mercoledì 31 luglio 2013

Giornate Ciloske - Parte I: Treviso

NB: Il post, in realtá, data 29 Luglio.

Non so quando o con che modalità riuscirò a pubblicare questo post. Intanto, però, lo scrivo. Qui, nello scompartimento stranamente vuoto di un intercity diretto a Prato. Chè scrivere in treno, poi, m'è sempre riuscito bene. 

Davanti a me, la prospettiva di un cellulare che squilla risposte. Un altro concerto. Altri sorrisi.  Sopra la mia testa, nel trolley mezzo vuoto, c'è una t-shirt nera con sù scritto "siamo morti a vent'anni". Dentro, immagini confuse di sabato scorso. Frammenti di suoni, di facce, di voci. Ecco, soprattutto le voci. Quella di un cantante con gli occhi azzurri che "ormai mi conosce", ma non parla spagnolo. Quella ormai famigliare di Marta, incontrata al tavolo di un bar solo due settimane addietro, eppure già oggetto di confidenze tra amiche. Quella di un musicista che mi saluta con inatteso entusiasmo. "Ma 'sta confidenza?" "Giuro, non ne ho idea!". Le voci, soprattutto, affastellate e sovrapposte di tutti quei "tu sei Ilaria, giusto?" . Quelle che, ancora una volta, hanno fatto di un'esibizione live il simulacro più appropriato del concetto di "casa". 
Devono essere passati almeno due millenni da quando affermavo che avrei mantenuto le distanze. Che sì, quel disco mi piaceva, ma questa volta non mi sarei fatta coinvolgere. 

Illusa. 



Io davvero non lo so, com'è che sono fatta così male. Progettata per lasciare pelle ed anima in ciascuna delle cose che amo. Estraggo il cellulare dalla borsa, con un filo d'ansia a chiudermi lo stomaco. Forse dovrei scrivere a Rebecca. Chiedere consiglio pure a lei in merito a un’idea balorda che mi gira nella testa da un po' in qua. Desisto. Tanto la vedrò tra qualche ora. Forse il problema è che la musica ho sempre saputo viverla solo e soltanto così. Ma in fondo, poi, chissenefrega. Mi piace, giusto? Sentirmi una quindicenne, con la voce che mi trema il mio presunto inadeguato. Ricambiare sguardi da un palco. Conoscere persone. Vivere, masochista che non sono altro, sulla montagna russa dell'adrenalina. Quella che da un "wow" ti precipita nel vuoto più vasto e assoluto. E tu ti senti una cretina. Completa. Preda dei "perchè lo faccio?!", almeno fino alla prossima impennata. 

Mi ha accolta con insolita rapidità, la community de Il Cile. A braccia aperte, nonostante la pedanteria dei miei primi interventi. Che se li avessi letti dall'esterno, io mi sarei stata sulle palle un bel po'. Ecco, avrei dovuto dirgli questo, Sabato, quando mi ha riconosciuta dall'avatar. Mi ero anche preparata il discorso. 
"Guarda, Lorenzo, che non sono così. Sono una normale, ogni tanto. E' solo che non riesco ad esimermi dal commentare tutto. Solo che la grafomania e il desiderio di far bella impressione, assieme, non stanno bene per niente". Ci avevo pensato. Un sorrisetto qua e là a condire il tutto. Una battuta, magari. Ma poi mi sono tornate in mente le sue frasi. Le ho riviste tutte, nella loro perfezione fonica e concettuale. E mi s'è chiusa la bocca. Così, di botto. Salivazione disattivata. Incastrato il tastino che avrei dovuto premere per farlo passare dalla modalità "uno-che-scrive-da-Dio" alla modalità "ragazzo-toscano-che-ha-soli-tre-anni-più-di-te", con cui mi sarebbe stato più congeniale rapportarmi. Pazienza.

Il fatto è che, non appena ho iniziato a prendere confidenza con i nomi letti su uno schermo, ho capito che quel che avevano da dire aveva molto a che vedere con me. Ho ritrovato lo spirito di gruppo. La voglia di divertirsi. Di condividere sensazioni, senza invidie o gelosie sterili. E Sabato, nel guardarmi indietro, dopo l'esibizione dei Bastard Sons of Dioniso, ho visto il pubblico cambiare. I quindicenni sostituirsi ai trentenni. I ragazzini che pogavano abbandonare il campo a favore di persone più mature. Ed ho capito, nella migliore delle metafore, cos'è che veramente avevo perso altrove. La ricerca del posto nel mondo: lo dicono anche i sociologi, che è sempre stato questo essere fan. E c'è un perchè, se la prima volta che ho inserito quel disco nel lettore cd dell'auto, ho pensato "cazzo, questo qui mi ha capita". La canzone era la stessa che ora urla "finalmente" dal trolley qui sopra. Siamo morti a vent'anni, con i nostri progetti di vita alternativa. E' colpa di quella canzone, più che di Cemento Armato, se io adesso sono qui. 


Ma cominciamo dall'inizio. Che, detto a questo punto, vi potrebbe anche spaventare. Ma l'inzio, in realtà, non è che una strada inondata dal sole. Costeggia le mura di Treviso, dove una sfilata di gazebo bianchi mette a dura prova la mia necessità di risparmiare. Sotto ci sono borsette. Bracciali con le perline. Mojito. Persino un chiosco di gastronomia spagnola che evoca nostalgie tra bandiere e immagini di flamenco. Lo sguardo coglie i primi addobbi, a forma di note musicali colorate. Non c'è dubbio: è il mio Paradiso.


