Finisce tutto com'era
iniziato. Italia- Spagna, il mio cuore spezzato; e la certezza che,
comunque vada, un po' sarò felice in ogni caso. L' home page di
facebook, oggi, è ancora piena dei miei due colori accostati. Una
rivalità fraterna che sa più che altro d'armonia. Perchè saranno
gli ormoni, che ne so. L'entusiasmo, magari. Ma è da Giovedì sera
che tutto mi sembra commuovente da morire. Sì, insomma, da quando ho
visto la Spagna bardarsi di tricolore per unirsi al nostro tifo. E
poi complimentarsi. E poi temere, perchè a quanto pare ci temono un
sacco. Temere, sì, una finale al sicuro cardiopalma a cui non sono
così certi di vincere davvero. Non più.
Io agli iberici l'ho
ricordato, che gli vorrò bene in ogni caso. Per il resto, rispolvero
il mio bunker. Ma, questa volta, lo lascio mezzo aperto a chi volesse
entrare. Sì, insomma, alla fine ho deciso che il confronto mi piace.
Che, se non si cade negli insulti, è bello essere affiancati anche
in destini sereni. E non è solo perchè mi aumentano le visite sul
blog.
Il fatto è che è
commuovente – ok, forse un po' amaro, ma comunque commuovente –
che le due Nazioni più in crisi d'Europa siano le più forti a
livello calcistico. Ti fa pensare che abbiamo entrambe bisogno di uno
svago. Di un qualcosa che ci induca, almeno vagamente, al
patriottismo. Di un evento, uno sport, in cui impegnarci e per cui
esultare. Poi probabilmente è una gioia effimera. Ché lo sappiamo
tutti, che le cose importanti sono altre. Però, al Diavolo... può
davvero essere così sbagliato, gioire per qualcosa?
Per cui eccomi qui.
Pronta a tifare per il Paese in cui sono nata, con un sorriso bonario
a quello che ho nel cuore. Eccomi qui, convinta – e mi si perdoni
l'arroganza – che se l'Italia è passata in finale è stato anche
un po' per merito della mia bandiera. Quella che mi ha seguita in
giro per la Penisola Iberica, sepolta sul fondo della mia valigia o
appoggiata alla transenna della prima fila. E' così sporca che il
bianco è quasi diventato grigio. Ma ogni segno di pennarello sul suo
tessuto mi ricorda una dedica, o un bacio lanciato. Ogni macchia
provocata da una bibita è una strizzata d'occhio, o un suo sorriso.
Le emozioni non possono dipendere da qualche metro di stoffa, lo so
bene, ma è da un concerto a Roses nel 2009 che credo che quella
bandiera mi porti fortuna.
Vinca il migliore,
allora. Nel frattempo, mentre ognuno si prepara come meglio può, che
ne dite di condividere con me i migliori scatti italo-spagnoli che
trovate in rete o – meglio ancora – realizzate voi? Potete
pubblicarli nel commenti o sulla pagina facebook del blog. Così,
tanto per entrare in atmosfera.
Immaginate un agglomerato
di gente col cappello. Tipo Zorro, il cappello. Però senza la Z. Un
copricapo che calza a pennello, che dicon tutti che son buffo e
piccolino, proprio buffo, ma piaccio così. Ecco, appunto: immaginate
che a me venga in mente la sigla di Memole, e capirete senz'altro
perchè rido. Le altre, tutt'attorno, dovrebbero invece lanciarsi in dialoghi
surreali. C'è chi dice “vamos a bailar esta vida nueva” e chi si
prodiga in “un pasito pa'lante Marìa”. E' la ricetta di un
brusio da feria studiato a tavolino per chi non sa lo spagnolo. Nello
specifico, il tavolino è quello di una gelateria del centro, davanti
a una coppa di gelato alla frutta alta grossomodo un terzo di me. La
stessa dell'altr'anno, che ai rituali scaramantici non so rinunciare.
Specie se prevedono una fresca ingestione di calorie.
San Vito al Tagliamento.
Rimpianti d'aria condizionata. La nostra esibizione comincia così.
Perchè, siamo alle
solite: quando ci vuole un anno intero a preparare sei minuti sul
palco, poi ci si aspetta che di quei sei minuti io parli. Anzi, in
realtà ci si aspetta che io parli di tante cose, ultimamente. Una su
tutti, gli Europei. Ma...tempo al tempo. In ordine cronologico, i
resoconti flamenchi vengon prima.
Il fatto è che ballare
senza occhiali un po' mi isola dal mondo. I contorni sfocati
occultano gli sguardi. Il dettaglio mi sparisce in approssimazioni.
Ed io, di colpo, sono in una dimensione parallela. Non so se sono in
grado di spiegarlo. E' come se il resto, essendo così poco netto, mi
urlasse egli stesso che, di protagonismo, non ne esige nessuno. Come
se , non vedendolo bene, capissi che è su altro che mi devo
concentrare. E allora esisto solo io. Solo la musica. Soltanto i
riflettori che da piccola mi hanno salvata troppe volte dalla
timidezza. Le assi in legno che mi aiutano a prendere
coscienza di me. Implorano, mi chiedono arroganti di far vedere che
ne sono capace. Mi annullo nelle note, nel testo, nel ritmo, cercando
dentro me la parte che forse si potrebbe ammirare. Per questo va
bene, con quel cappello in testa. Anche se alle prove avevo
pasticciato molto meno. Anche se le gambe sono sempre un po' più rigide di
quanto vorrei. Ma va bene perchè bene mi sento. Perchè sorrido e
ammicco a quell'orizzonte sfocato ballando per me stessa più che per
chi c'è.
E poi torno nei camerini, incapace di avanzare più dei due
centimetri che mi separano da un cajòn colorato. Mi ci accascio
sopra assorbendo complimenti al gruppo senza sentirli davvero. Bevo mezzo litro
d'acqua in un unico sorso ed eccola lì, di nuovo, quella sensazione: l'adrenalina che si stacca dal tuo corpo, violenta come un cerotto
strappato, per inserirti nell'ovatta di quella stanchezza dolce.
Metafora di zucchero filato, di benessere, di sudore e di testa che
si svuota. Il microattimo perfetto in cui non hai pensieri o
sentimenti , e sai che il mondo può aspettare ancora un po'. Almeno
fino a che non sarai pronta a ritrovarlo, per leggere un sms o magari
mangiarti il tuo panino. Fino a che una compagna di corso non ti
riassemblerà uno chignon in caduta libera , mentre una ragazza
spagnola si gode l'attrezzatura che anni di esperienza l'hanno
indotta a portarsi da casa. Leggi: sedia in plastica e ventilatore.
L'accoppiata di oggetti che, nell'areazione guasta del piano
superiore, possono bastare a farti diventare un mito.
Un anno per sei minuti,
ancora. E, coreografia a parte, non è che del resto sia cambiato un
granchè. Forse soltanto il clima di relax, tanto generalizzato da
farmi quasi addormentare sulle poltroncine nei momenti previ alla
nostra ultima prova in costume. Forse gli anni che ci rendono via via
un po' più affiatate. O magari quella Chiesa in cui qualcuno s'era
appena sposato. Quella in cui abbiam respirato aria umida, fingendo
necessario dover farci benedire. E che buon profumo, quelle rose...!!
Mento, perchè invece è
cambiato tutto. Perchè tra il pubblico, stavolta, c'era anche un'amica.
E un'amica rende tutto più bello, sempre. Specie se il Flamenco te l'ha fatto amare lei. Specie se è da tanto che
non la vedi.
