Alla fine l'ho visto,
il Galà di Los 40 Principales. O, almeno, ci ho provato. Per essere
precisi ho resistito fino alla consegna del premio a miglior
rivelazione spagnola del 2012. L'hanno affibbiato agli Auryn: versione iberica degli One Direction, con l'unico
valore aggiunto di aver girato un video in
un bel posto, che a me ricorda un po' Tarifa. S'erano esibiti
soltanto poco prima, precipitandomi in un loop di sconforto da cui
non credo di essere ancora del tutto uscita.
Insomma, che diavolo è
successo a questi premi? Che diavolo è successo- meglio- a questa
radio? Ripenso a quando, non poi tanti anni fa, ne cantavo a
squarciagola il motivetto tra le bancarelle allestite in Plaza de
La Marina. Non era da molto, che
ero arrivata a Málaga.
Il gestore di uno degli stand si era messo a ridere. Le mie amiche,
altre italiane, si erano comprensibilmente vergognate non poco. Non
potevano sapere quanto quel motivetto mi facesse sentire a casa. Io
che quella radio l'ascoltavo in streaming ogni volta che cucinavo, o
facevo le pulizie. Io che ne ho comprato la rivista ad ogni viaggio
in Spagna, fino a che in uno di essi non ho incontrato Dani Martín.
Me l'ha fatto scoprire Los 40, del resto, il gruppo della mia vita.
Sul
serio. Io l'ho vista, la prima edizione di quei premi. E poi la
seconda, e poi la terza. Le ho viste proprio tutte, in realtá. Era
uno di quegli eventi che, cascasse il mondo, sentivo di non potermi
perdere. Riuniva su di un unico palco tutti i protagonisti della mia
colonna sonora. Si respirava atmosfera di festa. Si ascoltavano
canzoni che, per la maggior parte, mi piacevano sempre e comunque un
bel po'. Ero lí, nel duemilaotto, quando El Canto del Loco vincevano
tutti e cinque i premi a cui erano stati nominati. Oltre a loro, in
un Palacio de los Deportes gremito, si erano esibiti gli Estopa.
Anastacia. Rosario . James Blunt. Tutti (o quasi) cantavano dal vivo.
E'
stata in quell'occasione che, nel respiro che percepivi spezzato di
un'intera cittá, ho ascoltato per la prima volta Jueves. E, per la
prima volta, ci ho pianto sú. Come avrei fatto sempre, da quel
momento in poi. A conti fatti, la Oreja de Van Gogh é tra le poche
cose che salvo anche di quest'ultima edizione. Anche se la qualitá
dell'esibizione tutto era, fuorché alla loro altezza. Poco importa,
peró : la niña que llora en tus fiestas emoziona in ricordi di per
sé.
Pablo Alborán, ebbene sí, salvo anche lui. Anzi, lui lo
riconsidero proprio. Ché la sua musica continua a non convincermi,
peró “Te he echado de menos” non é male. Soprattutto, il
ragazzo ha talento, oltre ad essere di Málaga e bellino un bel po'. La voce
pulita, intonata, perfetta, é un grido di speranza nel disastro
generale. Il resto peró...no, per il resto non
ce n'é.
Insomma
poi me lo chiedo, se forse non sia io ad essere cambiata. Cresciuta,
magari. Ché forse é tutto lí. Ma poi rivado indietro con gli anni.
La maggior parte delle cose che ascoltavo nel duemilaotto, beh, mi
piace ancora. E' solo Los 40 a non piacermi piú. Los 40, che negli
ultimi due anni ha abbassato ancora il target sotto ai 15. Los 40 che
esagera nei tunz tunz. Nel reggaetón. Nel sottoinsieme piú tamarro
della musica dance.
E,
allora, com'é ovvio, arriva a premiare David Guetta in una categoria
a cui optavano i Coldplay. Si autoesalta per la performance di Cali
y el Dandee. Dedica un premio speciale a Pittbul per essere
“l'artista e produttore piú
influente del mondo latino” A
conti fatti, che quel galá non valeva la pena di seguirlo, avrei
dovuto capirlo giá da lí.
Che
dire? Pazienza. Mi resta pur sempre Cadena 100.
(Immaginatemi con la voce
distorta e affatto comprensibile di qualcuno che parla da un
megafono)
Si ricorda ai Gentili
Lettori che, in quest'ordine:
A. Potete votare per gli
Italo-Spagnola Awards 2012 fino alle 23.59 di Giovedì 10. Dopo
di che, chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato, ha dato , ha
dato, scurdammoce o passato eccetera. Insomma: datevi una mossa,
ché qui ci sono almeno due categorie in cui la lotta é all'ultimo
sangue. Ma, almeno per il momento, non ci penso nemmeno a dirvi quali
(risata malvagissima con l'eco).
Se vi chiedeste come funziona il tutto, basta andare a questo link e cliccare forsennatamente per i vostri preferiti. Poi,
nell'arco della giornata di Venerdì, verranno decretati i vincitori.
Dai che é facile, su su.
E
B. Domenica
13 Gennaio (che, non a caso, é anche il mio onomastico)
presento nuovamente il mio libro “#Odissea-Il Viaggio di Ulisse ai Tempi di Twitter”.
Questa volta l'appuntamento é per le ore 11.00 (del mattino, sì:
mica vorrete dormire, lavativi!) presso la sede di Maninarte, in via
XXV Maggio 42 a Romans d'Isonzo (Go). Ci sarà un relatore diverso
dall'altra volta, il che garantisce un approccio completamente inedito,
anche a beneficio di chi volesse fare il bis. Ah! E avrò le mie
scarpe col tacco nuove. Dico per i feticisti. Magari vi interessa,
che ne so. In ogni caso, chi non viene é un Procio. Oh.
Giuro che poi la smetto,
di parlare del duemiladodici. Però ve l'ho detto: sono in ritardo. E
un altro dei miei rituali di fine anno, più o meno dacchè ho
memoria, è sempre stato quello dei bilanci. Mi piace formularli in
forma di classifica, stile Nick Hornby in Alta Fedeltà. Chissà,
forse c'é un qualche gruppo di sostegno, per quelli come me. Una
cura di disintossicazione, qualcosa. Perchè di certo non sono
l'unica. Anzi, sono milioni i siti che, in tutto il globo, si affannano a
riassumere una dozzina di mesi nei loro soggettivi “il meglio di”.
Per non parlare delle tv. Delle radio. Della carta stampata.
Musicalmente parlando, per esempio, ve ne consiglio due. Uno spagnolo
e uno italiano, manco a dirlo. Il primo, MyIpop.net, mi trova
maggiormente d'accordo nella selezione.
Il suo obiettivo era elencare le hit che hanno segnato il 2012 in
terra di Cervantes. Tutte, rigorosamente, Made in Spain. Della sua sintesi apprezzo soprattutto le due righe di motivazione aggiunta con
cui si correda ogni videoclip, cosa che manca nel rendiconto italico di Rockol. Che però resta Rockol. E, al di là dei gusti, le cose sa
farle bene. Oltrettutto – manco a dirlo – si aggiudica un
applauso la loro numero uno.
