lunedì 17 settembre 2018

Dieci anni d'amore.

Sono le piccole scelte quelle che alla fine ti trasformano la vita. 

Ci penso spesso, da un po' in qua. 

Io, per esempio, ho sempre provato una forte passione letteraria per Charles Baudelaire. 
Così, quando mi ero trovata a dover scegliere la seconda lingua da studiare all'Università, per un - seppur brevissimo- periodo di tempo avevo preso in considerazione il francese. 

Se l'avessi fatto, non sarei mai capitata al corso di spagnolo del Prof. Medina. 

Non avrei mai conosciuto Max. 

Che non mi avrebbe mai fatto un cd pieno di canzoni spagnole. Né mi avrebbe consigliato di ascoltare Los 40 online per "allenare l'orecchio" in vista degli esami. 

Di conseguenza, non avrei mai scoperto Volverá.
Non mi sarei ossessionata con El Canto del Loco. 

Non mi sarei iscritta al loro forum ufficiale. 
Non avrei iniziato a girare la Spagna per seguirne i tour.

... E non avrei finito con l'innamorarmi così perdutamente di questo Paese. 



Piccole scelte, già. 



Come quella di iscrivermi alla specialistica in Giornalismo.
Se non l'avessero tolta da Trieste, non avrei mai fatto la vita da fuori sede a Parma.
Non avrei capito - o almeno non così presto - di essere in grado di cavarmela da sola.
E non avrei avuto il coraggio sufficiente a chiedere di partire per studiare all'estero. 


Se avessi scelto un'altra Università - metti Verona, metti Perugia - tra le destinazioni convenzionate in Spagna non ci sarebbe stato, forse, l'Ateneo di Málaga. 

E oggi io non sarei qui. **

La mia dichiarazione d'amore a Málaga, lo scorso San Valentino.
La foto é stata scattata al Muelle Uno, che nel 2008 ancora non esisteva. 





Sono passati esattamente dieci anni da quando sono partita per l'Erasmus. 
Credevo di fuggire, forse, da una qualche specie di situazione irrisolta. Di andare incontro ai concerti dei gruppi che ascoltavo. 

Quello che non sapevo era che stavo andando a conoscere una versione migliore di me. 

Era sempre stata lì, da qualche parte, nascosta tra la timidezza e il grigiore dei vestiti che indossavo. Eppure, chissà come, sono riuscita a trovarla soltanto nella Costa del Sol.

Mi aspettava nel clima umido di una città che avrei saputo mia all'istante.
Un luogo dove non tutto è stato sempre facile, ma di sicuro è stato sempre degno di essere vissuto.

Oh, Málaga. 
Quante volte, lasciandoti, ho sentito che qualcosa si rompeva dentro me.
Quante volte ti ho promesso che sarei tornata.
Che sarebbe stato l'ultimo aereo.
Che sarei riuscita, un giorno, a chiamarti di nuovo casa

Ricordo un video che avevo postato su Youtube. Inquadravo le valige fatte, sospirando, nel corridoio della casa al civico 44. Nella mia testa suonava Bebe.

Me fui, pa' volver de nuevo. 


L'ho fatto, accidenti.

E oggi si compiono dieci anni esatti dal momento in cui l'Universo ha iniziato a mettersi in moto per portarmi fino a qui.

Per festeggiare, ho voluto riscattare il post che scrissi nel primissimo giorno di quell'incredibile avventura. Si intitolava "Scrivendo da Casa Babylon (con un casino allucinante in sottofondo)" e lo trovate a questo link. 



Tralasciando il fatto che ero una cretina - e pure insopportabilmente giovane - é ancora bello rileggere le mie primissime impressioni sul luogo in cui oggi vivo. 

Certo, ci sono molte cose che mi lasciano perplessa. Tipo: non capisco come diavolo facessi ad essere così meravigliata dai semafori in movimento o dalla gente che suonava per strada. E poi perchè avrebbero dovuto essere per forza dei pseudo-barboni? Voglio dire, venivo dal terzo mondo? E per quale motivo deridevo 'sto povero Cristo che aveva avuto semplicemente la cortesia di presentarsi al telefono? Vi chiedo scusa, sul serio. Con dieci anni di ritardo, ma vi chiedo scusa. 