Sto iniziando vagamente a realizzarlo, quando le note de "I tuoi pugnali" mi riportano alla realtà. Segue scambio veloce di occhiate tra me e Marta. 
"No, ma è qua dietro?" 
Rischiamo di finire sotto un auto, nella foga di raggiungere la fonte del suono. Quando ce la facciamo, ci ritroviamo in uno spiazzo. Da sole. Col Cilembrini che ci guarda tra il perplesso e il divertito mentre io inizio ad accusare i primi vaghi sintomi di regressione all'adolescenza. O del delirio, in generale, che poi quello è innato in me. E spero che non mi stia guardando per quello che penso. Anzi, spero non stia guardando me e basta. Mi volto nella speranza di trovarmi davanti altre persone, ma alle mie spalle c'è soltanto una distesa deserta. E, quasi certamente, era vero anche quello che pensavo. 

Lo appuro poco dopo, mentre l'imbarazzo della solitudine quasi assoluta mi abbia ormai convinta a filarmela con poca dignità. Nonostante continui a ripetere a Marta "se vogliamo chiedergli una foto lo dobbiamo fare ora, questo momento non ricapiterà". In effetti, sono bravissima a elargire in modo convinto consigli che io poi non seguo. Lei sì, però, a quanto pare. E proprio mentre sono distratta a guardare non so cosa (probabilmente una notina colorata: le amo), si lancia in un impeto di determinazione di cui - manco a dirlo - mi accorgo in ritardo. Ma ormai, oltre a tutto il resto, sono anche vittima di una specie di insolazione, per cui ogni mio comportamento potrebbe essere scusato. Compresa la colossale figura di merda in cui sto per imbattermi. Che, nello specifico, consiste ne Il Cile che mi saluta con entusiasmo, elargendomi due baci sulle guance e la già citata conferma che mi ha riconosciuta da Facebook; e in me che, ricordandomi di botto le sue doti scrittorie (nonchè le fesserie che scrivo io sui social network), mi cimento in una scena quasi muta da copione. Anzi no, blatero qualcosa di non molto sensato sulla macchina fotografica che ha vita propria e sul fatto che ci vedremo anche Lunedì. 

Ho ventott'anni, ricordiamolo tutti. Ripetiamolo in coro.  

Comunque. A mia parziale discolpa, è dal 2012 che sogno questo concerto. Quindi, presumo sia da considerarsi normale se ogni emozione viene un po' enfatizzata. E poi il mojito, l'ebbrezza della prima-fila-centro, le chiacchiere e le nuove conoscenze...insomma, poi ce la faccio, a rilassarmi un po'. Tanto che recupero anche un po' di dialettica, nel ri-beccare Il Cile dopo lo show. Non tutta 'sta gran roba, figuriamoci. Ma l'assetto di persona normale e non psicologicamente disturbata, forse forse, potrei anche essermelo riguadagnato. Ho detto potrei.



Quanto al concerto in sé, penso valga come giudizio l'afonia del giorno dopo. Chè una si esalta in modo proporzionale all'attesa, capirete. Soprattutto se dal vivo metti i punti esclamativi ad un pensiero che avevi già formulato. Perchè se oltre a scrivere dei testi bellissimi (l'ho per caso già detto che mi piace come scrive?) uno canta anche in modo impeccabile, e interpreta con un'intensità che ho visto a pochi...beh, allora la musica italiana ha un futuro. Non è in mano ai reality e ai talent. Non è del tutto in balia di qualche banalità infilata a caso, o - che ne so- di qualche cover. 
Ed è francamente assurdo quanto questo riesca a rendere orgogliosa me, cioè la persona meno patriottica che esista al mondo. 

I momenti salienti?
1. "La ragazza dell'Inferno accanto", dedicata – come mi dicono, poi, faccia sempre - alle "belle ragazze qui davanti". Che siccome sono una ragazza ed ero "lì davanti", mi sono appropriata della dedica pur non possedendo necessariamente l'aggettivo qualificativo. Insomma, 2/3 è una bella percentuale, per rivendicarsi qualcosa, no? Soprattutto se il brano è uno dei tuoi preferiti.  

2. La mia esaltazione al momento dell'attacco di "La Tortura Medievale". Dove per "esaltazione" dovete visualizzarvi una tipa che inizia a saltellare sul posto al grido di "uuuuuuuuhhhh, la adoro". Forse anche battendo le mani tipo foca. Infatti dal palco ho colto risate. Ma io spero sempre di sbagliarmi, quando penso alla ragione più logica per cui una cosa accade. 

In tutto questo, sono ormai a Rovigo. Sto scrivendo ininterrottamente da circa due ore. M'è venuto un fastidioso mal di pancia di cui la legge di Murphy mi sta suggerendo in modo piuttosto evidente la causa. E il cellulare ha squillato l'unica risposta che non avrei voluto avere: a Prato sta diluviando. Considerato che il concerto è all'aperto, fate un po' voi.

[...to be continued...]

mercoledì 24 luglio 2013

Una notte in Arena.

AVVERTENZA: l'inizio di questo post é stato scritto alle tre del mattino del 23 Luglio. A caldo, in quattro diversi sms salvati in bozze sul cellulare. Non me la sono sentita di cambiare i tempi verbali. 

Se dovessi dare una definizione di Rock 'n' Roll sarebbe questa. Sarei io. Io in quest'istante, mentre viaggio di notte, col trucco sfatto e un mal di collo boia. Rock 'n' roll è la ricerca vana di una posizione comoda abbastanza da dormire sul sedile. La fame pseudochimica che a fasi alterne mi attanaglia lo stomaco. La sfilata di luci e di cartelli che monotona divide lo spazio sull'autostrada. E allora cosa importa se la causa, alla fin fine, rock 'n' roll non lo è? Se magari è pop, come in questo caso, e fa sembrare le persone un cielo stellato? Perchè le sensazioni, delle etichette, se ne fregano. E io, prima che lo show  iniziasse, ho guardato indietro. Per la prima volta, in tutta la mia vita da concertista, ho avuto la pelle d'oca. Quella vera, intendo, non l'abuso terminologico in cui troppo spesso son caduta anch'io. Stavolta c'erano davvero, le bollicine sulla pelle. La scarica di brividi lungo la schiena. Le lacrime a fior d'occhio, quelle che non lasci scendere perchè ti sentiresti stupida. E allora pungono. Bruciano. Definizione grafica dell'espressione “OH MIO DIO”.



