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domenica 18 giugno 2017

Torera (con la o che diventa a)

L'arte, in tutte le sue forme, aiuta a vivere meglio. É questo che ho pensato ieri quando sono uscita dal Cervantes, oltre che ultimamente passo più tempo lì che a casa mia. Torera di Ursula Moreno mi ha lasciato addosso la soddisfazione euforica delle cose belle. Quelle che ti riempiono di brividi, stordendoti di commozioni trattenute mentre in platea parte la standing ovation. 

I volantini, per presentare lo spettacolo, avevano assemblato sfilze di concetti criptici. Parlavano di Eros e Tanatos. Dualismi. Totem. Sguardo femminile. 

Io, invece, lo definirei come una sorta di musical flamenco. Le melodie della chitarra, la voce discontinua del cante e - soprattutto - il ballo sono qui insieme pretesto e mezzo per raccontare una storia. Ed è un racconto in cui la mera narrazione dei fatti si alterna armonica all'evocazione delle sensazioni, come soltanto l'arte riesce a fare.  

Luci, scenari, costumi e coreografie si fondono per non lasciare niente al caso. Quello che creano, inscindibili e mai scisse, è la fusione perfetta tra teatro e tablao, tradizione e contaminazione,  classico e contemporaneo.  É pura Andalusia e, insieme, Pianeta intero. E in quella o cancellata dalla a c'é non soltanto il vero titolo, ma il riassunto supremo dello show. 




La trama é semplice. Una donna conosce l'amore spolverandogli le scarpe. Sono normali calzature da flamenco, come quelle che, sul palco, aspettavano la folla di ragazze che ballando scalze in mezzo al pubblico, hanno dato inizio alla funzione. Clamore di nacchere. Atmosfera festosa. Si fa conquistare, quella donna, in un gioco di bende che è certamente scherzo, ma anche un po' possesso e superiorità. 

Lui fa il torero. 
Lo vediamo poco dopo nell'arena, in una delle scene migliori, intento ad affrontare il toro incarnato dal magistrale Akim Santos: perfetto nel ricreare i movimenti dell'animale furioso - e poi ferito, e poi morente - tra ruote, acrobazie e passi di danza contemporanea. Quasi lo incorna. Posizioni congelate. La voce della cantaora, nascosta dietro ad un pannello, si palesa per la prima volta in un tragico "me apareció la muerte" mentre un solo fascio di luce illumina la ragazza del torero. In piedi tra gli spalti, un velo bianco in testa, sembra quasi la Madonna. L'attimo si scongela. Azione. Banderillas immaginarie. Ed é l'uomo a vincere, alla fine, i movimenti del capote alternati al zapateado. Il trionfo. La gioia. La felicità. 



Il torero e la ragazza si sposano di lì a poco, con tanto di cambio d'abito in scena. 




Durante la festa, il tempo si ferma di nuovo. Ed è lì che, in carezze silenziose allo sposo, la luce bianca ci svela le intenzioni di una delle amiche di lei.

Andranno a letto insieme, alla fine, in un amplesso ricostruito con i movimenti della bata de cola. La sposa li becca, nell'urlo disperato che il cante non lesina a sottolineare. 

Fine prima parte. E da lì tutto cambia, non solo nei vestiti. Da quel momento in poi la prima ballerina sarà sempre accompagnata, alle spalle, dalla figura del toro. Perchè lei, adesso, è il toro. Lo è in quanto bestia ferita, sconfitta, ingannata dall'uomo che ama. Ma lo è anche, forse, per la cieca furia che porta con sè. 



In un crescendo continuo, tra scontri e liti fatte di taconeo e braceo, le vicende precipitano verso il finale, che è poi l'altra delle scene che ho preferito. Il torero affronta il toro, di nuovo. Ma adesso l'arena non c'è. Adesso è solo un simbolo, un emblema, qualcosa che per questo è ancora più pericoloso. Il duello si consuma, per chiudere il cerchio, tra i ballerini vestiti con manti neri all'esterno e rossi all'interno, ad evocare il capote in un effetto coreografico ai limiti dello straordinario. 

Il toro sta per avere la meglio. Poi la donna, che osservava la scena dall'alto, gli si avvicina. Un solo colpo sulla spalla, e l'animale si ritrae. Lei restituisce al marito il fazzoletto con cui l'ha conquistata e lo guarda andarsene via affranto. Senza più tori. Senza più rancore.

Nella scena dopo la vediamo ballare da sola, felice, circondata dalle altre ballerine che sembrano indicarla come a dire "guardatela! Guardatela adesso". La cantaora mette in musica qualcosa che non capisco, ma che mi sembra voglia dire "ora respira". É una celebrazione delle donne, dell'indipendenza, della forza, della libertà. In definitiva, della o che diventa a

Che poi, magari, la mia interpretazione non è nemmeno giusta. Forse ho frainteso tutto. Forse non c'ho capito nulla. Ma il bello dell'arte, in fondo, è proprio questo: che ti lascia spiragli di apertura, buchi di irrazionale da riempire a tuo gusto con la tua visione del mondo, i tuoi sentimenti, e le tue prospettive.