Proprio qualche minuto
fa, aprendo l'armadio, ho rivisto quelle scarpe. Calzados flamencos,
professionali. Bianche e comodissime, quasi fossero studiate sui miei
piedi. Stanno così bene, con l'abbronzatura, che mi verrebbe voglia
di metterle per uscire. Ci sono regali che vanno al di là
dell'oggetto , o del suo valore economico. Penso alla persona a cui
sono appartenute. Al significato affettivo che per la mia amica
rivestono. E, ancora una volta, mi vien voglia di ballare.
Forse, in qualche strano
modo, adesso non soltanto per me.
Poi, per carità, uno può
avere i gusti che vuole. Però è comunque bello vedere l'Italia
stringersi attorno ad un evento musicale. Raccontarlo agli amici.
Dare ragione alla tivù di Stato di un servizio che, per una volta,
riesce a essere pubblico davvero. Senza interruzioni pubblicitarie.
Senza troppe polemiche. Senza nessuna pecca d'auto-promozione. Sì,
il Concerto per l'Emilia m'è piaciuto davvero. Nonostante Frizzi e
Paolo Belli. Per la realizzazione, oltre che per la Causa in sé. Per
il ritmo incipiente. Per il filo conduttore
di un accento familiare sotto a un Cielo di Bologna fiero più che
mai. E per la scelta del repertorio, pure. Quello che ogni singolo
artista, lontano dall'ultimo successo in rotazione, ha saputo rendere
tematica a suo modo. Vasco, spiace dirlo, ma mi sa che mancando hai
fatto una cagata delle tue.
Chè poi me n'ero sempre
stupita, di quanto una sola regione a forma di triangolo rettangolo,
più che quadrati di cateti e ipotenuse, sforni musicisti a go-go.
Vederli lì, tutti assieme e tutti emozionati, m'ha ribadito un
concetto che in fondo conoscevo giá da un po'.
Amo quella terra come amo la musica. E, chissà, forse è proprio
perchè sono intrecciate. Ad esempio, avete mai fatto caso a come la
maggior parte dei cantanti italiani noti in Spagna siano al 100%
emiliani? Laura Pausini. Nek. Raffaella Carrà. Zucchero. Toh,
mettiamoci pure Cremonini, in qualità di voce dei LunaPop. Insomma,
dovrà pur voler dire qualcosa. E poi il mio tocco di Penisola
iberica son riuscita a scovarlo pure lì, tra le immagini del
Dall'Ara che il digitale terrestre proponeva in audio un po' sfasato
sullo schermo di casa mia. Stava tutto nel
cajón con cui un tizio, sul fondo, accompagnava
Carboni. Una finezza che solo pochi adepti al flamenco avranno
probabilmente notato.
Nel
frattempo, se vi voste persi l'evento – o, semplicemente, voleste
riviverlo in pillole – ve ne ricapitolo a seguire gli highlights.
La
serata l'ha aperta Zucchero, con in testa un cappello molto simile a
quello che indossavo io ballando il Garrotín la sera prima. Solo
bianco, e come conseguenza un po' meno Tio Pepe. La Caselli, dopo 42 anni di assenza dalle scene, ha pensato bene di presentarsi sul palco
in vestaglia e pigiama. Peraltro con la stessa identica afonia di chi
é stato appena scaraventato giú dal letto da una sveglia
inopportuna. Ma canta con Guccini, perció la si perdona. Anzi, in
realtá la si perdona proprio perché é la Caselli . E direi che é
abbastanza, come motivazione.
La
Carrá , secondo mia madre, somiglia sempre piú ad Alaska in
versione bionda. Mentre ancora ne rido, lascio a voi il compito di
giudicare se sia vero .
Il mio
personale premio alla miglior performance, ad ogni modo, va a
Bersani. E anche quello per la miglior maglietta, a dire il vero.
Impeccabili gli arrangiamenti di Chicco e Spillo: piú che una
canzone, un film in note. Visivo come la scrittura dei migliori. E
Giudizi Universali, prima. Emotiva come un pezzo di storia anche mia.
Sul
podio anche Nek. Che, vabbé, con quella fascia blu attorno al
braccio pareva si stesse misurando la pressione. Ma ha scelto tra
tutti i suoi brani, i due che piú in assoluto hanno a che vedere con
me. E li ha cantati pure molto bene. Cosí, se “Lascia che io sia”
m'ha riportata al CostaPop di Málaga in quel non troppo lontano
2009, “e da qui” mi ha fatto ricordare quanto io ami la vita.
Riportandomi al motivo principale per cui tutta quella gente stava
lí.
Che
poi, in effetti, l'aveva fatto poco prima anche Ligabue.
L'accostamento tra “Il giorno di dolore che uno ha” e “Il
meglio deve ancora venire” valeva da solo il messaggio di tutta la
serata. Nonché la ragione per sorridere ancora.
Cremonini,
e pare scontato, m'é piaciuto pure lui. Ma d'altra parte é un altro
con cui non riusciró mai ad essere del tutto obiettiva. Troppi
ricordi, troppe storie, troppi tweet. Soprattutto, troppe sue canzoni
nella mia personale colonna sonora. Perció al massimo vi potrei dire
che sostituire “Amiamo l'Inghilterra” con “Amiamo la nostra
terra” nel ritornello di Mondo é stata una scelta un po' ruffiana.
Ma non sarebbe in nessun caso, a conti fatti, un commento negativo.
Insomma. É piuttosto ovvio che, nelle circostanze, ci stava.
Cremonini, giá. Cremonini che, con la Pausini, ha fatto anche un duetto,
oltre che la rima.
Assieme
hanno omaggiato Dalla sulla mia pelle d'oca. E sarebbe pure stato uno
dei momenti piú emotivi della serata, se il mio grado di disordine
mentale non mi avesse restituito un solo pensiero. “Toh, guarda”
, ho pensato vedendoli assieme, “due persone che conoscono Dani
Martín sullo stesso palco, in Italia”. Dopo di che mi sono data al Mirto , perché obiettivamente non si puó mica essere cosí fissati!
Che in
realtá sarebbe stato emotivo anche il momento Carboni, se lui non si
fosse travestito da Vasco Rossi. Mia mamma che, una volta in piú, mi
racconta di come ascoltasse i suoi album in loop mentre era incinta
di me. Io che mi spiego la sensazione di relax estremo che mi conduce
al coma profondo non appena ascolto la di lui voce. Mio padre che, in
tutto questo, mette l'accento sulla quantitá di tortellini che, nel frattempo, deve indubbiamente essersi mangiato. E, sullo sfondo, il suddetto Cajón.
Inutile:
guardare certi eventi mediatici in famiglia puó decisamente essere
epocale.
Sono ricaduta nelle
vecchie abitudini. Cioè, nello specifico, in quella di appuntare le
idee per i prossimi post sul bloc notes del secolo ventuno.
Leggi,“cellulare”. Sì, insomma: è probabile che della mia vita
non ve ne freghi poi molto. Ma se mai vi steste chiedendo che fine
avessi fatto, ci tenevo a precisare che potreste pentirvene a breve:
di arretrati ne ho davvero un bel po'.
Nel frattempo, però,
approfitto degli ultimi pomeriggi sgombri da atroci ed indicibili
sofferenze mensili (leggi: ciclo mestruale) . E consolido in tal modo
il primo abbozzo di tintarella estiva. Cielo sgombro da nubi. Mare
senz'increspature che il sole pare divertirsi a cospargere di
glitter. Il sale che ti tira la pelle dopo un tuffo...è tutto,
proprio tutto, come piace a me. Peccato solo per lo spavento che dà
sentire una persona che sbuffa a meno di un metro dalle tue spalle,
mentre ti crogioli beata sulla scaletta della barca. Vabbé, non era una
persona, alla fine. Era una tartaruga gigante. Ma non è comunque una gran bella
sensazione.
