martedì 26 luglio 2016

3 canzoni spagnole (e un bonus) per l'estate


Lo so che vi ho abituati a considerare la Domenica come il giorno riservato ai miei senz'altro utilissimi (?!?) consigli musicali. É però altrettanto vero che le canzoni in spagnolo - almeno secondo gli italiani - fanno coppia fissa con l'estate. E cos'è l'estate se non la Domenica del calendario annuale? Sì, va bene: mi sto arrampicando sugli specchi. Il punto è che ho deciso di venir meno alle mie stesse tradizioni pur di condividere con voi i tre brani Made in Spain che più spesso mi accompagnano in queste settimane di ricerca casa e progetti disertati di aggiornare il profilo LinkedIn. C'è anche un bonus che con la Spagna non c'entra niente. Così, giusto per dare alla lista un respiro più internazionale. Pronti, attenti, play!

1. Los Charcos - Dani Martín


 Non potevo cominciare che con lui. Il nuovo disco di Dani - è ufficiale da poco - uscirà il prossimo 23 Settembre. Due giorni prima di quel mio biglietto solo andata, puntuale come sempre nell'enfatizzare le tappe importanti della mia vita. Insomma, quella voce che sa di casa pare già predestinata ad insinuarsi per calmarmi tra pieghe di un trasloco. E, a dirla proprio tutta, non sono neanche certa che mi faccia piacere. Quel che è certo è che Martín sembra avere una discreta fretta di far conoscere al pubblico il maggior numero di brani possibili prima di quella data. All'inizio c'é stato Las Ganas, con il suo attacco di chitarre un po' incazzate e il videoclip con quella scena discutibile, discussa e discutibilmente discussa. Un videoclip che, diciamolo, in generale bah. In contemporanea, è uscito anche Dibujas: la ballata più sofferta che quelli più giovani etichetterebbero come web single e le anime vintage come ricordo di b-side nei singoli in vinile. Manco il tempo di entrare nelle top 10 radiofoniche spagnole, ed ecco che l'ex frontman de El Canto del Loco ci presenta ora Los Charcos. Che, vabbè, le sonorità non sono niente di nuovo. "Ricorda altri suoi brani" è un po' il commento condiviso. Ma a volte, per farti innamorare di una canzone, basta un verso al posto giusto. Uno e uno soltanto. Ascoltate: "Y tendrás que pintarme las estrellas cuando el cielo no las saque por temor". Traducetelo in "dovrai dipingermi le stelle quando il cielo non le farà uscire per timore". Aggiungeteci la mia inspiegabile ossessione per le strofe in cui si parla di stelle (vedi Il Cile, vedi Cremonini, vedi gli Imagine Dragons) in ogni tipo di canzone, e ditemi se poteva rimanermi intatto il cuore.

 

2. Guerra Mundial, Leiva




 

La data di uscita di questo brano mi aveva fatto sollevare un sopracciglio. Era in corso, se non sbaglio, il Golpe in Turchia. Forse si era appena concluso. Forse doveva ancora cominciare, non lo so. In ogni caso, tra Nizza e Dacca, gli equilibri internazionali mi erano sembrati troppo fragili per l'uscita di un pezzo intitolato "Guerra Mondiale". Ricordo di averlo trovato di cattivo gusto. Potevano rimandare, eccheccavolo, sceglierne un altro. Poi, però, ho premuto play. Sono bastate due note a farmi ricredere: un po' perchè il testo, con la guerra, c'entra solo in quanto metafora, ma soprattutto perchè Leiva - 'nnaggia a lui, detto col pugno tra i denti - ha questa strana proprietà di non deludere mai. L'album Monstruos esce il prossimo 26 Agosto, anticipato anche dal primo (ma forse qualitativamente inferiore) estratto Sincericidio. 


