giovedì 30 novembre 2017

Italo-Spagnola Awards 2017 are coming: candida i tuoi preferiti!

Dicembre sta arrivando, e con lui l'appuntamento (spero!) più atteso dai lettori di questo blog. Mi riferisco naturalmente agli Italo-Spagnola Awards: nati per gioco, i premi si celebrano da ormai 5 anni nel periodo natalizio con l'obiettivo principale di riconoscere e far conoscere le numerose realtà italo-iberiche che popolano il web. 



Mi commuove sempre pensare a come questa piccola tradizione, in cui alla resa dei conti non si vince niente di concreto, riesca a coinvolgere di anno in anno sempre più persone. Nel 2016 sono stati sommati 465 voti e un totale di 8.494 (ottomilaquattrocentonovantaquattro!!!) visualizzazioni dei post dedicati sul blog (le condivisioni social non le ho contate, scusatemi, ché quello già lo devo fare per lavoro). Se quest'anno riusciamo a superare quei dati, prometto che nel 2018 farò del mio meglio per trasformarli in qualche modo in un evento anche off-line. 

Nel frattempo, quest'anno mi piacerebbe riciclare una bella abitudine delle edizioni passate, rendendovi tutti partecipi della follia sin dal primissimo momento. Ecco perchè vi invito ad utilizzare il modulo qui sotto per segnalarmi i blog, i siti e gli account social italo-spagnoli che avete amato di più quest'anno. I più consigliati finiranno in nomination alla prossima edizione degli Italo-Spagnola Awards.

Non ci sono limiti, in questa fase: potete segnalare tutte le realtà che volete - da 0 a tutte quelle che vi stanno nel paragrafo di risposta- tutte le volte che volete, per tutte le categorie che volete. Questo sì, devo chiedervi di non includere il mio blog tra le risposte (anche se vi ringrazio infinitamente se avete pensato anche solo per un secondo di farlo) in quanto organizzatore e quindi, per lealtà, in nessun caso concorrente potenziale.

Avete tempo fino alle 23.59 di Venerdì 15 Dicembre. 
Sbizzarritevi e ...passate parola! 



domenica 26 novembre 2017

Indie ma non troppo

Questo post avrebbe potuto intitolarsi anche "consigli per gli acquisti", "Cose che ho intenzione di ascoltare in loop finchè non mi esploderà il cervello". Oppure, meglio ancora, "viva la monotonia". Perchè davvero, ragazzi, io vi chiedo scusa; Solo che è di nuovo uno di quei periodi in cui la musica, nella mia vita, si fa quasi più importante dell'aria che respiro. 

Forse dipende dal fatto che sto bene. Sì, insomma, eccezion fatta per le due linee di febbre che ho deciso di ignorare pur di andare a vedere Sara Baras (Spoiler: ne valeva la pena). Bene del tipo che ieri sono riuscita ad isolare un istante di felicità purissima. Ho pensato "Dio, fa che questo momento duri per sempre", e non mi sono neanche accorta che stavo fissando un bidone della spazzatura. 


Sara Baras, Sombras. Foto: Daniel Perez (Teatro Cervantes Málaga) 


É in momenti così che sono più incline a premere il play. O magari è solo che quando la vita scorre a velocità doppia hai bisogno di qualcuno che acciuffi le sensazioni per te. Me li immagino così, i compositori: che saltano in alto con una retina in mano. Un mix tra Heidi e Super Mario Bros. Grazie a loro, eroi moderni a servizio di chi ha scelto di arieggiare il cuore, le melodie diventano una coperta calda e confortante sull'anima. Nelle voci che ci soffiano nelle orecchie si materializzano la pelle, il sudore e il battito cardiaco che noi ancora non siamo riusciti ad ascoltare. 

[Hashtag Mamma Mia Come Sono Profonda]

Per fortuna sono state tante, di recente, le novità discografiche degne di nota. Due, però, sono oggi tra tutte la mia personalissima ossessione. Vetusta Morla e Cesare Cremonini: due album che più che consigliarvi, se potessi, quasi vi IMPORREI di ascoltare. Opposti. Diversissimi, eppure al contempo assurdamente simili. Lo Yin e lo Yang che vanno a comporre la mia essenza duale. 