Perciò se quel toro aveva un altro significato; se quelle parole me le sono immaginate; se era davvero soltanto una questione di tensioni contrastanti, Eros e Tanatos, visione femminile...beh, allora vi chiedo scusa tantissimo, ma non lo voglio sapere. Perchè Torera, io, l'ho fatto mio così. 

Perchè Torera mi ha fatto amare il flamenco ancora di più di quanto già lo amassi prima. 

E se mai vi capitasse di trovarlo in programmazione in un teatro vicino a voi, vi prego, fatevi il favore di andarlo a vedere. 


domenica 21 giugno 2015

Saggi di danza e notiziole ispaniche



- Scusa, tu sei un angelo? 
- No, sono una principessa! 
- Ah, niente allora. Lei cercava un angelo. 

I saggi delle scuole di danza sono quel microcosmo in cui, estrapolati dal contesto, i dialoghi entrano a far parte del filone fantasy. Un ambiente strano, fatto di luci blu, aria gravida di sudore adolescenziale stantio, bivi esistenziali riassunti nel cartello fuori da una porta chiusa, quello che fotografi soltanto perchè ti annoi nell'attesa. "Palcoscenico o Toilette", ti invita a scegliere. Insomma, esibirsi o andare a cagare. 

Ai saggi delle scuole di danza i ragazzi a torso nudo sembrano sempre fuori luogo. Ultimi rappresentanti di una specie estinta. Talmente inaspettati da risultare imbarazzanti. Bizzarri, quanto meno. E poi ci sono i fan. Parenti, amici, conoscenti e sconosciuti che ti braccano in platea durante l'intervallo manco fossi una stella del cinema. Da dove sono usciti? Come ti hanno localizzata? Mica lo sapevi, che ci sarebbero stati. 




Ai saggi delle scuole di danza pensi sempre "che cariiiiiineee" quando vedi le bimbette in tutù. Dura per circa nove secondi e mezzo. Poi l'acuirsi dei decibel ammazza tenerezza, istinto materno, neuroni, salute e ultimi rimasugli di pazienza. Capisci, nell'ordine, che non potresti mai fare la maestra d'asilo. Neanche quella delle elementari. Che non potresti mai avere più di un figlio. Forse neanche uno. Che in fondo non c'è troppo da stupirsi delle madri assassine. 

E comunque riscatto fu. Non che ci volesse molto, del resto. Anche se qualcuno deve tirata, dal momento che ho fatto cinque minuti di coreografia con un crampo/stiramento al polpaccio sinistro i cui strascichi mi porto avanti ancora oggi. Ci tenevo a farglielo sapere, tuttavia, a tale stratega delle sfighe che non avrà la meglio sul mio sorriso. Anche ora che a forza di tossire ho un dolore lancinante alla costola destra e mi sento grossomodo come se fossi stata appena investita da un tram. Cioè, dico: ancora? La smettiamo? 

Ad ogni modo, non era per parlarvi delle mie brillanti (seeee-vabbbè) performance danzerecce che ho scritto questo post, quanto per condividere con voi alcune simpatiche notiziole ispano-centriche che hanno recentemente attirato la mia attenzione. A causa di necessità di studio (sì, studio: prima o poi vi racconto) non ho trovato il tempo di aggiornare il blog prima. Perciò le ho diligentemente ammassate nei preferiti con l'intento di riassumerle in una sorta di bignamino domenicale. Così, giusto perchè non vi perdiate proprio nulla. Sono o non sono un ammmore? 

TUTTI PARLANO DEI PIEDI DEL SINDACO DI JEREZ

Avevo sperato in un fotomontaggio. E invece. La foto che vedete qui sotto, scattata al sindaco di Jerez nel giorno della sua proclamazione, è diventata in Spagna uno dei fenomeni più virali degli ultimi tempi. E immagino non serva che vi spieghi perchè. La sua diffusione ha fatto fioccare meme, battute, controbattute, e persino qualche teoria complottistica secondo la quale la povera donna avrebbe sei dita dei piedi. La morale è una: mai comprare scarpe strette. MAI. 


IL REGNO DI FELIPE COMPIE UN ANNO. 

Tanti auguri a teee, tanti auguri a teee, tanti auguri monarchia, tanti auguri a te! 
Sembra ieri che commentavo l'incoronazione del nuovo Re di Spagna, e invece è già passato un anno. 

Per festeggiare,  però, niente torta: Felipe e consorte hanno consegnato le medaglie al merito civile anzichè dilapidare i fondi nazionali in una festa ufficiale. Il gesto non ha fatto che confermare il bilancio positivo attribuito dai media al loro operato. Il Sovrano sarebbe complessivamente riuscito, infatti, nel difficile tentativo di far riacquisire popolarità alla Corona. Non che i repubblicani siano spariti, eh? Anzi. Proprio nella ricorrenza dell'anniversario si sono fatti sentire infuocando Twitter con l'hashtag #FueraFelipeVI. La Casa Reale, nel frattempo, coglieva l'occasione per placare la fame dei paparazzi rendendo pubbliche alcune foto della vita quotidiana a corte che sono state puntualmente inserite in fotogallery ad hoc. 