Le mie Top 5, però, non
sono mai soltanto musicali. Cioé, lo sono principalmente. Ma mi
piace integrare altre categorie. Le mie Top5, signori, uniscono
Italia e Spagna con criteri assolutamente poco obiettivi. Radunano in
una breve (ma ponderata!) lista i dischi, i libri, i concerti e le
serie tv che più mi hanno saputa emozionare. Alcuni non sono neanche
usciti nel 2012. E però è in questo duemiladodici che li ho letti.
In questo duemiladodici che li ho ascoltati. Le mie Top5 non parlano
d'altro, se non di ciò che in un anno ha aderito alla mia vita,
trasformandosi in cornice impossibile da staccare. Aspetto le vostre,
se vorrete partecipare.
TOP 5 - DISCHI
Cesare Cremonini- La
Teoria dei Colori
In fondo
quello trascorso é stato un po' anche l'anno dei reincontri.
Vecchie amiche. Vecchie passioni. Insomma: il primo posto non poteva
che essere suo. Del resto, ho girato la Spagna con in mano album
suoi da regalare. Carte a pois, confezioni dorate. Fili conduttori,
intermediari, discorsi. In Spagna, ad ogni incontro, un ragazzo
dagli occhi azzurri mi chiedeva di lui. E “Come si dice 'Al mio
gran maestro?!'”. “Al mio gran maestro”. Manco fossi la
Incontrada in Zelig. Insomma, I Love you é stata la colonna sonora
della mia estate. Il Sole mi é rimasta incollata in testa per tutta
la stesura del capitolo di #Odissea sulla
Trinachia. Anche il testo un po' ci si presta, in effetti. A parte tutto,
credo davvero che “La Teoria dei Colori” sia il miglior album
uscito nel 2012.
Il Cile – Siamo
Morti a Vent'anni
La più grande scoperta
dei dodici mesi passati. La sorpresa. Il colpo di fulmine che ti fa
dire “voglio un suo concerto, ORA .”. Il Cile é uno di quegli
autori emergenti che, dopo tanto, riesce a ridarti speranza in
merito al futuro della musica nostrana. O , per lo meno, così è
successo a me. Insomma, finalmente una voce diversa. Finalmente dei
testi che toccano l'anima, al limite tra suono e poesia. Finalmente
un po' di vita, al di là dei talent show. “Il nostro duello”,
poi, è diventata a tutti gli effetti una delle mie canzoni
preferite
.
Leiva- Diciembre
Il miglior disco
spagnolo del duemiladodici, senza ombra di dubbio. Almeno per me.
Leiva, da solista, ha superato se stesso. E mi ha fatto capire
quale, delle due anime cantautorali dei Pereza, io in fondo abbia
sempre amato di più. Brani come “Miedo” o “Vis a Vis” sono
pelle d'oca garantita.
El Pescao- Ciao
Pescao
Lo dicevano anche quelli
di MyIpop.Net: il congedo temporaneo di David Otero dalle scene
musicali spagnole é stato uno degli eventi dell'anno passato. Dopo
più di due anni di tour, se n'è andato a vivere in Argentina. A
cercare ispirazione tra viaggi e distanza. Ma prima, ha regalato ai
fan quattro canzoni nuove. Ed è soltanto perchè è un EP che,
nella mia classifica, si ferma appena al quarto posto. David continua a
migliorare, pezzo dopo pezzo. E se di brani ne avesse sfornati di
più, avrebbe potuto di certo aspirare alla vetta. Ché “Ciao
Pescao”, se ha una pecca, è quella di durare troppo poco. La
migliore, per me, è “Qué no te llamen loco”.
Hombres G – En la
Playa.
D'accordo, è uscito a
fine 2011. Io, però, l'ho comprato a Gennaio dell'anno seguente. E,
ostinata come sempre, non avevo voluto ascoltare niente prima.
Alcune delle canzoni più note degli Hombres G prendono nuova vita e
nuovo fascino unite alle voci di alcuni tra i migliori interpreti
della scena musicale spagnola. Il risultato dei nuovi arrangiamenti
è stato quello di farle riscoprire anche a me. Io che, del resto,
ho le mie debolezze. E allora vi propongo (ancora) Te Necesito.
TOP 5- CONCERTI
Concerto privato di
Dani Martín nel suo
studio di registrazione, 28 Maggio 2012.
Non
credo serva spiegare perchè. Non credo serva dirvi cosa si prova
quando un sogno si avvera. So solo che quando la mail di Maria mi ha
comunicato che ero una delle dodici fortunate vincitrici, sono corsa
in giardino urlando di gioia. Quel giorno non abbiamo potuto
filmare. E allora vi propongo Ekix in quest'altra versione previa.
Perchè quel giorno l'ho richiesta a Dani, e lui ha fatto abbassare
le luci. La mia canzone, nella penombra, eseguita con il solo
ausilio di piano e voce... ecco, è stato uno dei momenti più
emozionanti dell'anno. In assoluto.
Fin
de Gira de El Pescao, 1 Dicembre 2012 ,
Sala Joy, Madrid.
Si
capiva, che era un concerto epico. David Otero, il suo pubblico, lo
salutava così. E c'erano tutti. I fan del Canto del Loco, chiunque
abbia vissuto e lavorato al loro fianco negli anni. I parenti. Gli
amici. Soprattutto, però, in prima fila c'eravamo noi: le ragazze
del fanclub italiano. Piene di coriandoli in testa. Di gioia di
vivere. Di sorrisi a quarantotto denti. Sapete che c'è? Io, a quel
concerto, mi sono veramente divertita. (Ps: il video é di Lisa)
Dani
Martín, Lorca, 12 Maggio 2012.
Dovendo
scegliere un altro concerto di Dani tra quelli visti quest'anno,
forse ci si sarebbe aspettato che parlassi del Palau de la Musica di
Barcellona. Della sua atmosfera magica. Della mia prima fila.
Invece, scelgo quello con l'organizzazione peggiore. Quello in cui
volavano sedie di plastica e per poco non svenivo dal calore. Non lo
faccio soltanto perchè il ricavato andava in beneficienza alle
vittime del terremoto, per quanto sarebbe di per sé un motivo
sufficiente. No. Lo faccio perchè è stato liberatorio. Perchè ho
urlato ogni singola canzone come se non ci fosse un domani. Perchè
è stato il mio ultimo concerto del tour, in una cornice grande. Per
i suoi gesti su tutte quelle canzoni. Perchè, ancora una volta, lì
ho capito che tutto valeva la pena.
Cesare
Cremonini, Pordenone, 6 Novembre 2012.
Credo
non ci sia altro da aggiungere a quanto già detto per “La Teoria
dei Colori”. Tranne, forse, che sarebbe stato meglio se
il mio primo piano non fosse sui maxischermi ogni due per tre. E' la
parte italiana della mia vita in canzoni, del resto. Dopo l'anno dei reincontri, cos'altro
dovrei dire?
Hombres
G, Sala Riviera, Madrid, 30 Novembre 2012
E'
sempre emozionante, il primo concerto di una band che non avevi mai
visto dal vivo. E magari non conoscevo tutte le canzoni. Magari
improvvisavo playback inesistenti mentre David Summers mi fissava.
Però, rimane il fatto che sono davvero bravi.