Quindi è questo, l'Arena di Verona. E' un ammasso di gente stipata dentro a un Tempio che è già bello di per sé. E tu lo guardi. Guardi quelle persone colorate, felici, radunatesi lì da ogni parte d'Italia sulla spinta di una stessa passione. Le guardi e ti sembrano stupende, tutte. Anzi, ti sembra stupenda l'intera umanità. 

Per la prima volta, in tutta la mia vita da concertista, più che il palco avrei guardato loro. Non mi ci sarei mai stancata, dico davvero. Perchè erano stelle. Lo eravamo. Decine di migliaia di Supernova iPhone- munite pronte a esplodere sulle note di un piano. 

Non si erano ancora spenti, i riflettori. Ed io, guardandole, pensavo emozionata: “chissà cosa si prova”. A salire sul palco. A vederci così. “Chissà cosa prova” - mi chiedevo- “suo padre”. E in un attimo mi prendeva una fitta di strano orgoglio. Lo stesso che, inspiegabilmente, m'aveva colpita leggendo quel cartello con su scritto “esaurito”. Beh, non prima di aver pensato che sarebbe stato meglio usare il termine inglese. Dai, ammettiamolo: “Cesare Cremonini esaurito” fa ridere. Vien da pensare che l'abbiano internato in manicomio. A me internerebbero, in effetti, se vedessi tutto questo. A poco piú di trent'anni. Per me. 

(Foto postata da Cesare Cremonini su Twitter)


E' che Cesare, in fondo, mi piace pensarlo un po' come una sorta di “fratellone musicale”. Sono cresciuta con le sue note. E' stato il primo cantautore che io abbia mai seguito. E posso essere fuggita in Spagna. Posso aver cercato rifugio in altre voci e canzoni. Posso essere, semplicemente, cresciuta. Ma sono passati dieci anni esatti dal primo concerto dei LúnaPop a cui io sia andata. E  dopo tutto questo tempo, continuo a comprare i suoi dischi. Ad andare ai suoi live quando é in zona.  A parlare di lui con quella stessa altra voce che un po' l'ha “sostituito” come oggetto attivo della mia vita di fan. Voglio dire: non serve un genio a capire che c'é un perchè. 

Per questo dovevo esserci, a Verona. La sua prima volta in Arena. La mia prima volta in Arena. Il coronamento di un sogno sold out sotto la Luna Piena. Ha fatto nascere il Royal Baby, quella Luna lí. E pure la figlia della Cruz. La guardo e penso che é spettacolare. Mi verrebbe da parlarci, persino, come fosse un essere umano. S'é messa in ghingheri per l'occasione. Lei che é stata la prima musa, in fondo. Ispiratrice del nome di un gruppo che a sua volta ha ispirato il nickname che ancora porto. Lei...sí, doveva esserci anche lei. 

E allora io, nel parlare di questo concerto, per una volta non mi soffermeró sulle canzoni. Lo so, é paradossale. Ma cosa dovrei dire? Sono parte della mia vita. Tutte e venticinque, tranne forse quell'”Hello” che non mi ha mai convinta. Sono il 50% almeno della mia intera colonna sonora. Davvero, che bisogno c'é di commentare? 

Preferisco dirvi dei brividi. Raccontarvi che stare lí é stato un po' come farsi largo al centro di una festa. Una di quelle feste di Paese, magari, dove finisci con l'incontrare tutti senza bisogno di mettersi d'accordo prima. E io li ho incontrati davvero, tutti. Gente che non vedevo da una vita (“Ci siamo conosciuti almeno 15 anni fa, ti rendi conto?”). Gente con cui condivido lo spazio virtuale di un altro fanclub. Gente che non avevo mai incontrato fuori dallo schermata di Facebook, e che peró mi sembra di conoscere da sempre. Gente che mi saluta per la strada (“ti ho vista a Pordenone”), e io fatico a ricordare chi sia. Gente che ho conosciuto a Spilimbergo. Al Live di Udine. Gente che mi vede dall'alto e che, peró, non riesco a salutare. Gente che compie gli anni. Gente che mangia gelati. Volti che, da soli, sono giá ricordi in maglia rossa. 

Anche se sul Forum non ci entro da un po'. 
Colpevole.





Poi, sulle note di Vorrei, mi torna in mente Dani Martín. Penso che avrebbe dovuto esserci. Che gli sarebbe piaciuto. E, di nuovo, una fitta d'orgoglio in quel sentirmi stupidamente una sorta di strano filo conduttore. E' che sogno di unire i miei due mondi. Ma, in effetti, non sono giá uniti? I dischi regalati. Le domande a cui ho risposto. Il video che condividerei, se non mi morisse la batteria della macchina fotografica proprio a metá del brano. La stessa sensazione di conoscere chiunque che ti fa sentire al centro esatto del tuo mondo. Che sia in Italia o in Spagna, poi, é uguale. 

