mercoledì 29 febbraio 2012

Freddo, in effetti, 'sto vento del Nord.

Le grandi aspettative ti fregano sempre. E' un dato di fatto. Ecco perché oggi vi parlo di un libro. Un best seller, se vogliamo puntualizzare. Uno di quegli inspiegabili innamoramenti collettivi fatti di “ohhh” e di “aaah” sullo schermo di Anobii. Fatti di commenti, in questo caso, di cui mi ero fidata anch'io. Errore. 

Dai, ne avrete senz'altro sentito parlare. L'autore é un austriaco, tale Daniel Glattauer. Titolo: “Le ho mai raccontato del vento del Nord”. Scritto così, senza punto di domanda. Quanto alla trama, io la riassumerei come segue: 



Due tizi, uno più antipatico dell'altro (lei più di lui, a onor del vero), si innamorano via mail senza essersi mai visti di persona. Per anni, la loro corrispondenza consiste grossomodo nella ripetizione in loop della stessa paranoia. Sempre quella: "cosa succederebbe se ci incontrassimo?". Fanno qualche rara eccezione giusto per raccontarsi di essere finiti l'uno nelle fantasie sessuali dell'altra. Ma, anche in quel caso –  non si sa per che ragione – sempre e comunque dandosi del lei. Contenti loro...

Che poi non posso dire che sia brutto, intendiamoci. Probabilmente, se solo il resto dell'umanità non l'avesse decantato, l'avrei etichettato con l'indifferenza. Catalogato come uno di quei romanzi che ti passano davanti senza lasciare traccia. Quantomeno, non ci avrei di sicuro dedicato un post. Le aspettative, però...ah, quelle non perdonano mica! La loro dimensione é inversamente proporzionale alle delusione. Lo sarà sempre, per quanto tu possa provare ad opportici. 

E allora io mi chiedo: che cosa ci avete trovato, in questo cosiddetto “geniale capolavoro”? Cos'é che ve l'ha fatto definire così? No, perchè a me non riesce a trasmettere alcun calore. E un romanzo sull'amore in cui non percepisci il cuore, dite: che romanzo d'amore è? 

Vedete: io l'ho vissuta, e pure tante volte, l'esperienza di conoscere qualcuno prima per iscritto che in realtà. E vi assicuro che é fisicamente impossibile limitarsi ad analizzare lo stile letterario dell'altro. A criticarne con pazienza certosina soluzioni narrative poco indovinate, o  lodarne il sarcasmo come alternativa. Macché. Quando per un tempo prolungato scambi mail con qualcuno, la tua vita interna ed esteriore finisce con l'irromperci dentro. Che tu lo voglia, o meno. E non mi riferisco a qualche raro rimando alla famiglia, all'aspetto fisico, all'età. No. Io parlo di carattere. Di umore. Di battiti cardiaci. Parlo di quelle volte in cui, nell'impazienza di rispondere, dimentichi le virgole e te ne freghi delle ripetizioni. Delle volte in cui la tua gioia traspare in un eccesso di punti interrogativi. Di quando la vicinanza empatica ti porta a infilare espressioni dell'altro in mezzo alla tua stessa sfilza di righe. O, ancora, parlo di quando scrivi in lacrime. E, paradossalmente, é proprio allora che rifletti sui punti. Che rileggi mille volte. Che risulti più poetica e, al contempo, maledettamente più formale. 

Quello che voglio dire, soprattutto, è che quando scrivi sei tu. In sfumature ogni giorno diverse ,eppure sempre uguale nei tuoi tratti distintivi. Ed è questo che manca, nel romanzo di Glattauer. Ci sono due persone che si scrivono (anzi, tre, per essere sinceri) eppure tu ci leggi un esclusivo autore. Un autore che, per differenziarli, deve ricorrere a espedienti narrativi bassi: il nome del destinatario ripetuto come un mantra nel testo di ogni lettera. Gli elenchi per punti che, nella prima parte, dovrebbero contraddistinguere lei. Ma lo stile, in tutto questo, resta uguale. Elegante . Ricercato. Un po' spocchioso. Sempre e indiscutibilmente senza alcuna sbavatura. Mai. 

Siano tristi o siano felici, Emmi e Leo conservano nei periodi sempre lo stesso tono. Si parlano addosso, questo é. Parlano a sé stessi prima che all'altro, tanto che più che un dialogo a me sembra un monologo. Più che una storia, un mero e disperante esercizio di stile. 



Per questo non le capisco, tutte quelle lodi. Volete un romanzo epistolare? Uno bello, autentico, vero? Uno che scaldi come un piumone? Uno in cui sul serio si respiri vita? Ecco, allora leggetevi Scrivimi ancora. Certo, é di Cecelia Ahern. Orrore, un'autrice "commerciale"! Troppo in linea con chi ascolta pop. E poi ha la copertina in toni pastello, per l'amor del cielo! Certo non è appropriato se vuoi fingerti persona mediamente intelletuale. Eppure, ragazzi, che volete che vi dica? Io dai libri cerco la stessa cosa che richiedo a musica e film: che mi emozionino. Che mi facciano sorridere. Ridere a crepapelle. O magari piangere. Spaventare. Pensare. Stupire. In estrema sintesi, che mi facciano battere il cuore. 

E allora me ne frego, se ci riesce la Ahern e non un elogiato giornalista austriaco. Se ce la fa la Kinsella e – proprio per niente – Fabio Volo. Il vento del Nord, per me, è troppo freddo, e dei commenti di Anobii non dovrei fidarmi più. In fondo, è probabile che chi condivide i miei gusti usi quel sito esattamente come me. Io che per recensire sono pigra. Io che mi limito a giudizi di stelle, troppo invisibili perché qualcuno li veda. 

lunedì 27 febbraio 2012

Prima di partire per un lungo viaggio...