TOP 5- LIBRI
Sophie
Kinsella - Ho il tuo numero
La Kinsella
è sempre la Kinsella. Divertente, romantica, avvincente. E per
quanto le strutture narrative si ripetano; per quanto le sue
protagoniste finiscano per l'assomigliarsi un po' tutte, Non c'è
niente da fare: non delude mai.
Jenny
Colgan – Appuntamento al Cupcake Café
E' colpa
della Colgan se mi sono fissata coi cupcake. Dopo aver chiuso
l'ultima pagina, la mia vita si è ridotta a una ricerca disperata
di pirottini e ricette. Anzi, avrei dovuto inserire nei propositi
per il 2013 quello di realizzare finalmente i cupcake al mojito. E'
peggio dell'effetto-Parodi, dico davvero.
Giorgio
Fontana- Buoni propositi per l'anno nuovo.
Trama forse un po' esile. Finale inconcludente. Eppure, se un ragazzo giovane sa
scrivere così, allora sai che al mondo c'è giustizia. E' uno di
quegli scrittori che mi dà il nervoso, da tanto riesce a mettere
giù bene le parole. Un nervoso da competizione. Un'invidia
viscerale che altro non è che l'ammirazione più pura. Il libro lo
butti giù d'un fiato. E poi, dico, l'avete letto il titolo? Non
si dica che non è da me.
Tim
Griggs- La voce veniva dal fiume
Sono sempre
un po' restia, a leggere romanzi su cui i miei genitori insistono un
po' troppo. Non so perchè. Forse c'ho una specie di anima ribelle
nascosta in qualche piega del cuore. Vai a capire. O magari c'entra
con quella volta con cui mi avevano detto meraviglie di Zafòn e
Keruac. E credo di essere l'unica persona al mondo che ha faticato
non poco ad andar oltre agli incipit di “Sulla Strada” e
“L'ombra del Vento”. Comunque. Per qualche motivo su questo ho
ceduto. E me ne sono innamorata. C'è tutto: la musica, il giallo,
l'amore, l'intriga. Una delle mie scoperte letterarie migliori. Ma
non ditelo ai miei.
Javier
Gutierrez- Un bravo ragazzo.
Amo
le letture leggere, è vero. Ma non devono esserci per forza solo
quelle. Questo libro è stato un pugno allo stomaco. Robe da darti
la nausea, sul serio. Ma è forse anche per questo che ha lasciato
una traccia indelebile in me. Come ho scritto su Anobii: “Un
diluvio di virgole. Un montaggio alternato di pensieri. Una
sovrapposizione costante di immagini e ricordi distorti dal tempo e
dalla psiche. Insomma: un viaggio magistralmente descritto nella
mente umana, con tutte le sue assurde pieghe di complessitá.
[…] Javier
Gutierrez ti fa entrare tuo malgrado, quasi in modo violento, dentro
ad una personalitá che non vorresti mai avere. In un carattere e un
passato che dall'esterno schifi. Ed é un'operazione in cui riesce
da Dio. “.
TOP 5- SERIE TV
Homeland
Secondo me l'Emmy non l'ha mica vinto a caso.
Una delle serie “nuove” che ho seguito con maggior attenzione.
Nell'attesa trepidante dell'episodio successivo. Una di quelle che,
quando la prima stagione finisce, quasi t'arrabbi. Perchè la
prossima dovrebbe iniziare subito. Accidenti. Cosa diavolo
aspettate?
The
Good Wife
Davvero non
capisco perchè non abbia riscosso l'interesse di altre. Perchè,
tra i miei amici, troppo in pochi ne parlino. Secondo me ha tutti
gli ingredienti per piacere, invece: é' un legal thriller condito da
intrighi politici e guerre tra sentimento e facciata. Come se non
bastasse, è fatta davvero bene. La scelta se parteggiare per il
marito infedele o l'avvocato viscido, poi, può essere oggetto di
accese discussioni tra il pubblico femminile. Io tifo per la
cotta irrisolta di una vita, ovvio. Chè i tradimenti non li
perdono, e le tempistiche sfasate mi hanno sempre affascinata un bel
po'.
Desperate
Housewives.
L'addio
delle Casalinghe mi ha spezzato il cuore, giuro. E' stato come se un
finale (troppo) sdolcinato mi avesse di colpo privata della dose
quotidiana di droga. Meglio: come se un “restiamo amici”
troncasse senza possibilità di replica otto anni di relazione. Inutile: mi mancano giá.
Grey's
Anatomy / Private Practice (a pari merito, ché per me sono un po'
come due facce della stessa medaglia) .
Altre
certezze che non deludono mai. Anche al di là del mio odio
viscerale per Violet Turner e delle volte in cui chiudo gli occhi
schifata sulle scene mediche sempre più in stile E.R.
Scandal
Ok: non so
cosa mi stia succedendo, ma ultimamente i retroscena politici mi
affascinano non poco. Perció questa, tra le serie più recenti, è
indiscutibilmente quella che mi piace di più. Tra l'altro, Abby
somiglia un sacco a una mia cara amica. Questa, però, è un'altra
questione.
Era qualche giorno
fa, o forse soltanto ieri. Il concetto di tempo, in periodo di feste,
sfugge sempre un po'. Comunque. Chiedevano, su erretielle, da
quali piccole routine annuali fosse composto il nostro Natale. Cioè,
loro in realtà dicevano “da cosa lo capite”. Come se non
bastassero il calendario, le uscite discografiche e le
duemilaseicento pubblicità a tema. Ma tant'è. Il punto è che ci ho
pensato. Ci ho pensato a lungo.
Per me il Natale è colla
e cartoncino mentre mi suona in testa Jingle Bells. E'
l'agenda de il Piccolo infilata in attesa sotto alle pagine dell'anno
che sta per finire. E' il cigolio del tavolo in salotto, che va
ampliato per la cena. Le imprecazioni di mio padre: chè l'impresa,
al primo colpo, non gli riesce quasi mai. Natale è l'odore del
brodo. La maionese sul cotechino. Il Kren (scusate, rafano)
piccante portato da mio nonno, assieme a una bottiglia di rosso di
cui usufruiremo solo in tre. E' l'eterna partita a Risiko in cui non
riesco mai a conquistare la Spagna. E le pedine rosa, giù le mani,
sono mie. Ancora, è l'accurata scelta della colonna sonora per la
sera. Ché dev'essere composta da dischi usciti quest'anno. O almeno,
da canzoni che in qualche modo ne siano state rappresentative. Poi
nessuno ci presta attenzione. E “tieni il volume basso”; e “c'è
da chiacchierare”. Però continua a riempirmi di inspiegabile soddisfazione.
Natale è mia nonna che se le sente perchè ha dimenticato a casa gli occhiali. La gattina che gioca coi nastri dei pacchetti, nel
miagolio inquieto di abitudini spezzate. E' il dolce che da
anni m'incarico di preparare. Quello che stavolta rimando a Santo
Stefano, colpa di un surplus di panettoni e raffreddore. Quest'anno,
sgradita new entry, Natale ha anche il sapore acre di un'aspirina.
Eppure ci riesce lo stesso, a significarmi felicità.
Pigrizia e felicità.
Pigiama, abbuffate, e
felicità.
Famiglia e felicità.