Perché andare a sentire Cesare Cremonini all'Arena di Verona é stato come rendersi conto, una volta di piú, del potere aggregante che ha la musica. Della magia che la pervade. Delle avventure che ti fa vivere. Dei legami che crea. E crescere, forse, vuol dire anche fregarsene se non hai la prima fila o – che ne so!- un autografo all'uscita. Perché tra abbracci e palloncini colorati, sai che questa serata la ricorderai per un bel po'. Eccome. 

venerdì 19 luglio 2013

Posti in cui andrei con una macchina del tempo.



Ci sono fenomeni oggettivamente inspiegabili. Tipo l'emergere puntuale di idee geniali nel cuore della notte (subito prima di un fastidiosissimo crampo al polpaccio), e la loro immediata sparizione con il sorgere del sole. Un minuto di silenzio. Sguardo contrito. Profusione di lacrime. Un peccato, salutavano sempre.

Inspiegabile è la ragione per cui, prima di una settimana intensa, io avverta sempre questa voglia poco sana di Mojito. Perchè, sul serio, sembro un'alcolizzata in crisi d'astinenza. Chiudo gli occhi e vedo piantine di menta. Giuro, è menta. Vedo frigoriferi e penso al ghiaccio tritato. Poi capirete anche che una si faccia una brutta reputazione. 

Ma inspiegabile, se è per quello, è anche il fatto che io non abbia mai pensato di allietare rinfreschi costruendo rose di prosciutto sopra a piccoli cubetti di melone. Lo so, devo smetterla di guardare Pinterest. Inspiegabile è il comportamento di certe commesse, che un giorno dimenticano di metterti in conto un cd e il giorno dopo ti guardano sprezzante perchè “I The Fun hanno fatto solo un disco in tutta la loro vita”. Non credo neanche sia vero, oltrettutto. Ma, anche se fosse, con ciò? 




La cosa più inspiegabile di tutte, ad ogni modo, è il fatto che da un po' in qua io stia meditando con impegno sui posti in cui andrei se possedessi una macchina del tempo. Voglio dire, ci penso con rigore scientifico, come se davvero avessero intenzione di propormi un carnet di viaggi gratis e dovessi stabilirne le priorità. Mi sono anche auto-giustificata supponendo sia un modo contorto per conoscermi meglio. In fin dei conti è una domanda classica da pseudo-test psicologico, no? Di quelle che ti farebbero a un colloquio di lavoro negli States (beh, almeno a giudicare dalle serie tv). 

Del tipo: “chi porteresti su di un'isola deserta?”. E se rispondi Ghandi sei assunto. Anche se, francamente, io opterei di più per un gran figo. Aprendo una parentesi, ecco un altro fatto inspiegabile: perchè ogni volta che accendo TVE Internacional vedo dei ragazzi carinissimi? E non parlo di modelli barra cantanti barra gente famosa a caso, no. Mi riferisco a persone qualsiasi intervistate per programmi di inchiesta sociale tipo Comando Actualidad. Ad esempio, l'altro giorno c'era un tizio che viveva in un appartamento di un metro quadrato nel cuore di Madrid. C'aveva un casino in casa che bastava da solo a ridefinire il concetto di disordine. Ma mi sarei offerta volentieri come colf. No, cioè, la devo smettere: da qui a iscriversi a Badoo è un attimo. 

Comunque. Si diceva dei viaggi nel tempo. Dopo infinite elucubrazioni, sono arrivata a stilare la mia personale classifica di destinazioni. E, siccome le idee di stanotte sono belle che andate, non mi rimane altra opzione che condividerle con voi. Se non vi interessa prendetevela coi miei polpacci. O  portatemi a bere un Mojito, in alternativa. 




POSTI IN CUI ANDREI SE AVESSI UNA MACCHINA DEL TEMPO. 

1. Parigi, 1800. In un caffè letterario a chiacchierare con Baudelaire. Cioè, più che altro lui parlerebbe e io lo ascolterei del tutto imbambolata, come faccio sempre davanti a qualcuno che ammiro. Probabilmente gli chiederei anche un autografo. E' che, sul serio, io per parlare con Charles arriverei a fare anche una seduta spiritica senza farmela addosso. No, è una balla: me la farei addosso eccome. Ma il punto è che era un genio. Basta. Da un po' in qua ho ripreso l'abitudine di rileggere i suoi scritti a mò di intercalare tra un libro appena concluso e un altro da cominciare. E, se a diciott'anni, nel pieno fulcro della mia BaudelaireMania, ne adoravo le poesie, ora che ne ho ventotto a conquistarmi son le prose. Per dirvi, l'altro giorno ho ripreso in mano i Paradisi Artificiali (il libro, intendo: ribadisco che sono di menta, le piantine). E, niente, quell'uomo era anni luce avanti rispetto ai suoi contemporanei. Non dico tanto per lo stile (che evidentemente varia da traduzione a traduzione) ma per i contenuti. Per il modo di metter giù i concetti. Per le riflessioni profonde alternate a momenti di ironia pungente. Per la scarsa diplomazia con cui stronca opere d'arte “partorite dal genio di perfetti imbecilli” e la curiosità con cui si avvicina a tutto ciò che è nuovo. Chè poi tutti credono, vista la vita del tipo, che i Paradisi Artificiali siano un elogio delle droghe. Invece no, per niente. Lui le prova tutte, fa un'analisi dettagliata di effetti e controindicazioni, ma alla fine non promuove molto più del vino. Anzi, a un certo punto arriva a dire che drogarsi è controproducente per gli spiriti creativi, perchè impiega tutte le tue energie cerebrali nella creazione di fantasticherie inutili, rendendoti inerte e incapace di fare alcunchè. L'ispirazione, invece, può arrivare solo dal lavoro. Dallo scrivere, concentrarsi, rileggere, limare. 

Insomma, nell'impossibilità di applaudirlo, ho coniato un motto plasmato su una frase letta (indovinate?) su Pinterest. “When in doubt, wear red”, diceva. “When in doubt, read Baudelaire”, aggiungo io. L'ho scritto pure sull'agenda, per darvi un'idea di come sto. 