Vabbé la voglia di non tornare piú, ma io credo che serva anche una buona dose di determinazione. Sí, insomma, scusate l'assenza: sono stata impegnata a compilare moduli. Ora vi spiego, prima che mi tacciate di enigmatica. Il fatto é che é uscito questo bando meraviglioso: tre mesi di volontariato in Spagna, nell'ambito del progetto Leonardo. In soldoni: aiuti i giovani nella loro integrazione in loco, ti scordi lo stipendio, ma hai viaggio, alloggio e utenze pagate. Piú 200 euro al mese da investire in ció che vuoi. Non male. Un sorriso sulla faccia, nel mio caso, é garantito cien por cien. Peccato che, come sempre, io l'abbia scoperto a pochi giorni dalla scadenza. La busta deve arrivare a Lucca non piú tardi del 2 Marzo. Non fa fede il timbro postale. E allora, via: weekend passato a lottare con Word per l'impaginazione del curriculum nel formato Europass. Eurostress, piú che altro, visto che ci ho messo tre ore a far sparire le inquietanti due pagine bianche che s'ostinavano a frapporsi tra il diploma di maturitá classica e le ultime nuove dalle esperienze professionali. E dire che dovrei essere esperta, in Misteri di Word, ormai. Poi le caselline da riempire: “Fumi? Hai la patente? Hai allergie? “ Ma soprattutto: “Sei vegetariana?”. Che un po' anche te lo chiedi, perché caspita lo vorranno sapere. Ci fai dell'ironia sullo schermo di twitter : “Magari lo stage prevede di essere integrati in un'azienda che produce prosciutti”. Ed immediatamente, vigile come un falco che addocchia la sua preda, il Jamón Ibérico Juan nonsoché mi segue. Cioé, non il prosciutto in sé. Il community manager dell'impresa. O almeno presumo. Comunque sia, discreta acquolina in bocca modo: On. Ancora, la minuziosa redazione di una lettera motivazionale, per poi scoprire che le stesse cose vanno riportate anche sull'application form. Che va compilata a macchina. E' meglio. Solo che lo leggi quando giá l'hai fatto a mano. Ri-stampa. E ora la fototessera. Manteniamo la calma: fototessera. Io ero certa di averne ancora, di fototessere. Dove diavolo...!? Dovró decidermi a metterla in ordine, 'sta stanza, prima o poi.




Comunque. Ho avuto all'incirca quattro attacchi di panico, ma oggi quella busta é partita. Raccomandata A/R. E, comunque vada, ne é valsa la pena. Sí, insomma, ho di nuovo quella sensazione. La sensazione di star lottando, intestardita piú di un mulo, per dare alla mia vita la piega che sognavo. La sensazione, soprattutto, che tutto sommato ci posso ancora riuscire.

Perché, vedete, mentre cercavo quelle maledette fototessere mi ha contattata una ragazza. Manco a farlo apposta, mi chiedeva dell'Erasmus. E mi sono resa conto che, a mancarmi, non é poi solo l'ebbrezza di quei dieci mesi. No. In fondo, a me manca anche il prima. Quell'alternanza continua di speranza e di terrore. La voglia di avventura mischiata con il senso di distacco. La strada nuova che affascina e ti chiama, in senso opposto alle certezze quotidiane. Ecco: questa volta io , tutto questo, non l'avró. Adesso so cosa mi aspetta. Adesso, se anche mi prendessero, lo saprei a Marzo per poi partire ad Aprile. Non ne avrei il tempo, neppure. E, poi, se anche quei sentimenti riprendessero ad invadermi, non avrei il contorno giusto per assaporarli bene.

Niente coinquilina da attendere al varco, per sfogarle addosso paranoie. Niente compagna di corso che ti porta a bere Sangría dopo lezione, costringendoti al barcollo nei kilometri che vanno da Via d'Azeglio a casa. E quanto ridevo, peró. Stavolta, anche volendo, non potrei condividere i pensieri con un altro gruppo di studenti nella stessa situazione. Lí, disposti a semicerchio dentro ad un'aula spoglia, come un gruppo di alcolisti anonimi in attesa che la borsa sia assegnata. “Prima era un pensiero, un'idea. Adesso é vero, ti rendi conto?” . E se poi mi chiedessi “e adesso?”, se poi avessi un minimo di dubbio...beh, credo che i miei mi prenderebbero per pazza se afferrassi uno straccio e mi mettessi a spolverare freneticamente casa. Se lo facessi con i BajoFondo e Julieta Venegas in loop incessante, per lo meno. Volume a palla. Ballando un tango isterico da sola. Perché Julieta Venegas é il mio pre-partenza. Ho parlato spesso di canzoni dell'erasmus. Canzoni post-erasmus. Canzoni il cui testo sembra parlare dell'erasmus. Ma la canzone del pre-erasmus, signori...quella era indubbiamente Pa'Bailar.






Al diavolo. Io non credo che sceglieranno me, per quel progetto di volontariato. Ci sono solo 41 posti in tutt'Italia. Devo essere realistica. Peró ci ho provato. Ho saputo di quel bando e, come ai vecchi tempi, la data di scadenza non mi ha fatta scoraggiare. Sono fiera di me, di nuovo. E' questo che mi piace.

E forse l'Universo se n'é accorto, perché sulla casella mail, oggi, sono arrivate altre belle – forse anche migliori- novitá.

Scusate l'assenza, perció: il resto della vita, certe volte, mi chiama . 

venerdì 24 febbraio 2012

Venerdí...Tarta de Santiago!

Teletrasportiamoci in Galicia. In fondo potrebbe essere un buon modo di onorare Volotea, neonata compagnia low cost che proprio in quella regione ha una delle sue destinazioni. E' la notizia del giorno, almeno per me. Un buon modo per raggiungere il Nord della Spagna senza pagare cifre astronomiche in trasporti verso aeroporti lontani. Una via più comoda per raggiungere Murcia da Alicante nel prossimo mese di Maggio, pure. Che poi era una ricerca che avrei dovuto fare. Insomma, la Galicia. Terra di Verde. D'Oceano. Di pioggia. Terra di Polpo, come tutti sanno. Ma anche patria di un dessert davvero sublime.

Dopo un eccesso di settimane d'assenza, la rubrica culinaria torna a raddolcirvi con la Tarta de Santiago.


TARTA DE SANTIAGO - Ingredienti per 6 persone.

Per la base:

125g di zucchero semolato
125g di farina bianca
1 uovo
farina bianca per la spianatoia
burro per lo stampo
zucchero a velo per guarnire

Per farcire:
4 uova
250g di zucchero semolato
250g di mandorle macinate
limone
cannella in polvere

Per la base: in un recipiente, sbattete l'uovo con lo zucchero e due cucchiai di acqua calda. Unite la farina un po' per volta, continuando a mescolare finché l'impasto non si staccherà dalle pareti del contenitore.

Stendete l'impasto ottenuto sulla spianatoia leggermente infarinata fino ad ottenere una sfoglia con cui rivestirete uno stampo precedentemente imburrato. Bucherellate il fondo con l'aiuto di una forchetta.

Per il ripieno: sbattete le uova con lo zucchero , uniteci un pizzico di cannella, la scorza grattuggiata del limone e, sempre mescolando, le mandorle macinate. Distribuite il ripieno nello stampo già foderato con la base precedentemente preparata ed infornate a 180 gradi per circa 30 minuti.

Una volta pronta e raffreddata, spolverate la superficie della torta con dello zucchero a velo. Buon appetito!


giovedì 23 febbraio 2012

Ciao, sono Ilaria e sono una Spain Addict.