C'è, in essi, l'italiana e la spagnola. Il mio passato ed il mio adesso. Il pop con cui sono cresciuta e il fervore incredibilmente vario della scena indie iberica che come un vortice mi ha ormai del tutto trascinata via con sé. 

Uno più uno uguale io. Vino rosso, birra, e le playlist più schizofreniche che si ricordino a memoria d'uomo ("Ma davvero Alborán? Ma non era iniziata con i REM?" "Eh".). La bimba che alza gli occhi incantata sotto l'eccesso di luci in calle Larios, e la trentenne allo sbando che passa i fine settimana tra i concerti nelle sale del centro. 



Io, che maledico il piacere che provo nel dormire fino a tardi solo perchè ventiquattr'ore sono poche per le meraviglie di questa città. Io che però a volte mi chiudo nel mio guscio, bramando una serata in pigiama a suon di libri e serie tv. E penso che tre settimane lontane da Málaga saranno troppe da sopportare, giusto un minuto prima che la nostalgia del Natale in famiglia (e del gatto, e della mozzarella) mi spinga a desiderare che il mio volo decolli domani. 

Una contraddizione, questo sono. Come amare alla follia i Vetusta Morla e, insieme, Cremonini. Che, al di là delle etichette imposte, hanno però in comune la cura con cui infilano le parole nei versi, creando Micromondi-Specchio in cui ritrovi sia te stessa che la società. 

Se volete farmi felice e darvi l'opportunità di arricchire le vostre colonne sonore, qui sotto trovate i link di Spotify e- forse - un altro po' di ispirazione. 


Il commento: Dove diavolo eravate? Perchè ci avete messo così tanto a entrare di prepotenza nella mia vita? Questo disco è un capolavoro dalla prima all'ultima traccia, e abbatterà una volta per tutte i vostri preconcetti sulla musica spagnola. 

Tre canzoni da ascoltare:
1) Consejo de Sabios, la chicca assoluta, già diventata un vero e proprio inno per i fan della band.
2) Deséame Suerte, il secondo singolo estratto. Molto più rappresentativo, secondo me, del precedente "Te lo digo a ti".
3) El Discurso del Rey, perchè è perfetta per questo periodo dell'anno. 

La frase: "Pon el verano en un mostrador" (23 de Junio


Il commento: Sono diciotto anni (DI CIO TTO!!!) che ascolto Cremonini e, dopo questo disco, credo che ne aggiungerò almeno altri trenta. Cesare ha sperimentato con sonorità diverse da quelle abituali, guadagnandosi l'elogio unanime della critica e lo sconcerto - quando non l'aperto dissenso - da parte dei fan di vecchia data. Era proprio questo, inizialmente, a spaventarmi. Ma gli arrangiamenti impeccabili, uniti a quelli che secondo me sono i testi più belli e maturi che abbia mai scritto, mi portano per una volta a schierarmi dalla parte dei sapientoni con gli occhiali. Non fatevi sviare da Poetica: i brani dal ritmo sostenuto sono in netta maggioranza nella tracklist. 

Tre canzoni da ascoltare: 
1) La Isla, che ho adottato come "mia" sin dal primissimo ascolto, auto-condannandomi a canticchiarmela in testa ogni volta che passerò la fermata omonima con il bus numero 1. 
2) Nessuno vuole essere Robin: forse il brano più "cremoniniano" del disco, vi farà venire i brividi racchiudendo una società all'interno di una storia personale. 
3) Il Cielo era Sereno, un'ode nostalgica alla felicità semplice di quando eravamo bambini. 

La frase: "Non si tratta di dividere un atomo, è più facile la felicità" (Il Cielo Era Sereno






















giovedì 23 novembre 2017

Il Black Friday della moda flamenca: mini-guida alle offerte di negozi e brand

Questo post è stato inizialmente pensato per Total Free Magazine (lo ritrovate qui), ma capirete che il contenuto è di importanza vitale per l'umanità. Mi auto-copio per il bene pubblico, insomma. Italo-Spagnola versione féscion blogher flamenca is back!