Le mattine le trascorro,
invece, a scrivere mail in inglese per collaborare alla
pre-produzione di un tour musicale in America. Il lato positivo è
che ho scoperto che la mia anglofonia non è ancora andata del tutto
perduta. Quello negativo (oltre alla sveglia all'alba) che se sbaglio
qualche termine parlando di contratti ed accordi economici, potrei
anche rischiare d'essere impiccata. Stavo proprio pensando di fare
testamento domani. Così, giusto in caso.
Intanto, nel lasso
temporale sospeso tra le due incombenze, faccio sogni inquietanti ove
non appare nessuno che io conosca. Una specie di film d'azione
mentali di cui, però, non faccio mai in tempo a vedere il finale.
Ah, e ho anche messo fine in sei minuti su un palco ad un altr'anno
di corsi di flamenco. Con molti applausi e un bel costume,
oltrettutto. Che qualcuno lo doveva pur dire.
Insomma: è sempre il
rapporto tempo/idee, a fregarmi. E pensare che sento anche
quest'assurda urgenza di riordinare le borsette per capienza e
colore. Prenotare voli per Parigi- Grecia- Madrid, in rigoroso ordine
d'apparizione, prima che i prezzi si facciano proibitivi. Guardare
una scorta di divudì che basterebbe a sfamare gli occhi di un
eremita recluso per circa un mese filato. E magari pure cercar di
capire se i trucchi giallorossi trovati nelle patatine comprate in
Spagna sia il caso di usarli già domani. Che poi metti che la Roja
batta Marìa la portugues...dico, il Portogallo, e gli Azzurri
battano i Crucch...dico, la Germania, stamparli sulla guancia alla
finale potrebbe non essere proprio un buon modo di tutelarsi la vita. Ché vabbé far testamento, ma non esageriamo.
E' da stamattina che ho
in mente di scrivere un post sulla Maturità. Ci stavo giusto
pensando, quando l'angolo di una finestra spalancata ha deciso di
incontrare la mia tempia. Il che, già di per sé, avrebbe dovuto
farmi desistere. Ma io, si sa, sono cocciuta.
Tra parentesi, vorrei
anche far presente che staccare i cubetti di ghiaccio dall'apposito
contenitore si è rivelata un'impresa più ardua del previsto. Così
alla fine mi sono arresa, e ho passato circa mezza giornata con un
rettangolo fucsia appoggiato sul bernoccolo incipiente. In pratica,
l'immagine di una donna glamour.
Comunque: dicevo, la
Maturità. Impossibile non pensarci, mentre migliaia di studenti
trascinano in giro vocabolari pesantissimi e un agglomerato di
paturnie. Impossibile, più che altro, non ricordarsi di quando ero
una di loro. Succedeva nel 2003. Finiva il 3 Luglio con un senso di
improvvisa leggerezza nell'”arrivederci” con cui mettevo un punto conclusivo agli orali. 3 Luglio: curiosamente, la stessa data in cui, qualche
anno dopo, ho discusso la tesi di laurea triennale. La specialistica
m'ha un po' sballato la cabala, a dire il vero. A meno che non si
consideri che 3+7+2+3 fa 15, che è il giorno di settembre in cui
sono (inutilmente) diventata “dottoressa magistrale”. Però,
insomma, chi se ne frega. Il punto è che, secondo le burocrazie
statali, sono matura da ormai così tanto tempo che a quest'ora
dovrei già essere caduta dall'albero, probabilmente spiaccicandomi
con ghigno sadico su di un'auto appena lavata. E forse, in
effetti, si spiega pure la finestra sulla tempia. Che, detto così,
sembra un remake di Hichcock. Dopo “La Finestra sul Cortile”
arriva “La Finestra sulla tempia”. Colonna sonora dei Negramaro.
“E non mi reeeeeeeestaaaaaaa...”.
Sì, sì, vabbè, la
smetto.
In realtà, se penso ai
miei Esami di Stato, la prima cosa che mi viene in mente è un caldo
infernale. La seconda, una vecchia signora pazza che non la smetteva
di urlare “ohmariamariamariamaria” “aaaaaaah”
“ohmariamariamaria” mentre cercavo di studiare in giardino. Il
che mi porterebbe in immediato a dire ai giovani d'oggi che hanno un
bel po' di fortuna. Forse non tanto per via della vecchia ( magari
qualcuno di loro ha a sua volta una vicina così), ma di sicuro per le temperature. Cioé, non che ora non faccia caldo, ma mentre
teoricamente si stavano preparando il clima era decisamente più
fresco e piovoso. Dall'altra parte, però, hanno anche l'immensa
sfiga per cui, nel frattempo, sono stati inventati twitter e
facebook. Parliamoci chiaro: fossero esistiti quand'ero maturanda io,
non so mica se sarei stata così secchiona. Vabbé.
Altri ricordi random che
mi assalgono riguardano la versione di latino (o era greco?
Boh) che avevo passato a più di metà classe. Si sa: in certe
occasioni passare una versione ben fatta ti rende l'eroina del
momento, dotandoti di un potere che manco te l'immagini. Tutti
volevano ricambiare, tutti mi idolatravano... é stato un momento
particolarmente gradevole, per la mia autostima. In effetti, anni
dopo, mi vien da dire che forse non l'avevo fatto per pura e semplice
generosità.
E poi la mia fantastica
tesina su Baudelaire. Mi ero preparata tutti i collegamenti possibili
e immaginabili, per poi trovarmi a dover rispondere a tutt'altri
quesiti all'orale. Non ve la so neanche spiegare, la ventata d'odio che provai nei confronti di quella di Storia . Insomma, avevo riciclato il programma dell'anno prima pur di
essere preparata ad ogni evenienza. Ma mentre io ripetevo “Moti
parigini del 1948” “seconda repubblica” “Napoleone III”
con una frequenza che avrebbe dovuto insospettirla, lei sbadigliava
leggendo il giornale. Il giornale, capite? Non mi ascoltava neanche!
Che poi, in realtà, l'unica che in quell'occasione mi aveva chiesto
esattamente ciò che mi aspettavo, è stata quella di Arte. Anzi, no:
forse anche quella di Inglese mi aveva chiesto di Poe. Comunque,
l'importante è che sia andata bene.
Bene in tutti i sensi,
tra l'altro. E non parlo più solo di voti.
Il fatto è che quella
dannata tesina aveva rischiato seriamente d'incasinarmi il futuro.
Cioé, non proprio la tesina: più che altro, Baudelaire. Ero
talmente fissata con lui e la sua poesia da essere stata sul punto di
scegliere Francese, anziché Spagnolo, all'Università. Per fortuna
mi sono ripresa in fretta, sulla base del corso preparatorio di
castigliano su cui avevo già investito del tempo in quarta
superiore, dei ricordi di vacanze in Famiglia, e di tutt'una serie di
buoni consigli da chi, attorno a me, credeva fossi impazzita.
Quella scelta, col senno
di poi, m'ha resa ciò che adesso sono. Non che questo sia
necessariamente un bene, per carità, ma insomma...senz'altro m'ha
evitato una prof cattivissima a detta di chiunque. E poi m'ha portata
al corso nel quale ho conosciuto la persona che mi ha musicalmente
presentato El Canto del Loco. Che, visto quello che grazie a loro ho
vissuto negli ultimi sette anni, direi che non è affatto poco.
