venerdì 30 marzo 2012

Venerdí...artistico. E la ricetta, oggi, ve la dá un'altra italo-spagnola!


Mentre leggete questo post- sia benedetta la pubblicazione pianificata- io sarò verosimilmente incorniciata dal cubicolo-stand di una Fiera d'Arte. Triplice ruolo, il mio: figlia di pittore, pseudo addetta stampa e osservatrice pettegola di personalitá strane. Visti i trascorsi , questo significa che dovrò lanciarmi in una sfida all'ultimo sangue con attempate, distinte (ma anche poco dignitose) mandrie affamate per aggiudicarmi almeno una forchettata di lussuoso buffet. E significa anche, come potrete intuire, che non avrò tempo per la ricetta del Venerdì.

Poco male, però, perché la Precaria más salá de todo Madrid ha condiviso sul suo blog i consigli culinari delle autoctone vicine di casa. Una ricetta palentina, a quanto pare. Insomma, castigliana al cento per cento. Ricca di energia e di calorie ma, giá soltanto a giudicare dall'aspetto, anche sicuramente molto buona.

Che dite? La sperimentiamo assieme? 


giovedì 29 marzo 2012

Postilla gastronomica (perché le foto del cibo mi riescono bene)

Si dice che un'immagine valga piú di mille parole. Si dice, anche, che a me le foto del cibo riescano particolarmente bene. Unendo le affermazioni in un tentativo bieco di provocarvi invidia...ecco: anche questa é , é stata e sará sempre la mia Málaga. Fame, eh?








mercoledì 28 marzo 2012

MÁLAGA, PARTE II : La Quiete (e i fili rossi di Touch)

C'è un prato artificiale, fuori dall'hotel. Si apre quadrato e confortevole sotto a una tettoia, offrendo un'isola felice all'attesa. Di fatto sembra perfetto per ripararci dalla pioggia sottile che inizia timida a scendere dal cielo andaluso. Il mare, a pochi metri, apre le narici di umidità e di sale. Qualcuno condivide aneddoti di concerti passati, qualcun altro vomita al riparo di un muretto tutti gli eccessi alcolici della notte prima. Sabato. Saremo una decina, né troppi né pochi. Resi silenziosi dal sonno che si addensa sotto le nostre palpebre, lo sguardo fisso sulla porta d'ingresso inspiegabilmente vittima dei flash di una comitiva giapponese. Seduta su quell'erba, una ragazza imbraccia la chitarra che vorrebbe farsi autografare. Intona brani del cantante che aspettiamo, intercalati ad altri degli Estopa o di Maldita Nerea. Attorno a lei, improvvisiamo cori a bassa voce, timorosi di essere cacciati dagli uomini in divisa da lavoro che, a intervalli regolari, fanno capolino dalla hall. 

“Sembra di essere a un pic nic”. Il pensiero mi coglie, improvviso ed allegro, mentre lo stomaco si gira nella direzione giusta, e neanche le nubi sembrano più essere in grado di guastare alcunchè. Mi coglie, soprattutto, in mezzo a riflessioni altre; al paradosso della vita, tutto bello incartato in una carta a pois. Perchè mioddio, mioddio, é davvero assurdo. Prima pensavo confermasse i sei gradi di separazione. Ma, dacché guardo Touch e sogno numeri, inizio a inquietarmi già un bel po'. Forse c'é un filo rosso. Forse c'é veramente, lí, a legarci tutti, a tessere le reti dei nostri personali destini. E io non lo so, quando accadrá, ma ho un'immagine mentale bella nitida qui dentro. Di poche cose sono certa a tal punto come del fatto che si materializzerá. 


Rabbrividisco, forse l'umiditá. Dani Martín. Ah, Dani Martín. Lui che sta riuscendo dove né note né vecchie amicizie erano arrivate prima. Lui che suo malgrado mi sta riavvicinando al mio passato musicale, o forse solamente amalgamandolo in tutt'uno. Ché in fondo lo sempre saputo, che era la stessa storia. Che era la stessa cosa. Cambia il nome e una lingua, nient'altro. Io non sono cambiata poi molto, da allora. O almeno, non quanto dovrei. Tocco quel pacchetto, fiocco stropicciato dentro alla mia borsa nera. Non so come né quando sia accaduto, che Cesare Cremonini diventasse il nostro punto di contatto. L'argomento su cui, ad ogni incontro, mi chiede di essere aggiornato. Non so come sia possibile che una mia vecchia domanda su Vorrei abbia avvicinato cosí tanto le due melodie che m'hanno fatto la vita. E a volte mi viene da chiedermi se io abbia, in qualche modo, “tradito” l'italiano.  Se, viceversa. l'autoeleggermi, di botto, portavoce possa essere tacciato d'ipocrisia dal mondo che un giorno -  dopo aver pianto  in un teatro gremito-  ho deciso di abbandonare.  Riesco a chiedermi, persino, se non sia Dani a poter sentirsi geloso ogni volta che parlo o racconto del prima. E poi mi viene da ridere, persa nella mia stessa idiozia. Ché di nuovo penso a due cantanti come a delle specie di relazioni amorose. Il primo amore, Cesare, quello della prima volta e quello che non scordi mai. Il Grande Amore, Dani, che un po' sará sempre messo in paragone, eppure oggi scalda il cuore mille volte di piú. Patetica, ecco cosa sono. Ma forse ho solo sonno, chissá. 

Sono cosí immersa nei miei pensieri che, sul momento, non capisco perché la gente si alzi. Li vedo come dall'esterno, trascinarsi a passo felpato e silenzio improvviso verso la porta principale. Qualcuno estrae una reflex. Qualcun'altro, una penna. Ed é allora che scorgo la silouette scura di un ragazzo con gli occhiali da sole. Trascina un mini-trolley nero fino al furgoncino parcheggiato. Il bagagliaio é giá aperto, lo infila dentro senza fatica. Ha i gesti lenti di chi s'é appena svegliato. E magari – come scopro – la sera prima é stato pure a far festa al Liceo. Il Liceo, una delle discoteche a cui andavo sempre io. E i balli fino all'alba, il Kebab alle cinque del mattino, le domeniche di resaca con la dueña che svegliava in campanelli. Sempre troppo presto. Sempre senza avvisare. Mi viene in mente tutto questo e , per qualche ragione, vorrei telefonare a Grace. Stará ancora dormendo. Lascio stare. Il ragazzo si allontana dal furgoncino, si gira, e si avvicina a noi.

“Buenos Días!”

Uno dopo l'altro, Dani elargisce a ciascuno la dose doppia di bacini sulle guance. “Ilaria! Cómo estás?”, dice quando arriva il mio turno. “Muy bien, y tú?”. Mi sento terribilmente e sommamente rilassata. Come se mi fossi stordita di alcol, di fumo e di droghe. Tutto assieme. Inizia a piovere piú forte, mentre alcune ragazze lo attorniano con facce alla Walking Dead. Autografi, autografi, autografi. 

Resto sotto alla tettoia, un po' in disparte, aspettando il momento perfetto assieme al mio pacchetto con la carta a pois. Poi la pioggia induce Dani a guardarmi negli occhi (beh, oltre le lenti), proponendo a tutti di spostarsi “un po' piú in lá”. Ove “un po' piú in lá” é il luogo in cui mi trovo. Ed é proprio allora che il momento arriva. 



“Dani, questo é per te, per il tuo compleanno. Un po' in ritardo ma...”

Lui afferra il regalo. 
“Gracias Guapa!”

E, in uno slalom veloce si divincola dalle altre per venire a stringermi in un abbraccio forte. Un abbraccio che smorza in un sussurro il mio “de nada”. Chissá, forse é proprio perché non lo sente che, staccandosi, ripete quel grazie una volta di piú. 

“Di nuovo siete venute da cosí lontano...!”, guarda me e Celine, mentre strappa la carta con le dita. 
“Eh, sí”. 
“Jo...Dall'Italia e dalla Francia, eh?! “, voce piú alta, dito che ci indica alla piccola platea. Qualcuno dá vita ad un applauso spontaneo. Mi sembra proprio di udire un – poco fine ma efficace - “ole sus huevos” riecheggiare qua e lá. “Voglio proprio vedere se fate piú kilometri voi...!! “

Il tono di sfida, scherzoso, invade due andaluse che, proprio come me, lo seguono in giro per la Spagna. Nel frattempo, la carta a Pois é sparita, lasciando in evidenza la copertina del cd. 1+8+24. E Dani ha senza dubbio migliorato la pronuncia del nome Cesare. 

“Spero tu non ce l'abbia...” , interrompo in un monologo il suo ennesimo“grazie” . 