Lo so: logica vorrebbe ch' io mi risparmi i post a beneficio di futuri cali d'ispirazione. Peró non ce la faccio. Non stavolta. Io,questo video, lo devo condividere subito. Sí. Perché - che diamine!-  quelli del Turismo de España la devono smettere di osservarmi cosí bene! Almeno mi spiegassero dove hanno piazzato i microchip. Oppure...un momento: non sará mica che mi leggono il blog?

Vabbé. Comunque sia, il fatto é che mi hanno di nuovo ritratta a perfezione. Cento per cento io, no digo más. E, una volta di piú, la campagna  é geniale. 









Nemici, everywhere. Riflessioni sparse sulla Primavera Valenciana.

Non so se abbiate letto il mio pezzo sui fatti di Valencia. Quello su Total Free Magazine, intendo. Anzi, per dirla tutta non so nemmeno se sappiate cosa sta succedendo, a Valencia. I media italiani continuano ad ostentare in merito una silenziosa indifferenza che mi fa veramente incazzare. Ma, chissà, forse la rete tornerà di nuovo a indirizzare il flusso di notizie verso le piattaforme cosiddette più autorevoli. Forse quegli scontri, prima o poi, finiranno tra i titoli del Tg1 come fossero una novità. In ritardo, come la Spanish Revolution, ma almeno ci saranno. Almeno mi toglieranno di dosso questa fastidiosa sensazione di premeditato. Di temuta emulazione, nostrana ed europea. Come in quel mese di Maggio, per l’appunto. Almeno mi rassicureranno sull’unica altra possibile- e altrettanto preoccupante- ragione del silenzio, dicendomi che no, che non si sta sottovalutando un bel niente. 



I giovani spagnoli, da un po’ in qua, sono agguerriti. Combattivi. Più che mai risoluti a fare dei loro diritti una missione. Ne paragonano le battaglie a quelle di Atene. Le rivendicazioni al sessantotto, addirittura. Sì. Perché sui fatti di Valencia, ognuno ci tiene a dire la sua. 

E per lo più sono frasi di circostanza, quelle che i vip (Dio, quanto odio questo termine!) iberici affidano ai Social Networks. A volte esageratamente retoriche, a volte scontate, a volte, semplicemente, espressione colloquiale del comune sentire. Il testo di David Otero, però…quello sì, che mi ha veramente colpita. 

L’ha pubblicato sulla sua pagina di facebook: sfogo notturno condito dalle preoccupazioni di un padre. Mi ha emozionata, questo è. Mi ha stranita. Altrettanto di sicuro, mi ha fatta pensare. Perciò non scriverò dei fatti di Valencia. In fondo, l’ho già fatto per Total Free Magazine. No. Io qui mi limito a tradurvi quel testo, senza altre parole, né giudizi, né opinioni. Solo le frasi di quel compositore, in versione integrale, ansiosa di sapere quale effetto producano in voi. 



"Fino a oggi mi sono mantenuto in silenzio, come nell’ombra. Non ho mai dato la mia opinione politica né religiosa in pasto ai social networks, le ho affidate impermeabili ai miei pensieri, non mi sembrava bello utilizzarle per non collocarmi al fianco di nessuno, di nessun movimento né politico né sociale, perché non credo in nessuno di essi, e non mi sento identificato in niente e in nessuno. Mi piace avere la mia personale opinione sul mondo in cui vivo senza influenze, senza squilibri. Ma c’è una cosa che voglio sia chiara, ed è il mio rifiuto totale della violenza, sia fisica che verbale. Sia degli uni che degli altri, è questo il principale motivo per cui scrivo questo testo. Ogni tanto guardo i notiziari, un paio di volte alla settimana, e con la stessa frequenza leggo i titoli dei giornali, ho un’opinione superficiale dell’attualitá e non leggo mai gli articoli interi. Quindi le mie opinioni si basano su ció che vedo per strada, ai concerti, quando vado a bermi qualcosa fuori, o a fare la spesa, o mentre sono imbottigliato nel traffico o faccio una passeggiata. Tante volte mi viene voglia di criticare tante cose, ma credo che anch’io commetto molti errori e preferisco lavorare su di me che cercare di cambiare il mondo che c’è fuori. Ma oggi sono rimasto sconvolto vedendo ció che è successo a Valencia. Mi sembra che quando ci sono proteste e scontri per motivi politici e ci si confronta tra adulti , ognuno sa quello che fa, ma oggi c’erano tanti ragazzini…mi sembrano altrettanto orribili quelli che lanciano sassi e bruciano cassonetti e quelli che danno manganellate e calci a chi si trovasse a incrociarsi con loro. Davvero mi spaventa tutto questo, perché qui è dove crescerà mia figlia. Voglio che lei lotti per i suoi diritti, che senta di poter dire la sua su quel che succede, senza dover aver paura, e che possa farlo in modo pacifico. Non capisco che bisogno abbiamo di scontrarci, né i poliziotti sono nostri nemici, né noi siamo i loro. Bisogna potersi esprimere senza essere aggrediti, e si deve esprimere la propria opinione senza aggredire chi ci sta davanti, se no smette di essere opinione e si trasforma in imposizione, proprio come quelle contro cui protesti.
C’è sempre qualche amico che ha un papá poliziotto cattivissimo, e poliziotti di Valencia che hanno figli senza il riscaldamento a scuola. Non siamo nemici, siamo compagni in questa società. Ma allora? Cosa c’é dietro? C’é un interesse che fa sí che esistano questi tipi di protesta? Vogliono che ci mettiamo gli uni contro gli altri?...Io credo che la chiave stia lí, e per questo motivo lo scrivo. Per poter esprimermi del tutto e perché lo legga chiunque sia interessato alla mia opinione. In 140 caratteri è molto difficile esprimere quello che uno sente e mi sembra piú logico dedicare il tempo che ci vuole a dire la mia. Continuo…

Sí! Credo che quello che interessa è che ci sentiamo divisi e spaventati, che sentiamo che quelli del PP e quelli del PSOE sono nemici, che sentiamo che quelli del Real Madrid e quelli del Barcellona si odiano, che sentiamo che ogni giorno ci sono sempre piú differenze tra i ricchi e i poveri, tra gli stranieri e gli spagnoli, tra i giovani e gli adulti, tra i baschi e i cantabri, tra gli andalusi e i galleghi. Credo che stia crescendo un clima di estremi che non mi piace per niente, e credo che non stia succedendo senza volere. Ma, chi puó volere una cosa del genere?! Lí sta la cosa divertente di tutto ció. Non ne ho idea, ma lo percepisco. Non penso che siano i politici, e non li vedo come dei nemici, né mi considero anti-sistema, perché credo che il sistema lo dobbiamo utilizzare per il bene sociale, non per tirargli sassi. Ma in qualche modo neanche la classe politica puó fare qualcosa, solo assumere misure disperate in situazioni disperate, e questo provoca altri estremi, altri scontri, altra violenza verbale e fisica, sia da casa guardando la tv, dalla manifestazione quando chiamiamo “figlio di…” quello che abbiamo di fronte, o sia dando manganellate indiscriminatamente. 