E infine occhi con la forma dello schermo del pc. Stremati dall'assemblaggio di immagini, nel montaggio
di quei video di cui vi parlo da un po'. Se mai foste curiosi di
vederli, eccoli qui. Uno scanzonato, pieno di allegria: tradizione di
un fanclub. L'altro più formale, artistico, commissionato di
apprezzamenti dalla solita Galleria. Una cosa, però, l' hanno in
comune: il riassunto di un anno. Un anno che per me – lungi dal timore di parlare troppo presto – è fino ad ora stato eccezionale.
Non importa quale
preferiate. Se vorrete vederli oppure no. In ogni caso, a tutti voi,
auguri.
Dovuta premessa per i meno informati: la Biennale di Siviglia é, senza ombra di dubbio, evento cardine per la cultura flamenca. E in occasione della sua conclusione, lo scorso 29 Settembre, la rete si é data da fare per dare ancora lustro al senso del suo nome. Tutto é partito da un video. Una coreografia di Rafaela Carrasco, corredata di apposito appello, che da youtube ha fatto il giro del globo. Chiedeva, Raffaela, di riunirsi nelle piazze, rigorosamente in abiti civili. Chiedeva di ripetere i suoi passi, nient'altro. E nello stesso istante, tutti assieme, cominciare a ballare. Come se la terra fosse un unico tablao.
Si trattava, insomma, di celebrare la passione che riesce a rendere un po' piú simili tante vite altrimenti diversissime. Di festeggiare quell'arte cosí peculiare che che le rende in fondo parte di una stessa famiglia senza limiti geografici o d'etá.
Beh, missione compiuta.
Sí. Perché, a quell'appello, hanno risposto in migliaia. Da Londra al Messico. Da Siviglia a Lubiana, passando per Buenos Aires, Budapest e Shangai. Ovunque, alle tredici in punto di quella stessa giornata, la comunitá flamenca s'é fatta sentire. Al suono della stessa musica ha stupito i passanti di sorrisi e di palmas. Di tangos e voglia di lasciarsi andare.
E oggi, guardando quei video, io non riesco a non provare invidia per chi c'era. Ogni singolo play mi indonda di entusiasmo. Di emozione. Di energia. Tanto che – lo ammetto – faccio fatica persino a spiegarvelo in parole. Per cui sapete cosa? Premetelo anche voi, il play. Scopritela anche voi, l'Italia filoispanica che amo.
Ché poi ogni flashmob ha le sue peculiaritá. Per esempio, eccovi quello milanese, sotto il cielo grigio degli stereotipi.
O quello bolognese. Poco affollato, ma non per questo meno sentito.
A Padova sono state coraggiose. Ballare su quel marciapiedi gonfio d'acqua giá dev'esser difficile di per sé. Loro, poi, l'hanno fatto addirittura con le scarpe professionali. Quelle coi chiodini sotto, per capirci. Che non si siano rotte una gamba, secondo me é quasi un miracolo.
Le riprese di Torino sono tra le piú curate, mentre la coreografia assume un pizzico di mobilitá in piú.
Il mio flashmob preferito, peró, resta senza dubbio quello di Roma. L'affluenza massiccia. Il sole alto nel cielo. E la gente che continua a ballare. Anche se i vigili spengono la musica. Anche se un'auto municipale si accinge a disperderli.
Ballano. Loro ballano ancora. Come se niente li potesse fermare. E allora gli spettatori, solidali, li accompagnano in un crescendo di palmas. Nelle esortazioni. Nella gioia incontenibile di essere lí, in quel preciso istante. Lí, per dire al flamenco: “io t'amo, davvero”.
(NB: Le immagini contenute in questo post sono tutte prese dagli account twitter di Victoria Beckham, Emma Bunton, Melanie B e Melanie C rispettivamente)
Esaltazione: a sommi
capi, direi che è stata questa la mia reazione alla cerimonia di
chiusura di Londra 2012. Un'autentica festa della musica. Una
celebrazione della cultura pop che certo non poteva lasciare
indifferente la mia pelle. E allora, probabilmente , mi farebbe più
onore associarne l'increspatura alle immagini di Freddie; quelle che
hanno fatto vibrare uno stadio gremito per introdurre le note dei
Queen. O alla sempre splendida Wonderwall,magari. Uscita come un inno
sempiterno dalla bocca di Liam. Momenti che mi hanno emozionata,
ovvio. Come a tutti. L'esaltazione, però... no, lei non viene da lì.
Il fatto è che, vedete:
io, a undici anni, imitavo le Spice Girls con le mie amiche di
allora. Ci trovavamo a casa mia, a improvvisare coreografie, mangiare
tiramisù, e provare abiti che nella vita di ogni giorno non avremmo
indossato mai. Il fatto è che il primo cd comprato con i miei soldi,
frutto concreto delle paghette dei nonni, è stato un album loro. E
poi la mia tesi triennale...sì, persino quella analizzava in
appendice il ruolo dell'immagine nella costruzione del successo delle
cinque di Wannabe.
Insomma: piaccia o no,le
Spice Girls hanno avuto una parte importante nella mia vita. Anche se
forse dirlo non farà di me una persona interessante o musicalmente
colta. Ma sapete che c'è? Non m'importa. Perché loro sono scese da
quei taxi, l'altro giorno. Nel fasciarle, gli abiti conservavano i
ruoli a cui le obbligano i loro soprannomi, in modo peró forse un po' più sobrio che anni fa. Beh, ad eccezione
dell'improponibile tutina di Mel B. Comunque, hanno aperto le
portiere, intonato un paio di successi, e io sono tornata alla mia
preadolescenza nella velocità di uno starnuto. Un'epoca di zeppe e
di lustrini da cui non sono certa di essere ancora riemersa davvero.
Non hanno mai avuto una
gran voce, dal vivo. Non c'è molta poesia nei loro testi, e
tantomeno compongono dei capolavori melodici. Però sono le Spice,
accidenti. Le icone travogenti ed orecchiabilissime di un'intera
generazione di ragazzine. Le stesse che adesso, incastrate alla
ricerca di un futuro tra i venti e i trent'anni di età, cantano a
squarciagola una sbornia di ricordi. E via le pose, allora! Via
tutti i compromessi, i musi lunghi, il grigiore. Via tutto, sia per
sei minuti o una settimana. Perchè lì, su quel palco, ci sono
cinque donne ormai cresciute che scrivono su twitter di aver passato
la notte a festeggiare insieme. Come se fosse stata una rimpatriata.
Una serata bella in cui rivangare aneddoti prima di andare avanti con
la propria vita. Un po' quello che, in certi versi, credo abbiamo
fatto tutte noi.
Esaltazione, questo é.
Chè Spice Up Your Life é sempre stata una delle loro hit che
preferivo. Eppure, prima della cerimonia di chiusura, non avevo mai
notato quei suoi vaghi tocchi ispanici. Quel “Flamenco” che apre
la lista dei tipi di ballo. Quell'”arribaaaa”
d'incitazione....chissà: magari, inconsciamente, era proprio per
quello che mi piaceva.
Per quello, e per il
verso che ho già citato nel precedente post. Un autentico motto
anti-crisi, che ora più che mai tutti dovremmo applicare. Perchè
per vivere meglio “all you need is positivity”.