“ Non é nuovo, é del 2005, ma ogni volta che lo vedo penso a te, per questo ho pensato che dovessi averlo. Soprattutto il dvd...é un documentario di un tour nei teatri che aveva fatto con un'orchestra, piú la registrazione ad Abbey Road....insomma, penso sia molto da te, che ti piacerebbe.”



Mi ascolta interessato. Poi passa in rassegna la tracklist. Atto, ad ogni modo, successivo alla lettura dei dati su produzione, autori e arrangiamenti. Ché in fondo é da questi piccoli gesti automatici che distingui l'ascoltatore medio da chi in quel mondo vive e lavora. 

“Lui attualmente non fa molti brani dei Lunapop dal vivo, vero?!”
Lo dice con tale sicurezza che mi viene il sospetto che ne abbiano giá parlato. Con tale ammirazione che mi chiedo se non stia cercando, forse, conferme per sé. Quasi che la domanda, quella vera, fosse se il suo futuro debba prevedere ancora a lungo uno strascico de El Canto del Loco. O se il repertorio dei teatri, cosí com'é adesso, vada bene. Ma sono patetica, l'ho detto. E' probabile che siano solo paturnie mie.

“No, solo le piú famose. Algo Grande, Un día Mejor “ - non so perché, tra 'altro, io gli stia dicendo i titoli in spagnolo - “...quella de...”

“...quella della Vespa?!”
“Sí, le piú conosciute.”

“Ma tu l'hai mai visto dal vivo? Sí?”

Sorrido. Mi verrebbe da rispondergli “molte volte”. Da raccontargli che lui era , ai miei quindici anni, l'equivalente della mia follia spagnola attuale. Solo che poi mi torna in mente l'assurda faccenda della gelosia. Ancor peggio, penso che potrei sembrare presuntuosa. Cosí mi limito a un neutrale “sí, claro”. 

Lo vedo anche al di lá degli occhiali, che il volto gli si illumina. 

“Me encantaría ver un directo suyo!”

La mia immagine mentale. Eccola, di botto, ancora lí. Dani al di lá di una transenna, che sorseggia un gin tonic a bordo palco. Un palco italiano, su cui sta suonando Cremonini. Che sia prima di quanto pensassi? Che io non sia poi cosí tanto fuori di testa? Ogni fibra del mio corpo sta pensando intensamente al fatto che l'album di Cesare esce a Maggio. Che quindi, probabile, quest'anno sará in tour. Ogni cellula che mi compone associa l'informazione alla pausa di un anno che Dani si prenderá, proprio da Maggio in poi. Non riesco a scacciarla, quell'immagine, per quanto io ci provi. E' inutile. Per quanto cerchi di mantenere la calma c'é un eccesso di pathos nel “pues, venteee!” che mi esce incontrollato dalle labbra e dal cuore. Lui si mette a ridere, quasi mi avesse letta dentro. Mi ringrazia ancora, “de verdad”. 

“Comunque non ce l'avevi , il disco, vero?!”
“No...”

Nel frattempo, il bigliettino su cui avevo spiegato per iscritto i motivi di quella scelta concreta, é scivolato sull'asfalto, non visto da nessuno. Non lo faccio presente. In fondo, serviva solamente nel caso in cui non fossi riuscita ad accompagnarci un discorsetto orale. Manu, peró, se ne accorge. “Dani, ti é caduto questo!!”

Lo legge avidamente. Poi, lo infila in tasca senza dire una parola. 



“Ehi, ma che é successo ieri?”, chiede poi, rivolto a tutti, come scosso da un'illuminazione improvvisa. 

“Un casino”, risponde qualcuno, “la gente si é messa davanti, quelli della security, invece di mandare via loro, volevano mandare via noi, hanno iniziato a fare i prepotenti...”

“Sí, ma non é colpa mia!” , sembra preoccupato, e a me mette tenerezza. 

“No, Dani! Chi dice niente...é che era organizzato male, ma é stato un peccato perché ci siamo persi mezzo concerto a litigare”

“E' che io da lí vedevo la gente agitatissima, che urlava contro qualcuno, e lui “ - indica un ragazzo presente - “incazzato da morire che faceva gesti come a dire 'ora basta, ora basta!'. Credevo che , se avesse avuto dei sassi, me li avrebbe tirati! E' brutto quando succede cosí.”. 

Tutti scoppiano a ridere. 

“Ma non ce l'avevo con te, ce l'avevo col tipo della security”
“Comunque, vi posso dire una cosa? Sinceramente quel posto lí non era fatto per il tipo di concerto e per il tipo di canzoni che avevamo portato. Non ho capito perché ci abbiano mandati lí”. 

Lascio trascorrere un altro po' di commenti di approvazione. Poi, lo informo finalmente dell'altra notizia che mi era stato chiesto di fargli avere. 

“C'era anche mia mamma al concerto,ieri, lo sai?!”
“En serio?! No me digas!!”
“Sí, il suo primo concerto tuo! Credo le sia piaciuto, anche se io le avevo detto che sarebbe stata una cosa tranquilla , seduti, in teatro...”

Mi metto a ridere, e lui fa lo stesso. 

“Queste cose in Italia non sarebbero successe!”, scherza , “queste cose succedono soltanto qui!”. 
“Seeeeee, certo , come no!” 

Qualche altra chiacchiera. Qualche altra foto. E intanto penso che é bellissimo, che adesso riesca ad essere cosí naturale con lui. Ricordo con tenerezza quando mi immobilizzavo davanti ai suoi occhi azzurri. Quando lo sguardo adorante mi bloccava voce e pensieri. Non era tanto tempo fa, eppure oggi sembrano passati secoli. Mi dá altri due baci, prima di andarsene. Il suo profumo, come sempre, mi rimane appiccicato addosso per un po'. Lo saluto con la mano, immaginando che mi veda oltre il finestrino oscurato del furgoncino che parte per il lungo viaggio in direzione Madrid. 

Impregnata dell'aria salmastra della malagueta, quello stesso pomeriggio, mi informeranno del fatto che Dani avrebbe scritto a Cremonini su twitter. Lo stesso social network su cui, appena reimpadronitami del wifi, mi scriverá di nuovo “gracias por el cd”. 

E' il paradosso della mia vita, sí. Ma, a conti fatti, mi rende felice. Poi non lo so, se sono i fili rossi di Touch. Non so se tutto sia davvero scritto e predeterminato. Adesso piú che mai, peró, penso che ogni esperienza vissuta serva e proietti verso qualcosa.  

martedì 27 marzo 2012

MALAGA, PARTE I: La Tempesta.

“Para la Plaza de la Victoria, por favor”

Il taxi prende piano le distanze dal gruppo in attesa, appiccicato al muro di cemento che incornicia il vialetto d'uscita. Lo stesso su cui, qualche ora prima, abbiamo esaltato il social network che ci mantiene in contatto nonostante lingue e città. Follow Friday, letteralmente. Ne scopri il senso tra telefoni ed hotel e non sei proprio certa che sia del tutto un bene. Oggi é andata così. Un cenno della mano a salutarli. Poi, via, verso casa di Grace. Verso un letto non tuo su cui già ti appresti a collassare. Ché domani c'é da alzarsi presto. Che domani...domani, ci speri, darà un senso ad ore perse dentro un centro commerciale. Li guardi da lontano, allora, quei ragazzi. Quelli con cui hai condiviso pomeriggi di sospiri. Hanno reflex appese al collo, speranze adrenaliniche in tumulto di insonnia. Intorno a loro l'auditorium si svuota progressivo, in un incastonarsi d'auto, clacson, chiacchiericci e spazzatura. 



“Sapete se c'é ancora tanta gente che deve...?”

Interrompo il taxista in abitudini costruite di deja vú. “Sí, era tutto pieno. Di taxi ne serviranno ancora molti”. “Muchas gracias”.  I commenti di Celine, intanto, accompagnano il sottofondo di bip alterni delle rispettive macchine fotografiche. “Bella, questa”, e intanto provo a convincermi che sia tutto normale. Anche questo senso di straniamento. Questo non riuscire a credere che sia tutto finito. Di più, che sia accaduto. Questo sentirsi in un sogno, in un delirio di irrealtà. Come un personaggio di una storia scritta da qualcuno che non conosco neppure.  Ma sì, dai! Ma certo che é normale! In fondo ho il male al collo tipico da prima fila. In fondo le prime note di Pequeño sono state testimoni di un altro bacio lanciato. Bacio che ho ricambiato. Bacio a cui ho sorriso. E poi c'é stato l'occhiolino di Iñaki. La gentile premura di Iván nel dirmi che gli spiace, ma i braccialetti , nemmeno questa volta, glieli hanno forniti. C'é stata la musica, soprattutto. Quella dal vivo, che tanto amo, con le piccole sorprese nel cambio di repertorio che fanno di ogni show un'esperienza tutta nuova. E quella in cd, che suona prima che le luci si spengano. A volume troppo basso per esserne certa, eppure forse diversa anche lei. Non é “vieni a vedere perché” quella che riempie l'aria in mezzo al fumo?