E’ un circolo vizioso da cui non si puó uscire senza lavorarci duramente. Ma credo che se siamo piú intelligenti di quelli che provocano lo scontro, ci sia un piccolo raggio di sole a darmi un minimo di speranza. Non sappiamo contro chi ci scontriamo ma sappiamo che quanto piú ci opponiamo gli uni agli altri, piú vincono questi “loro”, li chiamerò cosí a partire da ora, “loro”. Siria, Messico, Africa, da lí traggono “loro” il beneficio, dalle armi, dalla violenza, dagli scontri. Continuiamo ad approfondire…petrolio? Droghe? Armi? Denaro? Alcol? Tabacco? Non so perché , ma tutto mi puzza della stessa cosa, di “loro”. Ho la sensazione che tutta ‘sta cosa della crisi sia una formula molto ben studiata perché succeda quel che sta succedendo , e se c’è qualcuno che è capace di fare una cosa del genere, devono essere “loro”. Crediamo di essere piú forti che mai perché abbiamo una democrazia e una costituzione e peró, all’improvviso, non siamo capaci di cambiare niente, forse lo vogliamo? O vogliamo solo continuare con l’idea che avevamo fino a qualche anno fa di avere sempre di piú, e di piú, e di piú…Io credo che neanche questo sia evolversi, questo è solo l’inganno che ci hanno messo “loro” perché crediamo di essere sempre piú felici, e in fondo è tutto un miraggio, “non è felice chi piú ha, ma chi di meno ha bisogno”, ma “loro” vogliono che sentiamo che la felicità arriva solo a mezzo del possedere cose. Prima di concludere, voglio dire che abbiamo un’arma che tutti sappiamo utilizzare…l’AMORE…cosa sarebbe successo se, a Valencia, una di quelle ragazze che lottavano per i loro diritti si fosse avvicinata a uno degli antisommossa e l’avesse abbracciato, gli avesse raccontato della sua preoccupazione e gli avesse dato la mano, tirato via il guanto e lanciato il manganello per terra? Suona impossibile, ma qualcuno ci ha provato? Magari cosí fosse…mi piacerebbe vederlo in tv, penso che piangerei di emozione e inizierei a pensare che stiamo iniziando ad avere la meglio su di “loro”…e continuo a pensare..Chi saranno, “loro”? Dove vivranno, cosa penseranno, come saranno…? Magari non sono tanto diversi da noi, magari sono molto piú vicini di quel che pensiamo , magari condividono la vita con noi, al nostro fianco, e non ce ne accorgiamo, magari…cazzo, magari “loro” siamo “noi”! E non siamo capaci di vedere che siamo il nostro peggior nemico, e la fonte di cosí tanta follia, e al contempo di cosí tante cose belle…non odiamoci piú, per favore, perché quando odiamo qualcosa fuori di noi, odiamo anche qualcosa dentro di noi, non continuiamo ad odiarci, cosí non dovró piú scrivere papiri come questo per esprimere la mia opinione. Buona notte…"
David Otero, “El Pescao”. 

martedì 21 febbraio 2012

Carri allegorici ed attualitá: ve le do io, le idee!

I dilemmi di martedì grasso. Gli stessi da una vita, ma oggi soprattutto due: perchè gli uomini travestiti da donna sanno portare con scioltezza il tacco dodici e io no? E, poi, i carri allegorici non dovrebbero avere una qualche minima attinenza con quanto accaduto nel corso dell'anno? Cioè, non dico che debbano per forza fare satira pungente, ma se l'unica ispirazione alle cronache é una raffigurazione in cartapesta (peraltro, ben fatta) sul famoso tunnel del Cern, a me sembra che manchi qualcosa. Oltrettutto, ora che mi ci hanno fatta pensare, condivido il loro dubbio: che diavolo ne é stato di quell'esperimento lì?



Il fatto è che credo di averlo già detto: il carnevale, di per sé, non mi fa impazzire. Per lo piú non mi travesto, nemmeno. Peró, rimane il fatto che sono una creativa. Presumo di avercelo nel DNA e, oggettivamente, é spesso piú una tortura che un pregio. Perché io non riesco a smettere di partorire idee. Mai. Nemmeno un istante. Cosí, poi paragono la triste realtá di Giamaica, Preistoria e Torte con i miei scenari mentali e, inevitabilmente, me lo chiedo: come caspita é possibile che ci abbia veramente pensato solo io?! Sul serio la fantasia é rimasta dominio di pochi? Una volta, anche nel nostro piccolo ritaglio di nord est, i carri e i gruppi mascherati erano colorato pretesto per ricordare quanto successo, ridendoci sú. Ed oggi, a me, sembra che sia rimasto invece solo colore.

Comunque la colpa é mia, lo riconosco. Faccio presto a dire – a ripeterlo ogni anno – che le mie idee erano belle e spiritose, se poi per pigrizia non le metto in pratica mai. Del senno di poi son piene le fosse, della serie. Ma é con quel senno di poi che oggi voglio raccontarvi ció che mi ero aspettata non fosse venuto in mente solo a me.

Del tipo: i Maya. Possibile che al Carnevale del 2012 non si faccia neanche una menzione ai Maya?! A me, sinceramente, sembrava quasi banale. Avevo pensato che sarebbe stato spiritoso travestirmi da Ape Maya, in realtá, con la parrucchetta bionda, le alette e le righe di rito. Ma contaminare il tutto col caratteristico elmo della comunitá precolombina. Con una lancia. Con uno scudo su cui fosse raffigurato (sarebbe bastato stamparlo e incollarcelo sopra) il famoso calendario profetico. Per dire.



E poi mi sarei aspettata di vedere almeno un gruppo di quattro ragazze travestite da Hostess della Pan Am. Facile e d'impatto inmediato,con strizzata d'occhio alla serie tv.



La mia idea piú bella peró, era indubitabilmente quella basata sulla protesta del mondo del web. Un po' nerd, forse, ma di sicuro sulla bocca di tutti. In realtá, questa posso anche capire che non sia stata realizzata: troppo recente per avere tempo di montarci sú un carro. Ve la devo raccontare, peró, perché l'avevo visualizzata bene.