Piú o meno dacché bloggo (e ormai, cambi di piattaforme e pseudonimi a parte, lo faccio senza sosta dal 2003) sogno di vincere un Macchianera Award. Non che succederá mai, del resto. Sí, insomma, sono decisamente troppo poco mainstream per ottenere le attenzioni dei piú. Tuttavia, se mai voleste aiutarmi a provarci, oggi potete farlo.
Gianluca Neri, patrón della manifestazione, ha infatti ufficialmente aperto la prima fase delle votazioni per l'edizione 2012. L'ha chiamata "red carpet", e consente di segnalare i blogger e i twitteri italiani che preferite, semplicemente compilando l'apposito modulo che trovate qui in basso. I piú votati finiranno in nomination. Poi, sará di nuovo il pubblico a decretare, tra i cinque finalisti, il vincitore assoluto di ogni categoria.
Un passo alla volta, peró.
Se questo blog vi piace; se un post ha attirato in modo particolare la vostra attenzione; se i tweet di @Luna84 (che poi sarei sempre io) vi fanno divertire; o magari- chessó- se preferite sostenere invece il fanclub italiano de El Canto del Loco come community o come sito musicale... ecco, il format rimarrá a vostra disposizione fino all'1 Settembre 2012. Ricordate soltanto che, perché la votazione sia considerata valida, dovete esprimere la vostra preferenza per almeno otto categorie, e non potete votare lo stesso blog o sito in piú di quattro categorie diverse.
Per il resto, va da sé che io non obbligo nessuno. E, sogni di gloria a parte, giuro anche di non essermi auto-votata.
E' da stamattina che ho
in mente di scrivere un post sulla Maturità. Ci stavo giusto
pensando, quando l'angolo di una finestra spalancata ha deciso di
incontrare la mia tempia. Il che, già di per sé, avrebbe dovuto
farmi desistere. Ma io, si sa, sono cocciuta.
Tra parentesi, vorrei
anche far presente che staccare i cubetti di ghiaccio dall'apposito
contenitore si è rivelata un'impresa più ardua del previsto. Così
alla fine mi sono arresa, e ho passato circa mezza giornata con un
rettangolo fucsia appoggiato sul bernoccolo incipiente. In pratica,
l'immagine di una donna glamour.
Comunque: dicevo, la
Maturità. Impossibile non pensarci, mentre migliaia di studenti
trascinano in giro vocabolari pesantissimi e un agglomerato di
paturnie. Impossibile, più che altro, non ricordarsi di quando ero
una di loro. Succedeva nel 2003. Finiva il 3 Luglio con un senso di
improvvisa leggerezza nell'”arrivederci” con cui mettevo un punto conclusivo agli orali. 3 Luglio: curiosamente, la stessa data in cui, qualche
anno dopo, ho discusso la tesi di laurea triennale. La specialistica
m'ha un po' sballato la cabala, a dire il vero. A meno che non si
consideri che 3+7+2+3 fa 15, che è il giorno di settembre in cui
sono (inutilmente) diventata “dottoressa magistrale”. Però,
insomma, chi se ne frega. Il punto è che, secondo le burocrazie
statali, sono matura da ormai così tanto tempo che a quest'ora
dovrei già essere caduta dall'albero, probabilmente spiaccicandomi
con ghigno sadico su di un'auto appena lavata. E forse, in
effetti, si spiega pure la finestra sulla tempia. Che, detto così,
sembra un remake di Hichcock. Dopo “La Finestra sul Cortile”
arriva “La Finestra sulla tempia”. Colonna sonora dei Negramaro.
“E non mi reeeeeeeestaaaaaaa...”.
Sì, sì, vabbè, la
smetto.
In realtà, se penso ai
miei Esami di Stato, la prima cosa che mi viene in mente è un caldo
infernale. La seconda, una vecchia signora pazza che non la smetteva
di urlare “ohmariamariamariamaria” “aaaaaaah”
“ohmariamariamaria” mentre cercavo di studiare in giardino. Il
che mi porterebbe in immediato a dire ai giovani d'oggi che hanno un
bel po' di fortuna. Forse non tanto per via della vecchia ( magari
qualcuno di loro ha a sua volta una vicina così), ma di sicuro per le temperature. Cioé, non che ora non faccia caldo, ma mentre
teoricamente si stavano preparando il clima era decisamente più
fresco e piovoso. Dall'altra parte, però, hanno anche l'immensa
sfiga per cui, nel frattempo, sono stati inventati twitter e
facebook. Parliamoci chiaro: fossero esistiti quand'ero maturanda io,
non so mica se sarei stata così secchiona. Vabbé.
Altri ricordi random che
mi assalgono riguardano la versione di latino (o era greco?
Boh) che avevo passato a più di metà classe. Si sa: in certe
occasioni passare una versione ben fatta ti rende l'eroina del
momento, dotandoti di un potere che manco te l'immagini. Tutti
volevano ricambiare, tutti mi idolatravano... é stato un momento
particolarmente gradevole, per la mia autostima. In effetti, anni
dopo, mi vien da dire che forse non l'avevo fatto per pura e semplice
generosità.
E poi la mia fantastica
tesina su Baudelaire. Mi ero preparata tutti i collegamenti possibili
e immaginabili, per poi trovarmi a dover rispondere a tutt'altri
quesiti all'orale. Non ve la so neanche spiegare, la ventata d'odio che provai nei confronti di quella di Storia . Insomma, avevo riciclato il programma dell'anno prima pur di
essere preparata ad ogni evenienza. Ma mentre io ripetevo “Moti
parigini del 1948” “seconda repubblica” “Napoleone III”
con una frequenza che avrebbe dovuto insospettirla, lei sbadigliava
leggendo il giornale. Il giornale, capite? Non mi ascoltava neanche!
Che poi, in realtà, l'unica che in quell'occasione mi aveva chiesto
esattamente ciò che mi aspettavo, è stata quella di Arte. Anzi, no:
forse anche quella di Inglese mi aveva chiesto di Poe. Comunque,
l'importante è che sia andata bene.
Bene in tutti i sensi,
tra l'altro. E non parlo più solo di voti.
Il fatto è che quella
dannata tesina aveva rischiato seriamente d'incasinarmi il futuro.
Cioé, non proprio la tesina: più che altro, Baudelaire. Ero
talmente fissata con lui e la sua poesia da essere stata sul punto di
scegliere Francese, anziché Spagnolo, all'Università. Per fortuna
mi sono ripresa in fretta, sulla base del corso preparatorio di
castigliano su cui avevo già investito del tempo in quarta
superiore, dei ricordi di vacanze in Famiglia, e di tutt'una serie di
buoni consigli da chi, attorno a me, credeva fossi impazzita.
Quella scelta, col senno
di poi, m'ha resa ciò che adesso sono. Non che questo sia
necessariamente un bene, per carità, ma insomma...senz'altro m'ha
evitato una prof cattivissima a detta di chiunque. E poi m'ha portata
al corso nel quale ho conosciuto la persona che mi ha musicalmente
presentato El Canto del Loco. Che, visto quello che grazie a loro ho
vissuto negli ultimi sette anni, direi che non è affatto poco.