Grace non é tornata. Notte brava al compleanno del suo moroso. L'appartamento silenzioso, la mia roba lasciata in giro, un succo di frutta trangugiato di fretta e la sveglia che dice “restano quattro ore”. E' solo mentre penso a dove lasciare il biglietto scritto apposta per la mia ex coinquilina, che capisco finalmente cos'é che mi stona. Ed é che voglio soltanto dormire.  

Sí, insomma, per  la prima volta non sento quest'impellente necessitá di accendere il computer per ringraziarlo su Twitter della serata trascorsa. Per una volta non sento il vuoto, cosí pieno e pesante, che dall'inizio di 16 añitos inizia ad attanagliarmi fino alla prossima data del tour. Un altro concerto di Dani é finito, me ne restano solo altri due prima di una pausa eterna. E non sono depressa come mi aspetterei. Non può essere un buon segno. Ma perché?

Mi accorgo che la causa – o almeno una di esse – sta nella persona che mi dice “in bocca al lupo”, ripetendo convinta che domani lo vedrò. Nel darle la buonanotte, mormoro ancora che sul serio, veramente, mi dispiace. 

E' che un concerto al fianco di tua madre, quando segui un tour intero, ti riempie giocoforza di responsabilità. Le avevo procurato un biglietto in prima fila. Last minute, grazie al mal di schiena di un'amica costretta a Madrid. Gliel'avevo regalato al bancone del dunkin donuts , oscillando per tutta la giornata tra le sue aspettative, l'emozione e la paura di una presa in giro. Un concerto con tua madre é l'occasione di farle capire cosa ti muova attraverso la Spagna. Cosa ti induca a non uscire nei weekend, riempiendo metaforici salvadanai da aprire a scadenza bimestrale. Lei – pensavo – avrebbe finalmente capito cosa mi porta a strappare il cielo a bordo di un aereo, cosa mi manchi quando sono giù, nell'attesa di cosa io viva la mia vita ogni singolo giorno di ogni singola settimana. E allora non importava, se come immaginavo mi avrebbe filmata interpretando nel trasporto ogni canzone in gesti. Se avrebbe bonariamente deriso i miei cori stonati, parlandone con qualunque amico o parente incontrasse. No. Non m'importava perché mi piaceva, per una volta, l'idea di condividere sensazioni con lei. Di girarmi a guardarla dopo un gesto di Dani e dire a lei, invece che alle solite facce, “aaaay, pero qué mono es!”. Per questo avevo accettato che scambiasse il posto con Celine. Eravamo noi due, madre e figlia. Soltanto noi due, lontane dagli altri. E lei avrebbe capito, finalmente. Avrebbe avuto voglia, come me, di ripetere il prima possibile. 

Era anche iniziata per il verso giusto, a dire il vero. Aveva detto “però, ci sono tante signore della mia età”. Aveva detto “è più bello dal vivo”. Aveva detto, anche , che Iñaki García é un pianista eccezionale”. Tre constatazioni consecutive a illuminarmi gli occhi in un “te l'ho detto, io”.  Poi , le profezie funeste di un eccesso di metri tra le sedie in plastica e il palco si sono inesorabilmente compiute. 



Non l'ho piú vista fino alla fine del concerto, mia madre. Il bacio che Dani mi ha lanciato in Pequeño non ho potuto salutarlo esultante, né con lei né con nessuno. Una mandria di ragazzine in esplosione ormonale –diffidare sempre di chi si dipinge DM sulla fronte con il pennarello nero, specie se ci fa seguire un cuore – obbedisce alle aspettative create dal look. Nel giro di mezzo secondo s'accalcano in piedi oltre le prime file. Un delirio di gomitate, transenne da installare,claustrofobia di urla e salti che rimbombano sulle assi di legno. Lo dicevano sempre, che a Málaga il pubblico é passionale. Lo dicevano, che i concerti, qui, non li sanno organizzare mica. Una cosa del genere, peró, proprio non me l'aspettavo. 

Quello che mi stona, a ben vedere, é che ho passato mezzo concerto a litigare con un omone della security. In quell'agglomerato adolescenziale, deve aver scorto in me un volto piú maturo. Ragionevole. Sensato. Sensato, giá. Non imbecille, peró. Mi prende per le spalle. Cerca di trascinarmi al mio posto. Di trascinarci solo me, io che sembro calma solo perché non urlo “guapoooooo, quiero un hijo tuyoooooo” in eccessi di decibel da stordirti le orecchie. Mi spiace, non ci sto. 

“Ascolta, io al mio posto ci tornerei piú che volentieri. Ho pagato, e neanche poco, per un posto seduta in prima fila. Il problema é che tutta questa gente (e se gli chiedi il biglietto te ne accorgerai) ha pagato per un posto in fila 10, 12 o piú giú. Ecco, io non accetto di averli davanti, per cui non penso di schiodarmi finché non se ne vanno loro”

Dopo quattro o cinque ripetizioni dello stesso monologo, il tizio inizia a chiedere i biglietti in giro. Li illumina con la pila. Cerca di ripristinare l'ordine. Ovviamente é inutile, ma almeno mi lascia stare. Mi lascia stare in mezzo a un gruppo di sconosciuti con cui non posso commentare nulla. Dopo che ho fatto piú di duemila kilometri per perdermi almeno quattro o cinque canzoni. 

Il caos si trasforma, intanto, in cori rabbiosi dal centro della pista. Dani Martín ne fa una gag da intercalare alle canzoni. Ma é visibilmente preoccupato, pure lui. “Se pasa mal cuando ves que la gente no está a gusto”. Lui che si accorge che non ci vedo nulla, e si china dal palco a battere sulla spalla di un altro uomo della security, per poi intimargli di spostarsi da lí. 



Lo dirá, il giorno dopo, quando alle porte di un hotel gli spiegheremo finalmente cosa sia accaduto. Lo dirá, che “sinceramente, il posto non era fatto per il repertorio di canzoni che abbiamo portato”. Che non capisce perché l'abbiano fatto suonare in un recinto feriale da concerti rock in piena sbornia all'interno di un tour raccolto nei teatri. Lo ammetterá anche lui, che era organizzato male. 

Ma nel frattempo mia madre...beh, non so se abbia capito. Mia madre, rimasta seduta nel caos generale, non ha visto nulla, ha soltanto sentito. Mia madre si é preoccupata vedendomi discutere con un uomo alto due metri e largo il triplo di me. Ha avvertito i morsi di una specie di claustrofobia che, in quell'occasione almeno, nessuno si sarebbe aspettato potesse accadere. 

Ecco cosa mi stona: mi stona il fatto che, invece di godermi il concerto, questa volta ho passato due ore a preoccuparmi per lei. Il tutto dopo un follow friday letterale a cercare l'albergo in cui avrei finalmente dato al cantante che ammiro il regalo per il suo compleanno. In cui, non trovandolo, mi sarei sentita in colpa di fronte al continuo ripetere della stessa solfa attorno a me.

“E' che se Ilaria gli avesse scritto un messaggio privato su twitter l'avrebbe fatta passare in camerino di sicuro”, “A Ilaria avrebbe permesso di entrare al soundcheck”, “Ilaria avrebbe saputo”, “E' che lui a Ilaria...” . E io che mi sento assurdamente in colpa mentre cerco di spiegare che non ho, né avró mai, la faccia tosta per chiedergli una cosa del genere. Che mi chiedo, addirittura, se forse non abbiano ragione loro e stia sbagliando io. Io che mi rendo conto che, forse, un concerto in un posto in cui hai vissuto non ha soltanto lati positivi. Perché , per esempio, ora mi sembra di star buttando via del tempo. 

Ché Málaga, lo so, mi aspetta fuori. Con la sua allegria frenetica e sempre diversamente festaiola che riempie le strade di terracitas e cervezas sotto un cielo troppo blu. So che la gente, mentre io progetto incontri e strategie al Vialia, sta affollando le strade e i negozi, chiamando a gran voce i ricordi di quei giorni in cui, a casa, non volevo saperne di rientrare. E in qualunque altro posto sarei stata felice, di chiacchierare attorno a un tavolo con persone che non vedevo da mesi. In qualunque altro posto mi sarebbe andata bene cosí. A Málaga, peró...