Pensateci. Gruppo mascherato composto da: gente con la maschera di Anonymous (che poi é giá carnascialesca di per sé); pirati in stile classico, con tanto di bandiera, che trascinano fumettesche palle da carcerato al piede; poliziotti con la scritta FBI sulla divisa che li inseguono; icona del “mi piace" di facebook, affissa in cartapesta su qualcuno imbavagliato; icona di Youtube, imbavagliata anch'essa, smartphones imbavagliati, icona di msn imbavagliata, e via dicendo. Sul carro, il gigantesco schermo del computer e due agenti dell'FBI che lo colpiscono con un martello. E non puó certo mancare l'uccellino di twitter tristemente chiuso in una gabbia.

Polemico ma figo, no? Avrebbe riassunto tutta la vicenda anche con certa minuzia. Ci sarebbe solo da finire di pensare alla musica. 

Vabbé. Sia come sia, tenetemi presente per il prossimo carnevale. Che magari io non mi maschero, peró vi elargisco molto volentieri idee. 

lunedì 20 febbraio 2012

Io, Waka Waka. E voi?

Lunedí: stato di iperattivitá forzata. Impegno estremo nel cambiarmi la vita. Scrivere, scrivere, scrivere. Per me é cosí dacché ho memoria, con l'ovvio risultato che alle sei di sera il mio cervello giá stia emigrando nella direzione delle nubi. Nel senso che evapora. Letteralmente. Frammenti di neuroni dispersi nell'atmosfera, pace all'anima loro. Carote e patate a me, peró, che ci si puó sempre cucinare qualcosa. L'ovvio risultato – dico, l'altro – é anche che il martedí io ritorni pigramente normale. Aggiungerei: “Grazie al cielo”.




Comunque. La premessa mi serve a giustificare la totale mancanza di contenuti profondi barra interessanti in questo post. Sul serio, non ce la posso fare. Cosí, visto che é carnevale, scelgo piuttosto di proporvi un gioco.

Sí. Perché, vedete: ultimamente i miei genitori hanno una vita sociale di gran lunga piú intensa della mia. D'altro canto, il mio livello di anzianitá interiore mi ha portata, nell'ordine, a diventare tisana-dipendente e a trovare fastidiosissime le luci stroboscopiche. L'altro giorno ho anche usato l'espressione “ai miei tempi”, il che la dice lunga giá di per sé. In realtá é anche piuttosto bizzarro che io mi comporti alternativamente come una quindicenne esagitata o come una sessantenne annoiata. Forse la mia etá mentale coincide con quella effettiva solo in virtú di una semplice media matematica, boh.

Fatto sta che, il Carnevale, non avevo in programma di festeggiarlo. Invece, i miei sí. In concomitanza con la finale di Sanremo, avevano organizzato una serata oggettivamente figa a base di cibo e travestimenti a tema musicale.


(Anche loro, tempo addietro, avevano avuto un po' la stessa idea...)


Cosí, in assenza di piani alternativi - assenza auto-imposta, beninteso: ho fissato il telefono per tutto il giorno con espressione ebete per poi decidere di non contattare nessuno. Insomma, sarei dovuta uscire troppo tardi! Faceva freddo! Non avrei retto quattro brani di pittbul di fila, e 5 euro sono troppi per un cocktail annacquato! [Tramortitemi, per Dio!]

Insomma, dicevo: in assenza di piani alternativi mi sono fatta coinvolgere, trovandomi ad impersonificare la versione waka-wakesca di Shakira. I motivi della scelta? Presto detto: i bellissimi ricordi legati al Mondiale del 2010, l'overdose di colori nel look, e quei fantastici affarini che le adornano i capelli nel video (li adoro!).Tra l'altro l'ho sempre detto che - in barba al parere degli stilisti- il modo in cui veste shakira mi affascina. Cosí ho pensato che , dall'alto della mia insaziabile curiositá, mi piacerebbe proprio sapere , in una serata a tema musicale, da cosa vi sareste invece travestiti voi. E, soprattutto, che mi piacerebbe sapere il perché. Sú, forza, sbizzarritevi.



Poi, giá che ci sono, appello in post- scriptum ai miei suddetti amici: trascinatemi fuori di casa. Sul serio. Se aspettate che mi muova io rischiamo di non vederci fino alla fine del mio letargo invernale. Io vi avviso. Saluti dal telefono che continuo a fissare. 

venerdì 17 febbraio 2012

#Italospagnolismi all'Ariston

Un po' mi spiace, continuare a trascurare la rubrica culinaria. Per dirla proprio tutta, mi spiace anche tornare a parlare di Sanremo. Solo che ieri sera, sul palco dell'Ariston, gli italospagnolismi non sono mancati. E, in un blog come questo - va da sé- certo non posso esimermi dal commentare. In realtà me l'ero ripromessa sin da quando Luca e Paolo avevano anticipato in banalità il balletto d'apertura. Ve lo giuro. Se non posso stare in sala stampa a mangiare tartine e prendere in giro Enzo Miccio (ebbene sí, pare ci sia anche lui), allora, m'ero detta, mi dedicheró alla cronaca via blog. Ma non una cronaca qualsiasi, beninteso. Che, in fondo, di Sanremo ne parlano tutti. Troppa concorrenza, non mi convince mica. Io, piuttosto, mi dedicheró ad analizzare ogni singolo motivo di incontro tra il mondo iberico e quello nostrano. Cioé, ne avevo proprio fatto una dichiarazione d'intenti. Volevo anche postarla su twitter, solo che in 140 caratteri non c'era verso di farla suonare sensata. Magari perché non lo é. Ma insomma...

Resta il fatto che, nella serata dedicata all'Italia nel mondo, Sergio Dalma non poteva mancare. Lui, che mi somiglia al contrario in quest'adorazione folle per la nostra Nazione. Lui che ha venduto migliaia di dischi riproponendo in castigliano alcuni grandi classici della tradizione musicale nostrana. Lui che mia madre, soprattutto, definisce “un bell'omino”. Ed io dissento fino a che non apre bocca. Sul serio, non che sia una novitá, ma quell'accento lí mi renderebbe sexy anche un comodino. Non posso farci niente. Avrei bisogno di sedute terapeutiche, ma fatte da uno bravo. Comunque. Al suo fianco c'é Francesco Renga. Del resto, non che l'accoppiata stupisca:   dopo la collaborazione con Jarabe de Palo e le sue sempre piú frequenti incursioni professionali a Madrid, il bresciano va ormai considerato a tutti gli effetti membro onorario della setta filo-ispanica. Con mio profondo orgoglio, peraltro. Ché non posso scordarle, le traduzioni in spagnolo che facevo dei suoi brani. Tra le prime di tutta la mia vita.  Per qualche ragione, ho sempre trovato che la sua metrica si adattasse all'altra lingua meglio di qualsiasi altra canzone. Meglio della Pausini, addirittura, in certi casi. Poi di tempo ce n'é voluto, eh? Eppure é sempre bello quando i fatti  ti dicono “brava”. Anche il fiore che ha al collo, in questa strana serata sanremese, incontra del tutto la mia approvazione. Sará che ricorda un fermaglio per capelli comprato tempo addietro a Benalmadena, chissá. 