Oddio, in realtà credo che, in qualche modo, li avrei conosciuti
comunque. Intendiamoci: non è che io voglia passare per forza per il
bimbo autistico di Touch, ma sotto certi aspetti sono davvero
convinta che il Destino sia segnato. Del tipo: lo sapete quante volte
ho incrociato quella band, prima di concederle di entrarmi nella
vita? Almeno tre. E ovviamente anche questo l'ho scoperto di recente.
La prima volta, a quanto
pare, è successo nel 2001. Iniziavo a usare internet,
principalmente perché seguivo i LunaPop. Ricordo perfettamente di
essere entrata piú di una volta sul sito del loro fanclub spagnolo,
quando la Vespa Especial li aveva fatti sbarcare dall'altro lato dei
Pirenei. Beh, l'ho ritrovato da poco, quel sito. Google + Noia,
accoppiata vincente. E, indovinate ? Tra i messaggi di quell'epoca ce
n'erano almeno un paio che invitavano ad ascoltare una certa band di
Madrid. Probabilmente li avevo saltati a pié pari tacciandoli di
spam. O magari perché non capivo ancora bene lo spagnolo. Ma adesso,
leggere quel post, fa un po' paura. “Se vi piacciono i LunaPop”,
c'era scritto, “Vi piaceranno senz'altro El Canto del Loco. Qui
potete ascoltare qualche loro brano!”. Certo, non si puó dire che non avessero avuto ragione.
La
seconda volta é stata alle Canarie, quando cercavo un disco spagnolo
da portarmi a casa come souvenir. Per qualche strana ragione ero
stata attratta da un cd con la copertina azzurra e cinque ragazzi
accuffati sopra. L'avevo preso in mano. Ne avevo letto la tracklist.
Ma, non sapendo assolutamente che genere facessero, alla fine avevo
scelto di andare sul sicuro. E avevo (sigh!) comprato Enrique
Iglesias. Quell'album con la copertina azzurra era “A
Contracorriente”, de El canto del Loco.
E poi,
tornando indietro, leggevo una rivista sull'aereo. La conservo
ancora, tra le mie duecento scartoffie. Un trafiletto parlava della
fine del tour di una band di Madrid. Loro erano lí, tutti e cinque,
con in mezzo Amaia Montero. “El Canto del Loco” si leggeva in
grande. “Che razza di nome”, avevo pensato. Ricordo che mia madre - e questo ve l'avevo anche giá raccontato - fu attratta da quell'immagine. Mi disse “e questi chi sono? Fossi
in te proverei a scaricarmi qualche loro canzone, magari son bravi”.
Ma io avevo giá una lista di 10 brani pronti a diventare
compilation. Li avevo trascritti dalle classifiche di vendita lette
chissá dove. Non avevo voglia di cercare oltre. Cosí alzai le
spalle, girai pagina, e dovetti aspettare fino al duemilasei.
Quindi,
boh. Magari se avessi scelto di studiare francese avrei, tipo,
conosciuto Celine su Internet, per fare un po' di pratica. E lei mi
avrebbe consigliato di ascoltare un certo Dani Martín, che prima era
ne El Canto del Loco, che ne so. O magari mi sarei imbattuta nella
versione doppiata in francese di Cuenta Atrás cercando qualcosa da
guardare per allenare l'orecchio alla pronuncia. Mi sarebbe piaciuto
l'attore protagonista, ne avrei cercato notizie sul web e...
Insomma,
in un modo o nell'altro Dani and Co li avrei conosciuti comunque, di
questo sono quasi sicura. Solo che ci avrei messo un sacco di tempo
in piú. E mi sarei – di conseguenza – persa un sacco di belle
emozioni. E poi ricordo che, sempre per colpa di quella tesina,
pensavo che se fossi tornata a Parigi avrei voluto fare visita alla
tomba di Baudelaire. Cioé, ci rendiamo conto?! La tomba. Ero
praticamente la groupie di un poeta strafatto dell'ottocento, é
inquietante.
Invece,
una cosa che mi spiace non ricordare della mia Maturitá sono le
canzoni che andavano all'epoca. Cosí ho fatto una ricerchina veloce,
tanto per. E ho trovato questo sito. Da cui scopro che era proprio
quella l'estate di “no es amoooor, lo que tu sienteees, se llama
obsesión!”, singolo piú venduto in assoluto. Made in Aventura.
Lingua (guarda tu!) spagnola. E in classifica c'era pure Objection,
che é tutt'ora il brano che piú amo di Shakira.
Poi c'erano le
Vibrazioni, che debuttavano con “Dedicato a Te”, del cui
videoclip avrei parlato nella tesi triennale. E i Black Eyed Peas,
che si facevano conoscere chiedendosi “Where is the love?”. C'era
Panjabi MC coi suoi ritmi da Bollywood che, ricordo, ballavo sempre
con piacere. Gli Evanescence con Bring me to life. La mia conterranea
Elisa con ben due singoli in hit parade. E, forse, pure la marmotta
che confezionava la cioccolata. Ad ogni modo, una gran bella estate
spensierata. Anche sotto il profilo musicale.
Il Lunedì è il giorno
giusto per i bilanci. Cioé, in realtá sarebbe
stato meglio la Domenica. Ma, insomma, una c'avrá pure il diritto di
andarsene un po' al mare, no? Tra l'altro, per dirla proprio tutta,
avrei anche un sacco di cose interessanti di cui parlarvi. Cose
legate all'attualitá spagnola, intendo. Solo che le ho giá
trasformate tutte in articoli per Total Free Magazine, per cui
dovrete accontentarvi di aspettare che escano lá.
Quindi,
si diceva...bilanci. Perché, vedete: c'é una funzionalitá
particolarmente azzeccata, in questa nuova grafica del server di
Blogger. Ti calcola gli accessi ad ogni singolo post. Morale: adesso
non solo so quali sono i piú letti, facendomi un'idea di cosa piú
interessa i miei lettori, ma proprio conosco
i numeri. Sí, insomma, la quantitá di
persone fisiche che hanno dedicato un paio di minuti a leggere le mie
vicessitudini. Il che provoca in me una quantitá di imbarazzo misto
shock sconcertante, perché – seppure ad intervalli alterni –
siete onestamente tantissimi.
Ma,
per evitare di cadere nel miele dei ringraziamenti da Oscar (anzi,
Grammy, che mi si addice di piú), mi preme condividere con voi i
dati sui post piú letti in questo nuovo corso di Italo-Spagnola.
Dove per “nuovo corso” s'intende ovviamente l'era dopo Splinder,
che parte dalla fine del 2011. Sui risultati statistici del “prima”,
temo resterá sempre un'ombra di mistero. Comunque, eccovi la top ten.
Con relative riflessioni conseguenti.
1. " Venerdí crema catalana! " é in assoluto il post piú letto, con la bellezza di 1317 visite.
Insomma, una dimostrazione in piú di come il cibo – superato,
forse, solo dal sesso – sia indubbiamente l'argomento piú
apprezzato e cercato su web. Viene da chiedersi, peró: a quel
migliaio di persone che l'hanno trascritta e sperimentata, la mia
ricetta sará piaciuta? L'avranno passata agli amici? Ho un futuro
nella gastronomia? Posso aprire un ristorante spagnolo, se non trovo
lavoro nel mio campo? Mi sto gasando un filino troppo? E direi che
l'unica risposta che potró mai avere é il “sí” a quest'ultimo
quesito. Quindi passo oltre.