... E ANCHE GLI OUTFIT DI LETIZIA

I festeggiamenti hanno riguardato anche la Regina Letizia che - sempre più calata nel ruolo di Kate Middleton iberica - si è in quest'anno consolidata come icona di stile. Il suo look, sobrio e quasi sempre Made In Spain, è stato celebrato in occasione della ricorrenza anche dai rotocalchi nostrani. Ecco, ad esempio, i suoi migliori look secondo Oggi. 



MADONNA CERCA BALLERINA DI FLAMENCO che l'accompagni durante il tour mondiale. C
ercava, anzi. Dovrebbe anche averla già trovata, ormai. Io mi sarei anche candidata, ma poi mi hanno detto che lei è un po' stronza, e allora... 


E' USCITO "VALE", IL CORTO DI ESTRELLA DAMM a cura di Amenabar. Ricordate? Ne avevo parlato qui. Come da previsioni è molto bello e gioca su due tratti tendenzialmente associati agli spagnoli: la poca dimestichezza con la lingua inglese e l'enorme frequenza con cui dicono "vale", cosa che immancabilmente sorprende e incuriosisce gli stranieri. 




Già che c'era, anche la Mahou ha fatto uscire un videoclip in cui la parte "cantante" dei protagonisti del suo spot - manco a dirlo - se la canta in allegria.


SPAIN.INFO FA I QUIZZETTI. Volevo tacerlo per avere meno concorrenza, ma tanto l'avreste scoperto comunque. Andando a questo link trovate una serie di video, che - pubblicati a cadenza regolare - vi sfidano a riconoscere alcune tra le più emblematiche città spagnole partendo da un dettaglio. Più veloci sarete a dare la risposta esatta, più stelline otterrete. Più stelline otterrete, più possibilità avrete di garantirvi il premio: nientemeno che un viaggio in Spagna per due persone. 


MEZZA SPAGNA É ANDATA A VEDERE I MAROON 5 e l'altra mezza li ha invidiati. In ogni caso, dell'atteso ritorno della band di Adam Levine a Madrid hanno parlato proprio tutti. Il lato inquietante è che, a giudicare dalle foto postate su Facebook, persone che io conosco ma non si conoscono tra loro erano pure sedute vicine. Sei gradi di separazione? Coincidenze? Destino? Trama per l'ennesimo libro che non scriverò? Chissà. 



MARIA SALVADOR E' DISCO DI PLATINO, conquistandosi anche il record di brano italiano con più streaming giornalieri su Spotify della storia. E lo so che (a parte, forse, le 7 parole del ritornello) non è proprio una notizia ispano-centrica, ma almeno forse la smetterete una volta per tutte di chiedermi "Il Cile, chiiii?". Non che "Il Cile - quello che canta con Ax" sia proprio il massimo della vita, ma è comunque un passo avanti, dai. 

martedì 16 giugno 2015

Flamenco Y Poemas, o del perchè ne vale sempre la pena.


Capita, a volte, che ti dimentichi un passo. Una cosa semplice. Forse tra le poche che non avevi mai sbagliato prima. Capita – la sfiga! - che succeda sul palco. Il giorno dello spettacolo. Il coronamento di un anno di sforzi e di prove.



In quella frazione di secondo guardi le tue compagne muoversi ignare in perfetta sincronia, cercando nella mente il modo più rapido per recuperare. Siete. Ocho. Y... Non riesci a distinguerle, le facce del pubblico. Sono sagome indistinte dietro ai tuoi occhi da miope. E, mentre ti sforzi di continuare a sorridervi, pensi per un attimo che sia come in certi momenti della vita. Ché tutto va avanti tranne te. Ché devi solo far finta di niente ed adeguarti, sperando che il giudizio non sia troppo severo.


Ho creduto che tutti avessero visto. Ho pensato, soprattutto, di aver rovinato il quadro d'insieme. Ed è per questo che mi sono sentita in colpa. Che mi sono sentita stupida. Frustrata. Di più, incazzata nera per non aver mostrato neanche un decimo di ciò che nel mio piccolissimo so di poter fare. E poi non è possibile, accidenti. Non può essere che, dopo tanti anni, il telo nero delle quinte mi faccia ancora tremare le ginocchia. Mi incasini i pensieri. Mi frughi nella testa per tirarci fuori dubbi assurdi, anche quando per tutto il giorno sono rimasta più calma di un maestro zen.