Avevo completamente rimosso la statua del polipo davanti al Teatro Romano, e pure i mimi sbrilluccicanti in Calle Larios. Avevo scordato anche l'esordio pseudo-comico con la valigia che si rompe in aeroporto; E mi fa sorridere la tenera innocenza di quando scrivevo che il rasta degli occhi quadrati era "ubriaco fradicio" anziché completamente fatto. 

Immagini di repertorio: Calle Larios a Settembre 2008.
Notare la tizia che passeggia dietro, inquietantemente simile per look e taglio di capelli a come sono io ora. 





Lo shock dell'impatto con l'accento andaluso e i vari Cristi appesi ovunque... quello invece sì, lo ricordavo bene.

Rileggo quel post, oggi, e mi dá una strana sicurezza constatare che certe cose non cambiano mai. 

Come il fatto che da subito ho trovato bellissimi i ragazzi malagueñi (ma chi diceva che gli andalusi sono brutti, poi? Ma di quali cavolo di stereotipi parlavo? Sul serio, come facevate a sopportarmi?) 

Ma soprattutto il fatto che, al di là di tutti i cambiamenti subiti negli anni, le ragioni per cui mi sono innamorata di Málaga sono le stesse per cui ancora oggi la amo alla follia. 

"A Málaga ci sono certi incroci che ci metti una vita ad attraversare", scrivevo, "Ma la gente sorride. Ti sorride sempre. La gente ti guarda negli occhi e ti saluta, anche se non ti conosce e sei in una grande città. Se possono ti aiutano, tutti. Anche quando tu non lo chiedi."



La notte della mia laurea, in un momento di incertezza sul futuro, qualcuno mi disse:
"Intanto trova il posto dove sei felice e vacci. Il lavoro verrà dopo".

Se l'ho già scritto perdonatemi: insisto perchè, col senno di poi, è stato forse il miglior consiglio che mi abbiano mai dato.

Io, quel posto, l'ho trovato dieci anni fa. 










** PS: questo é esattamente quello che intendo quando dico che ragiono come Ted Mosby. How I Met My City. Se esiste una cura fatemelo sapere. 






domenica 16 settembre 2018

Oh, See.

Tre del mattino. 
Abbasso lo sguardo sulle scarpe da ginnastica ormai luride. 
"Mio Dio, sono da buttare!"

É la prima cosa su cui mi fisso. 
Ci provo gusto, come se volessi chiedere conferma agli oggetti che la gioia che ho provato è esistita davvero. 
Un bicchiere da lavare. Un foglietto spiegazzato nella borsa. Un braccialetto blu. 

Conto i brillantini incollati sotto i vestiti zuppi di pioggia e birra come ferite di una battaglia bella. 


E le labbra si allargano in un sorriso. 

Per quanto possa sembrare strano, si può dire che l'Oh See sia stato il primo vero festival a cui io abbia partecipato. 
Esclusiva come sono nelle mie fissazioni, ho sempre preferito i concerti singoli. 
Due ore intense- se hai fortuna tre - passate a fissare un palco aspettando la tua dose di emozioni. 


Un solo protagonista. 
Un attimo effimero e bellissimo che non ammette pause o distrazioni. 



Mi emozionava l'idea di vivere finalmente un'esperienza un po' diversa. 
Capire cosa significa passare una giornata intera a trotterellare tra due palchi, con i bassi nel cuore ed un bicchiere in mano. 