2. " Antonio Banderas, il Mulino Bianco e una Gallina " : apprendo che ci sono ben 419 persone interessate alle
vicessitudini del mio Tony che arrotonda lo stipendio chiacchierando
con un pennuto. Son robe che ti segnano. Chissá se si saranno
scandalizzate quanto me.
3. " Venerdí... Tortilla! (sí, sí, chiamatemi pure Benedicta Parodos " : 336 accessi anche per il primo capitolo di una rubrica culinaria che
ora inizio a sentirmi un tantino in colpa per aver abbandonato.
Comunque, visto che lo riciclo, devo dire che la tizia del disegnino
che avevo inserito nel post mi somigliava obiettivamente un sacco.
4. " Dolcemente complicata (e senza pretese d'originalitá " é quindi, con ben 281 accessi, il post piú letto tra quelli a
carattere personale. E, se mi permettete, mi ci incazzo pure. Che,
voglio dire, una fa di tutto per non lamentarsi sul web. Poi, l'unica
volta in cui scrive qualcosa con l'umore sotto i tacchi, zac! Picco
di visite. Eccheccacchio. Leggete robe un po' piú positive, no?
5.
“Spagnoli, e italiani, quando un vecchio articolo puó ancora dire la veritá”.
. Con 276 visite, la traduzione di un vecchio scritto di Juan Arías
per El País si posiziona all'equatore di quest'insolita classifica.
E di questo sí che sono felice. Sí, insomma: l'articolo era davvero
splendido, non c'é argomento che si inquadri meglio nelle tematiche
del blog, e oltrettutto fa riflettere un casino. Quindi bella scelta,
lettori miei. Bravi.
6.
“ Fare la Fashion Blogger non é cosa per me ”
. Ammissione di colpa condivisa da 215 modaioli 2.0 , che porta con
sé uno strascico di consolazione: allora le leggete, le cose
divertenti! Non devo piangere per forza, per attirare la vostra
attenzione! Allegasi sospiro di sollievo.
7.
“ Un angolo di Andalucía nel centro di Vicenza ”
...e , a quanto pare, avete a cuore anche i buoni consigli su come
passare una serata diversa. Dire che sono fiera dei 205 contatti a
questo post sarebbe riduttivo: tutta pubblicitá a beneficio di
persone che lo meritano davvero. Di amici, prima ancora che
professionisti. Di persone che, senza alcuna certezza su come andrá, hanno
investito tempo e soldi in una passione. Ed é atto di coraggio tra i
piú grandi che oggigiorno si possano compiere. Perció grazie, davvero.
8. “ Un gazpacho, Pau Dones e Kekko dei Modá. Frullare per bene ”.
Non é dato sapere se le 181 visualizzazioni siano dovute alla
canzone – che all'epoca ancora non esisteva in versione bilingue –
o alla ricetta allegata. Forse a entrambe le cose, chi lo sa.
9.
“ I 10 motivi per andare all'estero ”.
A quanto pare siete in 151, in ansie da emigrazione. O, magari, ad
attrarvi era soltanto la polemica instaurata col blogger Andima, chi
lo sa. In ogni caso ottimo risultato, per essere stata soltanto la
risposta a un post altrui.
10.
“Jovanotti, Juanes, e la salvaguardia dei duetti bilingui ” .
Chiude la top ten un altro post ritmato. Ben 132 contatti per
l'elogio della collaborazione tra l'italiano e il colombiano, emblema
di tutt'una filosofia di vita per cui la lingua spagnola e la nostra
stanno troppo bene fuse assieme dentro a una canzone. Tra l'altro, é
curioso che pure qui si citino Pittbull e Jarabe de Palo. Non credevo
di essere cosí fissata con entrambi. Bah.
Concludendo:
a quanto pare v'interessano il cibo, la musica, e una spruzzata di
fatti miei qua e lá. E allora direi che non sto andando cosí male.
Il
procedimento canonico sarebbe quello inverso. Del tipo che ascolti
una canzone. Ti colpisce. E solo allora ne estrapoli il testo,
quell'agglomerato di lettere e parole che ha saputo plagiarti un
pezzo di vita. Sí, insomma: é sempre stato cosí anche per me.
Almeno fino a che non é arrivato il web 2.0.
Non so
se a voi capiti mai. Eppure sempre piú spesso i social networks mi
propongono versi spogliati in assoluto dalla loro melodia. Li leggo,
neri su bianco, trasformati in stati di facebook o in qualche
ingegnoso tweet. Appartengono a brani che non conosco, ma declamano
concetti che condivido appieno. A volte, strappano ammirazione solo
in virtú della poetica in cui sono incastrati. Altre, semplicemente,
mi pare si addicano a qualche parte di me. Cosí vado a cercarmeli,
quei brani.
Davvero,
sono diventata un'esperta mondiale nel copia-incollare versi di
canzoni su google per risalire al titolo. E poi inserirlo, quel
titolo, sul motore di ricerca di youtube.
Ho
fatto scoperte musicali a dir poco affascinanti, in questo modo.
Decisamente piú indie di quanto da me ci si potrebbe mai aspettare. Per dire, i Love of Lesbian li ho scoperti cosí. E sono
solo un esempio tra tanti. L'ultimo in ordine cronologico é
costituito da questo pezzo di Zahara (la frase "colpevole" non era niente di speciale, oltrettutto; solo: "aplaudí tus últimas canciones, a ti te esperaba una chica en el coche")
Ve lo propongo, chiamandovi –
se lo vorrete – a interagire ancora. Vi é mai capitato di venire a
conoscenza di una canzone partendo da un suo verso letto chissá
dove?! E, se sí, quale?
Non che sia una novità,
del resto. E' solo che a volte l'atteggiamento di fronte al calcio mi
sembra fare da specchio a tutt'un modo di vivere. E, prima che mi
tacciate d' anti-patriottismo, va detto che , mio malgrado, lo porto
avanti anch'io. Mea culpa, insomma. Mea maxima culpa.
Ma il grande vantaggio di avere amici oltre confine è che puoi usare
i loro occhi per guardarti da fuori. Per questo oggi mi accorgo che
dovremmo cambiare.
Sia chiaro: io di calcio
non ci capisco niente. Sono una di quelle persone giudicate bieche e
opportuniste dagli appassionati del genere. Sì, dai: quelle che
guardano le partite solo in occasione di europei o mondiali. E ogni
quattro anni, di botto, s'improvvisano tifose. Anzi, a dirla tutta
sono anche peggio. Perchè, in fondo, più che le partite, io guardo
lo schermo del pc con la televisione accesa in sottofondo. Uso i
commenti dei telecronisti a pretesto per battute sarcastiche su
twitter; E più che sugli schemi di gioco, mi concentro al massimo
sull'avvenenza di certi giocatori. Insomma, non starò qui a fare
commenti su Italia- Croazia, o magari su Spagna – Irlanda. No. Non
mi sento in grado di giudicare la qualità tecnica della nazionale
azzurra, e tantomeno le Furie Rosse di Del Bosque. La storia del
Biscotto, però... Dio, quella sì che mi fa imbestialire. E mi fa
imbestialire proprio perchè è così dannatamente da noi.
Lasciamo stare che, visti
gli scandali che hanno coinvolto il nostro campionato, forse
suoneremmo meno ipocriti se evitassimo di fare i moralisti proprio
ora. E lasciamo stare anche l'intelligenza estrema dei giornalisti
che vanno a suggerire apertamente all'allenatore croato la
possibilità di un pareggio per passare il turno. Come se, tra
l'altro, alla domanda “avete intenzione di fare il biscotto?”,
qualcuno potesse essere così scemo da risponderti di sì. A me,
quello che infastidisce, è proprio la mentalità in cui ricadiamo
sempre. Questo pensare agli altri, agli altri, sempre e solo agli
altri. A cosa faranno o non faranno, gli altri . A quanti
punti totalizzeranno, gli altri. A cosa dovrebbe succedere,
agli altri.