Sono uscita a testa alta, senza sentire gli applausi. Ho salito le scale. Mi sono accasciata sulla panca del camerino scorrendo le notifiche dello smartphone senza guardarle davvero. Un video a proposito dei ragni. Un'amica che si riconosce in un mio post. La risposta non vista al fatto che nel flamenco è meglio un “mucha mierda” di un “in bocca al lupo”. “Ahahaha, scusa”. Un'emoticon sorridente. Quell'errore, quello che in molti non hanno neppure notato, io l'ho caricato di tutto il peso delle ultime giornate. Delle troppe notti insonni. Della tosse violenta e inopportuna che mi sfianca impedendomi a tratti anche di respirare. Ci ho versato dentro, a quel passo mancato, tutti i mal di testa che non ho voluto confessare. L'ansia per un nuovo progetto. Lo studio dopo aver finito di lavorare. Le scadenze imminenti. La fatica ad alzarsi quando suona la sveglia al mattino. E poi è capitato che qualcuno mi chiedesse “Com'è andata?”. 

“Com'è andata?”, tutto qui. Un intervento di cortesia. Una domanda semplice, come semplice era quel passo. E, prima ancora che potessi impedirlo, è uscito tutto sotto forma di lacrime.

Allora potreste chiedervi se ne valga la pena. A conti fatti, in quel momento avrei dovuto chiedermelo anch'io. Ma, sapete che c'è? Non l'ho fatto. Non mi è neanche passato per la mente.

Perchè puoi essere stanca. Puoi essere agitata. Puoi concederti, ogni tanto, di essere persino fragile. Ma il flamenco non è questo, per me. Non è quel pianto.

Flamenco è una professionista come l'inarrivabile Cristina Benitez che, nei corridoi del backstage, dà consigli ad una principiante su come muovere il polso. E' il Tango de Triana che ti riempie di allegria. E' Lucas Ortega che urla le emozioni senza ausilio di microfono, piazzandotele dritte tra le corde dell'anima. Flamenco è che poi ti asciughi le lacrime e ti torna la voglia di ballare. Che reagisci pensando al prossimo spettacolo come al tuo personale riscatto, sentendoti piena di una grinta che avresti voluto avere appena pochi minuti prima.

E ne vale la pena, certo che sì. Ne vale la pena per le chiacchiere e le risate in camerino. Perchè il giorno dell'evento unisce le persone più di qualunque altra occasione al mondo. Ne vale la pena per l'accento andaluso, per i dialoghi in spagnolo che impregnano l'aria del dietro le quinte. Per il privilegio di potersi godere le prove degli altri dalla postazione migliore, in un teatro vuoto. E ancora per “mi stappai la fanta” cantata sulle note di “The Final Countdown”. Per il fumo che ti intossica quando decidono di provarlo ignari della tua presenza a due centimetri da lì. Per l'improvvisa ispirazione salsera non appena lo spettacolo inizia. Per la nostalgia dell'Andalusia che ti afferra puntuale ed agrodolce come il ricordo di una relazione finita. Per gli incontri a sorpresa con persone che non vedevi da un po'. Perchè la coreografia ti piace. Perchè, per tre minuti o per un giorno, stacchi da tutto il resto. Perchè, come o più di sempre, ti diverte ballare.



Domani si ripete a Monfalcone. Ed io vi giuro che non vedo l'ora.




venerdì 17 ottobre 2014

Flashmob flamenchi, 2014 Edition

Ebbene sì: l'hanno rifatto. Anche quest'anno la biennale di Flamenco di Siviglia si è conclusa all'insegna del flashmob. Come già nel 2012, l'evento ha coinvolto innumerevoli città del mondo con l'intenzione di celebrare un'arte che, seppur nata in Spagna, se ne frega bellamente dei confini. Di nuovo, in una data e ad un'ora prestabilita, appassionati del baile si sono dati appuntamento nelle piazze per inscenare una coreografia appositamente creata da Pastora Galván.  Non potevo non parlarvene, lo capirete anche da voi. Non é solo per dare un seguito ad un vecchio post, quanto perché - a causa di motivi a me insondabili - guardare quei video mi attorciglia le budella attorno al cuore. Dico davvero. C'é qualcosa, nell'idea della simultaneità geografica e della globalità di una passione, in grado di toccare fibre che neanche pensavo di avere. E mi commuovo, ecco. Mi commuovo come una deficiente. Ogni volta. Ad ogni dannatissimo play. 

Avrei voluto partecipare, ovvio; Solo che come sempre pecco di scarso tempismo. Non mi resta, perciò, che condividere con voi quello che qualcun altro ha fatto, il 5 Ottobre scorso, in giro per il nostro piccolo pianeta. Buona visione!

IN ITALIA 

A giudicare da Youtube l'Italia, rispetto alla scorsa edizione, ha vantato pochissime partecipazioni. A conti fatti, forse la mancanza di tempismo non é stata un problema solo mio. Comunque sia, solo a Milano e Torino hanno sorpreso i passanti, con rappresentanze che non definirei numerose, a suon di golpe e di tacón.





IN EUROPA 

Per il resto (e non sorprende!) il flashmob sivigliano rimane sempre il più emozionante. Il vecchietto che passeggia del tutto indifferente e anche un po' scazzato al casino che gli si scatena dietro, poi, dota di un valore aggiunto il video documentativo. 



Il podio dei miei preferiti lo completano quello di Praga (uno dei più affollati fuori dal territorio spagnolo, con ben 59 ballerini coinvolti nella cornice di una meravigliosa location), e quello di Lubiana, caratterizzato dalla musica live. Sará anche merito del montaggio, ma il flashmob sloveno mi sembra anche quello che forse meglio esalta l'effetto sorpresa. 





