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giovedì 26 giugno 2014

Il morso di Suárez e la creatività dei social media

Siccome ride bene chi ride ultimo (ma anche chi ride e basta, se è per quello)  l'Italia ha seguito la Spagna nel suo triste destino mondiale. Ad eliminarci è stata la partita contro l'Uruguay, che - se non fosse intervenuta tutta una serie di effetti speciali- di per sè sarebbe stata avvincente quanto un inseguimento tra lumache. Poi, peró, é arrivato Suárez. E i community manager di tutto il mondo sono andati in brodo di giuggiole. Letteralmente. L'ormai celeberrimo morso a Chiellini li ha portati a dare il meglio di sé, ricordandomi perché non é poi cosí brutto fare della pubblicità sui social. Creativi, ironici e dannatamente sul pezzo, hanno sfruttato vicenda e trending topic per far parlare il web dei loro brand. Il risultato é stata una carrellata di assolute genialità davanti a cui non posso fare a meno di inchinarmi. Come conseguenza del mio entusiasmo (e nonostante l'abbiano ormai fatto in tanti) ho scelto di condividere le migliori con voi. Votazione della preferita richiedesi.

1. MAC DONALD'S URUGUAY - I pionieri. 


2. SNICKERS: piú appetitoso degli italiani. 


3. LISTERINE - L'importanza dell'igiene orale



4. BIRRA MORETTI - Non ci resta che berci sú. 



4. Fox Italia - The Walking Dead.


5. Panini - Le figurine dei Mondiali. 



5. Barilla - Premio Creativitá moltiplicato 3. (Del resto, la loro campagna di real time marketing #CalcioBarilla è di per sè geniale già solo per il gioco di parole nell'hashtag)






Di votare la vostra preferita l'ho già detto, vero? Se poi ne avete notate altre, in giro per il web, segnalatemele! Ché, nel caso non si fosse capito, io con 'ste robe mi ci diverto molto assaje. 

martedì 4 febbraio 2014

#GilipollasNO: la campagna per la tutela delle professioni creative arriva anche in Spagna

Se frequentate anche sporadicamente i social network vi sarete senz'altro imbattuti in uno dei video della campagna #coglioneNo. L'hanno ideata Stefano De Marchi, Nicola Falsetti e Alessandro Grespan, tre ragazzi italiani che assieme formano la giovane agenzia ZERO.  Il loro obiettivo era quello di sensibilizzare in merito al rispetto delle professioni creative, diffondendo in rete alcuni brevi filmati in cui situazioni apparentemente surreali e tragicomiche ci spingono a riflettere su una situazione a cui molti di noi sono ormai tristemente abituati. 

Io, per lo meno, l'ho vissuta in più occasioni, sia direttamente che come spettatrice del giusto sdegno di persone a me care. Il punto è che al tuo idraulico non diresti mai “non ti pago per avermi aggiustato il water, ma ti do visibilità”. O magari "fa curriculum". Con i servigi di un freelance, però, sembra normale farlo. Di questa mentalità assurda soffrono pubblicitari, copywriter, autori di articoli su riviste e periodici online (che in molti casi si meriterebbero l'appellativo di “giornalista” molto più di certi professionisti iscritti all'albo), ballerini, fotografi, musicisti, artisti e chi più ne ha più ne metta. 

Il problema, a quanto pare, non è limitato ai nostri confini nazionali. Mera consolazione, lo so. Ma il fatto che la campagna di ZERO, adesso, si stia diffondendo anche in Spagna mi fa quantomeno sentire ancora più vicina all'altro dei miei due Paesi. In qualità di blogger italo- spagnola, i video non potevo che proporveli sottotitolati (se non dovessero apparirvi i sottotitoli in automatico, potete attivarli - dopo aver cliccato play - tramite l'icona apposita in basso a destra sotto i filmati, quella accanto all'orologio). 

Per tutti gli itañoli che dicono “creativo sí, #GilipollasNo”. 





sabato 1 febbraio 2014

Ufficio nuovo, vita nuova?

L'apertura di un nuovo ufficio comporta sensibili modifiche alla propria routine. Tanto per dirne una, il suono più fastidioso del mondo (altrimenti noto come sveglia) ti si infila nelle orecchie almeno un quarto d'ora prima. Come conseguenza, ti tocca interagire con altri esseri umani nel limbo di assoluta incoscienza che precede il primo caffè. Del tipo che:  

- Buongiorno!
- mmmh- mmh- sgrunt
- Vuoi del latte?
- trbnznie o nt. 
- Dormito bene? 
- grunt sgnt brr gne. 

