venerdì 17 febbraio 2012

#Italospagnolismi all'Ariston

Un po' mi spiace, continuare a trascurare la rubrica culinaria. Per dirla proprio tutta, mi spiace anche tornare a parlare di Sanremo. Solo che ieri sera, sul palco dell'Ariston, gli italospagnolismi non sono mancati. E, in un blog come questo - va da sé- certo non posso esimermi dal commentare. In realtà me l'ero ripromessa sin da quando Luca e Paolo avevano anticipato in banalità il balletto d'apertura. Ve lo giuro. Se non posso stare in sala stampa a mangiare tartine e prendere in giro Enzo Miccio (ebbene sí, pare ci sia anche lui), allora, m'ero detta, mi dedicheró alla cronaca via blog. Ma non una cronaca qualsiasi, beninteso. Che, in fondo, di Sanremo ne parlano tutti. Troppa concorrenza, non mi convince mica. Io, piuttosto, mi dedicheró ad analizzare ogni singolo motivo di incontro tra il mondo iberico e quello nostrano. Cioé, ne avevo proprio fatto una dichiarazione d'intenti. Volevo anche postarla su twitter, solo che in 140 caratteri non c'era verso di farla suonare sensata. Magari perché non lo é. Ma insomma...

Resta il fatto che, nella serata dedicata all'Italia nel mondo, Sergio Dalma non poteva mancare. Lui, che mi somiglia al contrario in quest'adorazione folle per la nostra Nazione. Lui che ha venduto migliaia di dischi riproponendo in castigliano alcuni grandi classici della tradizione musicale nostrana. Lui che mia madre, soprattutto, definisce “un bell'omino”. Ed io dissento fino a che non apre bocca. Sul serio, non che sia una novitá, ma quell'accento lí mi renderebbe sexy anche un comodino. Non posso farci niente. Avrei bisogno di sedute terapeutiche, ma fatte da uno bravo. Comunque. Al suo fianco c'é Francesco Renga. Del resto, non che l'accoppiata stupisca:   dopo la collaborazione con Jarabe de Palo e le sue sempre piú frequenti incursioni professionali a Madrid, il bresciano va ormai considerato a tutti gli effetti membro onorario della setta filo-ispanica. Con mio profondo orgoglio, peraltro. Ché non posso scordarle, le traduzioni in spagnolo che facevo dei suoi brani. Tra le prime di tutta la mia vita.  Per qualche ragione, ho sempre trovato che la sua metrica si adattasse all'altra lingua meglio di qualsiasi altra canzone. Meglio della Pausini, addirittura, in certi casi. Poi di tempo ce n'é voluto, eh? Eppure é sempre bello quando i fatti  ti dicono “brava”. Anche il fiore che ha al collo, in questa strana serata sanremese, incontra del tutto la mia approvazione. Sará che ricorda un fermaglio per capelli comprato tempo addietro a Benalmadena, chissá. 

Ad ogni modo, il primo dei due duetti stenta a decollare. Sará l'emozione, ma Dalma, lí per lí, sembra essere affetto dalla stessa afonia che ha portato Shaggy ad aprire la performance con un rutto (dategli del fluomucil!).  La loro “El Mundo” ne esce scoordinata, un po' disomogenea, in parte forse sbilanciata nei timbri vocali. Non sembrano affiatati, soprattutto. Non come mi sarei aspettata.




Per fortuna, peró, poi si passa a “Bella senz'anima”. E qui la storia cambia. Cambia del tutto. Il fatto é che Dalma, con quelle sue tonalitá un po' roche, sembra nato per cantare Cocciante. E probabilmente lo sa, perché di botto ritrova confidenza e dominio scenico. Lo spagnolo si appropria del palco. Lo domina. E Renga gli va dietro, con quei suoi toni alti che nel bilinguismo s'intrecciano a brividi d'emozione. Finalmente, tutto ha un senso. Anche al di lá di Brian May e Patti Smith.