Ripenso al giorno prima: alle melanzane col miele al tavolo di Pepe y Pepa, alla sabbia della malagueta nelle scarpe da ginnastica, al sole che mi bacia allegro il naso mentre Paseo del Parque dice che gli ero mancata. Málaga é troppo, anche per le speranze di un abbraccio che si spengono ed accendono con la stessa intermittenza di un albero di Natale. 



Prima di prendere quel taxi fuori dall'auditorium, scopro che la giornata aveva dato i suoi frutti, alla fine. Che sí, che non era stato tutto sprecato. Finalmente sapevo il nome dell'albergo, finalmente l'avrei visto, il giorno dopo. E con quella speranza a darmi la forza, con la lieve paura che qualcosa sarebbe andato storto di nuovo, ho pregato in silenzio prima di andare a dormire. E la tempesta, mentre il cielo si annuvolava, paradossalmente era giá passata. Sarebbe andato bene, sí. Bene da morire, una volta di piú. 

domenica 25 marzo 2012

Trailer onomatopeico di un viaggio senza "zzz".

Brumble brumble. Gnam Gnam. Glub glub. Ahahahah. Sigh, sob. Apuff. Driiiiiiin! Smack. Ahora que pequeño sale a caminaaar...Vuelve a tu sitio! Bla bla bla. Grrr. Nooooooo!! Taxiii. Gasp. Wow! Cliccheteclicchete. Rismack. Ahhh (sospiro). Gnam gnam. Mhm. Flash. Sniff.

Nel caso non l'aveste capito, é la cronaca di quest'ultimo viaggio ridotta a pillole di onomatopee. Ché twitter, la capacitá di sintesi, forse me l'ha sviluppata davvero. Insomma, sono tornata. Solo che come sempre, ai miei racconti, di suono ne manca uno. Sí, quello. Sempre lui: zzzzz.


Ecco: ho insultato Ryan Air in venti lingue, stamattina. Compreso l'aramaico antico, che negli intervalli tra le sveglie seminate per casa si incastrava a perfezione. Che, dico io: va bene mettere un volo che ti costringe in aeroporto alle cinque del mattino, ma per farlo proprio quando cambia l'ora un po' sadici bisogna esserlo, dai. Morale: due ore di sonno (non fanno otto neanche sommandole a quelle della notte prima) e fase Rem in aereo. Nello specifico, ho intervallato la promozione dei gratta e vinci o sigarette senza fumo con immagini di foglietti rosa su cui era stata appuntata in disordine tutta – e proprio tutta – la mia attivitá cerebrale. Con acquisti mentali di fantomatici orecchini. Con sirene della polizia che si scoprirono poi essere gli strilli di una bimba iperattiva due sedili piú in lá. Me lo ricordo perché é lei che, nel compenso, mi ha svegliata con frequenza maggiore. La si perdona solo perché é carina. Ma il mio istinto materno affoga nello "smettila subitoooooooooooooo" che volentieri direi.

Lo stile del post é quel che é, perció. Spero non me ne vorrete. Il fatto é che , come sempre, devo raccontarvi di speranze e di euforie. Di mezze delusioni che si trasformano in sogni realizzati. Di abbracci. Di regali. Di baci lanciati dal palco e incontri tra amici in piena stazione. Devo raccontarvi del passato, che in modo sempre piú assurdo sembra essere il legame piú forte col  presente di qualcuno che ammiro.  I vari “Ma tu l'hai mai visto dal vivo?!” , e il “pues vente!” che mi esce dal cuore. Di revival dell'erasmus, persino. Di Teatro Romano, calle Larios , e sabati pomeriggio sonnacchiosi. Dei gambas di Casa Vicente, Le Berenjenas con Miel di Pepa y Pepe, e l'immancabile moscatel del Pimpi. Delle mie scarpe nuove, dell'incanto di fiori e pois. Ma soprattutto dell'unione tra mondi che una volta di piú, con filo sottile, puó riuscire a cucirsi a perfezione solo lí. Magari trasformandosi in una collana.

Perché chi sono, io? Una specie di groupie? Un'amica con cui hai condiviso feste , resacas , affitto e segreti? Una figlia? Una turista? Una comunicatrice? Che cosa? Me lo chiedo e mi accorgo che le definizioni piú autentiche non funzionano mai per esclusioni. E forse, allora, in un certo strano senso, sono un po' Málaga anch'io. 



Málaga: La "mia" cittá, quella che odora di mare, di fritto e di fiori sbocciati . Quella in cui torno, e non mi sembra di essermene, in fondo, mai andata. Quella da cui parto, e giá vorrei tornare. Málaga, giá. Una volta di piú, mi sembra che con l'aereo si sia staccato dal suolo anche un pezzetto del mio cuore.

Ma mentre scarico le foto; mentre rivivo nella mente quell'abbraccio ("gracias guapa") l'assenza di quel “zzz”, vuoi o non vuoi, torna a pesare. Vi chiedo solo pazienza, quindi. Il tempo di un'accumulo di siestas. Poi, ve lo prometto, aggiorneró. 

martedì 20 marzo 2012

Sevilla tiene una cosa...

Cd da comprare alla Fnac (in rigoroso ordine di prioritá): 1) Leiva- Diciembre; 2) Hombres G- En la Playa; 3) Despistaos – Los días contados.



Fisso la lista, una delle tante che faccio ogni volta che sto per partire. E' giá stata un'impresa titanica scremare il superfluo per ridurla a tre voci, ma se poi guardo i miei risparmi litigo di nuovo con me. Insomma, non potrei scalfire una buona volta queste mie assurde paturnie etico-tattiche e scaricarmi le robe come fa la gente normale? Oltrettutto si sa, che Ryan Air non perdona. Quanto saranno tre cd? Un kiletto? Meno? Forse se non compro nient'altro...se proprio mi trattengo...
accidenti a te!

La bilancia, sul pavimento, guarda il borsone verde con discreta aria di sfida. Non che la sveglia sia da meno, d'altro canto. Alle otto. Devo essere a Treviso alle otto, capite? Vuol dire uscire di casa alle sette, vuol dire alzarsi alle...non ci voglio nemmeno pensare. C'é da dire, peró, che solo due cose al mondo riescono a rendermi l'alba allettante: un aereo da prendere e un concerto da vedere. Figurarsi se si fondono dentro ad un viaggio solo.

In valigia c'é tutto, ancora una volta. Il kit perfetto della buona groupie, incastrato a pennello tra i vestiti. La bandiera, scaramantica, sul fondo. Un pacchetto regalo incartato a pois. La sovracopertina patinata di un disco che pesa troppo per portarlo via con me.

Domani si parte. Finalmente, aggiungerei. Se solo penso alla destinazione materiale del mio volo mi viene da cantare un ritmo flamenco: “Sevilla tiene una cosa, que sólo tiene Sevilla...tran, tran!”. Immaginatemi mentre improvviso un arco con le braccia, troppo pigra per muovere anche i piedi.Non riesco a fermarmi, proprio non ci riesco! Aiuto.





Se penso alla destinazione vera, invece, mi si stringe il cuore di ricordi e d'euforia. Ceneró avvolta da atmosfere famigliari, domani. Lontane, eppure sempre dentro me. Sto tornando a Málaga. E, Dio, giá solo dirlo mi fa sentire bene. 

venerdì 16 marzo 2012

Venerdí...colpo di scena al tonno e avocado!

Probabilmente avrete pensato al Gazpacho. In fondo avevo detto che sarebbe stato a tema con la mia prossima destinazione andalusa. Che si consuma freddo. Che é facile da preparare. Beh, vi siete sbagliati, perché questa settimana la ricetta é un'eccezione. Per per una volta non vi parlo di un piatto tipicamente spagnolo. Per una volta, la relazione diretta con Málaga si deve solo ai ricordi del sapore sul palato. L'insalata di tonno e avocado era il must di ogni festa multiculturale in casa. Una miscela d'ingredienti insoliti che é sempre riuscita a conquistare e stupire.

La preparazione non potrebbe essere delle piú facili. Prendete il tonno in scatola. Mescolatelo all'avocado tagliato a pezzetti, e condite con l'aceto balsamico. Il resto, é tutto da assaporare. Ed é pure dietetica, guarda un po' te.



NB: Una variante prevede l'aggiunta di foglie di rucola, ma personalmente non l'ho mai provata. Per una presentazione un po' piú “gourmet” del piatto, potrebbe essere un'idea creativa usare le scorze dell'avocado stesso come contenitore della vostra insalata.

giovedì 15 marzo 2012

Giornate campali, spot polemici e matrimoni estivi.