Oddio, in realtà credo che, in qualche modo, li avrei conosciuti
comunque. Intendiamoci: non è che io voglia passare per forza per il
bimbo autistico di Touch, ma sotto certi aspetti sono davvero
convinta che il Destino sia segnato. Del tipo: lo sapete quante volte
ho incrociato quella band, prima di concederle di entrarmi nella
vita? Almeno tre. E ovviamente anche questo l'ho scoperto di recente.
La prima volta, a quanto
pare, è successo nel 2001. Iniziavo a usare internet,
principalmente perché seguivo i LunaPop. Ricordo perfettamente di
essere entrata piú di una volta sul sito del loro fanclub spagnolo,
quando la Vespa Especial li aveva fatti sbarcare dall'altro lato dei
Pirenei. Beh, l'ho ritrovato da poco, quel sito. Google + Noia,
accoppiata vincente. E, indovinate ? Tra i messaggi di quell'epoca ce
n'erano almeno un paio che invitavano ad ascoltare una certa band di
Madrid. Probabilmente li avevo saltati a pié pari tacciandoli di
spam. O magari perché non capivo ancora bene lo spagnolo. Ma adesso,
leggere quel post, fa un po' paura. “Se vi piacciono i LunaPop”,
c'era scritto, “Vi piaceranno senz'altro El Canto del Loco. Qui
potete ascoltare qualche loro brano!”. Certo, non si puó dire che non avessero avuto ragione.
La
seconda volta é stata alle Canarie, quando cercavo un disco spagnolo
da portarmi a casa come souvenir. Per qualche strana ragione ero
stata attratta da un cd con la copertina azzurra e cinque ragazzi
accuffati sopra. L'avevo preso in mano. Ne avevo letto la tracklist.
Ma, non sapendo assolutamente che genere facessero, alla fine avevo
scelto di andare sul sicuro. E avevo (sigh!) comprato Enrique
Iglesias. Quell'album con la copertina azzurra era “A
Contracorriente”, de El canto del Loco.
E poi,
tornando indietro, leggevo una rivista sull'aereo. La conservo
ancora, tra le mie duecento scartoffie. Un trafiletto parlava della
fine del tour di una band di Madrid. Loro erano lí, tutti e cinque,
con in mezzo Amaia Montero. “El Canto del Loco” si leggeva in
grande. “Che razza di nome”, avevo pensato. Ricordo che mia madre - e questo ve l'avevo anche giá raccontato - fu attratta da quell'immagine. Mi disse “e questi chi sono? Fossi
in te proverei a scaricarmi qualche loro canzone, magari son bravi”.
Ma io avevo giá una lista di 10 brani pronti a diventare
compilation. Li avevo trascritti dalle classifiche di vendita lette
chissá dove. Non avevo voglia di cercare oltre. Cosí alzai le
spalle, girai pagina, e dovetti aspettare fino al duemilasei.
Quindi,
boh. Magari se avessi scelto di studiare francese avrei, tipo,
conosciuto Celine su Internet, per fare un po' di pratica. E lei mi
avrebbe consigliato di ascoltare un certo Dani Martín, che prima era
ne El Canto del Loco, che ne so. O magari mi sarei imbattuta nella
versione doppiata in francese di Cuenta Atrás cercando qualcosa da
guardare per allenare l'orecchio alla pronuncia. Mi sarebbe piaciuto
l'attore protagonista, ne avrei cercato notizie sul web e...
Insomma,
in un modo o nell'altro Dani and Co li avrei conosciuti comunque, di
questo sono quasi sicura. Solo che ci avrei messo un sacco di tempo
in piú. E mi sarei – di conseguenza – persa un sacco di belle
emozioni. E poi ricordo che, sempre per colpa di quella tesina,
pensavo che se fossi tornata a Parigi avrei voluto fare visita alla
tomba di Baudelaire. Cioé, ci rendiamo conto?! La tomba. Ero
praticamente la groupie di un poeta strafatto dell'ottocento, é
inquietante.
Invece,
una cosa che mi spiace non ricordare della mia Maturitá sono le
canzoni che andavano all'epoca. Cosí ho fatto una ricerchina veloce,
tanto per. E ho trovato questo sito. Da cui scopro che era proprio
quella l'estate di “no es amoooor, lo que tu sienteees, se llama
obsesión!”, singolo piú venduto in assoluto. Made in Aventura.
Lingua (guarda tu!) spagnola. E in classifica c'era pure Objection,
che é tutt'ora il brano che piú amo di Shakira.
Poi c'erano le
Vibrazioni, che debuttavano con “Dedicato a Te”, del cui
videoclip avrei parlato nella tesi triennale. E i Black Eyed Peas,
che si facevano conoscere chiedendosi “Where is the love?”. C'era
Panjabi MC coi suoi ritmi da Bollywood che, ricordo, ballavo sempre
con piacere. Gli Evanescence con Bring me to life. La mia conterranea
Elisa con ben due singoli in hit parade. E, forse, pure la marmotta
che confezionava la cioccolata. Ad ogni modo, una gran bella estate
spensierata. Anche sotto il profilo musicale.
I dilemmi di martedì grasso. Gli stessi da una vita, ma oggi soprattutto due: perchè gli uomini travestiti da donna sanno portare con scioltezza il tacco dodici e io no? E, poi, i carri allegorici non dovrebbero avere una qualche minima attinenza con quanto accaduto nel corso dell'anno? Cioè, non dico che debbano per forza fare satira pungente, ma se l'unica ispirazione alle cronache é una raffigurazione in cartapesta (peraltro, ben fatta) sul famoso tunnel del Cern, a me sembra che manchi qualcosa. Oltrettutto, ora che mi ci hanno fatta pensare, condivido il loro dubbio: che diavolo ne é stato di quell'esperimento lì?
Il fatto è che credo di averlo già detto: il carnevale, di per sé, non mi fa impazzire. Per lo piú non mi travesto, nemmeno. Peró, rimane il fatto che sono una creativa. Presumo di avercelo nel DNA e, oggettivamente, é spesso piú una tortura che un pregio. Perché io non riesco a smettere di partorire idee. Mai. Nemmeno un istante. Cosí, poi paragono la triste realtá di Giamaica, Preistoria e Torte con i miei scenari mentali e, inevitabilmente, me lo chiedo: come caspita é possibile che ci abbia veramente pensato solo io?! Sul serio la fantasia é rimasta dominio di pochi? Una volta, anche nel nostro piccolo ritaglio di nord est, i carri e i gruppi mascherati erano colorato pretesto per ricordare quanto successo, ridendoci sú. Ed oggi, a me, sembra che sia rimasto invece solo colore.
Comunque la colpa é mia, lo riconosco. Faccio presto a dire – a ripeterlo ogni anno – che le mie idee erano belle e spiritose, se poi per pigrizia non le metto in pratica mai. Del senno di poi son piene le fosse, della serie. Ma é con quel senno di poi che oggi voglio raccontarvi ció che mi ero aspettata non fosse venuto in mente solo a me.
Del tipo: i Maya. Possibile che al Carnevale del 2012 non si faccia neanche una menzione ai Maya?! A me, sinceramente, sembrava quasi banale. Avevo pensato che sarebbe stato spiritoso travestirmi da Ape Maya, in realtá, con la parrucchetta bionda, le alette e le righe di rito. Ma contaminare il tutto col caratteristico elmo della comunitá precolombina. Con una lancia. Con uno scudo su cui fosse raffigurato (sarebbe bastato stamparlo e incollarcelo sopra) il famoso calendario profetico. Per dire.