2. Londra. A un concerto dei Beatles. Uno dei primissimi, magari, chè forse ci sarebbe un po' meno casino. Ora che ci penso, a uno dei primi non farebbero Strawberry Fields Forever, però. Mmm. Niente, vada per il casino. Tanto sarei una di quelle fan scatenate che lanciano reggiseni, si strappano i capelli e si lanciano sulle auto, me lo sento. In effetti mi si addice, come ruolo. 

Visti loro, farei un piccolo balzo in avanti e andrei a sentirmi anche i Queen. Così, tornata ai tempi attuali, potrei guardare i documentari di Freddie col giubbotto giallo ed esclamare orgogliosissima “io c'ero”. Son soddisfazioni mica da poco.

3. Atene, all'apice della civiltà ellenica. Perchè la storia mi è sempre piaciuta un sacco solamente fino a lì. E poi c'avrei da verificare un po' di cose: tipo se Omero esistesse o meno (nel primo caso, chiedergli scusa), se ci fosse un fondamento nelle vicende narrate dai poemi epici, e se già avessero inventato una ricetta simile ai dolmadakia. Poi le acconciature delle antiche greche sono bellissime, parliamoci chiaro. Certo, in quanto a moda avrei preferito le minigonne delle spartane, ma non si può avere tutto. Nel complesso, la civiltà ateniese m'è sempre piaciuta di più. 





Detto questo, forse vi stupirà che tra le mie destinazioni non ci sia la Spagna. In effetti vivere la Movida madrileña degli anni ottanta non sarebbe stato neanche male. Ma, insomma, se l'ho esclusa una ragione c'é: in Spagna ci andrei adesso, e basta. Voglio dire: i tizi disordinatissimi di Comando Actualidad mica appartengono ad epoche passate! 

Ecco. Ora che mi sono sfogata, nei commenti siete liberi di raccontarmi dove viaggereste voi con una macchina del tempo. Oppure di mandarmi a quel Paese here and now. 

sabato 13 luglio 2013

Hangout!


Che avessi bisogno di un re-incontro, in fondo, lo sapevo già. Quel che non immaginavo è che bastasse una webcam. 

Avevo mandato la mail di fretta, una Domenica sera. Due domande raffazzonate a caso, senza troppa voglia di pensarci su. D'impulso, come più spesso dovrei fare le cose. Da lì a Mercoledì, me n'ero già del tutto scordata. 

C'è voluta Céline a riportarmi sul pianeta Terra dell'attesa groupie. 
“Ho visto che hanno contattato una colombiana...non è che per caso hanno scritto anche a te?”. 

Merda, l'hangout. 
Fuga precipitosa sulla casella di Libero. Un nuovo messaggio in arrivo. Sul mittente in evidenza leggo Sony Music Spain. E non ho neanche bisogno di cliccarci su. 

'Somma, è ufficiale. Che gli eventi ti sorprendono quando meno te l'aspetti. Che le videoconferenze di Google+ sono il futuro. Che sono stata selezionata per parteciparvi. Che l'indomani stesso, seppur al di là di uno schermo, avrei parlato faccia a faccia con Dani Martín. Guardandolo negli occhi. Ascoltando le risposte che da troppo reclamo. Cercando al di lá di quel suo Ciuffo (Ciao, Koala!) il senso stesso del perché sto ancora qui. 




Dalla consapevolezza al panico, capite, il passo é breve. 
Insomma, come mi vesto? Non credo d'essere preparata sulle ultime tendenze in fatto di outfit da hangout. E poi é una vita che non parlo spagnolo. Se ho scordato la lingua? Oltrettutto, per la serata dell'evento prevedono temporali. Potrebbe saltare la connessione. Chi glielo chiede, dell'Italia, se salta la connessione? 

Inspira. Espira. Inspira. Devo. Mantenere. La. Calma. 

Certo, non che le prove tecniche mi facilitino l'impresa. Luis, il povero disgraziato incaricato di farmele, ha lunghi capelli biondi e l'aria un po' da metallaro. Mi parla da Madrid, davanti a una finestra che dá sull'esterno. Lo schermo la inquadra quanto basta a invidiare la luce da pieno giorno che ancora illumina la Spagna alle nove di sera. Dietro di me, il buio dell'est é ormai quasi totale. Tanto da indurlo a specificare che l'orario dell'incontro dell'indomani é da intendersi secondo orario spagnolo. Depressione. Il lampadario acceso, oltre a rendermi mostruosamente gialla, mi porta a vergognarmi un po'. 

“No, é che c'è brutto tempo”, dico con tono di scusa. Mentendo. Come se fossi io stessa ad aver messo via il sole. 

Comunque. Per contattarmi, Luis ha usato l'espressione castigliana che in assoluto odio di piú.

“Ti chiamo en un rato”, aveva scritto. E, forse voi non lo sapete, ma il “rato” spagnolo é un lasso temporale indefinito che puó andare dai 5 minuti alle 3 ore. Nello specifico della mia ansia, avrei dovuto in effetti giá dare per scontata la seconda opzione. Prima di vederlo sullo schermo, faccio in tempo a scorrere tre volte la bacheca di instagram. Rispondere al messaggio di un'amica. Persino cenare. Come se l'attesa non fosse abbastanza, l'invito all'hangout di prova non mi viene recapitato. Il link non funziona. Google si scusa per “non essere riuscito a risolvere il problema”. 

“Se riprovassimo domattina?”, mi scrive il povero Luis, subito prima di essere colpito da un'intuizione tecnica geniale. 