A titolo informativo, hanno partecipato anche a Cambridge (postilla: ma che é 'sto cielo azzurro? Non c'é più l'Inghilterra di una volta!) e ad Amsterdam, di cui apprezzo particolarmente la scelta di inserire le motivazioni dell'esibizione al termine del filmato. 

IN ASIA 

É sempre piuttosto strano osservare delle orientali che ballano flamenco. Eppure, la Cina ha aderito all'evento con una doppia rappresentanza. Surreali le ballerine di Shangai, con tanto di occhiali da sole e grembiuli da negozio di souvenir iberico addosso. Decisamente più sobrie quelle di Pechino, nonostante il total pink di una di loro mi ricordi vagamente i Power Ranger. Un applauso per il bimbo che si unisce alle danze con un portamento migliore del mio.




IN AMERICA 

Boston, Ottawa, Minneapolis e Toronto sono le rappresentanze nord americane fino ad ora documentate, con le canadesi a darmi la sensazione di essere, a pelle, tra quelle che si divertono di piú.




In America Latina sembrano aver aderito solo le argentine, peraltro penalizzate da un diluvio universale che le costringe ad esibirsi sotto ad un portico. Personalmente é il flashmob che mi piace meno: non tanto per l'esibizione, quanto perché la scelta di realizzarlo in abiti di scena fa perdere, a mio avviso, lo spirito "improvvisato" dell'evento. 




Voi che ne pensate, invece? Avete già deciso qual é il vostro preferito? 


mercoledì 3 settembre 2014

Flamenco e vino: appuntamento italo-spagnolo a Trento!

Messaggio promozionale. Perché, vi chiedo scusa, ma ogni tanto ci vuole. Soprattutto se ti trovi di fronte ad un progetto che più italo-spagnolo non si puó. Unisce vino, Andalucía e flamenco: tre emblemi di sapore intenso, di quelli che ti pervadono l'anima per non lasciarti indifferente mai. 



Alcune foto di Fulvio Pettinato sul tema del flamenco 


L'hanno realizzato degli amici, il documentario di cui qui sotto vedete il trailer. In concreto, l'associazione Miel Y Limón, con i bravissimi Tony Colangelo e Martina De Nisi alla guida. Pur senza i mezzi di una multinazionale del cinema, hanno voluto raccontare un abbinamento che ha a che fare con terra, storia, e passione. Se siete a Trento, questa sera, vi consiglio di scoprirla recandovi, alle ore 18.00, alla sala Thun di Torre Mirana in via Belenzani: lí, la versione integrale del loro "Flamenco e vino: un'unica essenza, un unico spirito" sarà presentata ufficialmente nella cornice di una suggestiva mostra tematica del fotografo Fulvio Pettinato (qui info ed orari di apertura al pubblico). Io, purtroppo, potró esserci solo con il pensiero. A voi lascio, però,  il compito di raccontarmi com'é. 

domenica 29 giugno 2014

Le persone felici bevono sangría.

Le persone felici bevono sangria. Poi si lanciano in pista, in un miscuglio di ritmi e di generazioni. Non importa chi c'è attorno a loro. Com'è vestito. O cosa dice il bon ton. Le persone felici si muovono a ritmo dei Gipsy King con lo chignon plastificato dal troppo gel. Incastrano i passi delle sevillanas su di un qualche brano dance degli anni ottanta, e fingono che la notte (il weekend, l'estate, forse persino la vita) possa in qualche modo non finire mai.



Scrivo con le lacrime a fior d'occhio. Consapevole di delusioni d'altri, con la mente ossessionata dal confronto tra ciò che adesso sono e quello che volevo essere. Con quella voglia di cambiare tutto che al contempo inorgoglisce e terrorizza d'incognite. Un senso di fallimento, assoluto e devastante, che pervade ogni cellula di me. Ché poi dici "ma no, dai!", peró ti pesa addosso. Fallito. Io. Ho. Fallito.

Eppure stamattina, quando ho aperto gli occhi, ero ancora una di loro. Mi rivedevo in quella stanzetta adibita a camerino, con le mie compagne fiori-munite a improvvisare sfilate di moda. “Divertitevi”, diceva Sonia prima di entrare in scena. E Dio solo sa quanto l'abbiamo fatto! C'era odore di pesce. Paella. Cloro. Odore di salsedine e di zampironi. C'era una signora bionda dall'accento straniero che diceva che “abbiamo risollevato la serata danzante”. I palloncini che volano in cielo. E poi c'eravamo noi, a rispondere che: “addirittura?!”.



Il punto è che questo mese è stato all'insegna del flamenco. Abbiamo ballato su palcoscenici in legno, su tappeti neri da danza classica, su pedane limitate nei metri quadrati. Abbiamo sbagliato i passi e poi strappato applausi in performance che nemmeno noi avremmo previsto impeccabili. Ci siamo esibite in teatri e all'aperto. Con il caldo ed il diluvio universale. Eppure l'importante, chissà come, è stato sempre quello che veniva prima o dopo.