3. Sonrío (La Vita Com'é), Álvaro Soler 










 
Sarà sempre troppo tardi quando l'italiano medio imparerà a pronunciare correttamente il nome dell'autore del tormentone dell'estate. L'accento sulla prima A, che diamine, è così difficile? Comunque. Se siete comprensibilmente stanchi di Sofía, vi consiglio di spulciare tra la tracklist del suo album Eterno Agosto (Italian version) alla ricerca di prodotti molto più italo-spagnoli. Il primo lo rintraccerete nel duetto con Emma. Il secondo, che a me piace di più, è rinchiuso in questa collaborazione con Gazzè: nient'altro che la traduzione spagnola di un brano passato fino alla nausea in radio, ma che per ritmi e metrica si presta spaventosamente bene alla lingua castigliana.

Bonus: Young & Wild, The Strumbellas






Nella mia vita, evidentemente, c'era bisogno di speranza. A portarla ci hanno pensato loro, gli Strumbellas, che con HOPE si sono ufficialmente aggiudicati il personalissimo titolo di miglior album dell'ultimo periodo. Tra tutti i brani, il mio preferito è forse Young & Wild, che sto consumando con la stessa avida voracità dell'estate. Inutile dirvi che il verso "I Jump off from an airplane, to see if I can fly" (salto giù da un aeroplano per vedere se so volare) l'ho già distorto in metafore sbagliate pur di darci un senso malagueño e tutto mio. 





E voi, tra questi, quale preferite? 






venerdì 22 luglio 2016

Roma, al contrario.


C'è un'energia inconfondibile, nelle Capitali. Una sorta di elettricità statica che le fa sembrare un po' tutte la stessa città. Sarà l'incastro perfetto di anime molteplici, segregato nei confini invisibili ma netti dei quartieri. O saranno forse i secoli di storia impilati uno sull'altro in strati architettonici e di idee. Magari i turisti, che si entusiasmano in lingue diverse accanto agli sguardi più bassi e ai passi più decisi di chi da lì vorrebbe andarsene via; di chi di lì è sempre stato; di chi comunque vada non lo sarà mai. 



A Roma l'ho avvertita subito, quell'atmosfera. Ed immediatamente mi ha ricordato Madrid. C'è chi potrebbe dire che sono banale. Fissata. Ossessiva. Eppure, andiamo! Prendi l'azzurro perfetto del cielo. I palazzi alti con gli angoli arrotondati. La gente che ovunque dialoga in spagnolo. Il lungo viale alberato di Villa Borghese ci mette un attimo, nel mio sguardo distorto, a diventare una bella passeggiata al Retiro. Inerpicarsi sul colle del Gianicolo è come cercare il panorama più bello al Parque de las Siete Tetas. Persino la folla disumana che affolla il marciapiedi fuori dall'hotel di Springsteen è un ricordo nitido di qualche mia (recente) vita fa.

- Perdón, ya ha salido Bruce? Es que llevamos aquí desde esta mañana... 


Eh. Ma cosa mi spingeva, esattamente? Le levatacce nel caldo già intollerabile. L'alba che colora piano il cielo sopra ai furgoni posteggiati, qualcuno che si sente male per gli eccessi della sera prima. Cerano le hall degli hotel a quattro stelle deserti tra le valige e i sogni di chi dormiva ancora. Ricordo lo stomaco che mi si apriva in urgenze di cibo. La necessità di resistere. L'adrenalina dei numeri sugli ascensori. Tutto per una foto. Per un ciao. Un "Hola", anzi. Sempre che chi aspettavi non uscisse - allora non lo faceva - dalla porta sul retro. 

Se dico che Roma somiglia a Madrid, però, forse non è nemmeno per questo. Forse è che certi posti, va a capire perchè, ti si incollano dentro come un cerotto che non riesci a staccare. E i paragoni, a volte, non sono altro che dichiarazioni d'amore. 

Ci sono arrivata dopo sette ore di treno. Una di ritardo. Mezza di delirio. Una vita di "eres italiana y nunca has estado en Roma?", e circa due o tre anni di propositi disattesi. Ad accogliermi c'è stato il vento gelido che entrava dai quattro angoli della stazione Termini e il tizio della Guesthouse che cantava Venditti mentre mi mostrava una stanza pulita senza troppe pretese. In questo mondo di Ladriii....! "Questo è pazzo", ho pensato. Non c'era dubbio che mi sarei trovata bene.