Sarei sopravvissuta? Mi sarei - giuro, me l'ero chiesta - un po' annoiata




I preparativi erano iniziati da tempo, nevrotici e solenni nel crescendo di adrenalina.
C'ero io che sognavo le coroncine di fiori del Coachella.
Il meteo che faceva terrorismo preannunciando piogge torrenziali.
C'era la necessità impellente di una borsa abbastanza comoda e capiente da valere la fila alle casse del Primark.
E Nancy che mi mandava le foto dei suoi outfit mentre un tizio mi tartassava per piazzarmi la tessera con gli sconti di non so cosa.
"Y no, mira te lo digo subito...cioé, ya".
NON MI POTETE PARLARE IN SPAGNOLO MENTRE SCRIVO IN ITALIANO. Neanche al contrario.
Dio, che delirio.
E mi son persa al centro commerciale Larios, ritrovandomi al parcheggio con il cellulare in mano.

C'erano i miei amici, che mi chiedevano a intervalli regolari e in tutti i mezzi possibili che autobus dovessimo prendere per arrivare.

"El veinteee, chicos!"

Ci pensavamo tutti, già al live per me un po' troppo rock dei Sexy Zebras. Quando mancavano i kebab e sul taxi che avevo preso di corsa il taxista cantava gli Imagine Dragons.

Il rumore di un tuono. Le dita incrociate.
Poi, quel momento è arrivato.

E, come tutte le giornate memorabili, ha deciso di annunciarsi con eccessivo fragore.
Mi ha sorpresa decretando la morte del vecchio Nokia che usavo come sveglia. Si ringrazia la vescica mi ha fatto aprire gli occhi a mezzogiorno, in mezzo a una caterva di messaggi su whatsapp.

Mierda, ya voy. 
Doccia in tempi record. Incertezza sugli short. 
Come accidenti faccio a dormire così tanto, tío.

Da lì in poi, è stato tutto in discesa. 

Ripenso all'Oh See, oggi.
Oggi che avrei voluto andare in giro per musei, comprare le paste come le famiglie del quartiere, fare una passeggiata sul lungomare. E invece sto qui a prendermi un'aspirina mentre riguardo le foto. La centrifuga della seconda lavatrice in sottofondo e l'elenco di canzoni che mi voglio riascoltare. 

Ripenso all'Oh See. E la mente mi si riempie di immagini sconnesse. 



Io che faccio colazione con la birra ("Beh, ha i cereali"). Il tipo che si impegna a dire che Bob Dylan non è Bob Dylan ("Pero déjame hablar"). Gli sconosciuti che ci riconoscono sui maxischermi. Il fotografo guapísimo del Jagermeister. E fare quattro volte il video a camera lenta allo stand dell'Alhambra perché "el postureo es complicado". 

Ricordo la quantità pressochè infinita di brillantini sulla schiena di Nancy. Andare al bagno degli uomini perchè c'è meno fila. Ballare con le stelle filanti. Il sosia di Sadness. Chiedersi quanti anni ha Coque Malla ad ore improbabili, come se saperlo fosse diventata all'improvviso una questione di vita o di morte.

Ancora, il mal di testa atroce che mi prende mentre suona Iván Ferreiro. Il Gin all'arancia. Dover scegliere se cenare o vedere i Sidonie per poi ritrovarsi a cantare "Por Ti" con un burrito in bocca. 

Il diluvio che ci sorprende mentre suonano Los Planetas. Io che non trovo mai niente nella borsa. Il tizio che si incolla sotto al mio ombrello blaterando robe incomprensibili ("Ma se disturbo me vado, eh?" "Ecco, vai!"). Allungare il bicchiere di birra per chiedere che qualcuno me lo regga mentre tutti credono che io voglia brindare. Facciamo che mi arrangio. Riuscire a mettersi il dannato k-way solo quando smette di piovere. Dico sul serio: chi diavolo li progetta, 'sti cosi?
Il momento in cui ho ammesso, anche a me stessa, che non sono mai stata calciofila ma un po' tifo Málaga. Che una partita alla Rosaleda forse me la vedrei. Che forse mi comprerei la sciarpa. Oddio, ma sono seria? Quando cercavo di spiegare senza successo il thread del russo su Twitter.