La sangría, per esempio. Oppure Cristina Benitez che metteva la pelle d'oca alle prove generali. L'importante erano le selfie in camerini muniti di (non-ci-credo!) doccia, le risate, l'incontro casuale con Elisa (la cantante) che ci parla in dialetto come fosse una nostra vecchia amica. E “no gavevo mai fatto una foto con tutto un gruppo de flamenco”, e dire “olé” invece di “cheese”. E cambiarsi per le scale, con due di noi che ballano il valzer in abiti di scena. Le urla delle bambine in tutú. Il confronto tra abbronzature inesistenti. I Negrita sparati a tradimento dopo la mia performance migliore. Come a dire che sí, sará la mia stagione. Che é appena iniziata. Che il bello deve ancora venire. Che ormai che ho imparato a sognare...

Il flamenco, giá. Forse é anche un po' sua la colpa di questa mia strana inquietudine. Perché lui, questo mese, mi ha donato alcuni dei momenti migliori. E ogni volta, per una giornata, sei minuti o un paio d'ore, non esistevano né ansia né incombenze. Ad ogni battito di piedi era “la miglior estate di sempre”, come il nome beneaugurante che ho preso in prestito per una playlist.

L'ascoltavo anche ieri, per darmi la carica. Muovevo i fianchi con pochi vestiti addosso ed una spazzola a farmi da microfono nel playback. Mi sentivo Callie di Grey's Anatomy. Era il weekend. Ero una di loro. Non sentivo di aver fallito in niente. Non avevo bisogno di nascondermi o mentire.

E allora al diavolo come mi sento oggi. Al diavolo chi ero, chi sono o chi saró domani. Al diavolo i miei sbagli, persino. Tutto quello che voglio é affrontare la vita come una che balla.


Perché le persone che ballano, in fondo, sono quasi sempre le persone felici.  

lunedì 7 aprile 2014

Lezioni di vita prese dal Flamenco

Oltre a confermare la regola universale per cui "se sei felice tu lo sai batti le mani, se sei felice tu lo sai batti i piedi" (coniata, com'é logico, da sapienti filosofi tibetani) studiare flamenco regala autentiche lezioni di vita. Se non ci credete, eccone qualcuna da applicare anche fuori da palchi e tablaos:



- Testa alta, sempre.

- Non far casino mentre gli altri parlano (o cantano).

- Guarda dritto negli occhi.

- C'è un momento per tutto. Per i marcaggi, il silencio. Per l'accelerazione, la subida. Per le sbornie, il Venerdì sera.

- Sottolinea i concetti importanti. Il che può valere per un corte nel bel mezzo di una letra, ma anche per qualsiasi esercizio di retorica. Certo, magari in quel caso non serve battere i piedi.

- In caso di dubbi sul look: il rossetto, rosso. La gonna, lunga. Gli orecchini, vistosi. 

- Se ti perdi, batti le mani (questa, per la verità, devo ancora provarla in un sentiero di campagna. Però magari funziona.) 

- La velocità è inversamente proporzionale all'intensità. 


-
Non devi per forza sorridere sempre. 

-
Meglio l'imperfezione con un'anima, che la perfezione senz'anima. 


- Se non sei convinta di ciò che fai non convincerai nemmeno gli altri. 


-
Un piccolo dettaglio cambia tutto. Leggi smorfie, scuotimenti di capo, movimenti della testa, ancheggiamenti, un minuscolo accenno con le dita. Una breve esitazione prima di rispondere "anch'io". 

-  Metti 
actitud anche nelle cose più semplici. Sembreranno mille volte piú ammirevoli.



- Prima o  poi la falseta finisce. Magari sarà lunga, ma arriverá il tuo momento di iniziare a ballare. 

- Il lerè lerè può essere messo dopo ogni frase. 

- Un fiore in testa rende tutto migliore. 

venerdì 29 giugno 2012

Uno strano cappello.


Immaginate un agglomerato di gente col cappello. Tipo Zorro, il cappello. Però senza la Z. Un copricapo che calza a pennello, che dicon tutti che son buffo e piccolino, proprio buffo, ma piaccio così. Ecco, appunto: immaginate che a me venga in mente la sigla di Memole, e capirete senz'altro perchè rido. Le altre, tutt'attorno, dovrebbero invece lanciarsi in dialoghi surreali. C'è chi dice “vamos a bailar esta vida nueva” e chi si prodiga in “un pasito pa'lante Marìa”. E' la ricetta di un brusio da feria studiato a tavolino per chi non sa lo spagnolo. Nello specifico, il tavolino è quello di una gelateria del centro, davanti a una coppa di gelato alla frutta alta grossomodo un terzo di me. La stessa dell'altr'anno, che ai rituali scaramantici non so rinunciare. Specie se prevedono una fresca ingestione di calorie.