Il Black Friday della moda flamenca: 
mini-guida alle offerte di negozi e brand

Foto: cordobaflamenca.com


C’è chi lo pronuncia correttamente e chi lo fa come si legge, alla maniera spagnola. In ogni caso sono le parole Black Friday, questa settimana, ad essere le più ripetute a livello globale. Rimbalzano tra radio, televisione e social network per invadere le chiacchiere della gente comune, quella che ha già stilato una lista (se non altro mentale) di tutto ciò che d’improvviso sente l’esigenza di comprare. Poteva forse la moda flamenca rimanerne fuori? Certo che no! 

Gli sconti coinvolgeranno anche i negozi di settore fisici ed online, a beneficio di chi volesse anticipare la scelta di abito e accessori per la prossima feria. 

Con la preziosa guida di Bulevar Sur sotto gli occhi e una discreta quantità di Pagine Facebook in più da spulciare, sono andata alla ricerca delle migliori offerte con cui brand e retailer ci permetteranno di arricchire il nostro guardaroba di volant. Flamenche del mondo, preparatevi allo shopping sfrenato!

1. LINA 

La sivigliana Lina è una delle firme più storiche e riconosciute della moda flamenca nel mondo. Da anni, ormai, celebra il Black Friday e per il 2017 ha voluto farlo interamente online. Nella data di Venerdì, accedendo al sito web, avrete l’opportunità di aggiudicarvi qualsiasi articolo vogliate con il 20% di sconto. Non saranno quindi coinvolti soltanto i capi delle stagioni passate (alcuni dei quali ribassati fino al 50%) ma anche novità come fiori, orecchini, mantones, mantoncillos e una vasta gamma di accessori. 



Per una soluzione più alla portata di tutte le tasche è imprescindibile tenere d’occhio l’e-store de El Rocío: con sedi fisiche a Málaga e Granada, questo negozio di moda flamenca promette “i migliori sconti” online per il Black Friday, e sta già generando una discreta aspettativa sui social. 




Oltre agli sconti del 50% sugli abiti delle stagioni passate (sfruttabili nel suo negozio fisico di Siviglia, previo appuntamento), la designer Patricia Bazarot applicherà un 10% di sconto su tutti gli accessori acquistati online Venerdì. In più, non ci saranno spese di spedizione. 




Negozio di settore tra i più conosciuti nel centro di Málaga, “Viva La Feria” approfitta del fine settimana del Black Friday per dare il via al suo secondo, personalissimo, outlet di moda flamenca: solo nelle date del 23, 24 e 25 Novembre gli articoli saranno scontati fino al 70% sia nello store fisico che in quello online.

Se poi vi sentite particolarmente fortunate potete anche partecipare ad un sorteggio sulla loro pagina Facebook per provare ad aggiudicarvi un abito flamenco completamente gratis. 




Oltre che un blog, “Mamá de Mayor Quiero Ser Flamenca” è anche un marchio di moda e accessori. Non si parla in questo caso di volant e pois ma di felpe, magliette e cover per cellulari con illustrazioni a tema flamenco da portare con voi nella vita di tutti i giorni. Oltre che il Black Friday, il brand celebra il secondo anniversario e il compleanno dell’ideatrice Elena Rivera. Per questo il 23 e 24 novembre non ci sono né iva né spese di spedizione a gravare l’acquisto dei prodotti più iconici da parte di chi vive in territorio spagnolo. 


Avete già preparato la vostra wishing list? 



giovedì 9 novembre 2017

La seconda età dell'oro del pop-rock spagnolo


Non so se questa sia davvero la seconda età dell'oro del Pop-Rock spagnolo. Ma, mentre i nomi dei musicisti iberici aumentano a vista d'occhio sulle mie playlist, questa ottimistica e dettagliata analisi uscita su El País mi è sembrata quantomeno degna di una traduzione. 

L'Italia si merita di sapere che la Nazione in cui adesso vivo ha da offrire molto più dei tormentoni estivi. Perchè la Spagna - non mi stanco di ripeterlo- non è solo Enrique Iglesias o Álvaro Soler. Mi si spezza qualcosa dentro se penso che in tutto questo ribollire di suoni c'è chi pensa alla scena locale come a un copia incolla di musica usa e getta, coi testi sempliciotti e le melodie fatte per muovere le anche a bordo spiaggia. 

Senz'altre parole, spero la lettura che segue vi invogli ad addentrarvi un po' più nel profondo, esplorando i mille e profondissimi strati dell'Indie, del Pop commerciale, del Rock, del Folk e del cantautorato iberico. Qualsiasi siano i vostri gusti, sono pronta a scommettere che ci sarà qualcosa adatto a voi. 