Ad ogni modo, il primo dei due duetti stenta a decollare. Sará l'emozione, ma Dalma, lí per lí, sembra essere affetto dalla stessa afonia che ha portato Shaggy ad aprire la performance con un rutto (dategli del fluomucil!).  La loro “El Mundo” ne esce scoordinata, un po' disomogenea, in parte forse sbilanciata nei timbri vocali. Non sembrano affiatati, soprattutto. Non come mi sarei aspettata.




Per fortuna, peró, poi si passa a “Bella senz'anima”. E qui la storia cambia. Cambia del tutto. Il fatto é che Dalma, con quelle sue tonalitá un po' roche, sembra nato per cantare Cocciante. E probabilmente lo sa, perché di botto ritrova confidenza e dominio scenico. Lo spagnolo si appropria del palco. Lo domina. E Renga gli va dietro, con quei suoi toni alti che nel bilinguismo s'intrecciano a brividi d'emozione. Finalmente, tutto ha un senso. Anche al di lá di Brian May e Patti Smith.






Non é stato l'unico italo-spagnolismo, tuttavia. Non sul piano prettamente linguistico. Tanto per dirne una, c'é stato Goran Bregovic. E questo, francamente, credo che non se l'aspettasse nessuno. Non dopo la performance da sagra sul patriottismo romagnolo di Bersani, almeno. Certo, di casino ne ha fatto un bel po'. Tanto per cominciare, ha presentato il pezzo dichiarando che per la prima volta nella storia la lingua gitana sarebbe entrata a Sanremo. Tutto bene. Peccato che poi canti in castigliano e la lingua gitana, a onor di cronaca, sarebbe tutt'al piú il Caló. A dire il vero (ma qui é colpa di Morandi) non si capisce nemmeno se il tizio che l'accompagna sia oppure no uno dei componenti dei Gipsy King. Goran, poverino, parla un italiano comprensibilmente un po' stentato. Non si capisce se il brano l'abbia semplicemente inciso coi fratelli Reyes, o se stia parlando dello stretto “qui ed ora”. Ma il presentatore, invece di chiarire, glissa sull'argomento, lasciando i nostri dubbi in balia di Google (che, peraltro, non li risolve mica). 




Il pezzo, peró, convince. “Surreale”, nell'atmosfera in cui s'inquadra (come afferma anche Gianni Sibilla dalla schermata di twitter) , certo, ma convince. In puro stile Bregovic, mette di buon umore invogliando ad alzarsi dalla sedia. Quel “eh, balcañeros, vamos” mi rimarrá incollato in testa per un bel po'. 

Ultimo italo-spagnolismo (anche qui solo linguistico, dato che uno dei suoi protagonisti arriva, in realtá, da Puerto Rico) é costituito dall'insolito duetto tra José Feliciano ed Arisa. Nonché, soprattutto, dal suo contorno di involontaria comicitá. Cioé, sul serio, smettetela di dare alcolici a Morandi. Ve lo chiedo per favore. Ché il povero José si sforza di parlare in italiano. Non gli viene neanche del tutto male, oltrettutto. Anzi, sembra me quando sono troppo stanca per separarmi le due lingue nel cervello. Comunque, il punto é che Gianni non se ne accorge. E che fa? Lo traduce. Son bei momenti, non c'é che dire. 







Ma il culmine arriva dopo l'esecuzione del primo brano. Ché José, ormai rassegnato, sceglie di parlare direttamente  in un fluente spagnolo. Peccato che nemmeno questa volta il conduttore se ne accorga. O forse non capisce, boh. Fatto sta che non traduce per niente, lasciando i non ispanohablanti nell'oblio. Cioé, complimentoni. 






Oltrettutto, l'episodio mi porta ad aprire una parentesi di – neanche tanto vaga – polemica. Sí, insomma, la dobbiamo FINIRE con quest'assurda convinzione che tanto “lo spagnolo e l'italiano si somigliano”. Che “tanto si capisce comunque”. So per esperienza piú o meno personale che, sull'onda di questa filosofia, networks televisivi anche importanti scelgono di risparmiare sull'interprete dallo spagnolo. Con il risultato che poi, inevitabilmente, si scade nel pressapochismo. Che magari una tizia dice alla telecamera “estoy embarazada” (ovvero: “sono incinta”) e il malcapitato con cui condivide il palco informa gli italiani che “é imbarazzata”, convinto di aver capito tutto. Cosí, tanto per fare un esempio scemo. Poi io non dico che debbano per forza assumere me . Oddio, in realtá sarebbe meglio, ma non ha importanza. Il punto é che ci sono un sacco di traduttori e interpreti specializzati nella lingua spagnola. Se allarghiamo ulteriormente il quadro, ci sono centinaia, migliaia di persone che al suo studio hanno dedicato anni della loro vita. Rinunciare ad un interprete in prima serata (e lo ripeto: non sto piú parlando di Sanremo) nella convinzione che non sia poi cosí necessario mi sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti, oltre che in quelli del pubblico e dell'ospite straniero. E qui concludo, promettendo altri commenti ove l' italo-spagnolismo lo richieda. 

mercoledì 15 febbraio 2012

Il lato positivo di Sanremo.

Ho già scritto troppe polemiche ovunque. Almeno qui, voglio essere positiva. Sì, insomma, ci sono state anche delle cose belle, in questo Sanremo. Sul serio. Toh, guardate, ve le elenco:


1. La canzone dei Marlene Kunz.






2. Il vestito di Nina Zilli (non per niente, di Vivienne Westwood. Sempre detto che la amo). 








3. Il sarcasmo acido di twitter. 






E poi...e poi...ehm...poi... uh...


...ok,  vabbé, poi basta. 


Davvero: io ci ho provato, ma è come sparare sulla Croce Rossa. Ancora una volta, al più storico degli slogan, urge aggiungere un punto interrogativo. 


Perché Sanremo è Sanremo ?


No, sul serio (leggasi con tono disperato): perchèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèè ?!

martedì 14 febbraio 2012

I videoclip di Leiva e la provocazione (Atto II)

Stavo elogiando un po' ovunque il debutto solista dell'anima dei Pereza. O, almeno, quei due pezzi che – assieme al resto del mondo – ho avuto fino ad oggi il piacere di ascoltare. Qui, su Total Free Magazine ,in ogni riga scritta sulle reti sociali trasudavo entusiasmo ed impaziente attesa: ché il disco di Leiva esce il 21 del mese, e credo proprio che lo comprerò.