Giornata intensa, quella di oggi. Dico sul serio, e non soltanto perchè quella che sempre più somiglia a una campagna elettorale é finalmente arrivata alle battute finali. Davvero, mi sento Obama. Yes We Can. Sto addirittura pensando di noleggiare un furgoncino e girare per il quartiere urlando “VOTA ILARIA” in un megafono. Son messa cosí. Ché, capirete: se fossi ultima avrei già lasciato perdere. Invece gli exit poll mi danno al secondo posto, con un punteggio di 120 voti contro i 175 della prima. Divario in diminuzione. E ora capisco perché dicono tutti che quelli del capricorno son competitivi. Modalitá: Monica di Friends. Cioé, non posso mollare. Non adesso. Oltretutto, dai, un concorso di Málaga mica lo puó vincere una di Siviglia! Sarebbe come dire che un concorso di Trieste lo vince uno di Udine. Che uno di Parma lo vince uno di Reggio Emilia. Che... Insomma, é la cittá che me lo chiede. Io lo faccio per lei, mica altro. Mi sto sacrificando, capite? E, nel frattempo, tra Retweets e post in bacheca, ho anche trovato il tempo di farmi la locandina. Eccola, in anteprima per voi. E tu, che stai leggendo allibito chiedendoti quanto la mia pazzia possa essere pericolosa; tu, sí, tu...se non hai ancora contribuito, vedi di darti una mossa, che ho bisogno anche di te! Grazie.

                           https://www.facebook.com/Licor43oficial?sk=app_339578196080591 



Poi lo so, sí lo so, che cosa state pensando: che tanto Dani lo vedró comunque, che mica serve fare tante storie. Che tutto sommato – come continuano a ripetermi un po' tutti – mi basterebbe scrivergli in privato e provare a chiedergli di farmi passare un minuto in camerino. Beh, ribadisco in tre fasi:

  1. Non é per niente detto, come non é detto che mi direbbe di sí.
  2. E' diventata una questione di principio. In fondo anche la prima classificata lo conosce di persona , quindi é una battaglia ad armi pari. Solo che io non ho mai vinto niente e i kilometri , é indubbio, tifano per me.
  3. Io non chiederei mai una cosa del genere a Dani. M A I. Never. Nunca. Neanche sotto tortura o effetto di pesanti droghe. Mettetevela via. A costo di esser presa per la scema del gruppo e passare giorni interi a cercare l'hotel. E' un atto troppo vicino all'abuso. Lui é un musicista: ergo, il suo lavoro é suonare, certo non dar retta a me.

Quindi votatemi, ché non mi resta altro. Ma non é solo per questo – lo dicevo – che oggi é una giornata campale. No. Il fatto é che un ente spagnolo che organizza tour nelle sale di Italia e Francia ha contattato David Otero [el Pescao] su Facebook. Il fatto é che lui ha risposto entusiasta che suonare da noi gli piacerebbe un casino. Il fatto é che...ecco, ora come faccio a concentrarmi, dite un po'? Tutto ció non é un bene per la mia tendenza genetica alla tachicardia. Per niente.

Per provare a calmarmi, ho cercato di approfondire le due notizie di cui piú s'é parlato nella calda Spagna (a proposito, cosa metto in valigia? ) di questi ultimi giorni. Cominciando dal nuovo Spot Loewe. Cioé, é da due piú di 48 ore che non si schioda dai trending topic su twitter, dalla copertina delle riviste e dal soggetto delle voci polemiche. Solo che io l'ho guardato, e giuro che non capisco perché. Insomma, a me sembra una pubblicitá come tante. Né eccessivamente bella né troppo brutta. Nella media, diciamo. Per farla hanno usato attori e artisti giovani piú o meno conosciuti ai piú. I loro tratti somatici possono essere peculiari. Ogni tanto si baciano, ok. Ma...dov'é lo scandalo? Continuo a leggere tutto quel che é stato scritto a riguardo , poi premo play, e mi viene il dubbio che magari ho dimenticato lo spagnolo. Mi sento anche stupida, ve lo confesso (sará per la faccenda dei voti?), peró non ci arrivo. Boh.





In realtá neanche l'altra notizia la capisco poi molto. Cioé, sí, vabbé: Iker Casillas e Sara Carbonara - dico, Carbonero- pare si sposino a breve. E allora tutti lí, a ipotizzare scenari e vestiti. Invece io mi chiedo: che caspita succede ai vips iberici? Davvero, com'é che hanno deciso tutti di contrarre matrimonio quest'anno?! Tutti nello stesso periodo, poi. A Luglio. Col caldo che fa. Mah. Io ve lo dico, secondo me si sono fatti spaventare dalla faccenda dei Maya. Sicuro.



Comunque, niente: non ci riesco, a concentrarmi. Vado a racimolare altri voti, é meglio, che la sivigliana ha giá aumentato il distacco. Vota Ilaria Presidente, meno tasse e piú concerti per tutti! E per rispondere alla domanda di prima, o mio allibito lettore, no: giuro che non sono pericolosa.



lunedì 12 marzo 2012

...Perché mi piace, se clicchi "mi piace".

… A proposito di concorsi: il loro lato positivo, a ben vedere, è che possono testarti le amicizie. Dico sul serio. Sì, insomma, dopo il pressing promozionale con cui difendo le speranze di vittoria , se mi rimarrà qualcuno accanto potrò dirmi fortunata. Santa Pazienza, la vostra. Me ne scuso. A mia discolpa, posso solo aggiungere di averne molta anch'io. Ché per una volta mi impegno sul serio. Giro un video, ci allego un lungo testo spiegando le ragioni per cui sarebbe importante incontrare Dani Martin a Malaga e...zac. Licor43 cambia la modalità di partecipazione. Ora bisogna partecipare con una foto. Ora dipende tutto dal numero di Likes. Dios mio. Va abbastanza da sé: se ci tieni, stressa. Stressa molto. Stressa senza mai mollare.



E' quel che sto facendo, perciò. Lo faccio perchè Málaga é la cittá del mio Erasmus. Perché, se non posso avere un concerto nella mia cittá, lei é quello che piú ci si avvicina. Lo faccio perché, certo: per dargli quel regalo potrei fare come sempre. Potrei cercare di scoprire dove alloggia. Potrei aspettarlo all'uscita. Potrei disperarmi, camminare, sperare. E poi, probabilmente, ottenere quello in cui spero. Solo che l'ho giá detto: a Málaga, ogni volta, ho sempre piú gente da incontrare. E allora se potessi guadagnare tempo, se solo potesse – Dio, se potesse! - essere tutto un po' piú facile... beh, sarebbe meraviglioso. 

Per questo, ora che ho fatto trenta, tanto vale fare anche trentuno. Se amate i miei resoconti “groupieggianti”, aiutatemi a far sí che il prossimo abbia surplus di emozioni. Basta un paio di secondi, non uno di piú. Cliccate qui:


Poi su “Ver Galerías”. Quindi su “concierto Málaga”. E dovrebbe apparirvi, tra le altre, la mia foto. La foto di una confezione di spaghetti barilla con l'aggiunta di un altro pacco sorpresa. Quella che riporto anche qui sotto, per evitarvi ogni sorta di confusione. Una volta trovata, basta cliccarci sú. Basta cliccare, poi, su “apóyale”. 

E mi renderete felice, davvero, da morire. 



venerdì 9 marzo 2012

Venerdí...di conti alla rovescia, Parte I: Ensalada Malagueña

Dodici giorni. Ho partecipato a concorsi, fatto qualche passeggiata via google street view, riletto vecchi post avvolta in spirali di masochismo estremo. Insomma: tutto come da copione. Solo che il problema, quello vero, non sono mai i ricordi. Macché. Nel countdown di ogni mio viaggio a Málaga, quello che sul serio stressa é un rapporto matematico impossibile. Leggesi: quantitá di persone che vorrei vedere vs. i pochi giorni in cui staró via. Lo capirete, con un concerto in mezzo e l'irrinunciabile triangolo gastronomico Pimpi - Pepa y Pepe - Marisquería Vicente, la faccenda si preannuncia questa volta addirittura piú intricata del solito. Ad ogni modo, ho calcolato che se non dormo dovrei rispettare tutti i piani. Compreso quello di abbracciare un tal Dani. O almeno si spera.

Dodici giorni. Dodicesima tappa del mio personale tour. Dovessi seguire uno schema da cabala, di ricette tematiche ne proporrei altrettante . Invece, mi limito a due: una oggi, e una venerdí prossimo, tanto per onorare al meglio la mia attesa. In entrambi i casi, si seguono i piú stretti dettami del cibo pro-festa erasmus. Vale a dire: facile preparazione, consumare freddo, combinazione insolita di sapori a beneficio di stupore degli ospiti. E poi, vista la bella stagione, l'ensalada malagueña direi che ci sta. O no?

