto, una rete di apparenze e gossip collettivo ha finito di nuovo con l'intrappolarmi. Ci ha messo molto poco, oltrettutto. Perchè qui, struccata, io non ci esco mai. Se la pista non è piena ed io voglio ballare, qui le amiche mi trattengono in un “aspettiamo un po'”. 

E' che... cosa pensano gli altri? Cosa diranno gli altri? Cosa faranno gli altri? A conti fatti, credo sia l'imperativo della società italiana il principale responsabile di tutte le mie incertezze. Fino agli estremi, credo. Fino agli attacchi di panico di qualche mese fa.

Io non lo so per quale motivo, ma in Spagna io pensavo solo a vincere. Sí, proprio come la selección di Del Bosque. L'obiettivo era segnare goal a beneficio della mia felicità. Qui, invece, penso continuamente ai complotti e alle combine che, chi mi circonda, potrebbe o non potrebbe ordire. Come la Nazionale Italiana. Penso ai biscotti, e non nel senso che me li vorrei mangiare.

E allora, beh...allora può darsi che il calcio dica di un Paese più di quanto si crede, alla fine. E quando vedo i tifosi irlandesi cantare felici nonostante la sconfitta, penso che anche in Irlanda, probabilmente, mi troverei bene. Perchè ragazzi, davvero: ci sono già troppi problemi, nella vita, per non provare a rilassarci almeno un po'.




lunedì 11 giugno 2012

Euro, 12. Sul cartellino del prezzo.


Comunque: a me, la dicitura “Euro12”, fa venire in mente, piú che altro, un cartellino del prezzo. Cosí, visto che il mio cervello fa notoriamente viaggi tutti suoi, mi sono messa a pensare a cosa potrei comprarmi (o mi comprerei, o mi sono comprata) con quella cifra. Non me ne vogliano teorie anticapitaliste, ma devo dire che é piuttosto sorprendente come una banconota rossiccia e una moneta argentodorata possano bastare a sprazzi di felicitá. Sempre che tu non abbia, poi, grosse pretese.



Euro, 12. Tirati fuori dal portafoglio, per me hanno all'incirca questo valore:

1. Un volo Ryanair da Verona a Madrid (prenotando ora, e per tempo limitato)
2. Un biglietto per venire a vedermi ballare flamenco a San Vito al Tagliamento (l'assonanza, giuro che non era voluta). 
3. Due biglietti per un concerto dei Belgrado (nel caso in cui non l'annullino prima)
4. Un biglietto per un concerto de El Pescao.
5. Una maglietta da Pimkie.
6. Un cd in offerta alla Fnac.
7. Un libro in edizione economica
8. Un pack di merchandising di Dani Martín (maglietta + foulard o maglietta+ agenda)
9. Una pizza marinara con bibita e coperto.
10. Un'abbuffata infinita da Pepe y Pepa a Málaga (o, in alternativa, una cena alla Marisqueria Vicente. O una paella al Palo, fate voi.)
12. Due mojito a bordo spiaggia.
13. Un biglietto del cinema con una confezione mini di pop-corn.

E voi? Che cosa comprereste, invece? Nei commenti, porte aperte all'immaginazione! 

domenica 10 giugno 2012

Grazie Kekko, Gracias Pau.


Certo che fa sempre piacere vedere che la gente ti ascolta. Cioé, non che Pau e Kekko (con tutte le sue kappa) mi abbiano ascoltata davvero, ma se non altro hanno dimostrato che avevo ragione. Sí, insomma, ricordate questo post

Ecco. Manco l'avessero letto, i Modá e la voce dei Jarabe de Palo sono in procinto di presentare nelle radio spagnole la versione bilingüe di “Come un pittore”. Che, onestamente, suona mille volte meglio del duetto a beneficio esclusivo dell'idioma nostrano. Se non altro ci sono tutte le doppie del caso nella parola “pittore”. E poi, dai! Secca sempre insistere nei “ve l'avevo detto ”, ma il castigliano e l'italiano condividono musicalitá troppo affini per restare separate nella stessa canzone.

Un piccolo passo per un'itañola, un grande passo per l'umanitá.