Poi, nel giorno di San Valentino, arriva il videoclip ufficiale di Eme. E tutti, d'improvviso, prendono a parlare di cattivo gusto. Di scene di sesso orale che rubano in immagine tutto il romanticismo alla canzone. Allora penso: “Oh, no! Ci è ricascato!”, e con un moto di stizza mi ritorna in mente il fatto di Margot.

Per questo credevo che oggi avrei interrotto il mio idillio con un copia-incolla di quel vecchio post. Mi immaginavo lì, con un'altra canzone drammaticamente rovinata, a riflettere sui meccanismi della promozione. Ché- non facciamo i finti tonti- la provocazione, in questo senso, è sempre stata regina. Eppure non dovrebbe essere fine a sé stessa, mai. Un videoclip dovrebbe far conoscere una canzone; far parlare di lei, certo, ma senza prevalicarla. Senza fuggire dal suo testo e dalla sua atmosfera, mai.

Oggi, basandomi sul sentito dire, ero convinta che avrei scritto un altro post indignato. Invece, ho premuto play.





Il videoclip mi piace, questo è. Anche molto. Non è come Margot, per niente. Qui c'è una storia, che accompagna le parole. C'é il tocco creativo nell'uso dei burattini. Ci sono i toni cupi che rivestono l'estetica del disco. E la canzone, no...non esce intaccata.

Forse, peró, é proprio per questo che il sesso orale stona. Perché senza di esso , il video reggerebbe comunque. E' stato messo lì per far parlare, ovvio. Perché altrimenti Rolling Stone non ci avrebbe mai dedicato un articolo. D'altronde, non é che per capirlo ci volesse un genio. Quello che mi chiedo , tuttavia, è: era necessario? VERAMENTE? Voglio dire: non fa già abbastanza parlare di sé il fatto che la voce e il compositore di una band storica lanci il suo primo lavoro solista? Non é giá travolgente l'accoglienza che sta ricevendo il singolo in tutti i grandi networks spagnoli? Soprattutto, non dovrebbe far parlare, piú che altro, la rotonda bellezza della canzone?

Ai posteri l'ardua sententia. Per quanto mi riguarda, apprezzando il clip di Eme, credo di preferirgli in fondo il video virale di Nunca Nadie. Con tutto il rispetto per le provocazioni di Titán Pozo, l'eleganza semplice del regista argentino Nahuel Lerena mi ha giá conquistata da un bel po'. Forse dipende dal fatto che io la bellezza l'ho sempre, e in ogni momento, trovata dentro alla semplicitá. 









domenica 12 febbraio 2012

Meno male che anche i vips sognano robe strane!

L'altro giorno ho ritrovato un vecchio quaderno blu. “Il libro dei sogni”, si legge in copertina. Si strutturava ad ospitare scenari di vita onirica. Ed io, obbediente, l'avevo in quel senso utilizzato un bel po'. L'ho liberato dalla polvere. Ho starnutito otto volte, come in un qualche strano rituale atzeco, e l'ho sfogliato.

Ecco. Giuro che mi sono spaventata da morire.



Voglio dire: io già lo sapevo, che ho questa tendenza a fare sogni strani. Solo che vederli tutti lì, di seguito, nella loro angosciante psichedelia...beh, ha finito col preoccuparmi. C'erano alieni che invadevano il pianeta, pavimenti che in realtà erano schermi di computer, uova alla coque giganti che disintegravano la gente, ragazzi che facevano il trenino travestiti da orsetti di peluche. Tanto perchè vi facciate un'idea. E, in mezzo a tutto questo,premonizioni che ignoravo di aver mai avuto.

Tipo un sogno del 2004, in cui una vecchia amica indossava la divisa dell'esercito per servire bottigliette colorate dietro al bancone di un bar. Un'amica che allora si era iscritta al Dams e cercava lavoro. Che si dedicava a tutt'altro. Che, di quel sogno, (ora lo ricordo!) aveva riso.

Solo che oggi, otto anni dopo, quella ragazza si è arruolata nell'esercito. E, almeno stando alle ultime notizie che ho di lei, lavora nell'apposita mensa. Servendo piatti, in divisa, dietro un bancone.

Da quando l'ho letto non riesco a smettere di pensarci. Anche perché, col senno di poi, tutto è stato fuorchè l'unico episodio. Pelle d'oca. Ho dei poteri? Sono intuitiva? O é solo il mio cervello, che viaggia per mondi strani?

Domande che, probabilmente, non avranno mai risposta. Ma il lato positivo è che c'è twitter. E, davvero, è impressionante la quantità di persone che utilizza quella rete per raccontare agli altri cosa ha sognato. Se non ci credete, scrivete “sognato” ( o “soñé”, o “sueño” o “dream”) sull'apposita barra di ricerca. Cliccate invio. Poi “tutto”. Ne rimarrete sorpresi.



Soprattutto, su twitter ci scrivono anche i “Vips”. E quando capita di leggere i loro sogni riesco quasi a convincermi che i miei sono normali. O, ancor meglio, che é soltanto indice di menti creative. Sul serio, é rassicurante. Ve ne cito giusto tre, a titolo d'esempio.


Cesare Cremonini
Sognato di essere altissimo fidanzato con nana bassissima. Mi visitavano una spalla dolente poliziotti in borghese dentro una scarpiera. #mah


El_Pescao
Buon giorno! Ho sognato che ero a Santander, le onde si alzavano come colonne che non si rompevano mai e io trovavo un gatto gigante!

Pity Alvarez(cantante argentino)
Ho fatto un sogno stranissimo, io ero tutto pieno di formiche e le formiche mi camminavano dappertutto e io cambiavo forma, stranissimo, ero un uomo- formica.

Ok, vabbè, magari l'esempio del Pity non è stato vincente, visti i suoi trascorsi con le droghe. Ma resta il fatto che, se doveste leggere sui social network di qualche sogno strano fatto da un “Vip”, vi prego di segnalarmelo qui sotto. Sul serio. Oltre a regalarmi un sorriso, quel che è certo è che mi rassicurerà.

venerdì 10 febbraio 2012

Flamenco vs. Burlesque

“Sto seguendo un corso di Burlesque”. 

La notizia irrompe nello spogliatoio della scuola di Danza. Involontaria conseguenza della necessità di frivola malizia che dovrebbe arricchire la nostra coreografia. Di Flamenco, la coreografia. Se mi conoscete, dovrebbe essere ormai ovvio. In caso contrario, potreste averlo dedotto già dal  titolo del blog. Comunque. Chi in silenzio e chi un po' meno, avevamo appena ribattuto di sentirci in parte manici di scopa. Abbastanza ovvio che la nostra compagna attirasse di botto la curiosità. 

E, allora: ma come? Ma quando? Com'è? 