Ma, dico, possibile che
non ce ne rendiamo conto? Dovremmo pensare a vincere. A segnare dei
goal. Nient'altro. Poi le altre squadre facciano un po' quello che
vogliono, ché se segnamo tanto non saranno comunque, in nessun
caso, un problema. Per dirla in altri modi: dovremmo usare la
filosofia spagnola. Però non ci riusciamo, ed è ovvio, perchè
siamo abituati a vivere così nel quadro generale della nostra
quotidianità. Lo dicevo, no? Il calcio è uno specchio.
E, per quanto insondabil,
ci dovrà pur essere un motivo se, quando vivevo in Spagna, me ne
fregavo altamente dell'opinione altrui. Avvertenza: non sto più
parlando di porte e palloni. Sto parlando di quando uscivo di casa
struccata, anche se dovevo andare a pranzo fuori. Parlo di quando mi
mettevo a ballare – ed ero sobria – fregandomene altamente se la
pista del bar non era piena. Di quando scivolavo sul pavimento
bagnato dell'Eroski e , anziché vergognarmi della brutta figura, ci
scherzavo sù con le vecchiette del quartiere. Parlo, adesso, di
quando il fatto che nessuno potesse o volesse accompagnarmi non era
mai motivo sufficiente a rinunciare ai miei piani. E a quant'ero più
felice vivendola così.
Solo che poi sono tornata
in Italia. E, prima che me ne rendessi conto, una rete di apparenze e
gossip collettivo ha finito di nuovo con l'intrappolarmi. Ci ha messo
molto poco, oltrettutto. Perchè qui, struccata, io non ci esco mai.
Se la pista non è piena ed io voglio ballare, qui le amiche mi
trattengono in un “aspettiamo un po'”.
E' che... cosa pensano
gli altri? Cosa diranno gli altri? Cosa faranno gli
altri? A conti fatti, credo sia l'imperativo
della società italiana il principale responsabile di tutte le mie
incertezze. Fino agli estremi, credo. Fino agli attacchi di panico di
qualche mese fa.
Io non lo so per quale
motivo, ma in Spagna io pensavo solo a vincere. Sí, proprio come la selección
di Del Bosque. L'obiettivo era segnare
goal a beneficio della mia felicità. Qui,
invece, penso continuamente ai
complotti e alle combine che, chi mi
circonda, potrebbe o non potrebbe ordire. Come la
Nazionale Italiana. Penso ai biscotti, e non nel senso che me
li vorrei mangiare.
E allora, beh...allora
può darsi che il calcio dica di un Paese più di quanto si crede,
alla fine. E quando vedo i tifosi irlandesi cantare felici nonostante
la sconfitta, penso che anche in Irlanda, probabilmente, mi troverei
bene. Perchè ragazzi, davvero: ci sono già troppi problemi, nella
vita, per non provare a rilassarci almeno un po'.
Comunque:
a me, la dicitura “Euro12”, fa venire in mente, piú che altro,
un cartellino del prezzo. Cosí, visto che il mio cervello fa
notoriamente viaggi tutti suoi, mi sono messa a pensare a cosa potrei
comprarmi (o mi comprerei, o mi sono comprata) con quella cifra. Non
me ne vogliano teorie anticapitaliste, ma devo dire che é piuttosto
sorprendente come una banconota rossiccia e una moneta argentodorata
possano bastare a sprazzi di felicitá. Sempre che tu non abbia, poi,
grosse pretese.
Euro,
12. Tirati fuori dal portafoglio, per me hanno all'incirca questo
valore:
1. Un
volo Ryanair da Verona a Madrid (prenotando ora, e per tempo
limitato)
2. Un
biglietto per venire a vedermi ballare flamenco a San Vito al
Tagliamento (l'assonanza, giuro che non era voluta).
3. Due
biglietti per un concerto dei Belgrado (nel caso in cui non l'annullino
prima)
4. Un
biglietto per un concerto de El Pescao.
5. Una
maglietta da Pimkie.
6. Un
cd in offerta alla Fnac.
7. Un
libro in edizione economica
8. Un
pack di merchandising di Dani Martín (maglietta + foulard o
maglietta+ agenda)
9. Una
pizza marinara con bibita e coperto.
10.
Un'abbuffata infinita da Pepe y Pepa a Málaga (o, in alternativa,
una cena alla Marisqueria Vicente. O una paella al Palo, fate voi.)
12.
Due mojito a bordo spiaggia.
13. Un
biglietto del cinema con una confezione mini di pop-corn.
E
voi? Che cosa comprereste, invece? Nei commenti, porte aperte
all'immaginazione!
Certo
che fa sempre piacere vedere che la gente ti ascolta. Cioé, non che
Pau e Kekko (con tutte le sue kappa) mi abbiano ascoltata davvero, ma
se non altro hanno dimostrato che avevo ragione. Sí, insomma,
ricordate questo post?
Ecco.
Manco l'avessero letto, i Modá e la voce dei Jarabe de Palo sono in
procinto di presentare nelle radio spagnole la versione bilingüe di
“Come un pittore”. Che, onestamente, suona mille volte meglio del
duetto a beneficio esclusivo dell'idioma nostrano. Se non altro ci
sono tutte le doppie del caso nella parola “pittore”. E poi, dai!
Secca sempre insistere nei “ve l'avevo detto ”, ma il castigliano
e l'italiano condividono musicalitá troppo affini per restare
separate nella stessa canzone.
Un
piccolo passo per un'itañola, un grande passo per l'umanitá.
Io, il bunker, l'ho ben
che spolverato. Ci ho anche accatastato dentro qualche mobile Ikea.
Così, giusto per renderlo un filino più accogliente. Sì, insomma,
domani posso proteggermi dall'odio globale. Che si fa presto, a dire
che comunque tifo Italia. I miei connazionali addurranno subito a
prova inconfutabile del contrario il trucco giallorosso trovato a
Madrid in una busta di patatine. E, se è per quello, si fa anche
presto a dire agli spagnoli che, se l'Italia perde, un po' sarò
contenta uguale. Mi tireranno fuori la
carta d'identità, usando le mie origini a
mezzo per lo sfottò. Ovvero, non c'è pace. Ma il clima degli
Europei riesce a rendermi lo stesso un pelo più sportiva.
Tra l'altro, prima di
rinchiudermi a compatire il mio cuore spezzato, volevo dire che gli
azzurri un vantaggio già ce l'hanno. Sì, insomma, non gioco con
loro. Che detto così sembra un'idiozia, ma sapete quanti goal mi
mangerei, restando imbambolata ogni volta che mi trovo davanti a
Casillas? Eh? Eh?
Comunque. Un'altra cosa
che mi piace, degli spagnoli (oltre a Iker e al fatto che Puyol vada
ai concerti di Dani Martín) é
che in occasione delle grandi competizioni sportive sfornano sempre
un sacco di canzoni a tema. Mai dei capolavori, anche questo va
ammesso. Peró mi trova in sintonia, la loro voglia perenne di
colonne sonore.
Tra
l'altro, visto che “squadra vincente bla
bla bla “, questa l'hanno affidata ai
soliti sospetti. Gli Estopa, innanzitutto, che giá s'erano occupati
dell'inno pop dell'eurobasket 2007. In effetti, non che si siano
sprecati in creativitá, dato che si sono limitati a riprendere lo
stesso brano, riarrangiarlo in chiave leggermente piú elettronica, e
adeguarlo al contesto cambiando qualche frase qua e lá. Peró, c'é
da dire che il video é carino.