Il pretesto di quel viaggio era un altro dei miei propositi annuali. Si festeggiavano - con qualche mese d'anticipo- i dieci anni da quando mi ero chiesta se qualcun altro, oltre a me, ascoltasse in Italia El Canto del Loco. Erano tempi di ore eterne passate a digitare su Google, setacciando ogni sito possibile con la pazienza di un monaco tibetano. Contattavo chiunque facesse un timido accenno al gruppo o alla musica spagnola. Inviavo mail e messaggi privati per invitarli su un forum ancora deserto che m'ero inventata pur di riunirli assieme. Pur di (beh, diciamolo!) sentirmi leggermente meno aliena.

Per diversi giorni era sembrato tutto inutile. Traducevo canzoni. Traducevo articoli. Creavo tesserine e grafiche, ma a quanto pareva lo facevo a beneficio esclusivamente mio. Poi arrivò Ilionora. Con la I. Di lei non sapevo niente, tranne i titoli dei dischi che ascoltava di più. Iniziammo a trascorrere pomeriggi interi su MSN a interrogarci sul modo migliore per rendere in italiano espressioni idiomatiche usate nelle interviste dai nostri beniamini. Lei adorava Torres. Sui nostri status c'erano frasi delle stesse canzoni. Io facevo sogni sconnessi in cui c'entravano i Green Day.

Poco a poco, la gente iniziò ad iscriversi. Prima 5, poi 10, poi di più. Arrivammo ad una quota di oltre duecento e a me sembrava un'autentica enormità. Di Ilionora, inspiegabilmente, persi ogni traccia nel 2008, dopo quel primo concerto al Palacio de Los Deportes che lei visse alcune file più indietro di me. Era il primo senza il batterista Jandro. Il primo di una nuova era. Forse, in un certo senso, già l'inizio della fine.

A Roma, dieci anni dopo, è stato strano pensare che una manciata di quei primi iscritti era ancora seduta accanto a me a un tavolo dell'Hard Rock. Ma ancora più strano è stato rivivere come in un film tutte le avventure che abbiamo condiviso. Quella giornata a Milano. I video girati a Venezia. I tanti viaggi in direzione sud ovest. 

Siamo cambiate. Dio, cresciute. Me ne rendo conto adesso, quando ripenso alle critiche mosse al videoclip di qualcuno che un tempo avremmo forse venerato senza se e senza ma. Oggi parliamo di ragazzi, di famiglie, di lavoro. E lì, in una Capitale che guarda caso associo a Madrid, mi sono sentita orgogliosa di me. 

Non ce l'avrei fatta da sola, è vero. Ed è anche vero che era soltanto un fanclub. Però, in quei pomeriggi del 2006, la mia determinazione mi portò davvero a costruire qualcosa. Qualcosa di bello, qualcosa di duraturo. Perchè queste persone, che conosco ormai da un decennio, sono da un decennio a tutti gli effetti amiche. Come me, ora la musica la vivono in modo molto diverso. Magari domani, chissà, quella stessa musica non ci piacerà nemmeno più. Però le risate, i ricordi, tutto quello che abbiamo vissuto...ecco, quello resterà. E' già rimasto, come la granita troppo grande che cola sulle mani in piazza Navona. Come il gusto della cacio e pepe tra i colori di Trastevere. Come un selfie che immortala il momento mentre il vento gioca con la mia gonna sulla terrazza del Pincio. Nel 2006, onestamente, non l'avrei mai potuto immaginare. 

Forse Roma è il posto giusto per rifletterci. Lì, dove le rovine di vastità passate ti proiettano in testa l'immagine di quello che forse un tempo era. E ti chiedi "ma era meglio?", laddove l'Impero si eclissa per lasciare spazio ad ammassi di zombie alla ricerca di Pokemon mentre l'umanità, tra spari e bombe, va a puttane. Ti rispondi di sì. Poi ricordi gli schiavi, i gladiatori e le aspettative di vita. Ricordi soprattutto che viaggiare, come lo si fa adesso, era semplicemente un'utopia.

