mercoledì 29 febbraio 2012

Freddo, in effetti, 'sto vento del Nord.

Le grandi aspettative ti fregano sempre. E' un dato di fatto. Ecco perché oggi vi parlo di un libro. Un best seller, se vogliamo puntualizzare. Uno di quegli inspiegabili innamoramenti collettivi fatti di “ohhh” e di “aaah” sullo schermo di Anobii. Fatti di commenti, in questo caso, di cui mi ero fidata anch'io. Errore. 

Dai, ne avrete senz'altro sentito parlare. L'autore é un austriaco, tale Daniel Glattauer. Titolo: “Le ho mai raccontato del vento del Nord”. Scritto così, senza punto di domanda. Quanto alla trama, io la riassumerei come segue: 



Due tizi, uno più antipatico dell'altro (lei più di lui, a onor del vero), si innamorano via mail senza essersi mai visti di persona. Per anni, la loro corrispondenza consiste grossomodo nella ripetizione in loop della stessa paranoia. Sempre quella: "cosa succederebbe se ci incontrassimo?". Fanno qualche rara eccezione giusto per raccontarsi di essere finiti l'uno nelle fantasie sessuali dell'altra. Ma, anche in quel caso –  non si sa per che ragione – sempre e comunque dandosi del lei. Contenti loro...

Che poi non posso dire che sia brutto, intendiamoci. Probabilmente, se solo il resto dell'umanità non l'avesse decantato, l'avrei etichettato con l'indifferenza. Catalogato come uno di quei romanzi che ti passano davanti senza lasciare traccia. Quantomeno, non ci avrei di sicuro dedicato un post. Le aspettative, però...ah, quelle non perdonano mica! La loro dimensione é inversamente proporzionale alle delusione. Lo sarà sempre, per quanto tu possa provare ad opportici. 

E allora io mi chiedo: che cosa ci avete trovato, in questo cosiddetto “geniale capolavoro”? Cos'é che ve l'ha fatto definire così? No, perchè a me non riesce a trasmettere alcun calore. E un romanzo sull'amore in cui non percepisci il cuore, dite: che romanzo d'amore è? 

Vedete: io l'ho vissuta, e pure tante volte, l'esperienza di conoscere qualcuno prima per iscritto che in realtà. E vi assicuro che é fisicamente impossibile limitarsi ad analizzare lo stile letterario dell'altro. A criticarne con pazienza certosina soluzioni narrative poco indovinate, o  lodarne il sarcasmo come alternativa. Macché. Quando per un tempo prolungato scambi mail con qualcuno, la tua vita interna ed esteriore finisce con l'irromperci dentro. Che tu lo voglia, o meno. E non mi riferisco a qualche raro rimando alla famiglia, all'aspetto fisico, all'età. No. Io parlo di carattere. Di umore. Di battiti cardiaci. Parlo di quelle volte in cui, nell'impazienza di rispondere, dimentichi le virgole e te ne freghi delle ripetizioni. Delle volte in cui la tua gioia traspare in un eccesso di punti interrogativi. Di quando la vicinanza empatica ti porta a infilare espressioni dell'altro in mezzo alla tua stessa sfilza di righe. O, ancora, parlo di quando scrivi in lacrime. E, paradossalmente, é proprio allora che rifletti sui punti. Che rileggi mille volte. Che risulti più poetica e, al contempo, maledettamente più formale. 

Quello che voglio dire, soprattutto, è che quando scrivi sei tu. In sfumature ogni giorno diverse ,eppure sempre uguale nei tuoi tratti distintivi. Ed è questo che manca, nel romanzo di Glattauer. Ci sono due persone che si scrivono (anzi, tre, per essere sinceri) eppure tu ci leggi un esclusivo autore. Un autore che, per differenziarli, deve ricorrere a espedienti narrativi bassi: il nome del destinatario ripetuto come un mantra nel testo di ogni lettera. Gli elenchi per punti che, nella prima parte, dovrebbero contraddistinguere lei. Ma lo stile, in tutto questo, resta uguale. Elegante . Ricercato. Un po' spocchioso. Sempre e indiscutibilmente senza alcuna sbavatura. Mai. 

Siano tristi o siano felici, Emmi e Leo conservano nei periodi sempre lo stesso tono. Si parlano addosso, questo é. Parlano a sé stessi prima che all'altro, tanto che più che un dialogo a me sembra un monologo. Più che una storia, un mero e disperante esercizio di stile. 



Per questo non le capisco, tutte quelle lodi. Volete un romanzo epistolare? Uno bello, autentico, vero? Uno che scaldi come un piumone? Uno in cui sul serio si respiri vita? Ecco, allora leggetevi Scrivimi ancora. Certo, é di Cecelia Ahern. Orrore, un'autrice "commerciale"! Troppo in linea con chi ascolta pop. E poi ha la copertina in toni pastello, per l'amor del cielo! Certo non è appropriato se vuoi fingerti persona mediamente intelletuale. Eppure, ragazzi, che volete che vi dica? Io dai libri cerco la stessa cosa che richiedo a musica e film: che mi emozionino. Che mi facciano sorridere. Ridere a crepapelle. O magari piangere. Spaventare. Pensare. Stupire. In estrema sintesi, che mi facciano battere il cuore. 

E allora me ne frego, se ci riesce la Ahern e non un elogiato giornalista austriaco. Se ce la fa la Kinsella e – proprio per niente – Fabio Volo. Il vento del Nord, per me, è troppo freddo, e dei commenti di Anobii non dovrei fidarmi più. In fondo, è probabile che chi condivide i miei gusti usi quel sito esattamente come me. Io che per recensire sono pigra. Io che mi limito a giudizi di stelle, troppo invisibili perché qualcuno li veda. 

2 commenti:

  1. bellissima analisi,nonchè recensione!certo è che se un libro del genere,lo scrivessi tu...bhè non ci sarebbero che elogi e stelline positive,dal momento che mentre recensivi,spiegavi già come lo scriveresti!:-)
    onestamente non lo conoscevo,ne il libro ne l'autore..ma così di primo acchito,il fatto che sia un'austriaco(e non ho nulla contro gli austriaci)mi ispira freddezza,poca passionalità....e sto pensando che non mi viene in mente nessun nome di scrittori austriaci.....mah!
    besos kit

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  2. Non so se possa c'entrare un po' anche il clima, in effetti. Resta il fatto che un po' di passionalitá un piú ci stava! :)

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