È tragico, credetemi, se nella testa hai solo frammenti disordinati di canzoni e scene provenienti da recenti visioni in fase REM. Soprattutto, quando smetti di lavorare da casa, il pigiama inizia misteriosamente a non essere più contemplato come mise professionale. Si richiede anche l'utilizzo di un pettine, e magari giusto giusto quel filo di trucco necessario a non sembrare una versione imbruttita del Gollum.



Ma, nonostante tutto, il cambiamento mi piace. Molto. Sì, insomma, ne ricavi pause pranzo passate a chiacchierare di musica. Vecchine con la suoneria di Miley Cyrus che ti inducono a scriverti in testa tutt'un raccontone fatto di nipoti bimbeminkia che insegnano alla nonna a usare il cellulare. Scena tenerissima, peraltro. L'interminabile scelta di dolcetti squisiti al bar dall'altro lato della strada, che ti rende evidente sin dal primo giorno l'ineluttabilità del fatto che ingrasserai di almeno 10 kili entro l'estate. Cosa su cui, del resto, sembra essere d'accordo anche il biscottino della fortuna che ho appena aperto, al cui interno mi aspettava la domanda: “forse un bambino in vista?”. Mi son toccata la pancia e ho bisbigliato “no, è il cestino al cioccolato, non ti preoccupare”. 



E poi ci sono i momenti epici. Quelli che ti indurrebbero ad urlare “come sono fortunata!”, facendoti scordare per un attimo l'assenza di stipendi a sei cifre, monolocali vista mare, jet privati,  fidanzati perfetti e preferibilmente musicisti, futuri da autrice di best seller e tutte le declinazioni modestissime e per nulla ambiziose della vita in Spagna che sognavi. 

Tali momenti consistono, in realtà, di gesti semplici. Tipo entrare trafelata e fradicia dopo una camminata sotto il diluvio universale e trovare una Fiesta al caffè sul tuo pc. O vedersi regalare la tazza su cui si può scrivere che pensavi di comprarti almeno dal duemiladieci. Ancora, sapere di poter contare su qualcuno che ti ricordi che il tuo orario finirebbe alle cinque, tutelandoti così dal proseguire a oltranza come tendi a fare da casa. Chè affidarmi la gestione di un account Pinterest è stato un po' come chiedere a un tossicodipendente di essere pagato per testare la qualità di vari tipi di eroina. 



La principale controindicazione dell'avere un ufficio mio, tuttavia, sta nel fatto che tutte le mie energie creative sono state improvvisamente assoribite dalla personalizzazione dell'ambiente. Dico sul serio. Una smania decorativa del genere non mi prendeva dai tempi ormai lontani degli appartamenti studenteschi. Ovviamente, ho creato una bacheca Pinterest apposita. Ma, mentre la riempio, non posso non chiedermi come cacchio facessi ad essere così prolifica nella scrittura durante i miei numerosi traslochi universitari. Insomma, già sono in piena fase “una volta ero più simpatica, brillante e talentuosa, soffro il logorio del tempo e della vita moderna, datemi un Cinar, Carciofon, chissà perchè Elio è stato uno dei miei primi follower su Twitter”, capirete che la faccenda mi deprima non poco. Perchè, adesso come adesso, riesco solo a stilare liste di cose assolutamente necessarie per svolgere al meglio la mia attività di Community Manager e Strategic qualcosa. Ovvero, nello specifico: 


  • Uno stock inesauribile di post it
  • Un tappeto del colore aziendale
  • Delle mensole su cui collocare il mio libro al fine di bullarmene con chiunque entri
  • Un'intera parete fatta a lavagna (così, giusto per abbinarla alla tazza su cui si scrive)
  • Dei cuscini con cui decorare quelle bellissime poltroncine bianche
  • Un ferma- cavi a forma di bucolica piantina
  • Dei magneti di rimando social da attaccare al frigo
  • Un asciugamani (sempre del colore aziendale) 
  • Un po' di provviste, ché non si sa mai
  • Uno spazzolino (del colore aziendale) 
  • Un cartello spiritosissimo a caso da appendere da qualche parte altrettanto a caso
  • Le tariffe dello psicologo accanto, perchè mi sa che ne avrò bisogno a breve. 