Consigliabile come antipasto, se servita in porzioni da mensa universitaria al campus di Teatinos, vi assicuro che puó bastare anche per un pranzo completo. Anche se io ci mangiavo comunque una paella, dietro. In effetti, non riesco a capire come abbia fatto a non ingrassare. Boh.

Comunque...



ENSALADA MALAGUEÑA – INGREDIENTI

Uova
Patate
Arance
Cipolla
Tonno
Olive
Sale grosso
Olio d'oliva
Aceto di vino rosso (in realtá andrebbe usato l'aceto di Jerez, ma vista la difficoltá a reperirlo in Italia va bene anche l'alternativa)


Lessate le patate e cuocete le uova fino a farle diventare sode. Lasciate raffreddare entrambe, tagliatele a pezzettini e mischiatele agli altri ingredienti come per preparare una qualsiasi insalata mista.

NB: Alcune variabili famigliari della ricetta prevedono l'utilizzo del baccalá al posto del tonno e l'aggiunta del peperone verde. Ovviamente quella che ho proposto é solo la versione che piú piace a me, e certo non pretende di essere piú “giusta” dell'altra. Per cui, sentitevi liberi di sperimentare. Qué aproveche!

mercoledì 7 marzo 2012

Serial Writer (nelle attese).

Le settimane cruciali sono noiose. E' un dato di fatto. Una passa la vita a credere che siano i piccoli gesti, a poterla cambiare. E dopo sottovaluta le attese.  Ah, che belli i momenti concreti, quelli col sapore inconfondibile d'inizio. Spedire una lettera. Fare un colloquio di lavoro. Dire ad un ragazzo che ti piace... sono così pieni! Così frenetici! Così dannatamente facili da descrivere! 

Solo che, prima del responso, c'è sempre questo lasso temporale da inghiottire. Molto più breve nell'ultimo caso, è ovvio, anche se non per questo meno simile a tortura. Un limbo di nulla, in cui – a dirla tutta – proprio non sai che fare. Noia, noia, noia. Inutile, ho sempre pensato alle attese come ai seggiolini grigi e bucherellati dei terminal aeroportuali. Il che, in effetti, calza a pennello, visto che gli aeroporti sono il luogo dove meglio scrivo. 



Sì, perché il punto è questo: ho richiesto due borse di studio . Mi hanno contattata per un posto interessante, e mentre aspetto il responso, scrivere é la sola cosa che mi vada di fare. Peccato che l'ispirazione, come sempre, abbia il jet lag. Arriva nel cuore della notte. Mi sveglia di prima mattina. Litiga col sonno e s'infila nei sogni, come se davvero pensasse che la mia forza di volontà mi porti a aprire gli occhi e accendere il pc. Ah. Ah. Ah. Povera illusa. E dire che dovrebbe conoscermi, ormai. 

Come, in effetti, io dovrei conoscere lei. Oh, Dio. Non ci provo nemmeno, a descrivervi le mie sensazioni. L'intensità sfugge ai confini delle lettere. L'attività paranormale del cervello, é cosa nota  (temo) solo agli iperattivi delle idee. Sfugge al mio controllo. Al nostro. Vuole a tutti i costi comandare lei. Ma mi rifiuto, questa volta, sì. Questa volta non voglio lasciar tutto a metà. 

Vedete, anche se detto così fa un po' schifo, ho come un nido di larve nel cervello. Larve di storie, di pensieri, di racconti. Incipit di vita quotidiana che derivano presto dentro all'immaginazione. Solo che poi non sanno dove andare a parare. Non sono articoli, stavolta. E tantomeno tweet o scritti per il blog. So solo questo. Il resto é un contorno troppo labile per essere colto dalle mie poche diottrie. 

E' tanto che non la provo, questa sensazione, in realtà. Non con un'intensità simile, almeno. L'ultima volta, lo ricordo, ero a Bologna. Posseduta dalla trama di un romanzo tanto da dimenticare cos'era la vita vera. Camminavo per le vie del centro, passandone in rassegna volti e nomi. Appuntavo tic, frammenti di conversazioni a me estranee, volti di passanti sconosciuti: tutto per inserli tra le pagine di un libro. Ero un'aspirapolvere. Letteralmente, aspirapolvere umana. Il furgoncino della carne, il nome della ditta. Entrare in un hotel fingendo indifferenza solo per registrarne i particolari della hall. Perché sembrasse più credibile la scena che lì avevo deciso di ambientare. Ricordo, addirittura, di esser stata sveglia fino alle tre del mattino a disegnare una tabella con gli spostamenti dei personaggi principali nell'arco dei sette giorni delle indagini. Sì, perchè il romanzo in questione prevedeva un giallo. Prevedeva intrecci complicati. Ed era necessario, allora, confermare gli alibi. Verificare i moventi. Non lasciare al lettore neanche la parvenza di un “ti sei sbagliata, qui”. E poi avevo scaricato una piantina da google. Studiato gli incroci e i sensi unici, per verificare la possibilità di un incidente stradale. In ogni momento – fossi sull'autobus, in bagno, oppure all'università – se mi veniva in mente qualcosa da scrivere, prendevo un foglio e lo facevo. Subito, con un'avidità paranormale. Come se nient'altro (e proprio nient'altro!) avesse importanza, in realtà. 



Quella cosa mi consumava dentro, proprio come adesso, o forse appena un po' di più. Poi, quelle larve, si erano trasformate in farfalle. Avevano iniziato a prender vita su carta. Le avevo assemblate assieme. Un capitolo, due. La cosa veramente strana é che, per la prima volta in tutta la mia vita, scrivevo in prima persona fingendomi un ragazzo. Marco, si chiamava, ché la fantasia l'avevo già sprecata altrove. Ed era Marco, a conti fatti, che scriveva. Non io. Lo so perchè le dita andavano da sole, inconsapevoli, senza che i miei pensieri riuscissero a starci dietro. Scriveva Marco perchè non mi sono mai spiegata, rileggendo dopo anni, come potesse essere tutto così credibile pur essendo lontano anni luce da me. Oggettivamente stava venendo proprio bene, quel libro. 

Un giorno, però, di punto in bianco, Marco se n'era andato (valgami l'involontaria citazione pausiniana) . Mi aveva piantata in asso. Così, senza dire una parola. Non riuscivo – non sono mai più riuscita – ad essere credibile nelle sue veci. Ad andare avanti. Ad appassionarmi a quella dannatissima tabella costruita con tanto di colori. 

Ho mollato all'inizio un romanzo dalla trama avvincente che, nella mia testa, era già scritto da un bel po'. Per cui, adesso sto risentendo quel formicolio tra le mie idee. Lo stesso di quella volta. Ma , anche se vado contro la mia natura, in fondo non ho intenzione di ascoltare. Perchè, accidenti? Perchè dovrei lasciarmi consumare da un impulso creativo se poi so che, un bel giorno, se ne andrà? Io non sopporto l'idea di lasciare le cose a metà. Non l'ho mai sopportata. Eppure c'è Marco, c'è la tizia dai capelli rosso mogano, c'è un'infinità di gente che è rimasta irrisolta sulla carta a causa mia. Per quanto sembri assurdo, io ce li ho sulla coscienza come fossero persone vere. Per cui, no. Non farò fare la stessa fine a qualcun altro. Non ho intenzione (avete sentito, lì dentro?! Non ho intenzione!) di sentirmici in colpa di nuovo. 

Le attese saranno anche noiose. Ma il bello è che finiscono, dopo un po'. 

domenica 4 marzo 2012

Dovuta postilla agli "#italospagnolismi all'Ariston": Sergio Dalma parla dell'esperienza sanremese a TVE

Capita, a volte, di accendere la tivú nel piú opportuno dei momenti. Tve internacional. Galá volto alla scelta del brano di Pastora Soler che rappresenterá la Spagna al prossimo Eurofestival. Ad essere sinceri, non certo qualcosa che, in altre circostanze, sarebbe stata in grado di risvegliarmi attenzione. Eppure, adesso sullo schermo c'é Dalma. A intervistarlo, una Anne Igartiburu fasciata in un look improponibile. “Deve aver comprato i vestiti al Mercadona”, commentavano su twitter pochi istanti prima. E forse é proprio perché rido alla battuta se decido di sottrarre allo zapping qualche minutino in piú.