Pro e contro.
Era diverso. Tutto qui. Lo è sempre. 



Poi magari l'impressione delle città dipende dai ricordi che ci costruisci dentro. Compresa la serata in pizzeria con l'amica di una vita. Il senso di famigliarità che ha in sè il suono di un arrivederci e la consistenza di un biglietto aereo.

L'aspettavo da tanto, Roma.
Roma, se la leggi al contrario, non è in fondo altro che lo spagnolo Amor. 




martedì 19 luglio 2016

Parentesi Emoji.


Avrei davvero tantissime cose di cui parlarvi. Il viaggio a Roma che ancora mi trascino come un peso sui polpacci: ennesima voce cancellata dalla lista dei propositi di due o tre anni fa. E poi le reazioni al mio trasferimento in Spagna, la ninna nanna cerebrale di canzoni vecchie e nuove, quest'improvviso sentirmi - per uno strano incastro di motivi - tutto d'un colpo molto meno sola. Forse i miei post, a parlarvi di questo, sarebbero e saranno molto più interessanti. Solo che nel frattempo c'è stato il #WorldEmojiDay. Sì, insomma, la giornata mondiale delle Emoji. Evento di straordinaria rilevanza per l'umanità, capirete. Roba che c'è chi chiede ferie. Chi protesta per l'apertura dei negozi brandendo cacche che ridono. Uffici che chiudono. Autobus che adottano l'orario festivo. Comuni che sparano fuochi d'artificio a forma di faccina gialla con le lacrimucce laterali. Sagre di paese con attività ludiche quali la pesca della flamenca e la corsa con maschere dell'urlo. Insomma, una ricorrenza su cui nessun blogger che si rispetti dovrebbe prendersi il lusso di tacere. 

Ecco, si dà il caso che in questi frangenti il Twitter ha postato una gif caruccia-caruccia in cui venivano rivelate le emoji che gli utenti usano di più in ogni singolo mese dell'anno. Siccome sono fondamentalmente malata (e ho sempre amato la sociologia spicciola) ho passato gli ultimi due giorni a trovarci una spiegazione sensata. In alcuni casi era piuttosto scontata, ammettiamolo. Voglio dire: è ovvio che ad Ottobre (Halloween) la gente posti teschi, che a Dicembre andiamo di alberelli di Natale e che a Febbraio, per San Valentino, inondiamo le timeline di cuori. Dell'uso massivo di alcune faccine, però, continuo a non capacitarmi proprio. Indiragionpercui ho pensato di provare a interpretare questo benedetto emoji calendar con voi. Dai che è la volta buona che @Jack mi assume!





A Gennaio siamo tutti ottimisti e sorridenti perchè anno-nuovo-vita- nuova-domani-mi-iscrivo-in-palestra-ho-tutta-la-vita-davanti. Le guanciotte rosse sono chiaramente per via dell'alcol. 



San Valentino. Baci perugina. Peluche. All you need is love paparararaaaaa. 


A Marzo, evidentemente, abbiamo il cuore col wifi. 


Ad Aprile siamo disperati. Davvero, questa non la capisco. Perchè ad Aprile ci disperiamo? Ma non è bello Aprile? La primavera, i fiori che sbocciano, le giornate che si allungano? Com'è il tasso di suicidi? 


A Maggio ci si sposa. E quindi ci si bacia, pure. O ci si mette il rossetto rosso e si lascia il segno sui bicchieri, vedete voi. 



Finita la scuola. Finiti gli esami. Finito il lavoro prima delle ferie. In ogni caso: fatto, checked, yuhuuu, bravi a noi!


Io questa emoji non l'ho mai capita proprio in generale. Cioè, cosa mi verrebbe a significare? Uno che ride a denti stretti? Uno che sta per starnutire? Un cinese con la paresi? Mah. So che ora che ve lo dico non la guarderete mai più allo stesso modo, però a me ha sempre ricordato uno seduto sul water. E detto questo parrebbe che a Luglio nessuno sia stitico. 