San Vito al Tagliamento. Rimpianti d'aria condizionata. La nostra esibizione comincia così.
Perchè, siamo alle solite: quando ci vuole un anno intero a preparare sei minuti sul palco, poi ci si aspetta che di quei sei minuti io parli. Anzi, in realtà ci si aspetta che io parli di tante cose, ultimamente. Una su tutti, gli Europei. Ma...tempo al tempo. In ordine cronologico, i resoconti flamenchi vengon prima.

Il fatto è che ballare senza occhiali un po' mi isola dal mondo. I contorni sfocati occultano gli sguardi. Il dettaglio mi sparisce in approssimazioni. Ed io, di colpo, sono in una dimensione parallela. Non so se sono in grado di spiegarlo. E' come se il resto, essendo così poco netto, mi urlasse egli stesso che, di protagonismo, non ne esige nessuno. Come se , non vedendolo bene, capissi che è su altro che mi devo concentrare. E allora esisto solo io. Solo la musica. Soltanto i riflettori che da piccola mi hanno salvata troppe volte dalla timidezza. Le assi in legno che mi aiutano a prendere coscienza di me. Implorano, mi chiedono arroganti di far vedere che ne sono capace. Mi annullo nelle note, nel testo, nel ritmo, cercando dentro me la parte che forse si potrebbe ammirare. Per questo va bene, con quel cappello in testa. Anche se alle prove avevo pasticciato molto meno. Anche se le gambe sono sempre un po' più rigide di quanto vorrei. Ma va bene perchè bene mi sento. Perchè sorrido e ammicco a quell'orizzonte sfocato ballando per me stessa più che per chi c'è. 




E poi torno nei camerini, incapace di avanzare più dei due centimetri che mi separano da un cajòn colorato. Mi ci accascio sopra assorbendo complimenti al gruppo senza sentirli davvero. Bevo mezzo litro d'acqua in un unico sorso ed eccola lì, di nuovo, quella sensazione: l'adrenalina che si stacca dal tuo corpo, violenta come un cerotto strappato, per inserirti nell'ovatta di quella stanchezza dolce. Metafora di zucchero filato, di benessere, di sudore e di testa che si svuota. Il microattimo perfetto in cui non hai pensieri o sentimenti , e sai che il mondo può aspettare ancora un po'. Almeno fino a che non sarai pronta a ritrovarlo, per leggere un sms o magari mangiarti il tuo panino. Fino a che una compagna di corso non ti riassemblerà uno chignon in caduta libera , mentre una ragazza spagnola si gode l'attrezzatura che anni di esperienza l'hanno indotta a portarsi da casa. Leggi: sedia in plastica e ventilatore. L'accoppiata di oggetti che, nell'areazione guasta del piano superiore, possono bastare a farti diventare un mito.



Un anno per sei minuti, ancora. E, coreografia a parte, non è che del resto sia cambiato un granchè. Forse soltanto il clima di relax, tanto generalizzato da farmi quasi addormentare sulle poltroncine nei momenti previ alla nostra ultima prova in costume. Forse gli anni che ci rendono via via un po' più affiatate. O magari quella Chiesa in cui qualcuno s'era appena sposato. Quella in cui abbiam respirato aria umida, fingendo necessario dover farci benedire. E che buon profumo, quelle rose...!!

Mento, perchè invece è cambiato tutto. Perchè tra il pubblico, stavolta, c'era anche un'amica. E un'amica rende tutto più bello, sempre. Specie se il Flamenco te l'ha fatto amare lei. Specie se è da tanto che non la vedi.

Proprio qualche minuto fa, aprendo l'armadio, ho rivisto quelle scarpe. Calzados flamencos, professionali. Bianche e comodissime, quasi fossero studiate sui miei piedi. Stanno così bene, con l'abbronzatura, che mi verrebbe voglia di metterle per uscire. Ci sono regali che vanno al di là dell'oggetto , o del suo valore economico. Penso alla persona a cui sono appartenute. Al significato affettivo che per la mia amica rivestono. E, ancora una volta, mi vien voglia di ballare.

Forse, in qualche strano modo, adesso non soltanto per me.

sabato 7 aprile 2012

Balli piano per non far rumore...e intanto Vasco va alla Scala.

Non sono un'esperta di danza. Certo non di quella contemporanea. Ma neppure di classica o flamenco, se proprio devo essere obiettiva. Definirsi esperti prevede una conoscenza teorica e tecnica per cui mi pare non basti la curiosità appassionata con cui ho frequentato anni di lezioni. Ecco perchè non prendo a prestito gli occhi del critico, se ora mi prendo il lusso di dire la mia su L'altra metà del cielo. Ché, vedete, io non ho intenzione di parlare di passi e innovazione. No. A me interessano le emozioni. I sentimenti. Quella stupenda capacità che ha l'arte – ogni tipo di arte - di restituirci un po' d'infanzia nella continua sorpresa. A me interessa quello che ho visto l'altra sera su Rai5, col portatile sulle ginocchia e addosso la stanchezza di un giorno normale. Solo che quello che ho visto non mi è affatto piaciuto.