E buon lavoro a me. 

giovedì 12 settembre 2013

Spazio segnalazioni

C'é questo blog, o sito, o come vogliate chiamarlo. Si chiama "Pop And Roll Arts", e ogni volta che lo apro mi torna in mente quella scritta su parete piastrellata che credo di aver giá condiviso tempo fa. A beneficio dei distratti (o di un mio errore) recitava: "Earth without Art is just Eh". Per quanto mi riguarda, la sintesi perfetta di un dogma universale. 

É di questo che parla, quello spazio su Tumblr. Di arte, in tutti i suoi aspetti. Dalla street art agli interventi architettonici; dalla scrittura creativa ai mimi di strada; dalla musica alla moda, passando per quelle piccole sorprese del quotidiano che, uscendo dall'ordinario in chiave - quasi sempre - estetica, sorprendono di qualche emozione. 




Ma la cosa migliore é la sua dimensione social. Il fatto che le immagini, gli spunti, e i video che lí trovate sono quelli che manda la gente. Via instagram, mail, magari whatsapp. Non importa. Quel che davvero conta é esserci. Condividere un po' di bellezza e di vita con chiunque abbia voglia di soffermarsi a guardare.



Il risultato é che in uno stesso spazio virtuale si concentrano contributi di personaggi noti (i nomi non ve li svelo: il bello é scorrere con il mouse per ritrovarseli da sé) e perfetti sconosciuti; di scrittori e di lettori; di musicisti e di ascoltatori; di pittori, designer oppure semplici osservatori con uno smartphone in mano. Il tutto in un formato che incentiva la fruizione mordi e fuggi - ahimé- tristemente tipica del web. 

Se ve ne parlo, oggi, é per tre ragioni almeno. 
La prima é che "Pop and Roll Arts" é davvero una delle scoperte piú interessanti che io abbia fatto ultimamente in rete. E ormai sapete che quando mi entusiasmo non sono capace di tenermelo per me. 
La seconda é che, per strane coincidenze del Destino, l'italianissima idea che ha portato a realizzarlo ha avuto origine in terra spagnola. Piú precisamente (guarda un po'!) durante un viaggio da Tarifa a Málaga. 
La terza é che da qualche giorno ci trovate anche qualche mia foto. E, con essa, un ulteriore pizzico di Spagna in piú. 

Buona visione!

sabato 29 giugno 2013

Una mente malata.


Situazione: due sdraio posizionate sotto il sole. Due persone. Un iPod. 

- Guarda che ti son cadute le cuffie per terra. 
- Ah, grazie. 
- ...che poi te le rimetti sú e ti trovi i quadrifogli nelle orecchie. UUUUHHHH! 



Con uno scatto felino, la ragazza col costume rosso si mette seduta. I movimenti affrettati di una nevrotica, inizia a sondare con affanno nel contenuto di una piccola borsa bianca. Poi, finalmente, trova il cellulare. Lo afferra. Sospira di sollievo.

- Oh, che succede? 
- I quadrifogli nelle orecchie! E' un'immagine bellissima! Me la devo segnare AS-SO-LU-TA-MEN-TE!
- …
- Cioè, puó diventare una metafora per qualcosa. “Io che ho quadrifogli nelle orecchie”! Wow!
- Sí, non che abbia molto senso...
- Ma non importa! Suona bene! Il senso poi si trova, basta costruirci un contesto attorno! 
- …
- Per esempio, potrebbe voler dire che...ehm... che...
- …
- Ci sono! Che le mie orecchie sono fortunate perché possono ascoltare la sua voce! Oddiooooo, é anche romanticissimo! 

Esaltata, la tizia col costume rosso si rimette a dormire. 

Decisamente, a me il sole fa male. 

martedì 10 luglio 2012

Quell'idea mentre ti lavi i denti.


Non so da dove arrivino le idee. Mi par di ricordare che Platone avesse delle teorie, in merito. Ad ogni modo, perchè mi colpiscano sempre mentre mi lavo i denti, temo che non saprebbe spiegarlo neanche lui. Il punto è che da tanto non provavo questa sensazione. Amare qualcosa che ancora non esiste, eppure senti vivo dentro te. Averlo sempre in testa, notte e giorno, tanto da non riuscire più a dormire.

No, non sono incinta.

Non ho preso una cotta.

Ho semplicemente trovato una trama.