E poi mi sarei aspettata di vedere almeno un gruppo di quattro ragazze travestite da Hostess della Pan Am. Facile e d'impatto inmediato,con strizzata d'occhio alla serie tv.
La mia idea piú bella peró, era indubitabilmente quella basata sulla protesta del mondo del web. Un po' nerd, forse, ma di sicuro sulla bocca di tutti. In realtá, questa posso anche capire che non sia stata realizzata: troppo recente per avere tempo di montarci sú un carro. Ve la devo raccontare, peró, perché l'avevo visualizzata bene.
Pensateci. Gruppo mascherato composto da: gente con la maschera di Anonymous (che poi é giá carnascialesca di per sé); pirati in stile classico, con tanto di bandiera, che trascinano fumettesche palle da carcerato al piede; poliziotti con la scritta FBI sulla divisa che li inseguono; icona del “mi piace" di facebook, affissa in cartapesta su qualcuno imbavagliato; icona di Youtube, imbavagliata anch'essa, smartphones imbavagliati, icona di msn imbavagliata, e via dicendo. Sul carro, il gigantesco schermo del computer e due agenti dell'FBI che lo colpiscono con un martello. E non puó certo mancare l'uccellino di twitter tristemente chiuso in una gabbia.
Polemico ma figo, no? Avrebbe riassunto tutta la vicenda anche con certa minuzia. Ci sarebbe solo da finire di pensare alla musica.
Vabbé. Sia come sia, tenetemi presente per il prossimo carnevale. Che magari io non mi maschero, peró vi elargisco molto volentieri idee.
Un po' mi spiace, continuare a trascurare la rubrica culinaria. Per dirla proprio tutta, mi spiace anche tornare a parlare di Sanremo. Solo che ieri sera, sul palco dell'Ariston, gli italospagnolismi non sono mancati. E, in un blog come questo - va da sé- certo non posso esimermi dal commentare. In realtà me l'ero ripromessa sin da quando Luca e Paolo avevano anticipato in banalità il balletto d'apertura. Ve lo giuro. Se non posso stare in sala stampa a mangiare tartine e prendere in giro Enzo Miccio (ebbene sí, pare ci sia anche lui), allora, m'ero detta, mi dedicheró alla cronaca via blog. Ma non una cronaca qualsiasi, beninteso. Che, in fondo, di Sanremo ne parlano tutti. Troppa concorrenza, non mi convince mica. Io, piuttosto, mi dedicheró ad analizzare ogni singolo motivo di incontro tra il mondo iberico e quello nostrano. Cioé, ne avevo proprio fatto una dichiarazione d'intenti. Volevo anche postarla su twitter, solo che in 140 caratteri non c'era verso di farla suonare sensata. Magari perché non lo é. Ma insomma...
Resta il fatto che, nella serata dedicata all'Italia nel mondo, Sergio Dalma non poteva mancare. Lui, che mi somiglia al contrario in quest'adorazione folle per la nostra Nazione. Lui che ha venduto migliaia di dischi riproponendo in castigliano alcuni grandi classici della tradizione musicale nostrana. Lui che mia madre, soprattutto, definisce “un bell'omino”. Ed io dissento fino a che non apre bocca. Sul serio, non che sia una novitá, ma quell'accento lí mi renderebbe sexy anche un comodino. Non posso farci niente. Avrei bisogno di sedute terapeutiche, ma fatte da uno bravo. Comunque. Al suo fianco c'é Francesco Renga. Del resto, non che l'accoppiata stupisca: dopo la collaborazione con Jarabe de Palo e le sue sempre piú frequenti incursioni professionali a Madrid, il bresciano va ormai considerato a tutti gli effetti membro onorario della setta filo-ispanica. Con mio profondo orgoglio, peraltro. Ché non posso scordarle, le traduzioni in spagnolo che facevo dei suoi brani. Tra le prime di tutta la mia vita. Per qualche ragione, ho sempre trovato che la sua metrica si adattasse all'altra lingua meglio di qualsiasi altra canzone. Meglio della Pausini, addirittura, in certi casi. Poi di tempo ce n'é voluto, eh? Eppure é sempre bello quando i fatti ti dicono “brava”. Anche il fiore che ha al collo, in questa strana serata sanremese, incontra del tutto la mia approvazione. Sará che ricorda un fermaglio per capelli comprato tempo addietro a Benalmadena, chissá.
Ad ogni modo, il primo dei due duetti stenta a decollare. Sará l'emozione, ma Dalma, lí per lí, sembra essere affetto dalla stessa afonia che ha portato Shaggy ad aprire la performance con un rutto (dategli del fluomucil!). La loro “El Mundo” ne esce scoordinata, un po' disomogenea, in parte forse sbilanciata nei timbri vocali. Non sembrano affiatati, soprattutto. Non come mi sarei aspettata.
Per fortuna, peró, poi si passa a “Bella senz'anima”. E qui la storia cambia. Cambia del tutto. Il fatto é che Dalma, con quelle sue tonalitá un po' roche, sembra nato per cantare Cocciante. E probabilmente lo sa, perché di botto ritrova confidenza e dominio scenico. Lo spagnolo si appropria del palco. Lo domina. E Renga gli va dietro, con quei suoi toni alti che nel bilinguismo s'intrecciano a brividi d'emozione. Finalmente, tutto ha un senso. Anche al di lá di Brian May e Patti Smith.
Non é stato l'unico italo-spagnolismo, tuttavia. Non sul piano prettamente linguistico. Tanto per dirne una, c'é stato Goran Bregovic. E questo, francamente, credo che non se l'aspettasse nessuno. Non dopo la performance da sagra sul patriottismo romagnolo di Bersani, almeno. Certo, di casino ne ha fatto un bel po'. Tanto per cominciare, ha presentato il pezzo dichiarando che per la prima volta nella storia la lingua gitana sarebbe entrata a Sanremo. Tutto bene. Peccato che poi canti in castigliano e la lingua gitana, a onor di cronaca, sarebbe tutt'al piú il Caló. A dire il vero (ma qui é colpa di Morandi) non si capisce nemmeno se il tizio che l'accompagna sia oppure no uno dei componenti dei Gipsy King. Goran, poverino, parla un italiano comprensibilmente un po' stentato. Non si capisce se il brano l'abbia semplicemente inciso coi fratelli Reyes, o se stia parlando dello stretto “qui ed ora”. Ma il presentatore, invece di chiarire, glissa sull'argomento, lasciando i nostri dubbi in balia di Google (che, peraltro, non li risolve mica).
Il pezzo, peró, convince. “Surreale”, nell'atmosfera in cui s'inquadra (come afferma anche Gianni Sibilla dalla schermata di twitter) , certo, ma convince. In puro stile Bregovic, mette di buon umore invogliando ad alzarsi dalla sedia. Quel “eh, balcañeros, vamos” mi rimarrá incollato in testa per un bel po'.