Ricordate? Analizzavo, tempo addietro, gli italospagnolismi all'Ariston. Ed é piuttosto ovvio che, davanti ai giornalisti nostrani, un ospite parli bene del Paese in cui si trova. Solo che adesso, per la televisione spagnola, al “bell'omino” del duetto con Renga chiedono dell'esperienza. Territorio neutrale. Anzi, meglio: territorio a lui amico. E', in pratica, il secondo capitolo di un post che ho giá scritto. La conclusione perfetta. I due Paesi che m'intitolano il blog di nuovo fusi dentro ad una stessa frase. Quello che Sergio Dalma ha detto, lo potete ascoltare in questo video. Cliccate play, trascinate il cursore fino al minuto 55.23. Et voilá. Se invece siete pigri, avete una connessione lenta, o – semplicemente – non capite lo spagnolo...beh, don't worry. Io di tempo ne avevo, cosí ho trascritto il dialogo per voi.

- Com'é stato cantare a Sanremo? Raccontami! Perché un grande momento come quello, davanti agli italiani, in un festival - per chi di voi lo conoscesse- dove non é che puó andare a cantare chiunque che non sia italiano...?

- No, la realtá é che é un festival ..per fortuna come quello di Viña del Mar, ma Sanremo é un festival che, pensa te, lo guardano niente popó di meno che 17 milioni di persone . E il fatto di andare a cantare su quel palco, tra l'altro in una serata che é stata magica perché c'era Brian May, c'era Noa, c'era Al Jarreau...e abbiamo cantato agli italiani quelle versioni di El Mundo y Bella sin Alma in spagnolo ed é stata una serata...puff, per me era un sogno, sin da piccolo, quello di calcare il palco del teatro Ariston. E' stata un'esperienza bellissima e, senti, so che ci stanno guardando anche da internet e attraverso il canale internazionale, per cui voglio salutare tutta la gente dell'Italia che ci ha accolti benissimo.

Che dire? Come italiana innamorata della Spagna, mi fa sempre piacere ascoltare e capire (pur magari senza condividerle) le sensazioni di un mio omologo opposto. Se Dalma avesse un blog, probabilmente in alto a destra scriverebbe : “avvertenza: questo blog é filo-italico”. Per cui, beh, non posso che rallegrarmi per questo suo sogno realizzato. E, mettendo con questo il punto e a capo alla scorsa edizione di Sanremo, condividere la sua interpretazione di Yo no te pido la Luna. 



venerdì 2 marzo 2012

I 10 motivi per ...andare all'estero.


Pochi giorni fa, un blogger espatriato in Belgio sceglieva di andare controcorrente. O, almeno, di mettere in guardia. "Tutti a parlare di Brain Drain" – diceva- tutti a dirci di scappare. Naaa. Dal canto suo, lui stilava un decalogo. “I dieci motivi per non andare all'estero”. Cioé, quelli che io ridurrei in sintesi al pane fatto in casa di mia madre, il basso costo della mozzarella, e la nostalgia quando arriva Natale. Traumatico e scioccante giá dal titolo, quindi, se passi le giornate a cercarti una via di fuga. Cosí l'ho letto. Scettica, ma in fondo speranzosa di trovarci dentro un'ancora per questa mia inquietudine. Ebbene, non é successo. Anzi, piuttosto é successo il contrario. Ché io forse sono un caso clinico, va bene, ma ognuno di quei punti m'ha fatto venire ancor piú voglia di Spagna. Di Spagna definitiva, intendo. O quantomeno prolungata, mica una vacanzina qua é lá. Voglia del posto in cui "poggio il cappello". In cui ho costruito i miei momenti felici. Del posto ove non ho radici , e che peró , in certo qualmodo, riesce pur sempre ad essermi casa.



Perció ho voluto rispondere, a quei dieci punti. Uno per uno. Senza astio né polemica. Senza antipatriottismo, senza bisogno di difendermi da me. Cosí, solo per dimostrare la relativitá stessa delle etichette opposte di pro e contro. Solo per capire se sarei davvero pronta a rifarlo di nuovo. Per sottoporvi, qui di seguito, un dialogo fittizio di opposte visioni. Buona lettura, allora, esterofili e non.



1. Lalingua. Altrove si parla un'altra lingua, che per quanto possiate parlare (o credere di parlare) bene, rimane comunque una lingua straniera. Se vi sentite pronti ad affrontare i primi colloqui o le prime avventure tra accenti maldestri e verbi mal coniugati, provate a pensarvi la prima settimana in un ospedale, perché qualcosa del genere può sempre succedere nelle coincidenze incaute della vita, e pensate a dover descrivere le parti del corpo che vi fanno male (quelle per cui non è facile risolvere tutto in un qui,,questa cosa) o i sintomi (vi brucia? vi preme? vi tira?). Certo oggi è tutto più facile, ma bisogna anche avere fortuna, siete pronti?

Ci sará un motivo, dico io, se amo cosí tanto giocare a Taboo. Adoro le sfide. Adoro mettermi alla prova. E adoro le perifrasi, persino. Non solo, ma ho imparato che é nelle circostanze estreme che riesco a dare – anche linguisticamente - il meglio di me. In effetti, sono anche piuttosto brava, a Taboo. Per cui, no: l'eventualitá di non sapere come descrivere un malessere non é un ostacolo sufficiente a fermarmi. Per niente. Tra l'altro, se sono in grado di parlare per spiegare di che si tratta, sono anche in grado di fare una telefonata. Non siamo (piú) le isole di cui parlava J.Donne: un amico madrelingua o un parente con internet a portata di mano ce l'abbiamo tutti, mi pare.

2. Lo shock culturale. Un altro paese è un altro paese, altri modi di fare, di essere, di vivere, e questi modi vi potrebbero sembrare tutti sbagliati, vittime dello shock culturale , quando si perdono i punti di riferimento e dopo un periodo estasiante da foglio bianco dovuto al cambio, vi potreste ritrovare in un umori grigi tra rifiuti e lamenti, rigettando il diverso che vi circonda all'estero. Ci vuole comprensione, autocritica e voglia di capire. Pronti?

Sbagliati?! Innanzitutto, se é questa la definizione che ti viene in mente di fronte a un modo di vivere diverso dal tuo, di sbagliato c'é solo chi ti guarda allo specchio. Puó essere strano. A volte snervante. Ma mai, assolutamente mai puó essere sbagliato. Se solo lo pensi, allora é davvero il caso che tu te ne torni a casa. Restaci, anche, per favore. Il senso di superioritá fa solo danni, ed é purtroppo, in molti campi, un nostro grande peccato nazionale. Quanto a me, beh...non mentiró: é abbastanza impossibile, all'inizio, non spazientirsi mai di fronte al ritardo cronico degli andalusi. Alla loro slow life, cosí distinta dalla frenesia del nord italia. A quel “no pasa nada” ripetuto come un mantra, di fronte a qualunque tipo di problema. Poi, peró, finisce che ti adatti. In fondo basta sapere che , se ti dicono, “ci vediamo alle quattro”, vi vedrete probabilmente alle 16.30. Basta non spaventarsi se, chiedendo indicazioni, ti dicono che un luogo “é lontanissimo da raggiungere a piedi”. Potrebbero volerci, in realtá, soltanto 15 minuti. Basta guardare dall'esterno, soprattutto, che é poi il grande vantaggio che l'essere emigranti dá. Finisce che le apprezzi, quelle abitudini, allora. Ché io guardo il modo di vivere degli Andalusi e penso che, cacchio, i cretini siamo noi. Perché loro, se t'incrociano per strada, ti sorridono. Anche senza conoscerti. Perché loro, nei bar, si mostrano affabili. Perché non corrono, si godono la vita. E, davanti al muso imbronciato di un milanese tipo, non riesco piú a capire perché noi ci ostiniamo a stressarci cosí.



 3. Le reti sociali. E non quelle virtuali, ma di amicizie e conoscenze reali. In un paese straniero le reti sociali sono da ricostruire totalmente e se non si hanno già degli amici sul posto,non sempre è facilissimo crearsi un proprio gruppo, soprattutto con i locali, già impegnati nelle proprie reti sociali come voi lo sareste in patria, o con i colleghi, spesso non coetanei e magari restii a rapporti extra-lavorativi. Corsi di lingua, vita mondana, coincidenze, possono aiutare, con un po' di fortuna, pazienza, voglia di conoscere. Siete pronti?

Ma quanto puó essere bello ricostruirsi da zero una rete sociale? Ne vogliamo parlare? Dimenticare i propri trascorsi, iniziare ad assommare tasselli di carattere ad un volto nuovo, ritrovare in se stessi una persona interessante a tramite di sguardi altrui. Gli amici di sempre, poi...beh, siamo nel ventunesimo secolo, ragazzi! Per loro, ci sono sempre skype e compagnie low cost.

 4. Il tuo paese, visto da fuori. Uscire e vedersi da fuori non è semplice e non sempre l'effetto fa piacere. Sgretolare convinzioni secolari, punti fermi figli di educazione nazionale o propaganda unilaterale, può lasciare un senso di smarrimento ma anche difesa, avendo l'impressione che un attacco, una critica o un commento non siano diretti al paese ma a voi. Ci saranno differenze tra il paese reale e quello percepito e non reagire sempre a spada tratta non è facile. Siete pronti a voler conoscere un altro paese, il vostro?