E, questa sera, che vinca il migliore. 

sabato 9 giugno 2012

Euro2012: le canzoni della Spagna


Io, il bunker, l'ho ben che spolverato. Ci ho anche accatastato dentro qualche mobile Ikea. Così, giusto per renderlo un filino più accogliente. Sì, insomma, domani posso proteggermi dall'odio globale. Che si fa presto, a dire che comunque tifo Italia. I miei connazionali addurranno subito a prova inconfutabile del contrario il trucco giallorosso trovato a Madrid in una busta di patatine. E, se è per quello, si fa anche presto a dire agli spagnoli che, se l'Italia perde, un po' sarò contenta uguale. Mi tireranno fuori la carta d'identità, usando le mie origini a mezzo per lo sfottò. Ovvero, non c'è pace. Ma il clima degli Europei riesce a rendermi lo stesso un pelo più sportiva.

Tra l'altro, prima di rinchiudermi a compatire il mio cuore spezzato, volevo dire che gli azzurri un vantaggio già ce l'hanno. Sì, insomma, non gioco con loro. Che detto così sembra un'idiozia, ma sapete quanti goal mi mangerei, restando imbambolata ogni volta che mi trovo davanti a Casillas? Eh? Eh?

Comunque. Un'altra cosa che mi piace, degli spagnoli (oltre a Iker e al fatto che Puyol vada ai concerti di Dani Martín) é che in occasione delle grandi competizioni sportive sfornano sempre un sacco di canzoni a tema. Mai dei capolavori, anche questo va ammesso. Peró mi trova in sintonia, la loro voglia perenne di colonne sonore.

Tra l'altro, visto che “squadra vincente bla bla bla “, questa l'hanno affidata ai soliti sospetti. Gli Estopa, innanzitutto, che giá s'erano occupati dell'inno pop dell'eurobasket 2007. In effetti, non che si siano sprecati in creativitá, dato che si sono limitati a riprendere lo stesso brano, riarrangiarlo in chiave leggermente piú elettronica, e adeguarlo al contesto cambiando qualche frase qua e lá. Peró, c'é da dire che il video é carino.



E poi Bisbal, che con l'aiuto di un paio di featuring cerca in tutti i modi di replicare il successo avuto con Waving Flag agli scorsi Mondiali. Peccato che a me, la sua “No hay dos sin tres” sembra un po' troppo arrogante per non rischiare battute e sfiga. Mah. Vedremo se il tempo mi scredita o no.





Nel frattempo, peró, quale delle due canzoni preferite voi? 

venerdì 8 giugno 2012

Un play prima di voltare pagina.

Ora: io  lo so che - essendo venerdí -  vi aspettavate una ricetta. Sono senza dubbio una blogger fanfarona. Ma il fatto é che, prima di cambiare drasticamente argomento, mi preme concludere i post groupieggianti con la seconda parte di un riassunto iniziato tempo fa. Un riassunto in formato video, per la precisione. Di quelli che ogni tanto occupano la mia creativitá su fronti non usuali. D'altronde, mica é facile condensare in sei minuti le emozioni vissute durante due anni interi. Soprattutto se l'impresa si pone a diretto seguito di un filmato che ha quasi novecento visite su youtube. Non so se ci sono riuscita in modo degno. Forse vi annoierá. Forse vi parrá troppo smielato. O forse, invece, capirete ancora meglio perché investo il mio tempo (ed i miei soldi) a beneficio di un cantante spagnolo. Comunque sia, rimane il fatto che a me andava di ricordare.

Perció, a chi premerá play, io auguro una buona visione. Agli altri, prometto nuovi scenari a breve. Ché per qualcosa, in fondo, oggi cominciano gli Europei. 


mercoledì 6 giugno 2012

Regali d'adiós. (Madrid, Parte III).


(continua da qui) 

Quelle quattro ore si sono concluse con le foto di rito. Ma onestamente, dopo quella di gruppo, a me non interessava averne una in piú. Quello che volevo era dargli il mio regalo, orgogliosa del pacchetto dorato piú ancora che del degno contenuto. E, sapete? E' stato strano. Perché c'é stato un momento, a Cartagena, in cui sono stata certa che avesse captato i miei pensieri. Davvero, non vi so spiegare come.