Il pezzo in lingua originale, a firma di Fernando Navarro, lo trovate qui

Iván Ferreiro e Xoel López, lo scorso Agosto al concerto per i 20 anni del Sonorama, ad Aranda de Duero. Foto: Diego Santamaria / Fonte: El País 






La seconda età dell'oro del pop-rock spagnolo


La varietà, la ricchezza e la diversità di proposte fanno sì che la scena musicale in Spagna sia più in salute che mai



Diciamolo una volta per tutte: addio nostalgia e viva il presente. Addio nostalgia e viva il presente del pop-rock in spagnolo, un vero e proprio ventaglio di proposte diverse e ricche che fanno sì che la scena musicale della Spagna sia più in salute che mai. Diciamolo a voce alta, senza mezze misure: stiamo vivendo la seconda età dell'oro del pop-rock spagnolo, che non ha nulla da invidiare a quella degli anni ottanta. Partendo dalla spinta delle nuove generazioni e dalla loro convivenza con i veterani, potremmo parlare di nuova movida spagnola. 


Basterebbe già solo quest'autunno per capire fino a che punto il pop-rock spagnolo offra un campionario succulento. Gli stupendi dischi di franchi tiratori veterani, forgiatisi nel retrobottega degli anni ottanta come Josele Santiago, Julio Bustamente e José Ignacio Lapido convivono con giovani talenti, inquieti nella ricerca di un'opera personale e distintiva come Ángel Stanich e Jacobo Serra. I lavori di pesi massimi come Bunbury, Vetusta Morla e Xoel López escono poco dopo quelli di  Jorge Drexler, La Maravillosa Orquesta del Alcohol, Sidecars, Los Coronas, Rubén Pozo, Alejo Stivel, Ricardo Lezón, Txetxu Altube… In tutti loro ci sono canzoni più che interessanti. E intanto, ai margini, appaiono figure di stampo proprio, rarissime nel paronama spagnolo, che cantano in inglese con i piedi nel canzoniere nord-americano, dimostrando abilità fantastiche come Salto, Joana Serrat e Nat Simons.





In questa delimitazione autunnale si potrebbe anche guardare ai palchi.  Loquillo, Amaral, Leiva, Sidonie, León Benavente, Coque Malla, Quique González, Iván Ferreiro, Niños Mutantes, Dani Martín, Depedro, Viva Suecia, Rozalén, Manel… sono alcuni degli artisti spagnoli che stanno vivendo il loro momento d'oro. Sì, anche Loquillo, che al di là di tutto il romanticismo dei suoi anni ottanta, adesso riempie Las Ventas e spazi di grande capienza come il WiZink Center. Sono nomi che con costanza e talento sono riusciti a ricavarsi il loro sentiero, coltivarsi un pubblico e arricchire il canzoniere spagnolo di classici contemporanei. 




Facciamo un esercizio di premonizione: tra 25 anni, le compilation di pop-rock spagnolo dovrebbero includere canzoni come El último hombre en la Tierra di Coque Malla, La casa de mis padres di Quique González, El pensamiento circular di Iván Ferreiro, La lluvia en los zapatos di Leiva, Nubes de papel di Depedro, A dónde ir di Viva Suecia o Tipo D di León Benavente dandovi lo stesso valore che, tempo fa, hanno avuto composizioni che adesso si considerano classici della nostra memoria, nate nel calore degli anni ottanta. Per non parlare del flamenco, che superata la fase fusion degli anni novanta, ha messo in luce voci che esplorano e rompono cliché, chiamate a segnare un'epoca:  Silvia Pérez Cruz, Rocío Márquez, Rosalía, Niño de Elche, Miguel Poveda… anche le loro canzoni segnano la grande evoluzione della musica popolare dei nostri giorni. 





C'è qualità. Tanta qualità. E, di fatto, oggi i dischi sono prodotti meglio che negli anni ottanta. É opportuno segnalare che alcuni di quegli album, tanto osannati a suo tempo dal pubblico e dalla critica, non hanno resistito bene al passare del tempo. Non facciamo nomi per non ferire nessuno. In quegli anni ci fu uno sfogo creativo meraviglioso e necessario, in linea con la fame della nuova e giovane società democratica che cercava di seppellire il franchismo, anche se musicalmente si erano già visti segni promettenti prima della movida madrileña, come spiega bene Jesús Ordovás nel suo ultimo libro Fiebre Vivir, in cui riconosce il valore della musica degli anni sessanta e settanta. 