Le domande iniziano a sommergerla in una cacofonia d'apparente appoggio unanime. Il Burlesque, d'altronde, sembra essere la moda del periodo. Casalinghe, studentesse, rispettabili donne d'affari: tutte, almeno nella mia Regione, paiono di colpo interessate a mostrare agli altri il proprio corpo nudo. Dita von teese è il nuovo mito collettivo. Con lieve scetticismo, almeno da parte mia. 





Dicono – in effetti, lo dice anche la nostra amica – che il motivo che le muove è quello di imparare a prendere confidenza con il proprio corpo. Di acquisire sicurezza in sé. Non vogliono sapere come togliersi i vestiti: vogliono sapere come essere sensuali. 

Siamo una piccola, ma variegata, rappresentanza femminile. Donne di età e abitudini diverse, accomunate da un ballo definito “passionale”. Un ballo che, nella sensualità, ha spesso una delle sue connotazioni. E, allora non può essere altrimenti: è su quest'affermazione che ci dividiamo.

La sensualità, dice qualcuno, non si apprende. Sensuali ci si nasce, o non lo si sarà mai. 

Quanto alla sicurezza di sé, basta un qualsiasi corso di recitazione. Basta il flamenco, in effetti. Ma anche il ballo country, il tutú classico, l'hip pop: qualunque disciplina porti a muoversi su un palco é, da che mondo e mondo, sempre stata consigliata ai piú timidi.

Chi appoggia il burlesque sostiene, al contrario, che il portamento acquisito tra piume e corsetti può essere palestra addirittura al garrotín. 






Ma come fai ad essere davvero sensuale, ad impegnarti per esserlo, in una stanza di sole donne ? Dovrebbe nascerti spontaneo col tuo uomo, in privato, magari. Ma cosí...Beh, a me verrebbe piú che altro da ridere. (In realtá, a dirla proprio tutta , a me verrebbe da ridere a cimentarmi in uno spogliarello professionale a prescindere, anche in privato. Ma forse io sono un caso a parte, non lo so.). 

L'altro "schieramento" si difende. Il burlesque non é solo uno spogliarello. E' uno spettacolo spiritoso. Frivolo, appunto. Show a tutto tondo per cui scherzi con e su di te.

Ma no, Dita Von Teese, a guardarla, mica ridi. Né fa ridere pagare per privarsi dei vestiti. 

“Non é obbligatorio spogliarsi. Se uno non vuole, non lo fa”. 
“Ho capito, ma sarebbe come iscriversi a un corso di nacchere e non mettersi le nacchere”. 

Il dibattito, se lo riporto qui, non é perché vi facciate i fatti miei, ma perché mi ha sinceramente interessata. Cosí m'é venuta voglia d'allargarlo al blog: e allora voi, mi chiedo, con quale corrente di pensiero vi schierate? Che cos'é, per voi, la sensualitá? Sí, insomma: cosa ne pensate del Burlesque?! 

Sono naturalmente benvenute anche le opinioni maschili. 

mercoledì 8 febbraio 2012

Quello che non vi ho detto su San Valentino.

Non so se lo sappiate, ma l'equivalente spagnolo di “dolce metà” è “media naranja”. Proprio così: mezza arancia. Mi sono sempre chiesta il perchè. Resta il fatto che lo trovo più azzeccato. Voglio dire, l'amore non è sempre zucchero e smancerie. Qualcosa di succoso ed acre credo lo descriva meglio. Comunque, io mi rispecchio dentro un gruppo facebook: con la mia anima gemella ci devono aver fatto una spremuta. Per questo frega niente di San Valentino. Perchè non è che lo odi, intendiamoci. Non mi fa sentire sola ed infelice. Non lo passo abbracciata al cuscino, e tantomeno snobbo chi lo festeggia. Macché. Lo facevo una volta, magari. Quanto avevo tredici anni e quindici complessi in più. Ora è solo una data come un'altra. “Che giorno è?”, “Il 14”, “Ah, già”. Tutt'al più mi viene in mente un vecchio brano – sempre quello- degli Algunos Hombres Buenos.






No, San Valentino, in sé, mi risulta del tutto indifferente. E' solo al consumismo che sono sensibile da morire. Chè lo so, lo so: l'amore si dimostra con i gesti; non ha bisogno di date; i regali si gradiscono di più quando non te li aspetti, e bla bla bla. A parlare siamo bravi tutti. E' anche vero che, singletudine a parte, io preferirei il nulla a certe drammatiche esaltazioni del kitsh. Per dire: soltanto ieri, senza andare troppo in là , mi è arrivata una mail promozionale. “Personalizza la tua t-shirt: scrivi il tuo nome dentro un cuore e regalalo al tuo partner”. Giuro che, alla sola idea, ho rabbrividito. Voglio dire: che razza di morbosa forma di megalomania può portarti a fare una cosa del genere? E' terribile. Poi metti che ti chiami, che ne so, Ermenegildo. Per quanto l'amiate alla follia, voi andreste in giro con una t-shirt con su scritto “ermenegildo” dentro un cuore? Dai! Questo non è romanticismo: è follia bella e buona. Certo, sempre meglio che tatuarsi il nome dell'amato/a in bella vista sul corpo, che tra l'altro ho sempre pensato porti una discreta sfiga...comunque.

Il punto è che, al di là del cattivo gusto (o di quello che, per me, lo è) io adoro l'estetica dei cuori e del rosso. E adoro la cioccolata. E adoro i fiori. Per cui, lo capirete anche da voi: in questi giorni farei meglio a rinchiudermi in casa. Ma io no, io sono masochista. E penso bene di andare a fare un giro al Centro Commerciale. Complimentoni, me lo dico da sola. Nel giro di cinque minuti, giuro che avrei comprato tutto il comprabile.




Quelle graziose pochette in pelle bianca o nera con il cuore disegnato sopra, per esempio. O il reggiseno con il grande fiocco in pizzo davanti (di oviesse: visto? Non ho neppure grandi pretese). O, ancora, la catenina argento col ciondolo a forma di cuore riempito per metà di perline rosse...starebbe da Dio abbinato ai miei orecchini! E vogliamo parlare del finto bouquet in raso rosso dove a roselline di stoffa sono alternati dei cioccolatini? Ok, magari anche quello era un po' kitsch, ma vi assicuro che faceva la sua porca figura. E poi quant'erano carine le vetrine di motivi, con tutte quelle scarpe rosse! E le cinture! E...






D'accordo, facciamola finita. Se c'é un mio ammiratore segreto, da qualche parte nel mondo, è vivamente pregato di manifestarsi. Se non c'è, beh, spero che almeno le idee che ho così generosamente elargito in questo post finiscano con l'essere utili a qualcuno.

E che per nessunissima ragione al mondo facciate scrivere il vostro nome dentro a un cuore su di una t-shirt.