Ma mi aveva chiesto quando sarebbe uscito il disco di Cesare. E, quando gli ho risposto, i suoi occhi sono rimasti a fissarmi. Come se, in qualche modo, avesse saputo in quello stesso istante che avessi intenzione di regalarglielo al concerto privato. Poi potrebbe anche esserci la piccola e assurda eventualitá che mi legga di piú di quanto io creda. Ma vabbé. 



Ad ogni modo, gli porgo il pacchetto.
Io, prima di tutto, ho un regalino per te”
L'afferra e giá sorride. Tasta il pacco senza aprirlo, guardandomi con aria furba.
Ah, é giá uscito il disco?”
Celine, al mio fianco, inizia a ridere di gusto.
Cioé, ma mi hai giá sgamata? Potevi almeno fare finta di non aspettartelo, no?!”
Lui si mette a ridere. “Qué grande eres!”, esclama a beneficio della mia autostima. Tanto a beneficio della mia autostima quasi quanto quella bellissima dedica che pochi istanti dopo scriverá sulla prima pagina del libro che mi sono portata. Quella davanti a cui mi sfuggirá un “qué bonito, gracias”, tremolante d'emozione e un po' troppo denso d'accento italiano. Lui ripeterá “ a ti”.

Ma torniamo al regalo. Che, mentre é intento a scartare l'involucro, lo informo che “comunque c'é anche un'altra sorpresa”. Cosí, lui alza lo sguardo e, sicuro della risposta, afferma: “ah, é pure firmato?!” . Sul serio, io gli voglio un mondo di bene, ma in quest'istante lo picchierei.

Infatti sbotto.

Ma la smetti?! E sí che ti ho detto di far finta di sorprenderti!!”. Ridiamo entrambi. Almeno, che gli ho tradotto tutti – ma proprio tutti (sí, lo so, ho tempo da perdere) – i testi non se l'aspettava davvero. Almeno a giudicare dai suoi occhi sgranati.

Lo so che ti regalo sempre dischi, ultimamente, ma...”
No, a mí me encanta él. Pero me encanta!!!”, dice convinto, girandosi tra le mani La Teoria dei Colori. Legge la dedica all'interno. C'é scritto “A Dani Martín, mi gran maestro” e gli sfugge ammirato un “qué majo es!”.

Mi spiace che non ho dischi qui, altrimenti te ne lasciavo uno da dargli”
Quando e come gliel'avrei dato, nell'eventualitá, é un problema che mi affiorerá alla mente solo parecchie ore dopo. Ad ogni modo, non si pone.
Beh, ma credo ce l'abbia..”
Sí, ma per firmarglielo, per scrivergli qualcosa”.

In effetti sarebbe stato bello.
Puoi scrivergli qualcosa su twitter, peró”.
Sí, infatti adesso sicuramente gli lasceró un messaggino per ringraziarlo...Anche se non mi risponde mai!”, aggiunge tra il divertito e il piccato.

Mi viene un po' da ridere, a pensarlo come un fan qualsiasi, disperato per le risposte mancate. E al contempo penso, peró , a cosa si riferisca. Perché tutte le volte in cui gli ha scritto in pubblico, Cesare gli ha risposto. Quindi, gli scrive in privato? O forse non ha mai letto i messaggi di risposta? Mmm. 
Decido di non fare domande. In fondo, tutto voglio fuorché interferire. Per me é stata giá un'emozione poter metterli in contatto. Il resto, sta a loro. Anche se quando ho scoperto che Cremonini l'altro giorno era a Barcellona ho dovuto quasi legarmi alla sedia per impedirmi di scrivere a Dani di prendere di corsa un treno e andare lá. Sul serio, io non sto bene.

Comunque. Sto quasi per passargli il famoso libro quando mi stringe forte a sé per la foto. Io non me l'aspettavo, perché questa volta non gliel'avrei chiesta. Perció mi vedo costretta ad armeggiare con la cerniera della borsa per estrarre la macchina fotografica (che, come sempre, é in fondo a tutto), mentre mi accorgo che le mani mi tremano un casino.