Ad Agosto siamo felici ma guardando in basso, perchè si sa che la sabbia scotta. E poi magari ci sono i granchi, va' a sapere.


Questa si spiega da sola. Cioè, è la definizione stessa di Settembre. Punto. 


Halloween: i mostri, gli scheletri, i fantasmi, gli space invaders. 


A Novembre prendiamo tutti bei voti. O vinciamo 100 euro. O perdiamo 1 della carica dei 101. O giriamo la ruota, a scelta. 


Jingle bells, Jingle bells, Jingle bells rockkkkkkkkk! 

E a questo punto mi congedo indignata per la scarsa valutazione dell'emoji col pulcino. Ma dico, ma andiamo! Tzè. 




















mercoledì 13 luglio 2016

Solo andata più bagaglio.


Cambiare vita costa poco più di sessanta euro. Ed è anche sorprendentemente facile. 



É questo che mi sento di aver appena fatto, in questo tardo pomeriggio di nuvole e scirocco. Talmente pesante da sembrare un corpo solido. Un cappello di piombo sulla testa, mentre le prime lacrime di pioggia sembrano voler far sfogare il cielo. 

A guardarlo è solo un volo come gli altri. Il messaggio della banca, che arriva sempre doppio e non si sa perchè. Un gesto stranamente meccanico, le mani che neppure tremano. Conferma. Prenota. Clicca più veloce dei ripensamenti, delle esitazioni, di ogni "lo farò domani". E nemmeno un istante, poi, per chiedermi se sia la scelta sbagliata.

Forse è che non l'ho ancora detto. Appena renderò pubblica la data, lo so, inizierà ad essere tutto un po' più epocale. Ci si aspetterà magari che organizzi una cena, io che di organizzare qualcosa mi sono già abbondantemente stufata. Mi chiederanno delle case, del lavoro, di tutti i progetti messi in quel foglio excel su cui sono in ritardo come sulla svolta che attendevo. Per il momento, però, non c'è che la stranezza del cliccare "solo andata". Dell'aggiungere un bagaglio. Grande. Venti kili da riempire di passato, e un primo vagito d'ansia nel chiedersi con quale parte.

Mi viene in mente solo ora: la data della mia partenza coincide grossomodo con il termine della gravidanza di una delle mie più care amiche. Se la mia vita fosse un film vedrei la scena a montaggio alternato: io che scendo nell'afa settembrina del terminal, i miei due trolley trascinati a fatica, i capelli che come sempre si increspano alla fila per il solito taxi. Con il solito taxista - anche se sarà un altro - il solito crocefisso che sbatte sul parabrezza, il solito finestrino aperto sulle luci dell'Alameda Principal. Lei in ospedale, nello stesso istante, a dare inizio a un secondo capitolo che, in modi diversi, potrei intitolare "crescere". 

Era l'ultimo scoglio: informare i miei nonni. Una generazione ancora attaccata al qui. E invece no. Invece anche loro, al di là di ogni pronostico, hanno detto che ho fatto bene. Non potevo aspettare, e non solo per via dei prezzi.

E' che nel mondo di merda in cui viviamo mi sembra che ogni tipo di allegria un po' si inquini di dolore. Cerchi di evitare di pensarci, di non menzionarlo nelle conversazioni al bar, ma le immagini di treni che si schiantano, le torture di gente innocente, questa empatia assurda che per qualche motivo ho sempre mio malgrado provato per le "famiglie di", l'idea del sangue e del terrore più insensato si mescolano a volte nella testa fino a portarmi al bordo delle lacrime. É anche un po' per non cedere a questo. Anche perchè di fronte a tutto questo mi soffermo a pensare che è tutto troppo effimero e imprevedibile per rinunciare ai sogni in virtù della paura.

Ho letto una frase su Internet, pochi giorni fa. L'aveva scritta una blogger che seguo. Diceva qualcosa a proposito del fatto che si era sempre chiesta se anche le città sentissero la mancanza delle persone.