Così, di nuovo, mi perdo nel mondo della mia immaginazione. Cosa che, peraltro, comporta svariati effetti collaterali. Tipo l'espressione da perenne rimbambita, le difficoltà di comprensione e apprendimento, le amnesie momentanee, la goffaggine e la distrazione. Tanto per enumerarne alcuni. Chè viene anche da chiedersi se essere creativi sia una condanna o un dono. Sì, perchè rinuncerei al mare, allo shopping, agli amici, a tutto pur di starmene a casa a finire il mio libro. Perchè buttare giù parole su una schermata di word è come vomitarle da un groviglio di pensieri.

Poi smaltisci la sbornia. Poi, ti senti più leggera.



E lo so, che in molti non riusciranno a capirmi. So anche che molti altri lo faranno troppo bene.
Ma ho trovato una trama. Sono felice. E vi chiedo clemenza se, in questa dichiarazione, c'è in fondo tutto il peso del mio alibi. Potrei trascurare un po' il blog, è vero. Ma spero che, in un futuro non lontano, possiate dire anche voi che n'era valsa la pena. O, almeno, che possa continuare a dirlo io.





Ah! E comunque ho scelto Salonicco, alla fine.  

mercoledì 7 marzo 2012

Serial Writer (nelle attese).

Le settimane cruciali sono noiose. E' un dato di fatto. Una passa la vita a credere che siano i piccoli gesti, a poterla cambiare. E dopo sottovaluta le attese.  Ah, che belli i momenti concreti, quelli col sapore inconfondibile d'inizio. Spedire una lettera. Fare un colloquio di lavoro. Dire ad un ragazzo che ti piace... sono così pieni! Così frenetici! Così dannatamente facili da descrivere! 

Solo che, prima del responso, c'è sempre questo lasso temporale da inghiottire. Molto più breve nell'ultimo caso, è ovvio, anche se non per questo meno simile a tortura. Un limbo di nulla, in cui – a dirla tutta – proprio non sai che fare. Noia, noia, noia. Inutile, ho sempre pensato alle attese come ai seggiolini grigi e bucherellati dei terminal aeroportuali. Il che, in effetti, calza a pennello, visto che gli aeroporti sono il luogo dove meglio scrivo. 



Sì, perché il punto è questo: ho richiesto due borse di studio . Mi hanno contattata per un posto interessante, e mentre aspetto il responso, scrivere é la sola cosa che mi vada di fare. Peccato che l'ispirazione, come sempre, abbia il jet lag. Arriva nel cuore della notte. Mi sveglia di prima mattina. Litiga col sonno e s'infila nei sogni, come se davvero pensasse che la mia forza di volontà mi porti a aprire gli occhi e accendere il pc. Ah. Ah. Ah. Povera illusa. E dire che dovrebbe conoscermi, ormai. 

Come, in effetti, io dovrei conoscere lei. Oh, Dio. Non ci provo nemmeno, a descrivervi le mie sensazioni. L'intensità sfugge ai confini delle lettere. L'attività paranormale del cervello, é cosa nota  (temo) solo agli iperattivi delle idee. Sfugge al mio controllo. Al nostro. Vuole a tutti i costi comandare lei. Ma mi rifiuto, questa volta, sì. Questa volta non voglio lasciar tutto a metà. 

Vedete, anche se detto così fa un po' schifo, ho come un nido di larve nel cervello. Larve di storie, di pensieri, di racconti. Incipit di vita quotidiana che derivano presto dentro all'immaginazione. Solo che poi non sanno dove andare a parare. Non sono articoli, stavolta. E tantomeno tweet o scritti per il blog. So solo questo. Il resto é un contorno troppo labile per essere colto dalle mie poche diottrie. 