Non é stato l'unico italo-spagnolismo, tuttavia. Non sul piano prettamente linguistico. Tanto per dirne una, c'é stato Goran Bregovic. E questo, francamente, credo che non se l'aspettasse nessuno. Non dopo la performance da sagra sul patriottismo romagnolo di Bersani, almeno. Certo, di casino ne ha fatto un bel po'. Tanto per cominciare, ha presentato il pezzo dichiarando che per la prima volta nella storia la lingua gitana sarebbe entrata a Sanremo. Tutto bene. Peccato che poi canti in castigliano e la lingua gitana, a onor di cronaca, sarebbe tutt'al piú il Caló. A dire il vero (ma qui é colpa di Morandi) non si capisce nemmeno se il tizio che l'accompagna sia oppure no uno dei componenti dei Gipsy King. Goran, poverino, parla un italiano comprensibilmente un po' stentato. Non si capisce se il brano l'abbia semplicemente inciso coi fratelli Reyes, o se stia parlando dello stretto “qui ed ora”. Ma il presentatore, invece di chiarire, glissa sull'argomento, lasciando i nostri dubbi in balia di Google (che, peraltro, non li risolve mica). 




Il pezzo, peró, convince. “Surreale”, nell'atmosfera in cui s'inquadra (come afferma anche Gianni Sibilla dalla schermata di twitter) , certo, ma convince. In puro stile Bregovic, mette di buon umore invogliando ad alzarsi dalla sedia. Quel “eh, balcañeros, vamos” mi rimarrá incollato in testa per un bel po'. 

Ultimo italo-spagnolismo (anche qui solo linguistico, dato che uno dei suoi protagonisti arriva, in realtá, da Puerto Rico) é costituito dall'insolito duetto tra José Feliciano ed Arisa. Nonché, soprattutto, dal suo contorno di involontaria comicitá. Cioé, sul serio, smettetela di dare alcolici a Morandi. Ve lo chiedo per favore. Ché il povero José si sforza di parlare in italiano. Non gli viene neanche del tutto male, oltrettutto. Anzi, sembra me quando sono troppo stanca per separarmi le due lingue nel cervello. Comunque, il punto é che Gianni non se ne accorge. E che fa? Lo traduce. Son bei momenti, non c'é che dire. 







Ma il culmine arriva dopo l'esecuzione del primo brano. Ché José, ormai rassegnato, sceglie di parlare direttamente  in un fluente spagnolo. Peccato che nemmeno questa volta il conduttore se ne accorga. O forse non capisce, boh. Fatto sta che non traduce per niente, lasciando i non ispanohablanti nell'oblio. Cioé, complimentoni. 






Oltrettutto, l'episodio mi porta ad aprire una parentesi di – neanche tanto vaga – polemica. Sí, insomma, la dobbiamo FINIRE con quest'assurda convinzione che tanto “lo spagnolo e l'italiano si somigliano”. Che “tanto si capisce comunque”. So per esperienza piú o meno personale che, sull'onda di questa filosofia, networks televisivi anche importanti scelgono di risparmiare sull'interprete dallo spagnolo. Con il risultato che poi, inevitabilmente, si scade nel pressapochismo. Che magari una tizia dice alla telecamera “estoy embarazada” (ovvero: “sono incinta”) e il malcapitato con cui condivide il palco informa gli italiani che “é imbarazzata”, convinto di aver capito tutto. Cosí, tanto per fare un esempio scemo. Poi io non dico che debbano per forza assumere me . Oddio, in realtá sarebbe meglio, ma non ha importanza. Il punto é che ci sono un sacco di traduttori e interpreti specializzati nella lingua spagnola. Se allarghiamo ulteriormente il quadro, ci sono centinaia, migliaia di persone che al suo studio hanno dedicato anni della loro vita. Rinunciare ad un interprete in prima serata (e lo ripeto: non sto piú parlando di Sanremo) nella convinzione che non sia poi cosí necessario mi sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti, oltre che in quelli del pubblico e dell'ospite straniero. E qui concludo, promettendo altri commenti ove l' italo-spagnolismo lo richieda. 

4 commenti:

  1. Grandissimo Bregovic! Ha tradotto in spagnolo la canzone scritta per la Serbia all'Eurofestival 2010, Ovo je balkan!

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  2. Grazie della chicca Ranma...non avevo idea che fosse la stessa! Peró bella, c'é piaciuta. Balcañerooos? Vamos! :D hihihi

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  3. anche a me è piaciuta un sacco l'accopiata balcanera!...così come Dalma,che del resto già conoscevo!ed è molto bella quest'analisi italospagnola sanremese!
    gracias kit!

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