Mi sarei immaginata che il mio congedo sarebbe stato diverso. Condito di lacrime. Mi sarei immaginata di dirgli che mi mancherá un sacco, tutto ció. Invece mi faccio da parte per lasciare il posto a foto altrui. Ed é nello spazio tra due paia di spalle che incrocio il suo sguardo per l'ultima volta. Per qualche ragione, sento l'impulso fortissimo di stringerlo forte e dirgli grazie, grazie di cuore, grazie di tutto. Invece mi limito ad un sobrio “Hasta luego” mentre quel grazie me lo ridice lui. Uscendo sotto un sole inclemente, penso che non potrebbe esistere una fine migliore. O, proprio al massimo, l'ipod che mi sceglie ekix sul treno. 

martedì 5 giugno 2012

Il dilemma del formaggio ed altre vicende curiose (Madrid, Parte II)


(continua da qui)

Siamo ben assortiti, noi dodici vincitori. Per luogo di provenienza e – soprattutto – per etá. Ci sono due ragazze non ancora diciottenni. Una madre con la sua figlioletta, una bimba ancora piccola e molto timida. C'é una coppia sposata sui quarant'anni che non é mai andata ad un concerto del tour, e due ragazze sui 35 che hanno lasciato a casa le famiglie per passare una giornata in piú con la persona per cui attraversano la Spagna. C'é Celine, che mi accompagna coi suoi dieci anni piú di me che, nell'aspetto, non le attribuirebbe nessuno. E poi ci siamo Cristina ed io, che completiamo il quadro con il nostro equatore d'etá targato anni ottanta.

Ci siamo trovati, quasi tutti, nel luogo di Madrid in cui Carlos ci aspetta con due furgoncini neri . Ci sono vetri oscurati, aria condizionata, e silenzi difficili da rompere piú per l'emozione che per il disagio. E nel tragitto, intanto, lui giá twitta che ci troveremo tra un po'. Sí, insomma, tempo di iniziare a nutrirci al buffet allestito per l'occasione. Ché c'é una cassa riconvertita in tavolo, davanti a quella parete color salmone. Sopra, e a nostro beneficio, ogni genere di ben di Dio. Tortilla de patatas tagliata a quadratini, jamón iberico, empanadas, sandwich in farciture variate. Ed é proprio quando inizio ad addentare qualcosa che un saluto venuto dal nulla mi sorprende alle spalle, scarsi metri piú in lá.



Merda. Cosa accidenti fare con una fetta di formaggio giá addentata é un dilemma che proprio non avevo calcolato di dovermi porre. Dani ha iniziato ad abbracciare gli invitati e, visto che siamo pochi, stimo di avere all'incirca dieci secondi per prendere una decisione. Sí, cioé, non posso mica abbracciarlo con una fetta di formaggio in mano, no? Sarebbe poco carino. “Tú también has ganado?” , gli sento dire a Mari Mar, “No, voy de acompañante” . E manca solo una persona. Aiutomamma. Pensa, Ilaria, pensa. La getto con nonchalanche in un'aiuola? La infilo in tasca? La nascondo sotto la tovaglia? L'immagine mentale dell'espressione di María mentre la ritrova basta a farmi desistere, e proprio mentre lui si avvicina a me decido d'ingoiare il boccone. La scena che segue prevede Dani Martín che mi abbraccia forte, e uno scambio di convenevoli riassumibile in:

Holaaa!”
Mhmh- hmhmh!”.

Della serie: evviva le mie belle figure. Ché tra l'altro lui si mette a ridere e , guardandomi dritta negli occhi con aria divertita, se ne esce con un: “Cioé, non abbiamo ancora iniziato a far niente e state giá mangiando?!” (segue ulteriore “mhmmm- mhhh”, con mano davanti alla bocca e dito dell'altra mano puntato verso il rinfresco). Bene. Guardando il lato positivo, se non altro non mi sono strozzata.

E in fondo, dai! Io sono io. Mica posso smentirmi, no? Io sono quella che, durante la pausa per andare in bagno, finisce col cedere il posto a tutti. Certo, la mia vescica sta per esplodere, ma il saltellio degli altri mi sembra comunque sempre indice di urgenza maggiore. Cosí, mi ritrovo ad essere l'ultima della fila. Ma ogni volta che qualcuna esce dicendo “guardate che c'é un problema con lo sciacquone” mi sembra sempre piú una pessima idea. Tra l'altro, ho un flash mentale del famoso incontro con Cremonini a Cesena nel 2002, con qualcuno che avvertiva: “se dovete usare il bagno, attenti, perché l'acqua non va giú bene”. Che a un certo punto mi vien anche da chiedermi se i wc degli studi di registrazione debbano essere sempre intasati per contratto. Comunque.