Ecco: forse sono presuntuosa a pensarlo, ma io credo che a Málaga, un po', io in tutti questi anni sia mancata. Perché Málaga, ad ogni ritorno, mi tirava per la giacca e mi implorava di stare lì.

La data è il 25 Settembre.
Mi trasferisco davvero. Di Domenica sera. Perchè le nuove vite, per forza, iniziano di Lunedì.



 

lunedì 4 luglio 2016

Altri 8 posti belli che ho scoperto a Madrid


Non importa quante volte tu ci sia già stato: io ne ho contate ormai una decina, eppure tornare a Madrid senza scoprire almeno un posto nuovo mi risulta ancora - grazie al Cielo!- un'impresa impossibile. Quelli che vi segnalo in questo post sono i locali, i negozi e gli angoli della città che mi hanno sorpresa nel corso del mio più recente viaggio e che, secondo me, meritano la vostra attenzione. Segnateveli in agenda e ... preparatevi a partire!


NB: le foto contenute in questo post sono mie, eccetto dove diversamente specificato.


1. El Viajero

Ad attirarmi sono stati il nome (in italiano "El viajero" significa "il viaggiatore"), la fame nera e la location ma, una volta entrata, mi sono ritrovata in quello che senza esagerare definisco oggi il bar/ristorante più bello che io abbia mai visto in tutta Madrid. Lo localizzerete nel quartiere de La Latina, di fronte a quel Mercado de La Cebada che i BoaMistura hanno saputo trasformare in irresistibile attrazione turistica per chiunque ami la street art.




Ad ospitarlo è un edificio del diciannovesimo secolo, su tre piani arredati con la massima cura del dettaglio. Dai bagni interamente ricoperti di murales ai lampadari etnici, le foto e i divani disposti ad arte, tutto sembra fatto apposta per invitarti alla meraviglia e al relax. 








La cosa migliore, però, è senza dubbio la terrazza panoramica sul tetto, in grado di sostituire come d'incanto le tranquille atmosfere da chiringuito al caos comunemente associato alle Metropoli. Certo, sedersi su uno di quei tavolini ombreggiati e rinfrescati da un sistema di ventilatori e nebulizzatori comporta un sovrapprezzo, ma vi assicuro che ne vale la pena.




     



   Le sobremesas lunghe sono tollerate di buon grado e il cibo, per quanto l'offerta sul menù sia abbastanza ristretta, è squisito (provate le loro tapas di pulpo con patate, i crujentes de pollo e le croquetas di prosciutto fatte in casa!). 




2. El Tigre

A quanto pare, a Madrid, questo locale di gestione asturiana è una vera e propria leggenda. I più snob tra voi potrebbero forse arricciare il naso di fronte a un'atmosfera che va oltre l'informale, col pavimento ricoperto di tovaglioli usati e il vociare a troppi decibel che ostacola la conversazione. Se, però, supererete l'iniziale scetticismo e vi accomoderete ad uno dei suoi tavolini vi ritroverete catapultati come d'incanto in un mondo tutto nuovo.

Non dovete fare altro che ordinare da bere: una birra o un sidro, magari, specialità della casa. Al cibo ci penseranno i camerieri che, senza troppi complimenti, vi sommergeranno di piatti strabordanti ogni sorta di pietanza appena sfornata.


Giusto per darvi un'idea: per due euro e cinquanta io mi sono letteralmente ingozzata di alette di pollo, tartine con affettati e salse, croquetas e patatas bravas. E poi mi chiedete perchè amo la Spagna.

Photo: urhomeaway.com





3. Jardín de las Vistillas 

Incredibile come questo piccolo giardino mi sia sempre passato inosservato, pur trovandosi a due passi dal Palacio Real. Suggestivo come pochi, è teatro di numerose feste popolari e si chiama così per la splendida vista che offre su uno degli angoli più verdi di Madrid. Merita una visita. E magari una foto con la statua de La Violetera, ritratta in abiti tradizionali. 