E poi
Bisbal, che con l'aiuto di un paio di featuring cerca in tutti i modi
di replicare il successo avuto con Waving Flag agli scorsi Mondiali.
Peccato che a me, la sua “No hay dos sin tres” sembra un po'
troppo arrogante per non rischiare battute e sfiga. Mah. Vedremo se
il tempo mi scredita o no.
Nel
frattempo, peró, quale delle due canzoni preferite voi?
Ora: io lo so che - essendo venerdí - vi aspettavate una ricetta. Sono senza dubbio una blogger fanfarona. Ma il fatto é che, prima di cambiare drasticamente argomento, mi preme concludere i post groupieggianti con la seconda parte di un riassunto iniziato tempo fa. Un riassunto in formato video, per la precisione. Di quelli che ogni tanto occupano la mia creativitá su fronti non usuali. D'altronde, mica é facile condensare in sei minuti le emozioni vissute durante due anni interi. Soprattutto se l'impresa si pone a diretto seguito di un filmato che ha quasi novecento visite su youtube. Non so se ci sono riuscita in modo degno. Forse vi annoierá. Forse vi parrá troppo smielato. O forse, invece, capirete ancora meglio perché investo il mio tempo (ed i miei soldi) a beneficio di un cantante spagnolo. Comunque sia, rimane il fatto che a me andava di ricordare.
Perció, a chi premerá play, io auguro una buona visione. Agli altri, prometto nuovi scenari a breve. Ché per qualcosa, in fondo, oggi cominciano gli Europei.
Quelle
quattro ore si sono concluse con le foto di rito. Ma onestamente,
dopo quella di gruppo, a me non interessava averne una in piú.
Quello che volevo era dargli il mio regalo, orgogliosa del pacchetto
dorato piú ancora che del degno contenuto. E, sapete? E' stato
strano. Perché c'é stato un momento, a Cartagena, in cui sono stata
certa che avesse captato i miei pensieri. Davvero, non vi so spiegare
come.
Ma mi
aveva chiesto quando sarebbe uscito il disco di Cesare. E, quando gli
ho risposto, i suoi occhi sono rimasti a fissarmi. Come se, in
qualche modo, avesse saputo in quello stesso istante che avessi
intenzione di regalarglielo al concerto privato. Poi potrebbe anche
esserci la piccola e assurda eventualitá che mi legga di piú di
quanto io creda. Ma vabbé.
Ad
ogni modo, gli porgo il pacchetto.
“Io,
prima di tutto, ho un regalino per te”
L'afferra
e giá sorride. Tasta il pacco senza aprirlo, guardandomi con aria
furba.
“Ah,
é giá uscito il disco?”
Celine,
al mio fianco, inizia a ridere di gusto.
“Cioé,
ma mi hai giá sgamata? Potevi almeno fare finta di non aspettartelo,
no?!”
Lui si
mette a ridere. “Qué grande eres!”, esclama a beneficio della
mia autostima. Tanto a beneficio della mia autostima quasi quanto
quella bellissima dedica che pochi istanti dopo scriverá sulla prima
pagina del libro che mi sono portata. Quella davanti a cui mi
sfuggirá un “qué bonito, gracias”, tremolante d'emozione e un
po' troppo denso d'accento italiano. Lui ripeterá “ a ti”.
Ma
torniamo al regalo. Che, mentre é intento a scartare l'involucro, lo
informo che “comunque c'é anche un'altra sorpresa”. Cosí, lui
alza lo sguardo e, sicuro della risposta, afferma: “ah, é pure
firmato?!” . Sul serio, io gli voglio un mondo di bene, ma in
quest'istante lo picchierei.
Infatti sbotto.
“Ma
la smetti?! E sí che ti ho detto di far finta di sorprenderti!!”.
Ridiamo entrambi. Almeno, che gli ho tradotto tutti – ma proprio
tutti (sí, lo so, ho tempo da perdere) – i testi non se l'aspettava davvero. Almeno a giudicare dai
suoi occhi sgranati.
“Lo
so che ti regalo sempre dischi, ultimamente, ma...”
“No,
a mí me encanta él. Pero me encanta!!!”, dice convinto, girandosi
tra le mani La Teoria dei Colori. Legge la dedica all'interno. C'é
scritto “A Dani Martín, mi gran maestro” e gli sfugge ammirato
un “qué majo es!”.
“Mi
spiace che non ho dischi qui, altrimenti te ne lasciavo uno da
dargli”
Quando
e come gliel'avrei dato, nell'eventualitá, é un problema che mi
affiorerá alla mente solo parecchie ore dopo. Ad ogni modo, non si
pone.
“Beh,
ma credo ce l'abbia..”
“Sí,
ma per firmarglielo, per scrivergli qualcosa”.
In
effetti sarebbe stato bello.
“Puoi
scrivergli qualcosa su twitter, peró”.
“Sí,
infatti adesso sicuramente gli lasceró un messaggino per
ringraziarlo...Anche se non mi risponde mai!”, aggiunge tra il
divertito e il piccato.
Mi
viene un po' da ridere, a pensarlo come un fan qualsiasi, disperato
per le risposte mancate. E al contempo penso, peró , a cosa si
riferisca. Perché tutte le volte in cui gli ha scritto in pubblico,
Cesare gli ha risposto. Quindi, gli scrive in privato? O forse non ha
mai letto i messaggi di risposta? Mmm.
Decido
di non fare domande. In fondo, tutto voglio fuorché interferire. Per
me é stata giá un'emozione poter metterli in contatto. Il resto,
sta a loro. Anche se quando ho scoperto che Cremonini l'altro giorno era a
Barcellona ho dovuto quasi legarmi alla sedia per impedirmi di
scrivere a Dani di prendere di corsa un treno e andare lá. Sul
serio, io non sto bene.
Comunque.
Sto quasi per passargli il famoso libro quando mi stringe forte a sé
per la foto. Io non me l'aspettavo, perché questa volta non
gliel'avrei chiesta. Perció mi vedo costretta ad armeggiare con la
cerniera della borsa per estrarre la macchina fotografica (che, come
sempre, é in fondo a tutto), mentre mi accorgo che le mani mi
tremano un casino.
Mi
sarei immaginata che il mio congedo sarebbe stato diverso. Condito di
lacrime. Mi sarei immaginata di dirgli che mi mancherá un sacco,
tutto ció. Invece mi faccio da parte per lasciare il posto a foto
altrui. Ed é nello spazio tra due paia di spalle che incrocio il suo
sguardo per l'ultima volta. Per qualche ragione, sento l'impulso
fortissimo di stringerlo forte e dirgli grazie, grazie di cuore,
grazie di tutto. Invece mi limito ad un sobrio “Hasta luego”
mentre quel grazie me lo ridice lui. Uscendo sotto un sole
inclemente, penso che non potrebbe esistere una fine migliore. O, proprio al massimo, l'ipod che mi sceglie ekix sul treno.
Siamo
ben assortiti, noi dodici vincitori. Per luogo di provenienza e –
soprattutto – per etá. Ci sono due ragazze non ancora diciottenni.
Una madre con la sua figlioletta, una bimba ancora piccola e molto
timida. C'é una coppia sposata sui quarant'anni che non é mai
andata ad un concerto del tour, e due ragazze sui 35 che hanno
lasciato a casa le famiglie per passare una giornata in piú con la
persona per cui attraversano la Spagna. C'é Celine, che mi
accompagna coi suoi dieci anni piú di me che, nell'aspetto, non le
attribuirebbe nessuno. E poi ci siamo Cristina ed io, che completiamo
il quadro con il nostro equatore d'etá targato anni ottanta.