Allo stesso modo, ora i concerti sono meglio che allora, in gran parte perchè la tecnologia ha progredito e, a differenza degli anni ottanta, quando l'industria era in un'altra fase ed erano periodi di vacche grasse, adesso le band devono mantenersi con i live. Si giocano tutto lì, e questo non lascia spazio all'autocompiacimento o al pilota automatico. 



L'innocenza di quella nota come età dell'oro del pop-rock spagnolo è stata una benedizione, ma i tempi che viviamo oggi sono pieni di virtù da evidenziare. La Spagna ha guadagnato in professionalità. Ha un'industria più esperta e molto più permeabile ai cambiamenti e che si è vista obbligata a crescere anche grazie agli indipendenti, quegli indie degli anni novanta che si sono fatti strada nel panorama generale fino a consolidare le loro visioni nella generazione successiva. Da Los Planetas a Vetusta Morla, Izal, Miss Caffeina e tutto lo schieramento di artisti e band attuali. 







L'insieme fa del pop-rock una scena piena di proposte vive, che si completano e condividono inquietudini. Musicisti che si ascoltano a vicenda e che ascoltano i riferimenti che vengono da fuori, attenti ai lavori delle band statunitensi e britanniche ma anche gettando ponti verso il canzoniere latino, come nel caso di Santiago Auserón, Xoel López, Bunbury, Depedro, Drexler… Mai prima d'ora era esistito un rapporto così fluido tra i musicisti. Qualcosa di cui ho parlato con nomi quali Lapido, Fernando Pardo, Iván Ferreiro, Amaral, Xoel López o Sabino Mendéz, che hanno vissuto altri tempi.




Generazioni diverse condividono palchi ed idee. Si alimentano a vicenda. C'è competizione, certo, come sempre, ma anche più maturità e un miglior clima. Si potrebbe addirittura dire che i Sidonie, che hanno parlato di tutto questo all'incontro de El País al Sonorama Ribera insieme ai Niños Mutantes, hanno regalato un inno a queste sensazioni con la loro canzone Carreteras infinitas, una vera e propria bomba nei loro live. 




Il circuito dei festival ha favorito questa situazione, così come ha fomentato un pubblico determinato ed ampio, disposto a vivere l'esperienza della musica live in modo diverso dal tradizionale pubblico di sala. É una realtà che certamente pregiudica i piccoli locali delle città limitando i live ad alcuni codici da festival; Ma la Spagna è un Paese di festival e , pertanto, ce ne sono almeno una ventina solventi e di qualità notevole, luoghi di incontro musicale che permettono di portare gruppi ed artisti in luoghi che sicuramente non raggiungerebbero in altri modi. L'esempio perfetto è Sonorama Ribera, localizzato ad Aranda de Duero. Di fatto, i 20 anni di crescita del Sonorama sono andati di pari passo al consoldamento di questa seconda età dell'oro del pop-rock spagnolo. 

Bisogna, questo sì, migliorare le condizioni lavorative dei musicisti e dei professionisti dell'industria musicale, cosa a cui stanno già lavorando diverse associazioni e sindacati. La collettività deve sempre difendere i suoi diritti. É essenziale perché la professionalità sia una realtà tutelata dalle leggi. E c'è consapevolezza di questo. A differenza di anni fa, non c'è più tanto scetticismo tra i musicisti e ci sono segnali salutari come la mobilizzazione congiunta per denunciare gli abusi della SGAE. É una battaglia che é appena cominciata. Così come tutta la scena musicale spagnola deve rendersi consapevole della necessità che le donne abbiano lo spazio che viene invece loro sottratto. Per la prima volta, le professioniste dell'industria musicale si sono organizzate per richiedere maggior presenza nel settore . Non può esserci un'età dell'oro senza un loro ruolo tra i protagonisti.