Dopo un “rato” quantificabile in due ore e mezza, riesco finalmente a ringraziarlo a voce. Ringraziarlo per la pazienza, certo. Ma, soprattutto, per averlo costretto a lavorare cosí tardi. Chè da lui ci sará pure ancora tutta quella luce, ma rimangono pur sempre le nove di sera. E poi, parliamoci chiaro: dal momento stesso in cui il suo nome si dota di una faccia, io gli scrivo in testa tutta una lunga biografia. Immagino che ascolti hard rock, forse addirittura heavy metal. Che abbia iniziato a lavorare per una casa discografica dopo aver suonato per anni con un gruppo nei pub della cittá. Se non poteva guadagnarsi da vivere come musicista – si dev'esser detto – almeno avrebbe voluto rimanere nell'ambiente. Per questo si era specializzato in comunicazione musicale. Magari ha fatto il master, quello lí a Madrid su cui per un periodo m'ero informata anch'io. Doveva aver riposto un sacco di speranze, in quel lavoro per la Sony. E invece, aveva finito col lavorare fino a tardi per un artista che sicuramente detestava. Immagino che le disprezzi, le fan di Dani Martín. Che pensi a loro come a ragazzine idiote e francamente alquanto isteriche che non capiscono il valore della buona musica. 

Cosí, presa dalle mie farneticazioni, mi sento in dovere di risollevare la categoria. Di mostrarmi gentile, pacata, colta, persino tecnologicamente competente. Il peso della responsabilitá che mi sono autoaffibbiata é sufficiente a farmi venire l'ansia da prestazione. Portando alla paradossale conseguenza che, di quel che mi dice Luis, non capisco assolutamente nulla. Ragion per cui mi limito ad annuire con sguardo vacuo. Ridere in modo isterico. E blaterare cose stupide tipo scusarmi perché ad Est il sole tramonta prima. Il modo migliore per dar ragione agli stereotipi che forse manco ha. Cioè, complimentoni. 




In compenso, il giorno dopo é ancora peggio. Dal momento in cui una notifica di Google+ mi informa che l'evento é stato cancellato a quando, neanche 30 minuti dopo, viene confermato “con tante scuse”, riesco a mandare altre tre mail a Luis. Il resto della giornata trascorre nel tentativo di scrivere un post per il blog aziendale e i crampi allo stomaco, sempre piú frequenti in diretta proporzione con la quantitá di nubi nere che si addensano all'orizzonte. A un'ora dall'inizio ho talmente tanta nausea che mi visualizzo distintamente mentre vomito nel cestino dell'immondizia davanti agli occhi allibiti di Dani Martín e tutte le migliaia di persone che ci guardano in diretta streaming. A mó di scherno, m'avvolge una scarica di tuoni. 

Poi, grazie a Dio, il link per connettermi alla videoconferenza di Sony mi viene recapitato via mail. Constatare che: 
A) Non si sono dimenticati di me
B) Tutto funziona 
C) L'altro ragazzo connesso ha un volto famigliare 

riesce a tranquillizzarmi di botto. Anzi, il calo di tensione é talmente intenso che il problema diventa, semmai, tenere gli occhi aperti. Comunque, per qualche strano motivo mi sento a casa. In famiglia. A mio agio. Di colpo, mi tornano in mente tutte le sensazioni che descrivevo sul blog; e penso che, beh, non le scrivevo per caso. Dicevo, ricordo, che seguire Dani Martín significava in primis cercare e trovare il mio posto nel mondo. Raccontavo l'idea che essere fan avesse a che vedere con l'urgenza sociologica d'appartenenza a un gruppo. E ora mi rendo conto di quanto avessi ragione. 

Il ragazzo dal volto famigliare, scopro quasi subito, é Anxton: una foto abbinata a un nickname che leggo- interagendoci – da ormai otto anni almeno. Anche lui mi riconosce subito. Il “tutto ok, ragazzi?”, con cui il team di Sony apre la chat riservata ai partecipanti dell'hangout diventa, cosí, il pretesto perfetto a una lunga conversazione. Chiacchieriamo di Barcellona. Delle nostre vite. Del mio terrore assurdo per il temporale che, inesorabile, si sta avvicinando. E intanto una voce inconfondibile ci arriva fuori onda dalla schermata principale. Quella che, adesso, inquadra un pannello con la copertina del disco in uscita il 17 Settembre. 

“Pero esto todavía no lo ve la gente, no?”
Non posso evitare di scoppiare a ridere. “Ciao, Dani!”, mi verrebbe da urlare. Invece, mi limito a scambiare un'occhiata divertita con Anxton. 
Gli risponde una voce femminile, appena percettibile, in sottofondo. 
“Ma quindi non posso ancora parlare con loro?”, s'informa. E so che m'ha giá vista. Che é giá lí. A dirla tutta, un po' mi sento osservata, mentre gli altri fan si uniscono in un “ping” alla conversazione rilassata in atto sulla chat.

“Toh, guarda, c'é anche Bere! Mica me l'aspettavo!”
“Ilaria, ma sei tu?!”
La colombiana, pure lei, la leggo sempre. 

Per la serie: i mille modi alternativi per sentirsi un po' vip. 
Dopo infiniti problemi tecnici, e infinite – volutissime – menzioni all'Italia, arriva il mio turno di parlare con Dani. E lo sapevo, che avevo bisogno di un re-incontro, per capire cosa mi stava succedendo. Per capire se la mia passione fosse davvero esaurita, o avessi – piuttosto – semplicemente iniziato a viverla diversamente. Con maggior obiettivitá, magari. Maggior capacitá di distinguere quello che mi piace da quello che non va giú, rimanendo peró fedele ad un ambiente di cui ormai da troppi anni faccio parte. 