 5. Gli stereotipi. Ritrovarsi a rappresentare l'Italia tutta, tu, in una sola persona, in conversazioni o rapporti con stranieri, significa anche avere una certa responsabilità, nel confermare o contraddire gli stereotipi  con cui gli italiani sono visti dagli occhi altrui e diventare una finestra su un paese che attraverso voi non sarà sicuramente pizza, sole e mandolino, ma non sarà neanche quello reale, perché voi non siete l'Italia tutta né probabilmente la conoscete tutta , voi siete voi, solo che gli altri spesso non lo sanno e vi confondono con un italiano. Siete pronti anche voi a muovere la testa e non solo il corpo?

Non ho mai percepito le critiche al mio Paese come attacchi personali, forse perché sono sempre stata io la prima ( e spesso l'unica ) a farlo. All'estero, vedo gli italiani da fuori e generalmente scorgo gente che dá troppa importanza alle apparenze. A come uno si veste, ai locali che uno frequenta. Gli italiani, in un ambiente multiculturale festivo, sono obiettivamente gli unici che, invece di pensare a divertirsi, stanno in disparte a criticare gli altri. Guarda quella com'é grassa, guarda l'altra come s'é conciata, e via dicendo. Gli italiani sono gli unici che, quando ordinano qualcosa al ristorante, chiedono il piatto “ma per favore senza quell'ingrediente”, “e magari con l'aggiunta di quell'altro ingrediente”, Gli unici che,in discoteca, aspettano che in pista ci sia giá qualcun altro prima di mettersi a ballare. Invece, checché alcuni pensino, in Spagna ci amano parecchio. O forse é stata solo la mia esperienza ad essere particolarmente fortunata, non lo so. Ma resta il fatto che, mentre io criticavo alcuni atteggiamenti di cui – finché non emigri – non t'accorgi, i miei amici locali lodavano le nostre cittá. Le nostre spiagge. La nostra storia. Per le spagnole, poi, quello dell'uomo italiano é un mito ancora piuttosto radicato: dicono che i nostri connazionali siano bellissimi, spiritosi, molto sexy.

Se poi parliamo di critiche a livello politico o sportivo, beh...quelli son fatti di attualitá di cui discutere puó essere anche bello. Ma sono confronti, mai accuse. E sono parte integrante della bellezza di uno scambio culturale.

6. Il lamento. Potreste trasformarvi in un lamento continuo, perché il clima non è ideale, perché i trasporti non sono come immaginati, perché il lavoro è un compromesso, perché il cibo non vi piace, perché non c'è mamma a cucinarvi e perché fuori anche le piccole cose, quelle una volta etichettate come insignificanti, possono avere un peso nella bilancia quotidiana quando si rompono gli schemi e con essi le abitudini e bisogna ricostruire un po' tutto. E se il lamento non viene da voi, potrebbe venire da vostri connazionali all'estero. Ci vuole resistenza, pazienza e serenità. Pronti?

Mai stata un lamento continuo, in Spagna. Nemmeno nei momenti succitati di nostalgia natalizia. Mai. Piuttosto, ero un concentrato di entusiasmo che qui non riesco – almeno, non in quel modo – ad essere piú. Non so di che si parli, penso dipenda tutto da quanto uno adori la propria destinazione.

 7. I ritorni a casa. Tornando a casa ci sarà una voce che prima non esisteva nella testa, quella del confronto. Tutto sarà un confronto, nuovo, perché finalmente si ha un termine di paragone. I ritorni a casa, insomma, non saranno mai più gli stessi, rimettendo in discussione molto di quello che precedentemente rappresentava il vostro intorno abituale in un equilibrio oramai rotto. E le vacanze non saranno mai vacanze. Pronti a non sentirvi a vostro agio a casa?

Ecco, questo sí che é un motivo valido per non partire, invece. La depressione post-eramus, il mal di Spagna, non lo raccomanderei nemmeno al mio peggior nemico. Dopo tre anni, non sono ancora riuscita ad essere la persona che ero prima di partire. Non sono piú riuscita ad integrarmi del tutto nel mio gruppo di amici. Il gap di interessi e tipo di vita che si viene a creare tra ció che hai lasciato e ció che hai trovato é talmente incolmabile da essere letale. Se non fossi mai andata via, oggi non sari cosí disadattata nella mia perenne nostalgia. Peró, altrettanto ugualmente, oggi sarei meno ricca dentro. Cucinerei peggio. Avrei meno spirito d'adattamento, sarei meno indipendente e vorse non viaggerei cosí spesso da sola. Il che, senza dubbio, farebbe di me una persona peggiore.



 8. I commenti. Diventare  italiano all'estero significa anche portarsi dietro una certa lista di etichette, a cui bene o male ci si può abituare con risposte pronte o spallucce veloci. Ci sarà sempre il genio di turno a commentarvi come vigliacco, perché è facile partire e lasciare tutto, è facile criticare il proprio paese da fuori, perché (d'improvviso) non si conosce più il paese non vivendoci realmente o a denigrare il paese da cui venite ed una  qualitá di vita che non può, in nessun modo, essere superiore a quella italiana. E tante altre storielle che ritroverete puntualmente tra ritorni e chat. Sinceramente, chi ve lo fa fare?

Proprio poco fa ho letto sui social networks un commento in cui si diceva che chi vuole andar via é uno sfigato, perché non apprezza ció che ha. Puó essere. Ma continuo a mettere su di una bilancia la mia vita di qui e quella che avevo (o che potrei riavere) nella mia seconda patria. E, per quanto dirlo mi dispiaccia, vi giuro che non regge il paragone. A legarmi a questo posto c'é la famiglia, che é moltissimo, ma non c'é nient'altro. Potrei dire gli amici, ma avendo viaggiato tanto i miei amici – quelli veri – sono sparsi per l'Italia e per il mondo. Qui, nella cittá in cui vivo, me ne sono rimasti pochi. E peraltro, tra una cosa e l'altra, finisce che non ci si vede quasi mai. Tra l'altro, a livello puramente numerico, forse ne ho addirittura piú in Spagna che qui. E poi, cos'ha da offrirmi, obiettivamente, questo posto? Contratti a tempo determinato, stage gratuiti con un rimborso spese di trecento euro al mese, affitti esagerati, un albo obsoleto e anacronistico che mi impedisce di esercitare la professione per cui mi sono laureata. Ora la Spagna non é l'esempio migliore in questo senso, lo so. Ed é per questo che ripongo ogni speranza nelle borse di studio. Ma, in generale, per che motivo uno non dovrebbe aspirare ad avere di piú?

Mollare tutto e andarsene é fare un salto nel vuoto. Non riesco a capire come un salto nel vuota possa non essere visto come coraggio, anziché codardia.

 9. Le mancanze. Ci sarà sempre quel momento, quello in cui manca una piazza, una panchina, il sorriso di un amico, la carezza della famiglia o il piatto della nonna, è il problema dell'emigrante e con esso la voglia di ritornare, il rimorso di non aver fatto quello anziché questo. E ancora, ci sarà la mancanza di quel passato comunedi voi verso gli altri e viceversa, quello che solo una cultura comune può costruire e che non troverete in amici stranieri e potrebbe portare rapporti sociali non più lontano di un certo limite. Ve la sentite?

La nostalgia é una convivenza necessaria. Ma anche lo stato d'animo che meglio ti ricorda quanto tu sia stata felice. E, per riflesso, quanto tu in fondo possa esserlo ancora. La nostalgia é sensazione agrodolce di ferite ovattate. Terribile a tratti. Peró, non so voi: io la preferisco al rimorso per non aver cercato la mia strada.

10. Il limbo. Partire é un po' morire, dicono, e infatti qualcosa muore mentre altro nasce. Partire significa perdere qualcosa della propria nazionalità e guadagnarne un'altra, di cosa, che non ha nazionalità, o le ha tutte. Diventare uno straniero ovunque può però avere effetti collaterali, come non sentir nessun luogo proprio, sentirsi a disagio nell'intorno natio o cadere nella voglia di voler cambiar luogo ogni anno, continuamente, alla ricerca di se stessi quando il signor Se stessi è con voi, basta solo fermarsi ed ascoltarlo. Sicuri di voler iniziare?

Amen. Non c'é veritá piú assoluta di questa. Io amo essere una cittadina del mondo, peró. E allora sí...credo che il verdetto sia arrivato. Credo che mi piacerebbe proprio, ri-cominciare.