Addio nostalgia e viva il presente. É un'epoca di splendore, con un futuro promettente in quella necessaria comunicazione con il continente latinoamericano, che a sua volta è molto affamato. Un'epoca in cui Juan Perro (Santiago Auserón) può difendere il suo meraviglioso  El viaje, con quell'omaggio alle sonorità cubane, mentre un giovane gruppo chiamato Morgan emerge dal nulla per portarci all'estasi con la sua musica cantata in perfetto inglese e spagnolo. Due proposte molto diverse, due generazioni separate da 30 anni ma unite da una grande qualità. Diciamolo senza remore: viviamo la seconda età dell'oro del pop-rock spagnolo. Godiamoci questa nuova movida spagnola, ma facciamo anche sì che duri molto più tempo della prima. Un primo passo dev'essere valorizzarla come si merita questo Paese in cui la cultura ha sempre bisogno di rivendicazioni. 




lunedì 6 novembre 2017

Postcard from Tarifa


I posti più belli sono quelli in cui ci si spettina. 
Non sarà un concetto nuovo, ma basta un viaggio un bus per ricordarsi quant'è vero. 




Non tornavo a Tarifa dal 2009, eppure quasi niente mi sembra cambiato.
Le raffiche d'Africa. Il fischio gelato e costante che mi ricorda i pomeriggi grigi del Nord-Est. La fatica a camminare sul lembo sottile di terra che separa il Mediterraneo dall'Atlantico. Lì, nel punto più a Sud d'Europa, mentre la sabbia sottilissima ti si accanisce addosso come un ammasso di piccoli aghi. E nelle orecchie ti risuonano i Negrita, appropriati come sempre mentre deliri di una sbornia fatta solo di natura. 

Con il culo in Europa e il cuore ... là, dove arrivano i traghetti. Dove i rilievi di un altro continente sottolineano quanto siamo tutti vicini.

C'è un matrimonio, pacchiano e patinato come lo sono tutti qui in Andalusia. 
"Che bell'idea, ora le copio la foto!". 
E le case ammassate del centro mi parlano di un Paese che rimane fermo ai confini del tempo. Bianco, come la gomma che cancella in un sol colpo passato e futuro.







No. Non si è ridotta, la bellezza di Tarifa. 

Forse si è aggravata soltanto di una vena patinata in più. Quella dei negozi troppo cari, arredati con cura in nome degli stereotipi di California. Quella dell'atmosfera hippie come se l'immaginerebbe chi è cresciuto nella Milano bene, pavoneggiandosi di scelte bio e vegan solo perchè fa figo. Uno di quegli italiani con le pashmine griffate e gli sguardi di sufficienza che si alternano ai surfisti che lo sono forse solo nei cartelli con cui lo dichiarano all'ingresso delle case.

Quelli veri, invece, stanno sulla spiaggia, incrostati di sale e di acqua, senza le pretese colorate dell'apparenza mentre sfidano onde più grandi di loro. O magari nei camper ai bordi delle strade, che intravedi disordinatissimi dalle porte aperte del relax pomeridiano. 

Sono uno degli aspetti più autentici che ancora questo posto conserva, assieme a certi vicoli pieni d'incanto dove i panni sono stesi ad asciugare nel patio. Un posto in cui probabilmente non vivrei, preferendogli piuttosto la tranquillità di bianco e pietre di cui è fatto il centro storico di Cádiz. Con i bottini dalle facce tristi, gli ultramarinos di qualità, il tonno freschissimo fuori dal mercato. Cádiz, la bella Cádiz, con le sue cupole maestose e le letras flamenche che mi smuovono le idee. 

A Tarifa, però, è quasi obbligatorio rimettere piede ad intervalli alterni. Perchè nelle sue spiagge da Tropici, kilometriche e deserte, ti scompigli la vita per riemergerne nuova. 

Perchè quelle spiagge, belle da far venire i brividi, ti parlano da sole di assoluta libertà. 
































sabato 4 novembre 2017

Terremoti al pluriball

Disallestire mostre d'arte, questo lavoro ingrato. 
Nessuno ci pensa, quando guarda un quadro, alle persone che poi strisciano sul pavimento nel tentativo di ricostruire scatoloni. Persone che, nella fattispecie, indossano una poco appropriata - ma alquanto boho fashion - gonna lunga in seta con la tendenza ad incastrarsi nella fibbia dei sandali. Un minuto del raccoglimento in solidarietà ai figli degli scultori. 