Lui mi saluta dallo schermo. “Ciao bella”, dice in italiano. Alla risposta ad ognuna delle mie tre domande ribadisce gratitudine nei miei confronti. Che “Ilaria viene dall'Italia ai miei concerti”. Che “grazie di tutto il tuo affetto”. E giú baci, mandati in uno schiocco dritti al centro di una rinata euforia.



Come se non bastasse, pare tutto confermato. Il disco uscirá da noi. Non si sa quando. Non si sa con che modalitá promozionali. Ma uscirá. C'é stato giá un incontro tra Dani e il presidente della Sony Italia. C'é l'intenzione. C'é la volontá. 

“Per me sarebbe muy bonito...”
“Anche per me!!”
“...Anche per te, lo so.”

E nella soddisfazione per il traguardo raggiunto mi sa che la passione, in fondo, é ancora tutta intera. 

Piú di un'ora dopo, al termine della videoconferenza, noi fan rimaniamo a chiacchierare un altro po', come se fossimo fisicamente incapaci di andarcene. Complimenti per le domande degli altri. “Mi si sentiva bene?”. “Qualcuno di voi é mai stato a Puerto Rico?”. Di nuovo, mi sento in famiglia. L'appartenenza a un gruppo. La sensazione provata ai concerti. Tutto quello che credevo di aver perso. 

Sorrido. 
Come primo risultato di questo mio strano periodo, le ciloske (i.e: fan de Il Cile) conosciute ora vogliono provare ad ascoltare 'sto Dani Martín. Ditelo alla Sony: la miglior strategia di marketing per far conoscere la sua musica da noi é chiaramente che io mi iscriva ai fanclub di tutti i cantanti italiani.


martedì 9 luglio 2013

La Vida.

Ho ricevuto una lettera, qualche tempo fa. Una lettera vera, di carta e inchiostro, roba che nel duemilatredici quasi non ci si crede. Nella busta bianca, un foglio protocollo a righe larghe e una grafia che conoscevo bene. Pessima idea, quella di leggerla in piedi. 



C'è stato un tonfo sordo. Un urlo soffocato. Un velo di lacrime ad annebbiarmi la vista. 
Da allora, ogni post che avrei voluto scrivere è finito col sembrarmi estremamente banale. 

Chè io me ne sto qui, a pensare la mia vita in funzione della musica. I miei concerti. I miei progetti. La convinzione sempre più accesa e dirompente che l'inclinazione a vivere da fan sia roba da cuori solitari. 
Melensa, un sacco proprio. Tanto da indurmi ai paragoni romantici persino se parlo di canzoni. 
Ridicola. Dato di fatto. Eppure, chissene. 

Così ho comprato un biglietto per Prato. Riservato l'ennesima stanzetta in un hotel low budget, alternando euforia e moti di rabbia come ritmi diversi dentro a una playlist. Sullo schermo di youtube, un tutorial per ficcarmi in testa i passi della seconda sevillana. Una voce cadenzata, calma, spagnola. Golpe, tacón, tacón. L'idea del pescaíto frito in quel locale di Málaga. Le zanzare che approfittano del mio sudore. 

Nel mio piccolo mondo strano, qui, non fanno che fiorire frasi. Osservazioni sconnesse. Incipit bellissimi. Suoni di poesia. Sono inizi di storie che non riesco a continuare. Germi di idee che si aggrappano a un foglio nella ricerca disperata di una via di fuga. 

Scrivere. Ballare. Viaggiare. Magari cantare a squarciagola, aggrappata a una transenna in cerca di facce nuove. E' tutto qui, ancora una volta, quello che riesce a rendermi felice. Una vita bella, la mia. Una vita che d'estate sbarluccica al sole. E mi accorgo che mi piace da matti, mentre indosso costume e sorriso. 

Certo, arriva sempre la notte. E a volte, quando appoggio il libro sul comodino, ho nostalgia di persone che confondo quasi sempre con intere cittá. Ma alla notte segue il sonno. Segue il giorno. E, a questa mia vita di Luglio, io per niente al mondo ci rinuncerei. 

Peró, c'é stata quella lettera. 
E da allora mi chiedo – di nuovo – perché mai tutto questo vi dovrebbe interessare. 
Sono successe cose, certo. 
Una granita al Kiwi e Limone, i testi di De André, qualcuno che storpia in modo orripilante i gipsy king. Ho conosciuto persone nuove, tutte interessanti. Ne ho riviste altre. Ne ho persa qualcuna senza riuscire ad andare al funerale. E, ancora, ho fatto del gossip al tavolino di un bar. Mi sono sentita dentro un film, un sabato sera, quando in un locale affollato ho sgranato gli occhi davanti alle prime immagini di un disastro aereo. Mi s'è stretto il cuore più del dovuto. “Metti l'audio”, avrei voluto urlare alla televisione che nessuno guardava. Ho passato in rassegna con la mente le facce che conosco, per capire se qualcuno potesse trovarsi a San Francisco. Ho sospirato forte, quando ho capito di no. E intanto, tutt'attorno, un crocchio di persone che seguivano il mio sguardo. Una dopo l'altra, capivano. Passavano la notizia. Parzialmente indifferenti, ci bevevano su. 

Da quella lettera ho vissuto un sacco di episodi che avrei voluto deformare in chiave surreale. Ascoltato battute esilaranti che mi sarebbe piaciuto condividere in un tweet.

Solo che tutto, in qualche modo, tutto è diventato piccolo. Più piccolo di quell'esserino di 5 centimetri che a Gennaio cambierà radicalmente la vita della mia migliore amica. 