Ci
siamo trovati, quasi tutti, nel luogo di Madrid in cui Carlos ci
aspetta con due furgoncini neri . Ci sono vetri oscurati, aria
condizionata, e silenzi difficili da rompere piú per l'emozione che
per il disagio. E nel tragitto, intanto, lui giá twitta che ci
troveremo tra un po'. Sí, insomma, tempo di iniziare a nutrirci al
buffet allestito per l'occasione. Ché c'é una cassa riconvertita in
tavolo, davanti a quella parete color salmone. Sopra, e a nostro
beneficio, ogni genere di ben di Dio. Tortilla de patatas tagliata a
quadratini, jamón iberico, empanadas, sandwich in farciture variate.
Ed é proprio quando inizio ad addentare qualcosa che un saluto
venuto dal nulla mi sorprende alle spalle, scarsi metri piú in lá.
Merda.
Cosa accidenti fare con una fetta di formaggio giá addentata é un
dilemma che proprio non avevo calcolato di dovermi porre. Dani ha
iniziato ad abbracciare gli invitati e, visto che siamo pochi, stimo
di avere all'incirca dieci secondi per prendere una decisione. Sí,
cioé, non posso mica abbracciarlo con una fetta di formaggio in
mano, no? Sarebbe poco carino. “Tú también has ganado?” , gli
sento dire a Mari Mar, “No, voy de acompañante” . E manca solo
una persona. Aiutomamma. Pensa, Ilaria, pensa. La getto con
nonchalanche in un'aiuola? La infilo in tasca? La nascondo sotto la
tovaglia? L'immagine mentale dell'espressione di María mentre la
ritrova basta a farmi desistere, e proprio mentre lui si avvicina a
me decido d'ingoiare il boccone. La scena che segue prevede Dani
Martín che mi abbraccia forte, e uno scambio di convenevoli
riassumibile in:
“Holaaa!”
“Mhmh-
hmhmh!”.
Della
serie: evviva le mie belle figure. Ché tra l'altro lui si mette a
ridere e , guardandomi dritta negli occhi con aria divertita, se ne
esce con un: “Cioé, non abbiamo ancora iniziato a far niente e
state giá mangiando?!” (segue ulteriore “mhmmm- mhhh”, con
mano davanti alla bocca e dito dell'altra mano puntato verso il
rinfresco). Bene. Guardando il lato positivo, se non altro non mi
sono strozzata.
E
in fondo, dai! Io sono io. Mica posso smentirmi, no? Io sono quella
che, durante la pausa per andare in bagno, finisce col cedere il
posto a tutti. Certo, la mia vescica sta per esplodere, ma il
saltellio degli altri mi sembra comunque sempre indice di urgenza
maggiore. Cosí, mi ritrovo ad essere l'ultima della fila. Ma ogni
volta che qualcuna esce dicendo “guardate che c'é un problema con
lo sciacquone” mi sembra sempre piú una pessima idea. Tra l'altro,
ho un flash mentale del famoso incontro con Cremonini a Cesena nel 2002, con
qualcuno che avvertiva: “se dovete usare il bagno, attenti,
perché l'acqua non va giú bene”. Che a un certo punto mi vien
anche da chiedermi se i wc degli studi di registrazione debbano
essere sempre intasati per contratto. Comunque.
Il
punto é che, quando arriva il mio turno, c'é un agglomerato
impossibile di carta igenica sul fondo. Cosa che mi provoca un
sincero e assoluto terrore. Voglio dire, sono l'ultima! Se per puro
caso l'acqua dovesse fuoriuscire, indovinate a chi daranno la colpa?
Sono momenti difficili. E come sempre, nei momenti difficili, la mia
mente inizia a fare viaggi tutti suoi. Del tipo che fisso il vecchio
e consunto sacchetto del MediaMarkt appeso vicino al lavandino, con
la sua bella scritta “Yo no soy tonto” in evidenza, e inizio a
pensare che magari potrebbe essere stata la vera ispirazione del
testo della canzone de El canto. Sí , insomma, a me le idee migliori
vengono sempre in bagno, e sempre a partire da colossali stronzate.
Perché mai per il resto del mondo dovrebbe essere diverso? Se non sembrasse la
domanda di una malata di mente ( e se non fossi preoccupata per lo
sciacquone) magari dopo potrei anche chiederglielo, a Dani. Nel frattempo,
peró, mi viene anche in mente come reagirebbe una ragazzina isterica stile fan del nanetto con la frangia (al solito, non lo nomino affinché non capiti gente strana, per sbaglio, sul blog) in questa situazione. La immagino, tutta emozionata, raccontare agli
amici “ho usato lo stesso bagno di Dani Martíííííín!”,
magari saltellando su due piedi a mani congiunte, e mi viene la
ridarella. Lo giuro, non riesco a trattenermi dal ridere. Spero solo
che non ci sia nessuno dietro la porta.
La
voce di Dani “Bueno, empezamos?!”, in lontananza, mi riporta di
botto alla realtá. Improvviso un'ave maría veloce prima di tirare
l'acqua, e grazie al cielo non succede niente. Cioé, l'agglomerato
di carta igenica sul fondo s'infittisce, ma se non altro non ho
allagato lo studio, né creato cortocircuiti irrimediabili. Sospirone
di sollievo, e via, di nuovo, verso la mia poltroncina. Giusto in
tempo per sentire Dani che, indicandomi, dice a qualcuno “ella”.
E guardarlo con aria interrogativa.
Scopriró
piú avanti che, mentre facevo la fila al bagno, lui stava spiegando
a tutti i presenti, nel caso non lo sapessero, che Celine viene
direttamente dalla Francia e “l'altra ragazza, che adesso non c'é,
dall'Italia”. Sono seguite domande in merito alla zona d'Italia in
cui io vivessi, cui la mia amica parigina ha cercato di rispondere
con la miglior esattezza possibile, fissata in un punto intermedio
tra Venezia e Trieste. Tzé, mi perdo sempre le conversazioni
migliori. Vescica maledetta.
Comunque,
un'altra cosa che vi posso raccontare – facendo una lieve
eccezione alla censura sul repertorio - é il momento che piú di tutti gli altri m'ha dato la
pelle d'oca. Ovvero quando é arrivato il mio turno di richiedere la
MIA canzone.
“Ilaria,
te toca!”, diceva lui guardandomi.
“A
me, se fosse possibile, piacerebbe ascoltare Ekix ma...”
“Uff,
quanto tempo che non suoniamo quella canzone! La sapete?!” ,si
rivolge agli altri della band. E proprio mentre troppe teste scosse
stanno per farmi desistere , Iñaki si emoziona piú di me. Visto
l'entusiasmo con cui racconterá l'accaduto su twitter, pare che quel
brano gli piaccia da morire.
“Io
la so!”
“Come
puoi ricordartela?!”
La
fanno piano e voce. Il tutto dopo che Dani si fa portare il portatile
con il testo, che non ricorda bene. Dopo che si sbagliano e gli
sottopongono quello di María la Portuguesa. Dopo che io, visti gli
sforzi a cui li sto costringendo, intervengo a dire che “Dani, se é
troppo un casino non importa, va bene qualunque altra, eh?”
“No,
no! Ekix va bene”. E poi fa abbassare le luci, a creare atmosfera.
E in quella penombra, su quelle note, io vorrei che il tempo si
congeli. (To be continued)