Il punto é che, quando arriva il mio turno, c'é un agglomerato impossibile di carta igenica sul fondo. Cosa che mi provoca un sincero e assoluto terrore. Voglio dire, sono l'ultima! Se per puro caso l'acqua dovesse fuoriuscire, indovinate a chi daranno la colpa? Sono momenti difficili. E come sempre, nei momenti difficili, la mia mente inizia a fare viaggi tutti suoi. Del tipo che fisso il vecchio e consunto sacchetto del MediaMarkt appeso vicino al lavandino, con la sua bella scritta “Yo no soy tonto” in evidenza, e inizio a pensare che magari potrebbe essere stata la vera ispirazione del testo della canzone de El canto. Sí , insomma, a me le idee migliori vengono sempre in bagno, e sempre a partire da colossali stronzate. Perché mai per il resto del mondo dovrebbe essere diverso? Se non sembrasse la domanda di una malata di mente ( e se non fossi preoccupata per lo sciacquone) magari dopo potrei anche chiederglielo, a Dani. Nel frattempo, peró, mi viene anche in mente come reagirebbe una ragazzina isterica stile fan del nanetto con la frangia (al solito, non lo nomino affinché non capiti gente strana, per sbaglio, sul blog) in questa situazione. La immagino, tutta emozionata, raccontare agli amici “ho usato lo stesso bagno di Dani Martíííííín!”, magari saltellando su due piedi a mani congiunte, e mi viene la ridarella. Lo giuro, non riesco a trattenermi dal ridere. Spero solo che non ci sia nessuno dietro la porta.



La voce di Dani “Bueno, empezamos?!”, in lontananza, mi riporta di botto alla realtá. Improvviso un'ave maría veloce prima di tirare l'acqua, e grazie al cielo non succede niente. Cioé, l'agglomerato di carta igenica sul fondo s'infittisce, ma se non altro non ho allagato lo studio, né creato cortocircuiti irrimediabili. Sospirone di sollievo, e via, di nuovo, verso la mia poltroncina. Giusto in tempo per sentire Dani che, indicandomi, dice a qualcuno “ella”. E guardarlo con aria interrogativa.

Scopriró piú avanti che, mentre facevo la fila al bagno, lui stava spiegando a tutti i presenti, nel caso non lo sapessero, che Celine viene direttamente dalla Francia e “l'altra ragazza, che adesso non c'é, dall'Italia”. Sono seguite domande in merito alla zona d'Italia in cui io vivessi, cui la mia amica parigina ha cercato di rispondere con la miglior esattezza possibile, fissata in un punto intermedio tra Venezia e Trieste. Tzé, mi perdo sempre le conversazioni migliori. Vescica maledetta.

Comunque, un'altra cosa che vi posso raccontare – facendo una lieve eccezione alla censura sul repertorio - é il momento che piú di tutti gli altri m'ha dato la pelle d'oca. Ovvero quando é arrivato il mio turno di richiedere la MIA canzone.

Ilaria, te toca!”, diceva lui guardandomi.
A me, se fosse possibile, piacerebbe ascoltare Ekix ma...”
Uff, quanto tempo che non suoniamo quella canzone! La sapete?!” ,si rivolge agli altri della band. E proprio mentre troppe teste scosse stanno per farmi desistere , Iñaki si emoziona piú di me. Visto l'entusiasmo con cui racconterá l'accaduto su twitter, pare che quel brano gli piaccia da morire.

Io la so!”
Come puoi ricordartela?!”

La fanno piano e voce. Il tutto dopo che Dani si fa portare il portatile con il testo, che non ricorda bene. Dopo che si sbagliano e gli sottopongono quello di María la Portuguesa. Dopo che io, visti gli sforzi a cui li sto costringendo, intervengo a dire che “Dani, se é troppo un casino non importa, va bene qualunque altra, eh?”

No, no! Ekix va bene”. E poi fa abbassare le luci, a creare atmosfera. E in quella penombra, su quelle note, io vorrei che il tempo si congeli.

(To be continued)