Rivivo i miei quattro momenti di puro subidón: No Puedo Vivir Sin Ti di Coque Malla. La Revolución Sexual de La Casa Azul. Años 80 di Iván Ferreiro. La già menzionata Por Ti dei Sidonie.
Che poi, vogliamo parlare di quanto è bella la parola "Subidón"? Non esiste "euforia", "adrenalina" o "esaltazione" in grado di rendere un concetto così.

E "quelli sulle scale". Il cuore di cartone che si rompe. Io che vado a buttare via un bicchiere di plastica due metri più in là; Gli amici, già ubriachissimi, che quando torno chiedono preoccupati "Ma dov'eri? Dove vai da sola?". E lì capisco che "sola" non lo sarò mai.

Decisamente, i festival sono molto diversi dai concerti.

Trotterelli tra due palchi, cambi prospettive, conosci brani e gruppi nuovi. 

Le setlist sono più corte. L'alcol abbonda. L'aspirazione alla prima fila si riduce col passare delle ore. E finisce che chi suona como que te da un poco igual. 
I concerti celebrano la musica, ma i festival celebrano l'amicizia. 

Ed è per questo che, nella mia vita, c'é bisogno di tutti e due. 



sabato 1 settembre 2018

Wake Me Up When...MA COL CAVOLO, GREEN DAY!



Mi sveglio in un bagno di sudore e di pensieri. I rimasugli di qualche immagine onirica sconnessa dentro agli occhi e i capelli già increspati dall'umidità. 

Nuovo mese, nuova playlist. 
Stessa vita.

... Per la cronaca, la nuova playlist inizierà così. 

Da quando sto a Málaga ho imparato ad amare Settembre, cosa che fino a non molto tempo fa mi sarebbe risultata inconcepibile. 

Il fatto è che sì, ti tocca rinunciare agli espetos de sardina (i locali dicono che si dovrebbero mangiare solo nei mesi senza R). 

Devi re-immergerti in una routine lavorativa che ti prosciuga il cervello nell'invenzione costante di testi più o meno creativi. 

Però vuoi mettere? I turisti se ne vanno. Le spiagge si svuotano in un caldo ancora estivo. Il refrigerio delle notti ti conforta nelle strade affollate di routine. 


El Palo 


E d'improvviso sei sola, nell'abbraccio del luogo in cui hai scelto di essere felice. Ti sembra di potergli sussurrare all'orecchio i tuoi più intimi segreti. Sei quasi certa che ti possa capire. 

A Settembre abbondano i motivi per festeggiare. L'anniversario del mio Erasmus (saranno dieci anni tondi, quest'anno). L'anniversario del mio trasferimento. 

E poi gli amici tornano, tutti. Dall'Italia. Dalle vacanze. Dai Paesi in cui stavano vivendo avventure professionali più o meno durature. 

Così ci si riunisce nel bar di sempre a raccontarsi le novità. Si fanno progetti. Si improvvisano piani.

Questo sarà un Settembre di concerti. Tanti.
L.A. alla Fabbrica della Victoria.
I Sexy Zebras gratis per il ciclo di live della San Miguel. 
Il festival Oh, See come evento clue della scena indie spagnola in città.
Un nuovo Sofar a cui spero di riuscire ad andare.

Sarà un Settembre di re-incontri, di grigliate, di persone nuove. Mi perderò nelle passeggiate ai Jardines de Puerta Oscura. Andrò finalmente a prendere il sole al Peñón del Cuervo. E forse mi sentirò un po' meno in colpa a tradire i pomeriggi estivi per una sessione di shopping al centro commerciale Larios - pare che da Primark vendano una linea di accessori ispirata a Friends: capirete che ci DEVO andare. 

Ed è vero che è questo, il Capodanno.
É vero che è il mese dei nuovi inizi. 

Ma se l'Andalusia mi ha insegnato qualcosa è che i nuovi inizi li puoi soltanto amare. 

Quindi no, Green Day, non sono più d'accordo
Svegliatemi ora. Non fatemi chiudere occhio. 

Questi trenta giorni me li voglio godere dall'inizio alla fine.