Intendiamoci: lodo a prescindere l'iniziativa. In fondo, costruire un balletto su canzoni soft-rock ha sempre l'interessante conseguenza di avvicinare a un mondo una folla di gente che, invece, l'aveva percepito lontano. Ha l'effetto beningno, anche, di attirare l'attenzione dei media su un ambiente che troppo spesso ne rimane fuori. Tutto questo non può che essere un bene, è indiscutibile. Solo che io, su quello schermo, vedevo della gente che vagava sconsolata. Perchè era questa l'impressione generale: che camminassero sul palco, invece di ballare. Che si muovessero scoordinati, come schegge impazzite, a volte rotolandosi per terra o in braccio al loro partner, mossi dai fili di un cerebralismo esagerato; della solita ricerca di avanguardia che – se spinta troppo al limite – toglie spazio e tempo alla naturalità. C'erano gambe. C'erano vestiti rossi. Ma, se me lo permettete, io non ci ho sentito il cuore.

L'altra metà del cielo: i ballerini della Scala che interpretano Vasco. E l'unico effetto che ha avuto su di me è stato quello di ribadire un concetto. Perchè a un certo punto mi sono resa conto che, anziché guardare lo spettacolo, pensavo alle canzoni. A quanto ne scrivesse di dannatamente belle, prima di dispiacersi per l'assenza di Topo Gigio. Mi sono sorpresa a sospirare. Perchè se tutti hanno pensato lo stesso...beh, io non sicura che per Vasco sia un bene.


venerdì 10 febbraio 2012

Flamenco vs. Burlesque

“Sto seguendo un corso di Burlesque”. 

La notizia irrompe nello spogliatoio della scuola di Danza. Involontaria conseguenza della necessità di frivola malizia che dovrebbe arricchire la nostra coreografia. Di Flamenco, la coreografia. Se mi conoscete, dovrebbe essere ormai ovvio. In caso contrario, potreste averlo dedotto già dal  titolo del blog. Comunque. Chi in silenzio e chi un po' meno, avevamo appena ribattuto di sentirci in parte manici di scopa. Abbastanza ovvio che la nostra compagna attirasse di botto la curiosità. 

E, allora: ma come? Ma quando? Com'è? 

Le domande iniziano a sommergerla in una cacofonia d'apparente appoggio unanime. Il Burlesque, d'altronde, sembra essere la moda del periodo. Casalinghe, studentesse, rispettabili donne d'affari: tutte, almeno nella mia Regione, paiono di colpo interessate a mostrare agli altri il proprio corpo nudo. Dita von teese è il nuovo mito collettivo. Con lieve scetticismo, almeno da parte mia. 





Dicono – in effetti, lo dice anche la nostra amica – che il motivo che le muove è quello di imparare a prendere confidenza con il proprio corpo. Di acquisire sicurezza in sé. Non vogliono sapere come togliersi i vestiti: vogliono sapere come essere sensuali. 

Siamo una piccola, ma variegata, rappresentanza femminile. Donne di età e abitudini diverse, accomunate da un ballo definito “passionale”. Un ballo che, nella sensualità, ha spesso una delle sue connotazioni. E, allora non può essere altrimenti: è su quest'affermazione che ci dividiamo.

La sensualità, dice qualcuno, non si apprende. Sensuali ci si nasce, o non lo si sarà mai. 

Quanto alla sicurezza di sé, basta un qualsiasi corso di recitazione. Basta il flamenco, in effetti. Ma anche il ballo country, il tutú classico, l'hip pop: qualunque disciplina porti a muoversi su un palco é, da che mondo e mondo, sempre stata consigliata ai piú timidi.

Chi appoggia il burlesque sostiene, al contrario, che il portamento acquisito tra piume e corsetti può essere palestra addirittura al garrotín. 






Ma come fai ad essere davvero sensuale, ad impegnarti per esserlo, in una stanza di sole donne ? Dovrebbe nascerti spontaneo col tuo uomo, in privato, magari. Ma cosí...Beh, a me verrebbe piú che altro da ridere. (In realtá, a dirla proprio tutta , a me verrebbe da ridere a cimentarmi in uno spogliarello professionale a prescindere, anche in privato. Ma forse io sono un caso a parte, non lo so.). 

L'altro "schieramento" si difende. Il burlesque non é solo uno spogliarello. E' uno spettacolo spiritoso. Frivolo, appunto. Show a tutto tondo per cui scherzi con e su di te.

Ma no, Dita Von Teese, a guardarla, mica ridi. Né fa ridere pagare per privarsi dei vestiti. 

“Non é obbligatorio spogliarsi. Se uno non vuole, non lo fa”. 
“Ho capito, ma sarebbe come iscriversi a un corso di nacchere e non mettersi le nacchere”. 

Il dibattito, se lo riporto qui, non é perché vi facciate i fatti miei, ma perché mi ha sinceramente interessata. Cosí m'é venuta voglia d'allargarlo al blog: e allora voi, mi chiedo, con quale corrente di pensiero vi schierate? Che cos'é, per voi, la sensualitá? Sí, insomma: cosa ne pensate del Burlesque?! 

Sono naturalmente benvenute anche le opinioni maschili.