4. Perrachica 

Locale di moda nel distretto di Chamberì, il Perrachica vi stupirà con un ambiente raffinato e di arredo impeccabile. All'interno le ampie sale di un ristorante fruibile solo su prenotazione vi accoglieranno assieme ad una sorridente addetta all'accoglienza in attesa dietro allo schermo di un gigantesco computer. La cucina a vista promette trasparenza e qualità, e non mancano dettagli di sapore vintage come la vespa trasformata in espositore di spezie e verdure.

Foto: ytanflamenca.blogspot.com
Foto: perrachica.com

All'esterno, un ambiente un po' più rilassato vi permette di godervi un'ottima e sostanziosa merenda di metà pomeriggio, un cocktail all'ora dell'aperitivo o anche, semplicemente, un caffè. Nonostante quello che possiate pensare i prezzi non sono affatto esagerati e i loro giganteschi smoothies alla frutta basteranno da soli a saziarvi per una giornata intera. Non perdetevi la loro selezione di dolci, tutti squisiti, e serviti con una presentazione impeccabile (la mia mega-fettona di cheesecake servita in una padella sarà uno spettacolo che non potrò dimenticare tanto facilmente!)



5.  La chuequita

Chueca, con le sue vetrine curate, la sua movida e i suoi locali all'avanguardia, è sempre stato uno dei quartieri di Madrid che amo di più. Non ci mettevo piede da molto, ed è perciò stato con particolare entusiasmo che mi sono goduta il mio bicchiere di ottimo vino Rioja a La Chuequita: un bar caratterizzato da un arredo minimal ma curato che vi servirà aperitivi e cene sia ai tavolini all'aperto (a due passi dalla fermata del metro) che nella suggestiva e tranquilla sala nel seminterrato.

Le specialità sono i vini e i cocktail, ma non manca un'ottima offerta di stuzzichini, toast e pietanze quali boquerones, patatas bravas o un buonissimo formaggio fuso servito con pomodoro o salsa di mele.





6. Mercado de San Antón

A Chueca c'è anche il Mercado de San Antón: un vero e proprio paradiso gastronomico che, sebbene non possa competere con il più famoso e storico Mercado de San Miguel, metterà comunque a vostra disposizione ristoranti e stand tematici dove assaggiare tutto il meglio delle cucine regionali spagnole e non solo: passateci anche se avete voglia di sushi, cocktail, hamburger gourmet o...cereali. Sì, perchè qui ha aperto da poco CerealLovers, il primo bar dedicato esclusivamente ai cereali in tutta la Spagna: sul menù se ne contano 175 varietà. 



Foto: elespanol.com


La cosa migliore? Il mercato è aperto fino oltre mezzanotte!



Foto: Taylorheartstravel.com




7. FOL Gourmet Popcorn


Chi avrebbe mai detto che persino i popcorn potessero essere trattati come un cibo gourmet! Se li amate, passate per questo incredibile negozio di Chueca che oltretutto é itagnolissimo: FOL Gourmet Popcorn è, infatti, una catena fondata da amici piemontesi che hanno voluto unire i sapori della cucina tradizionale italiana a uno degli snack più famosi al mondo. All'interno, potrete assaggiare pop corn in oltre 20 varietà diverse, sia dolci che salate, passando da quelli al gusto pizza margherita sino a quelli all'improbabile sapore di capuccino (?!). Li vendono in coni, buste o pacchi speciali per le feste, con la garanzia che sono tutti senza additivi e rigorosamente gluten-free. 



Foto: columnazero.com



8. Forever 

Con tutti i negozi che ci sono a Madrid, potreste ragionevolmente chiedervi perchè vi stia consigliando proprio un corridoio stretto, piccolo, e perennemente affollato in Calle Fuencarral, di cui non si trova traccia nemmeno sul web. Ebbene: sarà che era a due passi da dove alloggiavo e avevo rotto i sandali, ma qui ho trovato un assortimento di scarpe splendide e coloratissime a prezzi veramente ridicoli. Ho comprato quelle che vedete nella foto, ma se non fosse stato perchè viaggiavo solo col bagaglio a mano mi sarei rifornita la scarpiera. Ragazze in "ascolto", fatelo voi per me!