E anche adesso, per esempio, avrei voluto parlarvi di musica. Nell'ultima settimana i tre cantautori che seguo hanno sfornato un videoclip a testa. Beh, due videoclip e un lyric video, in realtà. Avrei...non so, voluto commentarli. Fare un intervento idiota sulla coincidenza. Aggiungervi, magari, la nuova (bellissima) canzone dei Negrita. Perchè nella mia vita, la vita che tanto amo, tutto ciò ha veramente un'importanza epocale. 






Ma una delle persone accanto a cui sono cresciuta sta per diventare madre. E a volte mi sorprendo a fissare il vuoto, pensando a casette delle bambole e converse all star in miniatura. Mi chiedo se sarà maschio o femmina. I regali per le bimbe mi piacciono di più, potrei comparle i vestitini per le Barbie! Però se fosse maschio... mi vengono in mente i discorsi deliranti che facevamo da ragazzine. Se fosse maschio e io avessi una femmina tra 4 o 5 anni, magari da grandi si innamorerebbero, chissà. Scoppio a ridere da sola. L'ho detto, sono incredibilmente melensa. 

Il fatto è che il giorno in cui ho ricevuto quella lettera ho provato una gioia fortissima. E da quel preciso istante, dal tonfo che ho provocato lasciandomi cadere sul letto, non ho fatto che pensare alla vita. A dove sono. A dove mi sta portando. A dove arriverò. 

Ho sentito di essere come il personaggio di un libro che ho letto da poco. Probabilmente chiusa in una sindrome da Peter Pan senza via d'uscita. Come lei, sì, solo un po' più felice. Mi sono chiesta se non mi manchi l'amore, una persona, una metà. E poi ho capito che, in ogni caso, non ho nessuna voglia di mettermi a cercarlo. Se proprio vuole, verrà lui da me. Intanto scrivo, ballo, mi aggrappo a una transenna. E mi rendo conto che... accidenti! “Un anno fa non avrei mai immaginato di essere come sono ora”. Ecco, l'ho detto di nuovo. E' almeno dal 2008 che, ogni dodici mesi, raggiungo questa stessa consapevolezza. La consapevolezza che tutto cambia in fretta, di continuo, senza che io neppure me ne accorga. Rendersi conto che cambia sempre in meglio, però, è una soddisfazione che non vi so manco spiegare. Perchè vuol dire che è dettaglio dopo dettaglio che il mondo continua a evolversi. E allora anche un dettaglio, per quanto insignificante, vale forse ancora la pena di essere condiviso. 

A quell'esserino di cinque centimetri io voglio già un sacco di bene. 






mercoledì 3 luglio 2013

"Mil Pasos": il tocco ispanico dietro al duetto di Chiara e Fiorella Mannoia


Vi sarà senz'altro capitato di ascoltare Chiara e Fiorella Mannoia duettare alla radio in “Mille passi”. Quello che forse non tutti sapranno, però, è che si tratta di una cover. L'originale, del 2007,  l'interpretava Soha, cantante francese di origine algerina e velleità latine. E...indovinate un po'? Vantava un testo (quasi) interamente spagnolo. 

Vi lascio entrambe le versioni, a mo' di tributo italo-iberico a una giornata che per me è stata fortemente musicale. 

Allora? Quale preferite tra le due? 




lunedì 1 luglio 2013

I look ispirati ai dischi: Cesare Cremonini, la Teoria dei Colori

Poche volte girare il calendario è stato così piacevole. Della serie: Luglio, col bene che ti voglio vedrai non finirà (ai ai ai aiiiiii). E, siccome la mia euforia dipende per gran parte dai concerti in programma, non potevo non andare con la mente al primo. D'altronde, questa è una rubrica inventata da me. Parla di outfit ispirati ai dischi spagnoli ed italiani. Se il filone iberico è stato inaugurato da Dani Martín, chi altri volevate che scegliessi per quello tutto nazionale? Appunto.

Oltrettutto, il look ispirato a Cremonini é ad oggi il mio preferito tra quanti ho creato su Polyvore. Sí, insomma, uno di quelli che piú si adattano al mio stile. Ecco perché trovo particolarmente gratificante che sia stato anche il primo a vantare imitazioni. Sulla base del mio template, ben altre tre utenti del social network piú modaiolo al mondo hanno creato abbinamenti ispirati alla copertina dell'ultimo album del cantautore bolognese. Anzi, forse i loro sono anche piú adatti ad un concerto pop in Arena. Giudicate voi: li trovate qui, qui e pure qui.

Adesso, peró, permettetevi di illustrarvi il mio. Non che ci sia molto da dire. Il titolo, a dire il vero, é abbastanza eloquente di per sé. “La teoria dei colori” parla di colori. Vive di colori. Esige i colori. Vuole quel nero, quel bianco, quell'azzurro e quel giallo che ammiccano accesi sulla copertina. Li ritroviamo – con l'aggiunta poetica del verde – piú o meno ovunque: dall'abito alla borsa, passando per bracciali e collana. Ma, soprattutto, “La Teoria dei Colori” vuole il rosso. Perché forse non tutti lo sapranno, ma é proprio quella tinta che, negli ultimi anni, é passata ad identificare i fan piú storici di Cremonini. Quelle “furie” che dal suo forum si riconoscono ai concerti in uniformi improvvisate. Gonfiando palloncini. Sventolando bandieroni. Facendo un bel po' di sano casino.


Il tocco il piú? Gli occhiali da sole, presenti in molte delle foto promozionali di Cesare legate a questo lavoro discografico. E anche – lasciatemelo dire – particolarmente adatti all'ultimo sole di Luglio. Quello che, il 22 di questo mese, mi regalerá il suo spettacolo tramontando sull'Arena. 
Music Inspired-Cremonini




NB: Tutti i look creati per questa rubrica sono anche sull'apposita pinboard di Pinterest !