E' tanto che non la provo, questa sensazione, in realtà. Non con un'intensità simile, almeno. L'ultima volta, lo ricordo, ero a Bologna. Posseduta dalla trama di un romanzo tanto da dimenticare cos'era la vita vera. Camminavo per le vie del centro, passandone in rassegna volti e nomi. Appuntavo tic, frammenti di conversazioni a me estranee, volti di passanti sconosciuti: tutto per inserli tra le pagine di un libro. Ero un'aspirapolvere. Letteralmente, aspirapolvere umana. Il furgoncino della carne, il nome della ditta. Entrare in un hotel fingendo indifferenza solo per registrarne i particolari della hall. Perché sembrasse più credibile la scena che lì avevo deciso di ambientare. Ricordo, addirittura, di esser stata sveglia fino alle tre del mattino a disegnare una tabella con gli spostamenti dei personaggi principali nell'arco dei sette giorni delle indagini. Sì, perchè il romanzo in questione prevedeva un giallo. Prevedeva intrecci complicati. Ed era necessario, allora, confermare gli alibi. Verificare i moventi. Non lasciare al lettore neanche la parvenza di un “ti sei sbagliata, qui”. E poi avevo scaricato una piantina da google. Studiato gli incroci e i sensi unici, per verificare la possibilità di un incidente stradale. In ogni momento – fossi sull'autobus, in bagno, oppure all'università – se mi veniva in mente qualcosa da scrivere, prendevo un foglio e lo facevo. Subito, con un'avidità paranormale. Come se nient'altro (e proprio nient'altro!) avesse importanza, in realtà. 



Quella cosa mi consumava dentro, proprio come adesso, o forse appena un po' di più. Poi, quelle larve, si erano trasformate in farfalle. Avevano iniziato a prender vita su carta. Le avevo assemblate assieme. Un capitolo, due. La cosa veramente strana é che, per la prima volta in tutta la mia vita, scrivevo in prima persona fingendomi un ragazzo. Marco, si chiamava, ché la fantasia l'avevo già sprecata altrove. Ed era Marco, a conti fatti, che scriveva. Non io. Lo so perchè le dita andavano da sole, inconsapevoli, senza che i miei pensieri riuscissero a starci dietro. Scriveva Marco perchè non mi sono mai spiegata, rileggendo dopo anni, come potesse essere tutto così credibile pur essendo lontano anni luce da me. Oggettivamente stava venendo proprio bene, quel libro. 

Un giorno, però, di punto in bianco, Marco se n'era andato (valgami l'involontaria citazione pausiniana) . Mi aveva piantata in asso. Così, senza dire una parola. Non riuscivo – non sono mai più riuscita – ad essere credibile nelle sue veci. Ad andare avanti. Ad appassionarmi a quella dannatissima tabella costruita con tanto di colori. 

Ho mollato all'inizio un romanzo dalla trama avvincente che, nella mia testa, era già scritto da un bel po'. Per cui, adesso sto risentendo quel formicolio tra le mie idee. Lo stesso di quella volta. Ma , anche se vado contro la mia natura, in fondo non ho intenzione di ascoltare. Perchè, accidenti? Perchè dovrei lasciarmi consumare da un impulso creativo se poi so che, un bel giorno, se ne andrà? Io non sopporto l'idea di lasciare le cose a metà. Non l'ho mai sopportata. Eppure c'è Marco, c'è la tizia dai capelli rosso mogano, c'è un'infinità di gente che è rimasta irrisolta sulla carta a causa mia. Per quanto sembri assurdo, io ce li ho sulla coscienza come fossero persone vere. Per cui, no. Non farò fare la stessa fine a qualcun altro. Non ho intenzione (avete sentito, lì dentro?! Non ho intenzione!) di sentirmici in colpa di nuovo. 

Le attese saranno anche noiose. Ma il bello è che finiscono, dopo un po'. 

lunedì 12 dicembre 2011

I Love Shoes! (Ma, prima ancora, la creativitá)


Non c'é alternativa, pare, al barcamenaggio tra collaborazioni. Quanto a me, ne porto avanti parecchie. E tuttavia sono in poche a darmi la stessa soddisfazione che mi da scrivere di design. Davvero, voi non avete idea delle cose che si trovano cercando notizie. Prodotti originali. Divertenti. Anticonformisti. Oggetti di cui pensi “come diavolo si fa a comparlo?” e altri che a tutti i costi vorresti avere in casa. A conti fatti, é un po' come passeggiare tra gli scaffali di un negozio inesauribile, illuminandoti gli occhi senza peso sui polpacci né sfinimento da luci al neon. Un sogno. Se solo mi garantisse uno stipendio, potrebbe veramente essere un lavoro per la vita. Ad ogni modo, se ve ne parlo oggi non é con fini d' autocelebrazione. Macché. E' solo che ho trovato questo blog, il blog di un israeliano che produce scarpe fuori di testa. Autentiche sculture da piedi. Robe che io non indosserei mai, nemmano da ubriaca. Peró che, accidenti, mi affascinano un casino. 


Le mie preferite sono le Olive Oly qui in bassoseppur in snervante competizione con le Slide e le Miao. E le vostre?