Torno sul luogo del delitto per la seconda volta in troppo poco tempo. Agganciata alla spalla destra la mia sempre venerata Borsa Ikea contiene le armi di una guerra ancora da combattere. Forbici, nastro adesivo, due fogli, carta, penna, cinque metri di pluriball. Tra parentesi, ammetterete che ci vuole un discreto autocontrollo per trascinarsi dietro tutto quel pluriball senza far scoppiare neanche una pallina. 
Vabbè, dai, una. 
Forse due. 
Ok. Tre. Giuro, non più di tre. 

In ogni caso mi merito un riconoscimento dalla comunità Zen e l'iscrizione ad honorem nell'albo dei massimi esperti di mindfulness a livello mondiale. Auuummm. 

Seconda parentesi: si può sapere con che criterio dispongono le merci nei bazar cinesi? Voglio dire, dopo mezz'ora nel reparto cartoleria/carta da pacchi ho chiesto alla tizia dove fosse il "papel de burbujas" (scusate, bulbúa) e mi ha risposto, come se fosse ovvio: "assieme alla roba da cucina". Ora, spiegatemi che ci deve fare uno con il pluriball in cucina. Imballare gli involtini primavera? Cuocerli per produrre le nuvole di drago? Ho sempre pensato che sapessero di plastica. 

Comunque. Raggiungo un po' ingobbita la galleria per completare la missione imballi, capitolo 2 - The Revenge. 

"Puoi aspettare mezz'ora?", chiede la responsabile. "É che devo chiudere un attimo". 
Ok. Per la verità inizio a sentire i primi morsi della fame, ma ormai faccio parte della comunità zen. Quindi sorrido, dichiaro la mia assoluta e andalusissima assenza di fretta, e vado a sedermi su di una panchina del Muelle Uno. 

Panchina che deve essere peraltro stata collocata davanti ad una piantagione di Marijuana, perchè questo posto sa di Amsterdam, ah ah ah, peace and love, no women no cry, e dopo 5 minuti sono già del tutto rincoglionita. Nel frattempo apprendo anche che c'è stato un terremoto del quarto grado Richter. A Málaga. Che robe. Tutti ne parlano, nessuno l'ha sentito. Un po' come gli zombie, o il Paradiso. 

Per fortuna la signora della galleria non é di qui, quindi dopo trentatré minuti di attesa la porta del magazzino è già stata spalancata per accogliermi. 

É un posto enorme. Un po' buio. Pieno di pellet, tappeti da teatro e oggetti di arredamento di genere vario. 

"Ci metto al massimo quindici minuti", dico ottimista. 

Peccato che non tenga conto delle doti da equilibrista necessarie a pesare pacchi di grandi dimensioni su una bilancia da bagno presa dai cinesi (l'ho trovata nel reparto stufe) e un pavimento coperto di sassi. 

Morale: un'ora dopo sono ancora lì, con tre strati di vestiti in meno, la frangia distrutta e il sudore che gronda da ogni parte del corpo. Praticamente avvolta nel pluriball come un involtino primavera. 

Ho finalmente finito quando, d'improvviso, la luce si spegne. Sul momento penso a un guasto. Poi, sento le voci. 

"EEEEEHHHH ESTOY AQUÍÍ!" - inizio a gridare - "NO CERRÉISSSS!".
Ma, ve l'ho detto, il posto é enorme. 

Dal momento che nessuno accenna a una risposta, prendo d'impulso la borsetta (toglietemi tutto, ma non il mio iPhone) e corro a perdifiato fino all'ingresso. 

Giusto in tempo. Le due donne che stavano per chiudere la porta lanciano un urlo degno dei film horror - ma davvero é messa COSÍ MALE la mia frangia? - poi, riaccendendo la luce, scoppiano a ridere istericamente. "Qué susto! Ci eravamo dimenticate che eri qui". 

E per un attimo ho una visione di me chiusa in un magazzino buio per tutta la notte, senza cibo né acqua, che disegno una faccina sui sassi per farmi compagnia come in Cast Away. Destino avverso. 



Recupero alla bell'e meglio il resto della mia roba. Esco. E, in quel preciso istante, quasi a festeggiare lo scampato pericolo, un tuono apre le cataratte del cielo. 

Immagino non serva dirvi che l'ombrello non me l'ero portato.