Ultimo italo-spagnolismo (anche qui solo linguistico, dato che uno dei suoi protagonisti arriva, in realtá, da Puerto Rico) é costituito dall'insolito duetto tra José Feliciano ed Arisa. Nonché, soprattutto, dal suo contorno di involontaria comicitá. Cioé, sul serio, smettetela di dare alcolici a Morandi. Ve lo chiedo per favore. Ché il povero José si sforza di parlare in italiano. Non gli viene neanche del tutto male, oltrettutto. Anzi, sembra me quando sono troppo stanca per separarmi le due lingue nel cervello. Comunque, il punto é che Gianni non se ne accorge. E che fa? Lo traduce. Son bei momenti, non c'é che dire.
Ma il culmine arriva dopo l'esecuzione del primo brano. Ché José, ormai rassegnato, sceglie di parlare direttamente in un fluente spagnolo. Peccato che nemmeno questa volta il conduttore se ne accorga. O forse non capisce, boh. Fatto sta che non traduce per niente, lasciando i non ispanohablanti nell'oblio. Cioé, complimentoni.
Oltrettutto, l'episodio mi porta ad aprire una parentesi di – neanche tanto vaga – polemica. Sí, insomma, la dobbiamo FINIRE con quest'assurda convinzione che tanto “lo spagnolo e l'italiano si somigliano”. Che “tanto si capisce comunque”. So per esperienza piú o meno personale che, sull'onda di questa filosofia, networks televisivi anche importanti scelgono di risparmiare sull'interprete dallo spagnolo. Con il risultato che poi, inevitabilmente, si scade nel pressapochismo. Che magari una tizia dice alla telecamera “estoy embarazada” (ovvero: “sono incinta”) e il malcapitato con cui condivide il palco informa gli italiani che “é imbarazzata”, convinto di aver capito tutto. Cosí, tanto per fare un esempio scemo. Poi io non dico che debbano per forza assumere me . Oddio, in realtá sarebbe meglio, ma non ha importanza. Il punto é che ci sono un sacco di traduttori e interpreti specializzati nella lingua spagnola. Se allarghiamo ulteriormente il quadro, ci sono centinaia, migliaia di persone che al suo studio hanno dedicato anni della loro vita. Rinunciare ad un interprete in prima serata (e lo ripeto: non sto piú parlando di Sanremo) nella convinzione che non sia poi cosí necessario mi sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti, oltre che in quelli del pubblico e dell'ospite straniero. E qui concludo, promettendo altri commenti ove l' italo-spagnolismo lo richieda.
Il primo post dell'anno mi mette sempre addosso un certo senso di responsabilità. Per questo l'ho posposto di un paio di giorni. Sí, insomma, per schivare l'obbligo di scrivere tutto l'anno. Tacita ribellione ai detti popolari. Anche se, inevitabilmente, giá sapete che comunque lo faró. 1 gennaio, día internacional de la resaca: cosí ha detto qualcuno live from Spain. E giuro che ancora non riesco a capire come in effetti riesca davvero ad esserlo anche quando di alcol non ne bevi granché. Io, comunque, l'ho affrontato indossando mutande rosse e un braccialetto messicano. Ché non si sa mai, magari contrasta la profezia Maya. Nel dubbio, ho anche cantato cielito lindo a squarciagola. O forse l'ho soltanto immaginato, boh. Tve Internacional, con il volume azzerato, dal canto suo mi rimandava indifferente immagini di una gremita Puerta del Sol. Nel chiedermi come accidenti facciano a non strozzarsi con l'uva, quasi dimenticavo il capitolo- auguri. Giá, giá, buon anno a tutti. E allora giú botti. Migliaia di euro a famiglia trasformati dal vicinato in comete colorate. Belle, per caritá. Solo che proprio non riesco a immaginare un modo piú idiota di far fuori i risparmi di una vita. Settantacinque euro, costa uno di quegli affari. Capite? Uno solo. Un viaggio andata e ritorno per Madrid con Ryan air, bruciato nel cielo in due secondi appena. E non é che io viva in un quartiere lussoso, beninteso.
Comunque. Le immagini sullo schermo passano a inquadrare Pablo Alborán, e io ho giá raggiunto due importanti conclusioni: A) l'aperol spriz in bottiglia é inaspettatamente buono; e B) non posso aspirare a una carriera d'attrice. A mia parziale discolpa, diró che il gioco dei mimi non é facile, se a te tocca proprio far indovinare Titanic. Da sola. Senza un DiCaprio della situazione. Eddai, cavolo, come si fa?! Tra l'altro, ora che ne ho parlato: ma a voi piace, Pablo Alborán?! No, perché io proprio non capisco come possa avere tutto 'sto inarrestabile successo. Ti azzardi a criticarlo, e le amiche spagnole quasi ti mangiano viva. Che, voglio dire, carino é carino. In realtá, vi diró, mi ispira pure simpatia. Sí, insomma, é malagueño (il che, giá di per sé, é un punto a suo favore), ed é sempre una gran soddisfazione veder trionfare un cantautore giovane nel mezzo del disastro discografico attuale. Uno che non vien fuori dai talent, oltretutto. Mi sembra pure umile. Eppure non so...a me musicalmente continua a sembrare un po' una lagna. Ecco, l'ho detto. A bassa voce, bassissima voce, peró lo dovevo dire. Basta che ora non facciate la spia alle amiche spagnole, peró.
E, niente, questo 2012 é iniziato in overdose di buone sensazioni. Nessuna eclatante notizia a farmi da apripista personale, questo no. Peró, attorno a me, oltre all'influenza ci son belle novitá. C'é chi, col calendario, ha cambiato lavoro. Chi ha fatto il grande passo ed é andato a vivere da solo. Chi si é sposato, persino. Chi ha avuto finalmente le risposte che da piú di un anno cercava. Tutto in soli tre giorni. E respirare allegria, vi garantisco, é salutare. Contagia di sorrisi, ti punta fari accesi sul futuro. Perció, per ora mi accontento. Godo delle svolte altrui. Di qualche bella parola su twitter. Di un regalo che compro in ritardo, e dell'inaspettata bellezza di una Grado invernale. Ché non c'avevo mica voglia di uscire, nel día internacional dela resaca. Ma ho ceduto, per una volta. Mi sono lasciata trascinare. D'un tratto eccoli lí, allora, come se mi aspettassero impazienti: alberi di Natale addobbati in modo creativo, odore di frittelle calde e vin brulé, trenini tintinnanti, mercatini, agglomerati di gente che mescola accenti diversi in un pout pourrí di suoni. E' stato lí, quell'1 Gennaio, che nonostante il naso freddo mi s'é scaldato il cuore. E allora l'ho capito. Allora l'ho sentito che, alla faccia dei Maya, quest'anno potrebbe davvero andare molto bene.
Post scriptum: l'ho poi rimesso, il volume, a Tve Internacional. E la prima canzone che ho sentito quest'anno é stata “Amarte Bien” di Carlos Baute. Non so se ricordiate, ma sulle prime canzoni io costruisco sempre profezie. Perció, beh...non so cosa ne pensi Fox, peró magari é la volta buona. Magari, nei mesi a venire, troveró pure l'amore! Certo, é anche vero che nel duemilaundici non sono poi andata ad Amsterdam. Ma, insomma: essere positivi, almeno a inizio anno, ci sta. O no? Buon 2012, amigos.